La pluralità degli ordinamenti giuridici
Nei primi decenni del secolo attuale, le tesi statualistiche erano
ancora diffuse, tanto che nello Stato si tendeva volgarmente a ravvisare il
"Dio diritto"; mentre, più correttamente, Kelsen postulava "l'identità fra
Stato ed ordinamento giuridico", rilevando come lo Stato stesso monopolizzasse
"l'uso della forza". Certo anche nella cerchia degli statalisti ci si rendeva
ben conto dell'indiscutibile esistenza di sistemi normativi diversi dagli
ordinamenti statali: quali, soprattutto, il diritto internazionale e il diritto
canonico. Nell'un caso, però, si tendeva a superare l'ostacolo, argomentando
che le norme disciplinanti la comunità internazionale fossero emanazione degli
Stati e costruendo pertanto il diritto internazionale come una sorta di diritto
pubblico esterno; e d'altra parte si dubitava, come ancora si dubita, che in
mancanza del necessario momento organizzativo sia dato di concepire il diritto
internazionale generale alla stregua di un vero e proprio ordinamento. Ma
simili tesi sono ormai superate. Lo Stato è soltanto una "specie del genere
diritto". Rappresenta infatti un'evidente petizione di principio voler
sostenere che i tre fattori indefettibili degli ordinamenti giuridici, la
pluralità dei soggetti, la normazione e l'organizzazione, coincidano
necessariamente con gli ordinamenti statali. Con tutto ciò gli ordinamenti
giuridici nel senso più proprio del termine sono solo quelli originari,
suscettibili di ritrovare in se stessi le ragioni della propria vigenza. Gli
ordinamenti derivati non sono altro che parti dello Stato in quanto
"istituzione" complessiva; non si devono confondere con gli ordinamenti
giuridici in esame quegli ordinamenti interni che disciplinano particolari
componenti della pubblica amministrazione.
La relatività dei valori giuridici, cioè la circostanza che una stessa
condotta umana può essere diversamente valutata dai diversi ordinamenti che
vengano ad interferire l'uno con l'altro.