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Milano, 23 marzo 2000
F.C.= Federica Cantaluppi
F.B.= Federica Brunelli
Questa intervista è avvenuta al S.E.A.D., Servizio Educativo per Adolescenti in Difficoltà, dove si trova anche l'ufficio di Mediazione Penale. Tale ufficio è attivo da due anni , per cui le informazioni che si possono avere su la loro attività sono decisamente poche. Su consiglio di Walter Vannini, il Criminologo che ho conosciuto durante l'incontro con Sergio Cusani, ho preso un appuntamento con Federica Cantaluppi, un'educatrice dell'ufficio.
Insieme con lei si è unito un altro membro dello staff, una giovane avvocatessa di nome Federica Brunelli. Le impressioni che ne ho tratto fin dal primo momento sono state decisamente positive. Entrambe hanno mostrato una grandissima gentilezza e disponibilità, anche e soprattutto nello spiegare accuratamente quale fosse la loro attività, ragion per cui mi ero recata a Milano.
Spiego loro che non possiedo molte informazioni sulla Mediazione Penale in Italia, dato che è un fenomeno estremamente recente, così cominciano il racconto.
F.B.- Ognuno di noi nella vita fa qualcosa di diverso dall'altro, per esempio io ho avuto una formazione giuridica e pedagogica. Siamo quattordici in questo ufficio e siamo coordinati da un criminologo. Abbiamo un professore di filosofia, delle assistenti sociali, degli educatori. Quindi siamo un gruppo molto eterogeneo accomunati dal fatto di lavorare al S.E.A.D., che è questa struttura che ci ospita e che è il Servizio Educativo per gli Adolescenti in Difficoltà. Ci sono assistenti sociali sia del territorio sia del Ministero, alcuni giudici onorari del Tribunale dei minori. Tutti quanti siamo accomunati da una formazione alla mediazione fatta nel tempo. Quando siamo qui io non faccio l'avvocato, Federica (Cantaluppi) non fa l'educatrice, siamo mediatori. Poi certamente le competenze che ciascuno ha sono preziose, perché ci aiutano ad affrontare tanti diversi aspetti di questo lavoro. Quindi per esempio io sono più utile quando c'è una questione sul risarcimento del danno, ma devo essere dotata anche di una sensibilità diversa. La nostra formazione di base ci aiuta, ma quando siamo qua facciamo i mediatori, che vuol dire non essere avvocati, non essere educatori. Non dobbiamo avere ruoli. Il mediatore non è chiamato a giudicare, non gli interessa sapere chi ha torto e chi ha ragione, non interpreta, quindi non fa terapia, non si prende a carico le persone, semplicemente lavora sul conflitto. Quindi ci sono due persone che hanno ruoli ben precisi che sono i ruoli che la legge dà, e che sono ruoli sacrosanti: una persona che ha commesso un fatto che è imputata in un processo e c'è una persona che l'ha subito, che è la vittima. In questo spazio, pur partendo da questo dato di fatto, noi come mediatori lavoriamo il più possibile con le persone per permettere a loro di uscire dai ruoli e di incontrarsi ad un diverso livello. Per noi questo significa non rimanere imprigionati nelle logiche delle nostre professioni, ma entrare nella logica del mediatore, che è altra cosa. Che è appunto di dare la parola alle persone, di aiutare questo scambio.
- Quindi voi li fate sedere a questo tavolo dove siamo adesso
F.B.- Sì
- E quanti siete?
F.B.- Siamo tre, tre mediatori.
- Quindi voi, la vittima, il reo, ma anche le famiglie dei ragazzi?
F.B.- No, la mediazione è l'incontro soltanto tra i due protagonisti. Questo vuol dire che in prima battuta sono soltanto i due ragazzi, ma anche gruppi se sono in più. La mediazione è uno spazio per loro che non può essere invaso né dai genitori, né dagli avvocatiè davvero uno spazio tutto per loro ed è confidenziale. Loro devono sapere che in questa stanza sono totalmente liberi di esprimersi, perché i mediatori sono tenuti al segreto per cui noi non riferiremo mai né al giudice, poi vedremo meglio questo aspetto, né ai loro genitori, né agli avvocati che cosa si sono detti. In ogni modo noi diamo poi una restituzione al giudice, che è una valutazione sintetica in cui diciamo se la mediazione ha avuto un esito positivo, negativo o incerto o non si è fatta. Non entriamo mai nei particolari in questa valutazione, è davvero una parentesi dentro al processo data alle persone per le persone e che deve valere innanzi tutto per loro ed è per questo che è un momento confidenziale, perché è qualcosa che passa tra loro due ed è importante per loro due, non deve essere importante per l'esterno anche se poi delle ripercussioni una mediazione ben riuscita le ha.
In certe situazioni il conflitto non è soltanto dei due singoli, ma è un conflitto che coinvolge anche le famiglie e allora ci possono essere dei momenti mediativi allargati, ma successivi o contemporanei.
F.C.- Facciamo un esempio concreto: un reato di lesioni fra ragazzi che sono tutti minori e quindi tutti accompagnati dai genitori. Lavoriamo con la mediazione con i ragazzi, contemporaneamente, in un'altra stanza, facciamo incontrare i nuclei familiari dei ragazzi.
- Fra gli adulti ci sono risultati positivi come con i ragazzi?
F.C.- Sì, certo. Che la mediazione sia utile per chiunque, per noi, è sacrosanto. Perché la mediazione per noi è effettivamente qualcosa che va aldilà di uno strumento giuridico o penale. Per noi la mediazione dovrebbe essere un fatto di cultura, dovrebbe essere uno strumento della persona e non tanto di un'istituzione o altro. La sosteniamo proprio come un fattore culturale, come possibilità di accogliere il conflitto, di accogliere il disordine creato dal conflitto, di riparare al danno fatto, anche se il danno spesso è molto grave. E' dare una possibilità alle persone di riallacciare una comunicazione che si è interrotta quando è stato commesso il reato. Comunicazione interrotta sia per la vittima che per il reo. Per cui noi lavoriamo anche con i genitori specialmente quando sono implicati più ragazzi nel reato, facciamo incontrare anche i genitori con una mediazione, non più, di tipo penale, ma di tipo, chiamiamola, sociale. Li facciamo incontrare, perché i ragazzi in mediazione fanno dei passi in avanti, si incontrano, comunicano, cambiano la loro percezione l'uno nei confronti dell'altro, lavorano su se stessi. Dall'altra parte poi se tornano in una famiglia che non ha compreso il loro lavoro potrebbero regredire. Per cui i genitori che sono comunque coinvolti nella vicenda penale, sono accompagnati in un'altra stanza con un loro percorso, per capire quello dei figli. C'è un danno da pagare, perché in una rissa un ragazzo si è rotto un braccio o gli occhiali o altro. I genitori della vittima che saranno quelli che dovranno ricevere i soldi e i genitori del reo che dovranno risarcire il danno, hanno bisogno di incontrarsi, hanno bisogno di parlarsi, hanno bisogno di capire, quelli del reo la sofferenza dei genitori della vittima e viceversa: i genitori della vittima devono capire che anche i genitori del reo sono in una condizione di sofferenza, di malessere, di rabbianoi lavoriamo sui sentimenti e sulle sensazioni, sui vissuti delle persone della vicenda. Quando una famiglia è coinvolta in un processo, con un percorso quindi di tipo giuridico, la destabilizzazione è veramente molto forte. Non riescono più ad avere un punto di riferimento, non riescono più a capire bene che cosa è successo a loro, che cosa è successo al figlio.
- Questo immagino sia importante anche per la posizione della vittima nel processo.
F.C.- La vittima non ha spazio nel processo. L'adolescente non capisce che aveva una persona in carne ed ossa e non un video game o qualcosa d'inanimato. Non capisce che si trattava di una persona fino a che non se la trova davanti. Secondo noi è utile a prescindere da tutto. Dovrebbe essere una materia di studio nelle scuole la mediazione, una modalità di vita dell'individuo, che non nega sentimenti di rabbia, di vendetta, di dolore, ma gli offre uno spazio.
- Qual è la percentuale di riuscita?
F.C.- Quando arriviamo in mediazione la riuscita è del 100%. Quando si arriva in mediazione, però. Fatichiamo ovviamente a convincere la vittima sul tavolo della mediazione. Questo perché intanto non è conosciuta da nessuno la mediazione. In un primo momento il 60% accettava la mediazione, ora siamo sul 70% contro un 30% che la rifiuta.
F.B.- Adesso è accettata di più, quindi. Siamo diventati più bravi a convincere le vittime, diamo evidentemente più fiducia, abbiamo cambiato delle nostre modalità e sono più disponibili. Quindi sul 70% le vittime ci dicono di sì, il 30% ci dice di no. Dentro a quel 70% nel 95% dei casi, direi, la mediazione ha un esito positivo. Questo vuol dire che se si arriva alla mediazione la mediazione va bene. E' difficile che vada male. Lo scoglio è prima, è riuscire ad organizzare, a far accettare alle persone che si incontrino faccia a faccia.
- Vorrei sapere anche quali sono le modalità legali in cui si sviluppa la mediazione, ovvero le norme, i casi in cui può essere applicata
F.B.- Poi magari li vediamo quali sono gli articoli. La cosa importante è ricordare che è volontaria, non obbligatoria. Questo è fondamentale. Il giudice è sempre la fonte d'invio, ha un progetto che noi abbiamo steso, anche con i giudici, nel quale ci sono delle indicazioni oggettive: per quali tipi di reati, un elenco di reati, per quali tipi di soggetti. Non va tanto sulla quantità della pena, ma sulla componente ' relazionale ' del reato. Quindi preferibilmente reati che coinvolgono persone legate da una precedente relazione: due compagni di scuola, due coetanei, vicini di casa o di quartiere.
- Fidanzati?
F.B.- No, non ne abbiamo mai avuti.
F.C.- Ho avuto un caso di violenza su una ragazza, tra amici e quindi persone che avevano una relazione, ma non fidanzati.
- Non ho capito in che modo è attuata la mediazione. Voglio dire se la mediazione esclude il carcere o meno e se sì, in quali casi.
F.B.- Dipende da quando facciamo la mediazione. Allora, se noi prendiamo l'art.9, l'art.27 (d.p.r. n°448/88), e l'art.564 c.p.p., queste norme, poi vediamo come, ci permettono di fare la mediazione prestissimo. Cosa vuol dire? Nella fase delle indagini preliminari. Siamo dunque in una fase processuale molto anticipata. Solitamente noi lavoriamo con ragazzi che sono a piede libero, quindi che sono detenuti o che hanno una misura cautelare. Sono tutti liberi, anche il ragazzo accusato di violenza sessuale non era stato portato dal Beccaria, il carcere minorile, era libero. Perché nella fase delle indagini preliminari, preferibilmente? La mediazione dovrebbe consentire un non ingresso o, perlomeno, un minimo ingresso dell'adolescente nel processo penale. Quindi se la mediazione può produrre l'effetto di un'archiviazione o di un art.27 è bene che intervenga il prima possibile. Con l'art.28 l'adolescente arriva che il processo è già molto avanti, perché ci sono già state le udienze, che si è deciso di sospendere il processo, di mettere alla prova il ragazzo, però siamo già in una fase che è esecutiva. A noi non piace lavorare in questa fase, abbiamo pochi casi di messa alla prova, anche se teoricamente è l'ambito dove è scritto il tentativo di conciliazione, perché può essere confusa con una forma di sanzione. Può essere confusa con una misura alternativa. Nel momento di una messa alla prova il giovane ha tante prescrizioni, quindi costruisce un progetto, deve andare a scuola, deve andare a lavorare, deve andare a colloquio con lo psicologo, deve vedere l'assistente socialeil metterci anche la mediazione è un rischio, perché può essere confusa con una di queste prescrizioni e quindi si perda questa adesione libera della parte. Se noi la mettiamo il prima possibile è più semplice anche perché la mediazione può portare al risultato che il minore stia lontano dal processo. Quindi, per esempio, se arriva con l'art.9 che dice che il P.M. chiede all'esperto o ai servizi della giustizia un'osservazione sulla personalità, sulle risorse familiari, sociali del minore. Questa osservazione al giudice serve per prendere delle decisioni che riguardano il fatto di applicare della misure cautelari o comunque di fare delle scelte processuali. In questa fase i giudici hanno pensato di inserire la mediazione. Quindi attraverso questa norma, che non parla di mediazione, ma parla di figure di esperti che possono essere contattati dal giudice, arriva il caso. Così noi organizziamo un'incontro di mediazione, la proponiamo, se le parti sono d'accordo facciamo un'incontro e diamo la restituzione al giudice. Mettiamo che l'esito sia positivo. A questo punto il giudice può dire, per esempio, era il primo reato, non era un fatto particolarmente grave, do un perdono o un'irrilevanza del fatto, ma questo lo posso fare perché c'è stato un momento responsabilizzante che è stato quello della mediazione. In questo caso, quindi, il minore è stato responsabilizzato dentro ad uno spazio che non è processuale ed io, giudice, posso dire che inutile inserirlo dentro al processo, dentro ai meccanismi penali. Lo libero dal processo, però c'è stato un momento responsabilizzante che mi permette di prendere un a decisione a favore del minore. Noi lavoriamo soprattutto in questi ambiti. Operare così riempie di significato queste norme. Per esempio l'art.27, l'irrilevanza del fatto, dice che quando un minore ha compiuto un fatto di reato per la prima volta, quindi occasionalmente, ed è un fatto tenue, il giudice può pronunciare l'irrilevanza del fatto. Questa norma nasce nella logica del processo minorile per cui non si ritiene opportuno mettere dentro al processo tutti i minori, ma anzi cerchiamo di allontanarli il più possibile. Solo che questa norma viene vissuta da un adolescente come una non risposta. Io ho fatto qualcosa, comunque qualcosa è avvenuto. Lo Stato mi dice: irrilevanza del fatto. Vuol dire che non ho fatto niente. Secondo noi questa norma può essere riempita di significato attraverso un momento di mediazione
- Che il giudice non può fare.
F.B.- Certo. Quindi può facilitare il ricorso a quelle misure che allontanano il minore dal processo e nello stesso tempo possono contribuire a riempire di significato queste norme in termini, da una parte, per il reo, di responsabilizzazione. Incontro non una norma, ma una persona cui ho fatto del male. Non incontro l'articolo tot che mi dice che ho commesso un fatto, ma incontro una persona in carne ed ossa, che sta soffrendo per quello che io ho fatto. Dalla parte della vittima, inoltre, significa, per esempio in un caso come quello dell'irrilevanza, essere presa in considerazione, trovare uno spazio.
- Avete dei dati o anche opinioni vostre circa l'incidenza della mediazione sulla recidiva?
F.C.- Adesso come adesso non si è in grado di dire se effettivamente la mediazione incida sulla recidiva. Sarebbe un'affermazione affrettata. Potremmo dirlo, peròsu che dati?
F.B.- Sarebbe un'affermazione un po' pericolosa. Sicuramente la filosofia che sta sotto è quella che dici tu, che si muove verso una finalità di prevenzione e di risocializzazione. Ci vogliono ben più di due anni per poter affermare se il risultato è positivo o meno. Sicuramente la finalità è preventiva.
F.C.- Non so avete già toccato questo argomento (si è dovuta assentare per qualche minuto) comunque uno degli aspetti fondamentali per noi è anche la condizione della vittima. Il dare la possibilità alla vittima la possibilità di essere ascoltata non in ambito legale o dai carabinieri quando fa la denuncia. Delle vittime ci si dimentica sempre un po'.
F.B.- Nel processo minorile le vittime non vengono mai sentite, non possono costituirsi parte civile, quindi non hanno nessun tipo di potere o capacità attiva dentro al processo. Noi vediamo che la reazione spesso al telefono è: finalmente qualcuno chiede anche a me! Perché il processo è visto, e così è, come un momento tutto per il ragazzo.
F.C.- Poi c'è anche una grossa sfiducia nel processo, un grande senso di lontananza.
- Il processo forse ha una funzione esattamente opposta a quella della mediazione, dato che li tiene il più distante possibile, non deve esserci dialogo fra i due protagonisti principali del conflitto.
F.B.- Certo. Il processo separa, deve separareil simbolo della spada che taglia, la divisione. La giustizia ci dice ciò che è giusto, dà il giusto posto a ciascuno. La mediazione partendo da questo, perché non vuole contrapporsi a questoè sacrosanto che la legge dica pubblicamente qual è il giusto posto, sulla base di norme che caratterizzano la nostra vita sociale. La mediazione partendo da questa prospettiva cerca di lavorare, così, per ricucire questo legame e per riaprire questi legami, in una giustizia che non è più verticale, ma orizzontale e che si fa, comunque, all'ombra dell'altra.
F.C.- Hanno due nuclei diversi. Uno retributivo, l'altro riparativo.
F.B.- Ci stiamo autovalutando con una ricerca, nel senso che stiamo monitorando il nostro lavoro attraverso una serie di questionari che sottoponiamo alle parti che hanno fatto la mediazione un paio di mesi dopo. Questo per noi è utile sia per avere dei dati statistici come età, sesso, tipologie di reato ecc. e alla fine degli anni di sperimentazione avere una panoramica su tutto questo, ma soprattutto misurare il grado di soddisfazione delle persone' un questionario che vuole andare a ricercare quanto le persone sono state soddisfate, come hanno percepito i mediatori, come percepiscono ora l'altro e come lo percepivano prima della mediazione. Questi dati saranno molto importanti proprio per capire se questa attività ha un senso per le persone che la vivono. Verranno, questi dati, elaborati alla fine dell'anno prossimo, quindi per ora siamo in una fase di raccolta, di interviste ecc.. Penso che questi dati saranno molto importanti, perché la mediazione così potrà evolversi in qualcosa di più istituzionalizzato, di più stabilmente inserito.
Per il momento possiamo dire che l'esperimento è riuscito piuttosto bene. All'inizio avevamo diverse perplessità dovute principalmente alle possibili difficoltà che avremmo potuto incontrare con i ragazzi. L'adulto ha sicuramente più strumenti a sua disposizione per affrontare un'esperienza del genere. Invece no. Abbiamo visto che i ragazzi riescono a lavorare bene in mediazione. In più gli adulti vittime di reati (commessi da minori) si mettono nell'ottica di ' fare del bene ' ai giovani che hanno commesso un reato.
Quindi, quando vengono, vengono con lo spirito di rendere positivo qualcosa che è stato negativo e di riuscire a riportare il ragazzo, tra virgolette, sulla retta via. Cercano di dare un input educativo spiegandogli che tipo di sofferenza è stata loro inflitta.
F.B.- Questa cosa accade molto spesso quando la vittima è adulta. Poi comunque tutte le vittime sono diversemi ricordo quello di Agrate, che partì propriofurente. Poi però anche in quel caso questo aspetto emerse. Infatti, durante la mediazione era emerso anche in lui. Il fatto che lui durante la mediazione dicesse: ' Io devo essere sicuro che tu hai capito che cosa mi hai fatto, devo esserlo sia per me, ma anche per te. Della gravità di ciò che è accaduto'. Il rispetto di un patto di convivenza, insomma.
- All'inizio mi avete detto che la mediazione viene fatta anche per le famiglie. E' più difficile con gli adulti?
F.C.- Le famiglie arrivano guardandosi male: si mettono uno di qua e l'altro di la. Poi noi le portiamo in una stanza e poi escono offrendosi un caffè, offrendosi un passaggio. Noi usciamo stanchissimi da tutto questo, la mediazione dura anche tre, quattro, cinque ore, perché noi tendiamo a risolvere tutto in un incontro solo. Talvolta c'è la possibilità che si sospenda la mediazione per riprenderla il giorno dopo, perché le sedute sono lunghissime e se le persone sono stanche è controproducente finirla in un solo giorno.
F.B.- (Rivolgendosi alla collega) Ti ricordi quella mediazione fatta a Monza, la mamma del reo
F.C.- Sì, mi ricordo, è un ottimo esempio!
F.B.- Beh, la madre di questo ragazzo il giorno prima di venire in mediazione aveva detto di voler venire in mediazione solo per vendicarsi, disse: 'Vengo solo perché gli voglio cavare gli occhi con queste stesse mani!' al padre dell'altro ragazzo. Poi sono andati a prendersi un caffè. Hanno gridato per un quarto d'ora, si sentivano solo delle urla confuse e poi a poco a poco abbiamo cominciato a lavorare. Spesso arrivano con questo animo. I genitori sono spesso gli ossi duri, perché si fanno portavoce di richieste spesso strumentali o ricattatorie che riguardano la questione del risarcimento del danno. Cioè, mentre i ragazzi tendono a lavorare di più su un piano che è della relazione, dei sentimenti, i genitori hanno nelle loro mani quest'arma del risarcimento. Per esempio, i genitori della vittima chiedono cinquanta milioni ai genitori del reo, perché loro figlio non respira più bene da quando ha preso il pugno sul naso e questa somma la subordinano, magari, al ritiro della querela. I genitori, quindi, spostano il conflitto ad un altro livello.
- La mediazione, comunque, non esclude il risarcimento.
F.C.- No, non lo esclude. Può accadere che in mediazione gli adulti si rendano conto che hanno di fronte una persona che non è miliardaria, che farebbe una fatica enorme a dare una cifra pazzesca, allora calano le loro pretese, ' Ci rendiamo conto che siete una famiglia di gente che lavora, di operai, di persone che, insomma, hanno tutta una serie di problemi ', tutto questo non avverrebbe in un altro contesto.
F.B.- Anche se bisogna dire che noi preferiamo lavorare per una riparazione che è prima di tutto simbolica, quindi per noi i soldi si trovano su un piano del tutto secondario. Nel senso che in una mediazione tra ragazzi noi lavoriamo, perché si realizzino delle forme di riparazione prima di tutto fra di loro, che possano tradursi in qualcosa di significativo all'interno della loro relazione. Possono essere delle scuse, una stretta di mano, il farsi vedere in giro insieme, oppure impegnarsi in giornate di utilità sociale, per fare degli esempi. Tutto questo è lo spazio dentro al quale noi lavoriamo preferibilmente. Ci sono poi delle situazioni in cui la questione del risarcimento del danno è irrinunciabile nel senso che si pone come una questione fondante che va risolta e noi qui lo facciamo munendoci di tutta una serie di garanzie. E' un momento successivo alla mediazione come noi la intendiamo, è un momento più che altro di negoziazione non di mediazione, che viene fatto alla presenza degli avvocati, perché ciascuna parte deve essere giuridicamente garantita e che può portare, anche sulla base della fase che c'è stata prima, possano affrontare in modo più sereno anche la questione sacrosanta del diritto ad essere risarciti, perché, mettiamo, questo ragazzino è arrivato con il bloster, mi ha rotto il finestrino della macchina, gli occhiali e mi ha strappato il maglione e io voglio i soldi del finestrino, degli occhiali e del maglione. Ecco, è una richiesta legittima, però per noi lo scopo della mediazione non è questa, è lavorare con le persone affinché trovino una forma di riparazione che non c'entra con i soldi, quella viene dopo, ma una forma di riparazione fra di loro, che è il fatto di sentirsi riconosciuti dall'altro. Dopodiché un altro giorno ci troviamo e negoziamo con gli avvocati la cifra del risarcimento che la parte legittimamente chiede. Offrendo solo lo spazio. Noi ovviamente siamo presenti, ma la nostra è una presenza muta. Ci dobbiamo essere per evitare che la questione del risarcimento, che spesso riaccende gli animi, anche emotivamente, vanifichi tutto il nostro lavoro. Quello che a noi interessa, però, è la riparazione simbolica fra i due protagonisti, il fatto che possano frequentare la stessa piazza del paese, rispettandosi, mentre prima non era possibile, perché si creavano due gruppi che si insultavano a vicenda e se uno rimaneva isolato dal suo gruppo veniva picchiato nella viuzza dietro, per esempio. Allora in quel caso il reato nel piccolo centro crea delle fratture enormi, fra gruppo che sostiene l'autore e gruppo che sostiene la vittima. In questo caso una riparazione simbolica che ha un senso per i due, ha un senso anche più globale e che è, ad esempio, l'andare a prendere un caffè nel bar centrale della piazza e tutti vedono che i due capi stanno bevendo un caffè insieme. Questo ha un impatto molto forte sulla collettività. Noi lavoriamo spesso su casi che arrivano dai piccoli centri e lì il reato crea delle ripercussione nella vita di tante persone. Allora lì la riparazione deve avere un valore prima di tutto simbolico non solo fra di loro, ma anche rispetto al fatto di riparare a tutta una serie di legami sociali che si sono rotti dopo il reato. Beh, credo sia tuttol'iter l'hai spiegato? (rivolgendo la domanda alla collega F.Cantaluppi)
F.C.- No, molto schematicamente è questo. Il tribunale manda il fascicolo all'ufficio con delle informazioni scarne, semplicemente il reato, gli indirizzi delle parti in causa e basta. L'ufficio assegna questo fascicolo ad un mediatore responsabile che sarà quello che porterà avanti la mediazione dall'inizio alla fine. Verrà mandata una lettera alle parti dove viene spiegato chi siamo, che cosa è la mediazione molto sinteticamente e che cosa proponiamo e vengono informati che riceveranno molto presto una nostra telefonata. Questo mediatore responsabile provvede poi a contattare telefonicamente le parti. Questo è un momento molto delicato perché al telefono si gioca la possibilità che le parti vengano o non vengano poi alla mediazione. Le parti vengono in un primo momento contattate non subito per la mediazione, ma per dei colloqui, che noi chiamiamo colloqui preliminari. Le parti vengono invitate individualmente che si tengono con il mediatore responsabile ed un altro mediatore, che non farà parte della mediazione. Perché queste due figure? Perché in questo modo si garantisce sempre una sorta di neutralità. Il mediatore che fa il colloquio preliminare poi sparisce.
- E' il mediatore per ottenere la mediazione.
F.C.- Sì, esattamente.
F.B.- Può permettersi di sbilanciarsi, però se si è sbilanciato non potrà essere più completamente imparziale nella mediazione. Ed è per questo che è attivo nel colloquio, ma non c'è nelle sedute successive, mentre c'è il mediatore responsabile, il quale è stato passivo nel primo colloquio, mentre dopo non lo è più nella mediazione vera e propria. Il responsabile è la figura di riferimento, il viso noto che sia autore che vittima ritrovano durante il percorso.
F.C.- Non si trovano con tre persone che non hanno mai visto, ma si trovano con una persona che li ha presi dall'inizio e li accompagna in questo percorso. Durante i colloqui preliminari viene spiegata accuratamente che cosa è la mediazione, i termini portanti: è gratuita, è libera, è volontaria. Se c'è il consenso delle parti si provvede a creare un incontro di mediazione, anche subito se c'è questa esigenza, ma normalmente dopo qualche giorno. Se la mediazione invece non è fattibile, viene restituito tutto al giudice dicendo che appunto, per mancanza di disponibilità delle parti o altro, la mediazione non si può fare e tutto si ferma lì. Se invece c'è la disponibilità allora si procede.
- Quando si arriva alla mediazione la vittima è già in condizione di riconciliarsi con il reo, è un segnale almeno inconscio in questo senso?
F.C.- No, non è detto. Può darsi invece che l'unico desiderio che spinge la vittima alla mediazione sia quello di dire al reo quello che gli ha fatto, ma senza un reale interesse per il possibile comportamento di quello. In più se noi siamo stati bravi a far capire cosa è la mediazione, davvero non possibile prevedere un esito. Se noi siamo stati corretti nel riuscire a dire: ' Guarda, la mediazione è un momento tuo e lì dentro può accadere quello che voi volete, non è detto che voi vi rappacificherete, sta a voi, sta a quello che succede in mediazione'. Nella mediazione di Chicco, ti ricordi, c'eri tu mi pare?
F.B.- No, non mi sembra, qual era?
F.C.- Quello che è arrivato con la mamma ed io ho fatto la mediazione con i genitori. Ecco, lì per esempio la mediazione fra gli adulti era riuscita. Questo ragazzo, Simone, era vittima e si è trasformato in mediazione in carnefice. Lui aveva la disponibilità all'inizio, è venuto ai colloqui, è venuto alla mediazione, ma, due volte ci sono volute e non una, non si è mosso dalle sue posizioni, non è stato assolutamente possibile raggiungere un esito positivo. Secondo me è corretto che sia così, perché davvero il mediatore non determina nulla, che sono proprio le parti che giocano la loro vita in quel momento. Tanto è vero che fuori i genitori si erano capiti, avevano capito che si trovavano di fronte a problemi comuni dei loro figli, erano adolescenti che stavano crescendo, che gli stavano in qualche modo sfuggendo di mano, in una scuola che non li aiutava e si erano, genitori delle vittime e genitori dei rei, uniti nel presentare delle lamentele alla scuola. E' importante dire questo, perché con le persone non è possibile dare per scontato niente.
F.B.- Anch'io sono d'accordo con Federica, perché secondo me quando una vittima arriva in mediazione vuol dire che ha fatto un grosso lavoro con se stessa, ma non rispetto alla sua disponibilità a riconciliarsi, può essere anche voglia di vendicarsi. La signora che voleva cavare gli occhi al camionista, gli voleva cavare gli occhi, è venuta come in un ring. La cosa importante è che quando la vittima arriva anche con il suo sentimento di vendetta, che poi con l'aiuto dei mediatori potrà essere convertito, il grosso lavoro su se stessa è stato comunque fatto prima, nel riuscire ad arrivare a questo incontro. Se la vittima arriva alla mediazione vuol dire che un lavoro dentro di sé se lo è fatto, ma non in una prospettiva di riconciliazione, ma semplicemente nel riuscire ad incontrarlo.
F.C.- Quello che vuole sapere la vittima è spesso il perché. Perché io? La vittima si sente capro espiatorio, si sente predeterminata. Quella che viene assalita per la strada non si sente neppure in diritto di lamentarsi, se è vittima ci sarà un perché. Si sente un po' stupida, si sente anche un po' in colpa. La vittima spesso si sente in colpa, per cui uno dei desideri è proprio chiedere : ' Perché a me? Cosa ho io che non va per essere stata aggredita o non considerata come persona? '.
F.B.- Può accadere, come ci è successo, in un caso di due gruppi di ragazzi, che in mediazione si siano detti che non potevano sopportarsi, che non sarebbero mai diventati amici, però che potevano vivere rispettandosi, condividendo uno stesso spazio nel rispetto reciproco. Nella distanza, ma nel rispetto. Questo è già un risultato importantissimo, anche se le persone non si sono riconciliate con un abbraccio. Questo non è il nostro obiettivo. L'obiettivo è che la situazione si trasformi e che ci sia il riconoscimento del pentimento da una parte e della rabbia dall'altra. E' importante che le persone si parlino ed esprimano i propri sentimenti, anche se in questo caso sono di rabbia, rancore ecc. Spesso in mediazione dopo che la vittima ha espresso la propria rabbia, ed è già importante questo perché sa che ora l'altro ne è a conoscenza, il reo dopo gli dice ' Vedi, io questa cosa non l'avevo capita'.
- La comprensione
F.B.- Esatto, la comprensione. Avere l'occasione di incontrarsi ad un livello che non è quello del reato, ma è un livello delle persone. Poi da lì cosa nascerà non importa, le parti devono essere libere di sceglierselo da sole. Può darsi che uno dica ' Sì, sono contento che tu abbia capito quello che mi hai fatto, ma rimane comunque troppo grave e quindi non vediamoci più'.
F.C.- Sarebbe fare dell'inutile demagogia. La comprensione reciproca è il nostro primo obiettivo, il resto non può essere previsto.
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