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Per quanto riguarda
il secondo punto,
Nozione di pregiudizialità: qualora un soggetto intenda ottenere per esempio il risarcimento dei danni ed è destinatario di un provvedimento amministrativo deve, secondo la pregiudizialità, rivolgersi prima al giudice amministrativo, ottenere l'annullamento del provvedimento amministrativo, successivamente, munito della sentenza di annullamento, andare dal giudice ordinario e chiedere il risarcimento dei danni. Si dice che la decisione di annullamento, l'azione impugnatoria, l'effetto caducatorio, la pronuncia demolitoria, o come dir si voglia, è PREGIUDIZIALE, è indispensabile, è elemento costitutivo per incardinare l'azione sul risarcimento dei danni. Ciò per gli elementi della responsabilità, perché per l'accertamento della responsabilità contrattuale serve l'accertamento dell'elemento soggettivo (dolo o colpa), dell'elemento oggettivo (il danno causato) e del nesso di causalità che lega i due elementi.
Secondo la teoria della pregiudizialità per accertare l'illegittimità del provvedimento si deve andare dal giudice amministrativo, il quale verifica che l'atto è illegittimo ed eventualmente l'annulla. Ma questo non è vero perché per accertare l'illegittimità serve l'accertamento dell'illegittimità, nessuno dice che serve una pronuncia di annullamento, perché esistono le azioni di accertamento.
Quindi, secondo la teoria della pregiudizialità, gli elementi fondamentali che compongono la fattispecie della responsabilità intanto si verificano tutti, in quanto l'azione di annullamento venga proposta prima rispetto all'azione risarcitoria. Inoltre, secondo i fautori di questa teoria, è indispensabile impugnare prima l'atto amministrativo innanzi al giudice amministrativo e ottenere l'annullamento, non solo perché solo in questo modo si completa la fattispecie dell'illecito, ma anche per realizzare il principio della certezza dei rapporti giuridici nei confronti della P. A.. Più chiaramente. Per l'impugnazione di un atto amministrativo, il nostro ordinamento prevede un termine decadenziale di 60 giorni, per l'azione di risarcimento, invece, prevede un termine prescrizionale ordinario di 5 anni, e poi c'è la prescrizione lunga che è decennale.
Si ricordi che la differenza fra prescrizione e decadenza sta nel fatto che la prima non puo' essere interrotta, mentre la seconda sì.
Quindi, nel momento in cui il provvedimento non viene impugnato entro 60 giorni il diritto decade e non si possono più riaprire i termini, per cui quell'atto, per quanto possa essere illegittimo, diventa definitivo e valido e produce effetti. Viceversa, l'azione di risarcimento è soggetta a termine prescrizionale.
Ora, secondo i fautori della pregiudizialità, se noi non considerassimo pregiudiziale l'azione di annullamento rispetto all'azione risarcitoria è come se eliminassimo il termine di decadenza e lo sostituissimo con quello di prescrizione. In questo modo si andrebbe a ledere la certezza dei rapporti giuridici perché l'amministrazione avrebbe sempre una spada di Damocle sulla testa, per cui anche nei confronti di un atto ormai consolidato, perché dopo i 60 giorni l'atto non è più eliminabile dal mondo giuridico, si troverebbe nell'eventualità di incorrere in un'azione risarcitoria per un atto ormai ineliminabile a fronte comunque dell'illegittimità, perché un soggetto potrebbe chiedere il risarcimento. Ciò non è possibile per i fautori della pregiudizialità, perché bisogna prima chiedere l'annullamento del provvedimento e poi chiedere il risarcimento dei danni. Non solo, sempre secondo i sostenitori della pregiudizialità, se noi non considerassimo prioritaria l'azione di annullamento rispetto a quella risarcitoria, il cittadino potrebbe anche decidere di farle contemporaneamente, e quindi si potrebbe verificare anche un contrasto di giudicati, in quanto il giudice amministrativo potrebbe riconoscere l'atto legittimo e il giudice ordinario risarcire il danno. Infatti, il giudice ordinario potrebbe riconoscere, incidentalmente, l'illegittimità dell'atto, disapplicarlo e riconoscere un risarcimento del danno. Il giudice ordinario quando si vede un provvedimento amministrativo illegittimo, non puo' annullarlo ma puo' disapplicarlo, ossia privarlo di efficacia nel caso concreto, nella controversia sottoposta al suo esame.
Gli oppositori della teoria della pregiudizialità, invece, contrastano quanto detto fino ad ora. Del contrasto di giudicati essi affermano che si tratta soltanto di un contrasto formale, perché proviene da due giurisdizioni diverse; quanto invece al termine prescrizionale e decadenziale, ritengono non vada a danno della certezza dei rapporti giuridici, perché l'autonomia dell'azione di risarcimento rispetto all'azione di annullamento è importante per assicurare effettività alla tutela delle posizioni giuridiche soggettive.
La 241 del '90 riformata riconosce oggi delle ipotesi di illegittimità che non comportano l'annullabilità del provvedimento. Per cui in queste ipotesi, dove il cittadino non soltanto subisce un atto illegittimo ma non puo' neppure chiedere l'impugnazione, appare giusto quantomeno poter chiedere un risarcimento dei danni. Sembrerebbe dunque più giusto riconoscere un' autonomia fra l'azione risarcitoria e quella di annullamento, anziché una sussidiarietà o una strumentalità.
Ritornando alla sentenza n.
500/99, questa afferma che le due azioni non sono pregiudiziali perché intende
ritagliare degli spazi al giudice ordinario. Ritenendo, infatti, che la
pregiudizialità non sia indispensabile,
Ciò che conta dunque non è il rapporto di pregiudizialità ma l'accertamento dell'illegittimità. Accertata incidentalmente l'illegittimità del provvedimento, il giudice ordinario lo disapplica e riconosce il risarcimento dei danni.
L'anno dopo viene emanata la
legge 205 del 2000,
Più tardi
ORDINANZE GEMELLE, 2006
Nel 2006,
la 13659 del 13 Giugno
la 13660 del 13 Giugno
la 13911 del 15 Giugno.
Con queste ordinanze gemelle
Infine, queste ordinanze gemelle sottolineano che il risarcimento del danno non è un problema di natura processuale, è un problema di natura SOSTANZIALE, si tratta di capire semplicemente come si deve accertare l'illegittimità, se passando per un'azione costitutiva di annullamento o semplicemente attraverso un'azione di accertamento.
SCHEMATIZZANDO I VARI PASSAGGI
IRRISARCIBILITA' DEGLI INTERESSI LEGITTIMI: MOTIVI SOSTANZIALI E PROCESSUALI
RISARCIBILITA': MASCHERAMENTO DA PARTE DELLA GIURISPRUDENZA
DECRETO LEGISLATIVO N. 80/98: ART. 33-34-35
CASSAZIONE, SENTENZA N. 500/1999: 1) RISARCIBILITA' INTERESSI LEGITTIMI, DIRITTI SOGGETTIVI E ALTRI INTERESSI GIURIDICAMENTE RILEVANTI; 2) NO PREGIUDIZIALITA'
LEGISLATORE: LEGGE 205/2005, ART. 7 COMMA 4 E COMMA 5: DIRITTI PATRIMONIALI CONSEGUENZIALI (A FOVORE DELLA PREGIUDIZIALITA')
CORTE COSTITUZIONALE: SENTENZA N. 204/2004, "NO COMPORTAMENTI NELLA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA", RIFLESSI SULLA QUESTIONE DEL RIPARTO DI GIURISDIZIONE (QUINDI RESTRINGIMENTO DELLA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA, RIFLESSI SULLA QUESTIONE DEL RISARCIMENTO)
CASSAZIONE: ORDINANZE DEL 2006, ORDINANZE GEMELLE "NO PREGIUDIZIALITA', MERA AZIONE DI ACCERTAMENTO DELL'ILLEGITTIMITA'"
INFINE ULTIMO PASSAGGIO
ADUNANZA PLENARIA,
N. 12/2007 "CONFERMA
SEMINARIO 30.11.2007
RUSSO EMILIANA
ISTITUTO DELLA MOTIVAZIONE
Domanda di una studentessa
Quando abbiamo parlato dell'articolo 21 septies ci siamo soffermati sugli elementi essenziali e poi voi avete detto che bisogna prendere in considerazione gli elementi previsti dal codice civile, la forma, l'oggetto, il soggetto e avete messo in evidenza le cose che non andavano quindi quando il provvedimento amministrativo manca degli elementi essenziali: in realtà non ci sono nel provvedimento amministrativo gli elementi essenziali?
Risposta del docente
In realtà la dottrina gli enuclea gli elementi essenziali del provvedimento amministrativo però poi di pari passo li contesta, quindi io penso che quella sia un'ipotesi lontana dal verificarsi se non in casi eccezionali, come abbiamo visto nel corso della lezione di ieri perché gli elementi essenziali del contratto del negozio giuridico se vogliamo travasati nel provvedimento amministrativo incontrano tutte quelle serie di criticità che abbiamo analizzato anche se non le nascondo che parte della dottrina ritiene ad esempio che tutto il discorso che abbiamo fatto sui soggetti o sull'oggetto sia facilmente superabile e quindi sia identificabile un oggetto così come nella dottrina civilistica anche per il provvedimento amministrativo, ecc. ecc., però io penso che oggi si va verso una trasformazione degli istituti amministrativi proprio in senso più propriamente pubblicistico cioè si dovrebbe abbandonare per sempre l'ottica privatistica del travaso degli istituti civilistici nel processo amministrativo perché poi si vede che effettivamente non hanno operatività nell'ambito poi del procedimento o del processo amministrativo quindi io ritengo che nel procedimento amministrativo ci siano degli elementi essenziali ma non siano quelli. Per esempio ieri io era rimasta d'accordo con la professoressa che vi avrei parlato anche della motivazione ma non abbiamo fatto in tempo perché abbiamo allargato il nostro discorso sulla nullità, però la motivazione è un vizio trasmigrante perché è un vizio che nel corso degli anni ha trasmigrato nelle varie fattispecie di invalidità, era un vizio irrilevante, era un non vizio la motivazione, perchè non era prevista dalla legge un obbligo di motivazione per i provvedimenti amministrativi prima della legge 241 del '90, era previsto da alcune legislazioni editore, per alcuni atti parcolari, poi è stata la giurisprudenza che piano piano è andata a enucleare una serie di casi in cui l'amministratore dovesse ritenersi vincolato a motivare i provvedimenti e quindi si è ancorato l'obbligo di motivazione ai provvedimenti essenzialmente discrezionali, poi successivamente si è detto anche i provvedimenti vincolati in alcuni casi dovevano essere motivati ma la giurisprudenza ha sempre ritenuto di far derivare l'obbligo di motivazione dalla natura del provvedimento cioè se è un provvedimento discrezionale allora la motivazione andava data viceversa nel caso di provvedimenti vincolati la motivazione non era indispensabile perché l'amministrazione non avrebbe dovuto fare altro che applicare la legge.
Cosa si intendeva per motivazione questo è un altro problema importante perché anche qui la motivazione venne inizialmente intesa come volontà della gente, come manifestazione della volontà della gente, intesa in termini eminentemente soggettivistici, in termini privatistici perché ancora si aveva l'idea che l'atto provvedimento amministrativo fosse nient'altro che il procedimento giuridico; poi successivamente quando si passò all'oggettivizzazione dell'amministrazione quindi si cominciò parlare della teoria organicistica delle modalità di imputazione giuridica nei confronti dell'amministrazione da parte degli organi dell'amministrazione, il concetto di motivazione cambiò e cominciò a parlarsi della motivazione come esplicitazione dei motivi di fatto e dei presupposti posti a base da parte dell'amministrazione della decisione, quindi posti a base della decisione. Ma anche questo mondo di intendere la motivazione non diceva in realtà nulla, nel senso che creava solo una serie di equivoci e fraintendimenti perché distingueva i motivi dai presupposti, in realtà non si parlava di motivazione si parlava di motivi non più intesi in senso soggettivo come momenti della gente bensì in senso oggettivo come interesse pubblico perseguito dall'atto, interesse pubblico perseguito dall'amministrazione con l'atto amministrativo e presupposti, cioè i fatti che l'amministrazione aveva posto a base per l'adozione dell'atto amministrativo e quindi si crea una serie di incertezze per questa scissione in seno allo stesso istituto della motivazione e comunque non si parlava di motivazione, si parlava di motivi e di presupposti e la giurisprudenza non ha accolto quest'idea e ha continuato a considerare la motivazione un unicum, come esplicitazione dei fatti posti a base dell'amministrazione per addivenire alle decisioni finali.
In questo percorso che io ho per necessità sintetizzato, cosa succede in relazione alla problematica iniziale: inizialmente la motivazione venne vista come un vizio formale, cioè che atteneva alla forma dell'atto e quindi era rilevante perché stiamo parlando di un periodo dove vigeva il formalismo quindi tutte quante le forme erano considerate importanti quindi poteva portare , come portava di fatto all'annullabilità dell'atto amministrativo perché il Consiglio di Stato (si parla di Consiglio di Stato perché siamo ante 1971 e quindi non c'erano alcuni i tribunali amministrativi regionali) annullava gli atti carenti di motivazioni, poi si parlò di motivazioni insufficienti e incongrue in quelle ipotesi o in cui la legge prevede espressamente che l'atto dovesse essere motivato o in quell'altra ipotesi di elaborazione pretoria, quindi giurisprudenziale, in cui si diceva che per la natura dell'atto, l'amministrazione fosse obbligata a motivare i provvedimenti, quindi in realtà il Consiglio di Stato anche in mancanza di una norma di diritto positivo che imponesse un obbligo generale di motivare i provvedimenti amministrativi considerava l'obbligo della motivazione importante ovviamente per quelle tipologie di provvedimenti che abbiamo detto prima e annullava l'atto nel caso in cui fosse carente di motivazioni oppure avesse una motivazione incongrua o irrazionale e insufficiente; però veniva considerato un vizio di forma, poi nel corso degli anni la motivazione si disse che non è un vizio di forma ma un vizio di sostanza ed incide sul contenuto del provvedimento, per intenderci venne considerato un elemento essenziale del provvedimento amministrativo quindi la motivazione accanto al soggetto, all'oggetto, alla forma e alla volontà divenne un elemento essenziale del provvedimento: la mancanza della motivazione comporta sicuramente un riflesso sul contenuto del provvedimento amministrativo finale, si inizia a parlare di procedimento anche se non c'è una legge generale sul procedimento ma molta legislazione speciale comincia a parlare di procedimenti in materia di urbanistica, di appalti di opere pubbliche, si inizia a parlare di procedimento e si inizia a guardare al procedimento e si dice che la motivazione costituisce un elemento essenziale del provvedimento amministrativo, del provvedimento inteso come atto conclusivo del procedimento, quindi si inizia parlare di azione dell'amministrazione funzionalizzata che tende all'interesse pubblico, che deve rispettare la legge, il principio di legalità in tutte le sue sfaccettature e una delle sfaccettature del principio di legalità è proprio che l'amministrazione debba motivare i provvedimenti, perché la funzione della motivazione è polifunzionale, l'istituto della motivazione serve all'amministrazione per rendere manifesto l'iter logico giuridico seguito nell'adozione del provvedimento finale, serve al giudice per poter conoscere l'iter logico giuridico seguito dall'amministrazione ed eventualmente sindacare il potere esercitato dall'amministrazione, serve alle altre amministrazioni per esercitare un'eventuale controllo sull'operato dell'amministrazione che ha emanato il provvedimento, serve all'eventuale ricorrente, il quale dalla motivazione, potendo trarre le ragioni che hanno indotto l'amministrazione ad adottare un provvedimento, può con maggiore cognizione di causa contestarle davanti al giudice amministrativo, serve all'opinione pubblica come controllo democratico sull'operato dell'amministrazione; quindi è importantissimo l'istituto della motivazione per la sua polifunzionalità e non può non avere rilievo sul contenuto del provvedimento adottato dall'amministrazione.
Poi ci fu la legge 241 del '90 che prevede quest'obbligo generalizzato di motivare i provvedimenti amministrativi e all'indomani di questa legge si disse: l'amministrazione è tenuta a motivare perché la legge prevede quest'obbligo. Ma da qui nacque tutta una serie di querelle che interessò e che interessa ancora oggi sia la dottrina che la giurisprudenza perché nonostante la previsione di un obbligo generale di motivazione, molta parte della dottrina con un bel seguito di giurisprudenza continuava a disattendere il disposto di diritto positivo continuando a fare una distinzione tra atti vincolati, atti espressione di un potere discrezionale, i primi in cui non era necessaria la motivazione, i secondi in cui si riteneva comunque necessaria la motivazione. Si andava a ripescare la giurisprudenza e la dottrina precedente alla legge 241 che riteneva adempiuto l'obbligo di motivare quando l'amministrazione facesse riferimento ad altri atti del procedimento che erano stati motivati, la cosiddetta motivazione per relazione o addirittura la motivazione successiva, la motivazione in corso di giudizio: il giudice amministrativo riteneva adempiuto comunque l'obbligo di motivazione perché si dice anche nel corso del giudizio l'amministrazione può esplicitare le ragioni che hanno indotto ad adottare il provvedimento senza tenere conto che così facendo si andava a svuotare l'istituto, a snaturarlo: non aveva più senso prevedere un obbligo di motivazione se puoi queste ragioni e questi motivi potevano essere addotti successivamente all'adozione del provvedimento infatti altra parte della giurisprudenza riteneva indispensabili il principio della contestualità della motivazione rispetto all'adozione del provvedimento per saldare l'effettività dell'istituto: o diciamo che la motivazione esiste ed è obbligatoria e allora dev'essere fatta contestualmente all'emissione del provvedimento perché in primo luogo in quel momento che l'amministrazione deve rendere note le ragioni che l'hanno indotta ad adottare quel provvedimento e in secondo luogo perché l'amministrazione nel corso di causa potrebbe fare una motivazione ad hoc che non renda più conto delle motivazioni che l'hanno indotta ad adottare il provvedimento ma che serva come strumento di difesa contro le pretese addotte dal ricorrente e quindi una sorta di lesione del principio di difesa del ricorrente perché io vado a motivare l'atto nel mondo che ritengo più opportuno o con facente in relazione alle obiezioni che mi sono state poste davanti al giudice da parte del ricorrente. Invece la giurisprudenza dice che non è così che si fa.
Nonostante questo andamento altalenante che ha sempre contraddistinto l'istituto della motivazione, infatti c'è chi l'innalza come fosse un elemento fondamentale e chi invece la dequota come se fosse un elemento del tutto irrilevante e inutile per il provvedimento, addirittura si è pensato che la motivazione serva solo e quindi l'impugnabilità di un atto amministrativo per vizio di motivazione sia solo un dispendio economico e serve sola a rendere più lenta l'azione amministrativa .
Mai in realtà che cosa è successo oggi: oggi è successo un'altra cosa perché si è previsto il fatto della non annullabilità dei provvedimenti per vizi meramente formali come abbiamo visto ieri nell'articolo 21 septies, che prevede la non annullabilità dei provvedimenti per motivi meramente formali.
Parte della giurisprudenza attuale ha ritenuto che la motivazione fosse un vizio di forma, rientrasse tra quei vizi di forma o di procedimento che non comportino l'annullabilità del provvedimento e quindi ha riportato la motivazione nelle mere irregolarità non vizianti, che vengono chiamati così dalla dottrina (c'è una dottrina che ha studiato in modo molto approfondito le mere irregolarità non vizianti perché adesso è un tema caldo, nel passato è stato quasi trascurato perché si conosceva l'annullabilità e basta; poi le ipotesi di annullabilità erano abbastanza consolidate: le figure sintomatiche e l'eccesso di potere, incompetenza e violazione di legge, insomma era abbastanza residuale la categoria delle mere irregolarità non vizianti mentre oggi è tornata in auge perché sembra si sia rinfoltita da questi vizi di forma, vizi di procedimento che non comportino l'annullabilità del provvedimento) che parte della giurisprudenza appunto ha detto che proprio tra questi vizi rientra la motivazione; però ritenere che la motivazione sia un vizio che non comporti l'annullabilità degli atti significa affrancare la pubblica amministrazione non soltanto da un compito ma legittimare alcune scelte non coerenti perché siccome il provvedimento è la risultanza di atti del procedimento alla fine non si riesce bene a capire dal provvedimento quali possono essere le ragioni del percorso logico giuridico seguito dall'amministrazione per adottare quel determinato provvedimento, ma solo la motivazione rende esplicite queste ragioni e allora è solo alla motivazione che è ricorrente il cittadino sia in sede sostanziale, quindi alla fine del procedimento amministrativo, sia in sede processuale può rendersi conto di come l'amministrazione abbia valutato l'interesse pubblico, il proprio interesse privato e tutti gli altri interessi coinvolti nella procedimento e quindi la motivazione serve sicuramente al ricorrente.
Io ritengo che oggi si siano processualizzati troppo gli istituti di diritto amministrativo cioè qualsiasi istituto di diritto amministrativo lo si va a calare nel processo e si dice: se quest'istituto serve al giudice è un istituto efficiente e indispensabile, se invece questo istituto non serve al giudice, allora non serve a nessuno e lo togliamo davanti, cioè si è ribaltata l'ottica: inizialmente, parliamo di cinquant'anni fa, si parlava solo di diritto sostanziale, si aveva una visione astratta del diritto amministrativo, poi spettava alla giurisprudenza recepire le elaborazioni della dottrina e cercare con vari meccanismi di adattarli alla pratica e quindi di fare il diritto, il diritto degli operatori, gli operai del diritto.
Oggi invece si va in un'ottica opposta; oggi la maggior parte della dottrina è impegnata come operatore del diritto, quindi sono anche avvocati, giudici, magistrati dei Tar, giudici della corte dei conti e allora che succede, che si guarda solo all'aspetto pratico tralasciando quello di teoria generale e allora l'istituto della motivazione calato semplicemente così nel diritto processuale si può dire che al giudice non serva più di tanto perché al giudice l'iter logico dell'amministrazione lo può conoscere da tutti gli altri atti del procedimento, può sempre chiedere all'amministrazione chiarimenti, verifiche, richiesta di documenti, può richiedere una consulenza tecnica d'ufficio e quindi fare insediare una commissione che faccia delle valutazioni in ordine all'interesse che l'amministrazione ha tenuto in considerazione nel procedimento e quindi in sostanza al giudice non è che serva più di tanto la motivazione, se non per verificare una manifesta irrazionalità nell'operato dell'amministrazione che però la può verificare facendo riferimento ad altri atti.
La motivazione però, io ritengo ed è una mia opinione, che sia importantissima per il cittadino, per il ricorrente nella veste di interessato al procedimento perché è l'unico strumento che garantisce una affettività di tutela sia in ambito procedimentale che in ambito processuale, perché se è pur vero che il giudice può farne a meno, il ricorrente no, perchè il ricorrente non può ordinare nulla all'amministrazione, può ordinare i documenti però abbiamo detto ieri tutte le problematiche che portano all'accesso ai documenti e poi è anche una violazione del principio di partecipazione perché se noi diciamo che il principio di partecipazione ha come elemento fondamentale che i cittadini facciano valere in ambito procedimentale i propri interessi privati.
Allora come si fa a vedere se l'amministrazione gli ha valutati, gli ha tenuti in considerazione nell'adozione del provvedimento, se non ho l'atto da cui risulta in quale modo l'amministrazione ha operato la scelta, con quale sistema l'amministrazione ha fatto la scelta e questo a volere intendere la motivazione come esplicitazione oppure indicazione delle ragioni di fatto e di diritto come dice la legge che hanno indotto l'amministrazione ad adottare l'atto.
Se poi riconosciamo un altro significato al termine di motivazione, allora riconosceremo un ulteriore forza e importanza della motivazione che se non la mettiamo più come un atto solo dal punto di vista dell'amministrazione, ma lo guardiamo anche dal significato che potrebbe avere per il privato e quindi non diciamo che la motivazione è l'esplicitazione delle ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto l'amministrazione ad adottare il provvedimento ma invece diciamo che la motivazione è un riconoscimento, una esplicitazione, una dichiarazione delle modalità di confronto degli interessi pubblici e privati cioè come è stata effettivamente valutata la posizione delle parti all'interno del procedimento amministrativo, come se fosse una sorta di motivazione della sentenza avvicinandoci più che altro, con le dovute differenze (perché la motivazione della sentenza proviene da un organo imparziale mentre la motivazione è comunque un provvedimento che viene dall'amministrazione che è parzialissimo) e allora vediamo come la motivazione comincia ad assumere un ruolo invece irrilevante.
Ritengo che non debba essere considerato un elemento essenziale del provvedimento, tale da portare alla annullabilità del provvedimento perché ritengo sia eccessivo però ritengo che anche l'altro eccesso di considerarlo come una irregolarità non viziante sia una abuso legittimato da parte dell'amministrazione nei confronti dei cittadini e quindi ritengo che la motivazione debba essere inquadrata tra i vizi di illegittimità e portare sicuramente all'annullabilità del provvedimento, non essere ammessa nè una motivazione per relazionem se non ipotesi residuali e marginali nè la possibilità di motivare il provvedimento in corso di causa (questa dovrebbe essere una pratica aberrante che i giudici dovrebbero smettere di proporre perché non è corretto, la motivazione deve essere data contestualmente al provvedimento e se manca sicuramente è violazione di legge; se è insufficiente e razionale irragionevole potrebbe esserci eccesso di potere).
Io ritengo che oggi sia un vizio di annullabilità del provvedimento amministrativo, quindi nè un elemento essenziale del provvedimento, non una sanzione di nullità, ma neanche una mera irregolarità non viziante.
Questo è in estrema sintesi il discorso sulla motivazione e non penso costituirà oggetto di domande di esame.
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