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La sicurezza penitenziaria.
Il legislatore del 1975 ha ipotizzato che il trattamento risocializzante, potesse essere predisposto per tutti i soggetti in espiazione di pena detentiva . Tuttavia, guardando alla reale situazione esistente negli stabilimenti penitenziari, si appura che non tutti i soggetti sono recettivi e disponibili ad effettuare un percorso di risocializzazione , per il quale, com'è evidente, è necessaria la partecipazione materiale e volitiva del soggetto interessato[3]. La legge di riforma ha considerato, pertanto, la possibilità che si vanifichi il raggiungimento dell'obiettivo risocializzante, proprio a causa di chi si pone in contraddizione con tale finalità; tuttavia si è preoccupata, soprattutto, di predisporre un rimedio nel caso in cui l'ordine e la sicurezza degli istituti penitenziari fossero compromessi dai comportamenti di disturbo. Le disposizioni che ha previsto per la tutela della sicurezza degli istituti di pena, infatti, sono risultate generiche e si sono limitate a prevedere la possibilità, per l'Amministrazione penitenziaria, di applicare ulteriori misure restrittive al detenuto. In tale contesto si poneva l'ormai abrogato art. 90 ord. penit., che conferiva al Ministro di Grazia e Giustizia la facoltà di sospendere le normali regole di trattamento penitenziario, per ragioni di sicurezza Tale articolo è stato utilizzato come strumento di differenziazione tra gli istituti, giacché ha comportato la creazione di carceri di massima sicurezza nei quali, le esigenze che hanno dato luogo alla riforma del 1975 sono state completamente azzerate[5]
Sarebbe stato più opportuno, per la soluzione del problema, che il legislatore avesse predisposto degli interventi differenziati, attraverso i quali, pur non abbandonando l'idea di massima della rieducazione, avrebbe potuto variegare l'universo penitenziario sulla base delle diversità che in esso si riscontrano[6].
Successivamente, con la l. 663/86, è stato abrogato il suddetto art. 90 ord. penit. ed, al suo posto, è stato introdotto l'art. 41-bis in tema di situazioni emergenziali. In particolare, si osserva che l'art. 41-bis, prevede, ancora una volta, il rimedio della sospensione delle regole del trattamento penitenziario[8]; tuttavia, in questo caso, a differenza dell'abrogato art. 90 ord. penit., l'applicazione dell'istituto è limitata ai casi della rivolta in carcere o alle gravi situazioni d'emergenza , è subordinata alla sussistenza di una precisa motivazione, ossia la necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza, ed è ristretta nei limiti temporali necessari al ripristino delle normali condizioni .
La novella del 1986 ha introdotto anche l'art. 14-bis ord. penit., in tema di sorveglianza particolare: la disposizione si rivolge ai detenuti "difficili", ossia ai soggetti rispetto ai quali la mera sollecitazione delle sanzioni disciplinari e dei riconoscimenti premiali non ha alcun effetto. I comportamenti recriminati sono quelli violenti, minacciosi e diretti ad impedire l'attività dei compagni, o ad ottenerne atteggiamenti di sottomissione ed, infine, che compromettano la sicurezza e che turbino l'ordine interno degli istituti . Il regime ha una durata iniziale di sei mesi ai quali possono seguire più proroghe, ciascuna della durata di tre mesi; il provvedimento applicativo necessita della motivazione, ed è preso dall'Amministrazione penitenziaria, sentito il parere del consiglio di disciplina. Il contenuto del regime di sorveglianza particolare è rappresentato dalle restrizioni, dei diritti dei detenuti e degli internati e delle regole del trattamento penitenziario, "strettamente" necessarie "al mantenimento dell'ordine e della sicurezza" (art. 14-quater ord. penit.) .
Da quanto è stato fin qui detto, si evince che, a dispetto della gravità dell'istituto in questione, il quale presuppone un ulteriore restringimento della condizione detentiva, sussistono una serie d'incertezze che non tutelano per niente la posizione giuridica del detenuto. In primo luogo, è da mettere in evidenza la difficoltà di individuare, in maniera oggettiva, i comportamenti che possono dar luogo al provvedimento dell'Amministrazione penitenziaria. Secondo l'elenco contenuto nel 1° comma dell'art. 14-bis, infatti, diverse condotte possono rientrare negli schemi individuati, ovvero, in conformità ad un'interpretazione discorde, possono non esservi inserite. Il quinto comma del suddetto articolo prevede, inoltre, la possibilità di sottoporre i condannati, gli imputati e gli internati al regime di sorveglianza particolare già del momento del loro ingresso in istituto, seguendo un pregiudizio derivante dalla condotta che il soggetto può aver tenuto in precedenti carcerazioni, ovvero in stato di libertà. Allo stesso modo, le indicazioni dell'art. 14-quater relative al contenuto del regime, sono particolarmente generiche e rimesse all'interpretazione discrezionale dell'organo che dovrà emanare il provvedimento applicativo, il quale potrà liberamente, previa motivazione, indicare quale restrizione sia "strettamente necessaria per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza". Infine, occorre tener presenta la possibilità che il regime duri in maniera perpetua, non sussistendo limiti temporali tangibili alla durata dell'istituto il quale, come previsto dal 1° comma dell'art. 14-bis, può essere prorogato di tre mesi in tre mesi e per più volte[13].
E' interessante considerare, quanto fin ora detto, alla luce della ratio della norma, la quale non prevedeva che tale tipo d'intervento avesse natura sanzionatoria, ma che considerava l'istituto in questione come espediente per neutralizzare gli effetti negativi di una condotta irregolare[14]
Si veda COMUCCI, Nuovi profili del trattamento penitenziario, in Pubblicazioni dell'istituto di diritto e procedura penale, Milano, Milano, 1988, pag. 96.
La dottrina ritiene che tale mancanza rappresenti il punto debole della legge di riforma. Così A.A. V.V., La riforma penitenziaria, Napoli, 1987, pag. 11 e ss.; nonché A.A. V.V., L'ordinamento penitenziario tra riforma ed emergenza, Padova, 1994, pag. 153 e ss.; infine FLORA, Le nuove norme sull'ordinamento penitenziario, Milano, 1987, pag. 19 ss.
La sottoposizione al trattamento non costituisce un dovere per il detenuto, ma piuttosto un obbligo di fare per l'Amministrazione penitenziaria. La S.C. afferma, infatti, l'importanza del consenso dell'interessato e l'irrinunciabilità del diritto al trattamento. Cass. pen. sez. I, 1° luglio 1981, in Rass. Pen. 1982, pag. 434; Cass. pen., 24 marzo 1982, in Rass. Penit. crim., 1983, pag. 872.; Cass. Pen. 24 giugno 1982, in CED 157079; Cass. pen. 29 marzo 1985, in Cass. pen. 1986, pag. 1178.
La legge n. 663/86 ha introdotto solo il primo comma, mentre il secondo è stato previsto dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni nella l. n. 7 agosto 1992, n. 256. L'ultimo comma, il 2-bis, è stato introdotto, invece, dalla l. 7 gennaio 1998, n. 11.
Tutte le regole ritenute fondamentali dalla Costituzioni, al fine di godere dei diritti inviolabili riconosciuti ad ogni uomo, non possono essere assolutamente soppresse dall'Amministrazione penitenziaria, anche se impersonata dal Ministro di grazia e giustizia. Ciò comporterebbe la compromissione del senso di umanità che la pena deve avere. In ogni caso, il legislatore non fa alcun riferimento alle regole che effettivamente possono essere limitate, pertanto, la discrezionalità dell'Amministrazione penitenziaria, in questo caso, non ha alcun parametro di riferimento.
Le situazioni di emergenza vanno ben oltre le normali esigenze di sicurezza degli istituti penitenziari, esse sono rappresentate da casi particolari gravi e contingenti, si pensi, ad esempio, al pericolo di evasione in massa.
Si veda DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1987, pag. 204 e ss.
Rispetto alla legge del '75, l'attenzione si sposta dal luogo in cui il controllo di soggetti pericolosi può avvenire attraverso la previsione di istituti di massima sicurezza, al singolo detenuto, predisponendo per quest'ultimo uno specifico strumento d'intervento. In tal senso, CORSO, Manuale della esecuzione penitenziaria, Bologna 2000, pag. 130.
Così CESARIS, Regime di sorveglianza particolare; Reclamo; Contenuti del regime di sorveglianza particolare, in AA. VV., Ordinamento penitenziario commento articolo per articolo, Padova, 2000, da pag. 150 a pag. 169.
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