L'elezione e la durata in carica del capo dello stato
In un ordinamento repubblicano, si danno fondamentalmente tre vie per
risolvere il ricorrente problema dell'elezione del capo dello stato: primo, che
la scelta sia direttamente affidata al corpo elettorale; secondo, che il
compito stesso venga riservato alle camere del parlamento; terzo, che si
adottino sistemi intermedi fra le due ipotesi estreme, sia costituendo un
collegio elettorale apposito sia configurando elezioni di secondo grado.
L'elezione diretta del capo dello stato caratterizza le repubbliche
presidenziali. In coerenza con la scelta di un governo tendenzialmente
parlamentare, i nostri costituenti hanno invece optato per la seconda delle tre
soluzioni accennate, affidando l'elezione presidenziale al parlamento in
"seduta comune dei suoi membri". Non deve trarre in inganno la circostanza che
all'elezione prendano parte "tre delegati per ogni regione". Ciò non significa,
infatti, che sia stata attuata una soluzione di tipo compromissorio perché il
numero dei delegati regionali risulta troppo esiguo rispetto a quello dei
parlamentari; sia perché quasi tutti gli elettori presidenziali obbediscono
secondo esperienza ad una comune disciplina di partito.
Si suole perciò ritenere che sia necessario prendere alla lettera il
riferimento al Parlamento in seduta comune. Ne segue che la presidenza del
collegio in questione continua a spettare al presidente della camere dei
deputati. E ne deriva che le camere riunite potrebbero validamente procedere
all'elezione del nuovo presidente della repubblica, anche se qualche consiglio
regionale non designasse in tempo utile i propri rappresentanti.
Tanto i quorum richiesti per l'elezione quanto la durata in carica del
capo dello stato fanno però intendere che i costituenti non hanno voluto
stabilire un necessario collegamento fra il titolare di quest'organo e la
maggioranza di governo, ma hanno cercato di svincolarlo dalle forze sulle quali
si regge in quella fase il raccordo governo-parlamento. Da un lato, infatti, il
presidente è eletto per sette anni. D'altro lato, analoga è la ratio per cui
l'art. 83 terzo comma esige che l'elezione stessa avvenga per scrutinio segreto
e non dia esito se non quando raggiunga la maggioranza dei due terzi degli
aventi diritto nei primi tre scrutini o la maggioranza assoluta a partire dalla
quarta votazione. L'obiettivo consiste nel garantire una base parlamentare e
politica più larga da quella che sostiene il governo in carica.
Ci si è resi conto che potrebbe verificarsi l'eventualità di un inutile
superamento dei termini costituzionali, determinato dalla mancata formazione
della maggioranza assoluta. Ma la dottrina prevalente ritiene che si debba
optare per la prorogatio. Certo è che la prorogatio del capo dello stato
rappresenta nel nostro ordinamento un'eccezione alla regola per cui l'elezione
del nuovo presidente dovrebbe avvenire prima ancora della scadenza del
settennato. Ed è un'eccezione da evitare per quanto possibile, poiché non soltanto
in quest'ultimo periodo, ma già negli ultimi sei mesi del suo normale mandato
il presidente è di norma provato del più importante fra tutti i suoi poteri,
non avendo più la facoltà di sciogliere le camere.