Le monarchie e le repubbliche parlamentari
Il connotato indefettibile dei governi parlamentari, tale che basta a
distinguerli da tutte le altre forme sin qui considerate, è costituito dal
rapporto di fiducia che deve sussistere permanentemente tra il Parlamento e il Governo:
al raccordo dei quali è riservata la formulazione e l'attuazione della politica
generale del Paese. Se il rapporto si spezza durante la legislatura occorre che
il governo in carica dia le dimissioni. Ed è qui che si rende necessaria la
presenza di un terzo organo chiave del sistema vale a dire del Capo dello
Stato. Ma l'azione del Capo dello Stato rimane indispensabile, stando almeno al
modello di cui si discute, per superare le crisi dei sistemi stessi: sia
nominando un governo che prenda le veci di quello dimissionario, sia ricorrendo
al rimedio ultimi dello scioglimento del ramo o dei rami elettivi del
Parlamento. In verità è sostenuto che i governi parlamentari potrebbero fare a
meno del Capo dello Stato, configurandosi anch'essi quali forme a due piuttosto
che a tre organi essenziali; essendo sufficiente che il governo rappresenti
l'emanazione permanente del Parlamento. Ed è solo il Capo dello Stato, mediante
i suoi tipici poteri di nomina del governo e di scioglimento delle Camere che
assicura al sistema la peculiare capacità di rimettersi in funzione con le
proprie forze, quand' anche insorgano le più gravi crisi interne. Si aggiunga
che il carattere ternario e non binario dei governi parlamentari è per prima
cosa confermato dalla circostanza che tutti e tre gli organi essenziali
compartecipano alla funzione legislativa: il Governo quale promotore dei più
importanti disegni di legge, il Parlamento quale organo deliberante, il Capo
dello Stato in sede di promulgazione delle leggi. Inoltre i tre organi in
questione concorrano tutti nel formarsi e nel sostituirsi a vicenda, alla
scadenza dei rispettivi mandati ed ogniqualvolta la permanenza in carica dei
loro titolari renda impossibile il buon funzionamento dell'intero congegno.
Sotto quest'ultimo aspetto la repubblica parlamentare si presenta come una
forma più perfetta e razionalizzata della corrispondente monarchia: poiché
nelle forme monarchiche il titolare dell'organo Capo dello Stato non può essere
rimosso dalla carica, a meno di una suo volontaria abdicazione.
Una prima fondamentale suddivisione dev'essere appunto operata sul
piano cronologico, poiché le monarchie parlamentari ottocentesche si atteggiano
in modi abbastanza diversi da quelli che caratterizzano il parlamentarismo
attuale, sia esso monarchico o repubblicano. Nel secolo scorso in effetti il Re
continuava ad avere anche in sede politica una notevole influenza personale,
sia pure indiretta, che gli derivava dal recente passato delle monarchie
assolute. D'altro canto, nel secolo scorso il regime parlamentare può
considerarsi tale nel senso più letterale dell'espressione: giacché il
Parlamento costituisce per eccellenza la sede delle decisioni politiche, mentre
il Governo assume la veste dell'interprete e dell'esecutore dell'indirizzo di
maggioranza elaborato dalle Camere. Nel '900, al contrario, i residui
dualistici sono nettamente superati. Nella generalità delle monarchie
parlamentari, infatti, la Corona non ha più che un prestigio esteriore. In pari
tempo, sia nelle repubbliche che nelle monarchie di questa specie, si è
manifestata la tendenza a fare del Governo il vero titolare della funzione di
indirizzo politico: dal momento che non si tratta più di un comitato esecutivo,
bensì di un comitato direttivo dell'attività delle camere. Occorre subito
aggiungere che il nuovo e più importante ruolo del Governo dipende a sua volta
dal peso decisivo che hanno assunto i partiti. E la posizione dominante delle
forze politiche si è resa tanto evidente da indurre i vari autori a concludere
che la forma parlamentare di governo avrebbe in effetti cessato di esistere,
dando luogo ad un governo di partiti. Applicazioni esemplari del bipartitismo
rigido si hanno da vari decennio in Inghilterra, per cui due soli partiti si
dividono quasi tutto il consenso degli elettori (anche se i conservatori hanno
oggi per antagonisti principali i laburisti anziché i liberali). Con queste
premesse è quasi inevitabile che uno dei due partiti più importanti ottenga la
maggioranza in Parlamento; ed è al suo "leader" che il Capo dello Stato
conferisce la nomina a Primo Ministro, dando così vita ad un Governo tanto più
stabile in quanto in Inghilterra è tradizionalmente molto forte la disciplina
interna sia dei partiti sia dei relativi gruppi parlamentari.
Anche nei sistemi contraddistinti da n multipartitismo temperato si
danno per definizione congegni che sono atti ad evitare un'eccessiva
frammentazione politica del corpo elettorale, restringendo e rendendo per
quanto possibile omogeneo il novero delle forze rappresentate in Parlamento.