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Pisa, 5 giugno 2000
Questa intervista è avvenuta nel carcere di Pisa dove mi sono recata per intervistare Adriano Sofri. Per ottenere questo colloquio avevo precedentemente contattato il dottor Sofri attraverso via epistolare. Ottenuto la sua disponibilità ho dovuto ottenere l' autorizzazione all'ingresso nella casa di reclusione di Pisa. Il dottor Sofri si è dimostrato subito estremamente disponibile chiedendomi di rivolgermi a lui in modo amichevole, dandogli del tu.
La prima domanda che volevo fare riguarda quell'articolo uscito sul sulla Repubblica qualche tempo fa. Ovviamente vorrei sapere dal lei qual è il sul punto di vista riguardo a questo nuovo problema carcerario. Mi riferisco, come può immaginare, agli eventi di Sassari. Nel tuo articolo non prendi una posizione di netto sfavore nei confronti della polizia penitenziaria, ma prendi una posizione critica nei confronti delle istituzioni in generale. Vorrei sapere da te, qual è il problema maggiore che porta alla creazione di questo conflitto fra detenuti e agenti di polizia penitenziaria.
A.S.- Il conflitto è tradizionale ed è una specie di fondamento del sistema. Cioè, il carceriere e il carcerato sono nemici fisicamente diretti. In carcere si trovano di fronte lo Stato e i delinquenti, presunti o reali, in attesa di giudizio o già giudicati e così via. Lo Stato è una formula con la maiuscola, però ci sono delle persone che non lo rappresentano, che sono quelli che oggi si chiamano agenti di polizia penitenziaria. Denominazione che rappresenta un eufemismo, la nostra società oggi ha eufemizzato tutte le situazioni, anche quando le ha lasciate in condizioni deplorevoli ha aggiustato le parole: una volta si chiamavano secondini, i detenuti erano tenuti a chiamarli superiori ecc.. Questo conflitto è antico quanto la galera, nella galera tradizionale il carceriere, dall'agente più semplice a quello più responsabile non so erano le figure letterarie famose tipo lo Spielberg di Silvio Pellico. Non è soltanto una figura letteraria, retorica, ma ha corrisposto effettivamente ad una ripartizione, ad una situazione tradizionale del carcere, che io ho conosciuto perché sono stato in galera quando ero più giovane e le carceri erano ancora immuni dalle riforme più o meno mancate, sono stato in galera nel '70. del tutto arbitrariamente. Comunque è stata una buona scuola, una buona esperienza : alle Nuove di Torino che erano veramente una galera alla antica. Si chiamavano le nuove, ma erano molto vecchie, ovviamente. Questa situazione in cui le guardie erano divise in due categorie, le guardie all'antica, che era la polizia più diseredata, più misconosciuta, più povera, più ignorante. Dunque erano divisi in una sorta di doppia funzione: c'erano i carcerieri burberi e dal cuore buono, che davano una mano alla gente, c'erano meno regole formali, più dialogo, più conversazione e così via. Poi c'erano quelli che facevano lo sporco mestiere cioè quelli che picchiavano, che erano duri e così via. C'era una lunga tradizione manesca degli agenti di custodia, c'erano quelle che ci sono ancora chiamate "squadrette', che arrivano, magari a viso coperto, pigliano la gente, la bastonano e così via.
Ci sono ancora queste squadrette?
Si, ci sono ancora. Tutto ciò che è abominevole c'è sempre, guarda. A volte si riduce, a volte si nasconde un po' di più. A Sassari è successo in modo spettacolare.
A Sassari ci sono state queste squadrette. E' stata questa la causa degli scontri? Quali sono le motivazioni per cui esistono queste squadrette ?
Mah, le motivazioni non ci sono perché sono illegali e dunque non motivate. Di motivazioni di fatto ce n'è una vasta gamma, che va da una giustificazione più o meno pratica, come la necessità di contenere le persone più o meno violente, minacciose, il cui comportamento può essere, contenuto, si dice nel linguaggio contenzione è un bel termine, sai che si dice letto di contenzione quando andai in galera esisteva ancora , non si chiamava così , con questa espressione nobile e superflua, ma si chiamava la 'balilla': era un letto di legno, senza materasso al quale i prigionieri venivano legati. Quindi si va da questa motivazione ad una motivazione più semplice: che è piacevole picchiare le persone per esempio, sfogarsi, essere violenti. Le violenze a volte hanno una motivazione, a volte hanno un pretesto, ma sono quasi sempre fini a se stesse, ma questo succede sia nelle galere che fuori. Perché la gente commette delle violenze? Perché le piace. Specialmente quando sono in gruppo, quando sono violenze collettive, quando si aizzano a vicenda, quando trovano un nemico lo inventano o lo trovano già pronto oggi con i tossicodipendenti o con gli immigrati, con gli stranieri, quindi con una molla in più: estraneità, razzismo, esattamente come succede nelle tifoserie di calcio, negli stupri di branco. A Sassari era evidente che c'era una componente di reciproca eccitazione di branco, altrimenti non si spiegherebbe il fatto che per l'appunto non dei professionisti del pestaggio, cioè di agenti più cattivi, più selezionati per fare queste cose, ma degli agenti normali in un numero così alto si siano lasciati coinvolgere in una cosa in cui, evidentemente, hanno perso il senso della misura, del freno. Per giunta contro detenuti che non erano pericolosi delinquenti nemmeno formalmente, ma erano dei tossicodipendenti, come si è saputo, nella stragrande maggioranza. In questa galera antica c'era questa specie di bipartizione dove il guardiano era o odioso o bonario, e l'ambiente era di un'umanità all'antica dove ci poteva essere la brutalità e al tempo stesso l'affabilità, con una vicinanza non solo fisica ma anche di adiacenza di linguaggio, di comportamenti, perfino morale tra i detenuti e i loro carcerieri. Naturalmente le cose sono cambiate, in teoria sono cambiate moltissimo, in pratica un po' meno, ma sono molto cambiate. Allora la teoria oggi suppone che gli agenti di polizia penitenziaria siano una componente essenziale di quello che si chiama il ' trattamento ' dei detenuti, e cioè questa risocializzazione ; dunque il loro rapporto non deve più essere solo sicuritario, custodiale come si dice, queste parolacce che usate voi professionisti, ma anche un rapporto di colloquio, di dialogo, di conoscenza, di partecipazione a questo che si chiama trattamento, a queste esperienze individualizzate a cui mira la Gozzini, cioè che il carcere non miri esclusivamente all'esecuzione di una pena, ma che la pena sia flessibile, duttile, applicata da persona a persona dunque che la sua esecuzione abbia variazioni e di tempo e di modalità dipendenti dai singoli detenuti. A tutta questa intenzione più o meno buona, che può piacere o non piacere, ed esistono teorie alternative, a questa intenzione dicevo non ha corrisposto nessuna, o quasi, rilevante misura che la rendessero fattibile. Nel carcere di oggi gli agenti, che sono molto numerosi, non è vero che sono pochi, sono in una situazione in cui la loro identità è molto più dubbia: qualcuno gli ha spiegato che non devono più essere dei carcerieri all'antica, con la barba lunga, le chiavi pesanti, che sbatacchiano. anche se continuano a sbatacchiare ininterrottamente ecc. né degli energumeni, delle bande di incatenatori di persone, ma senza neanche metterli in condizione di essere un'altra cosa, attraverso concorsi, selezioni, formazioni . Ho deliberato o peggio ho distratto un inerte atteggiamento delle autorità per cui il conflitto a volte vivace e aggressivo, acuto tra agenti e detenuti e il modo di fatto di tenere a bada la situazione carceraria, cioè questa specie di tensione sotto pelle della violenza che attraversa la vita quotidiana diurna e notturna del carcere è un modo di gestire il carcere, insomma. E anche una delle sue esplosioni a fior di pelle sono comunque uno sfogo che rimane limitato, perché contrappone agenti a detenuti. Dunque è un modo comodo e sei vuoi cinico, anche se magari non è neanche intenzionale le autorità non è detto che siano sempre feroci, spesso sono soltanto stupide. Anche tu quando diventerai un'autorità non è detto che diventi cattiva, forse diventerai solo instupidita. Dunque, la permanenza di questo conflitto è semplicemente uno strumento, uno strumentum regni in una situazione di emergenza in cui nessuno se la sente o è capace ad affrontare alle radici il problema. La mia posizione lì e anche fuori di lì è una posizione che dice che le violenze degli agenti sono diffusissime, ben oltre l'ipocrisia che spinge a non accorgersene, per il fatto che le denunce dei detenuti siano così poche, perché i detenuti hanno paura di denunciare: sanno che poi ci rimettono loro, che è difficile che ci siano procedimenti che riconoscano la loro buona fede, la verità delle cose . In questa situazione le violenze non sono semplice responsabilità degli agenti o in altri casi della polizia o dei carabinieri. Le violenze avvengono nei carceri , ma avvengono prima anche molto diffusamente e anche lì in maniera pochissimo denunciata nelle caserme, nei commissariati. Se tu parli sinceramente, cioè da persona privata, con degli immigrati giovani e clandestini scopri che la stragrande maggioranza di loro ne ha buscate, ha subito delle violenze fisiche, capisci? Però se tu leggi i rapporti del Consiglio d'Europa, o i rapporti di Amnesty su quante sono le denunce formali di violenze fisiche trovi un numero ingente, ma in percentuale limitatissimo. Dunque, questa diffusione delle violenze e anche le sue forme selvagge, incontrollate, gravi fino alla morte delle persone come in alcuni casi che vengono alla luce, non sono semplicemente, e in alcuni casi neppure responsabilità dei loro esecutori, ma responsabilità di autorità specifiche che voltano la testa, hanno un interesse, fa comodo la perpetuazione di questa situazione; anche un'opinione pubblica che la testa ce l'ha sicuramente voltata .si vede dai suoi atteggiamenti, le sue aspettative, le sue richieste così come vengono diffuse, aizzate per un verso, raccolte dai sondaggi della stampa, dai titoli di giornale. A me pare che essi debbano difendere le persone inermi, i detenuti sono sicuramente inermi, qualunque detenuto è particolarmente indifeso soprattutto la grande massa dei detenuti che sono ignoranti, materialmente poveri, non hanno nessuna difesa in carcere, non hanno neanche un avvocato. In carcere non esiste nessuna figura di difensore, dovrebbero essere i magistrati di sorveglianza a difendere i detenuti, ma i magistrati di sorveglianza sono pressoché invisibili dai detenuti. Dunque sono naturalmente in balìa dei loro carcerieri, secondo il sistema del sequestro di persona. Bisogna arginare le violenze, tanto più quando sono abituali, incistate dentro persone che per di più si divertono fare questo mestiere, in qualunque carcere si sa chi fa così. Cercare di dire una cosa che un tempo avrebbe scandalizzato cioè che oggi i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria sono due categorie di persone, perlomeno provvisoria, che hanno tutto l'interesse a rispettarsi, a conoscersi, ed eventualmente anche ad avere fini comuni dato che gli uni vivono in regime di prigionia totale dentro le galere e gli altri in regime di semi prigionia, cioè il contrario di quella parolaccia semilibertà dentro le galere. Sarebbe opportuno che questo disastro barbaro che sono le galere venga guardato con uno sguardo possibilmente alleato è difficile da raggiungere, esistono una quantità enorme di pregiudizi molto gravi, comunque dovrebbero individuarsi dei fini comuni dagli uni e dagli altri. Questa è la mia opinione.
Ora una domanda non attuale, ma di carattere generale. Vorrei sapere da te come è vissuta la pena da parte del detenuto. Mi spiego meglio: attraverso la pena detentiva si può notare un cambiamento del detenuto e se c'è, questo deriva dal trattamento penitenziario o è completamente scisso da questo?
Tu fai delle domande di cui sai già le risposte, vero? Il trattamento praticamente non esiste o esiste in misura assolutamente irrisoria. Oggi le figure titolari del trattamento in pratica sono gli operatori civili, gli educatori, alcuni volontari, psicologi o comunque pochissime persone che non hanno alcuna possibilità anche quando ne hanno voglia, e non sempre ne hanno voglia che è una cosa gravissima, perché le persone che fanno questo mestiere o hanno una specie di vocazione volontaria oltre al bisogno di prendere uno stipendio oppure commettono un sacrilegio gravissimo, perché hanno a che fare con la vita e la morte del loro prossimo, ma sono così pochi e così oberati da non riuscire davvero a seguire la situazione personale delle persone. Il poco che fanno in genere è utile. La mia posizione non è una posizione scettica in generale. Per qualunque detenuto così come per una qualunque persona in una posizione estrema, come è il carcere, una situazione di straordinaria debolezza, a volte di disperazione, avere qualcuno con cui condividere questa situazione è una sorta di biglietto d'uscita, è una cosa molto importante. Tutte queste cose dove ci sono le attività laterali come la formazione, la scuola, il teatro, le attività sportive e così via sono tutte cose molto importanti, ma che restano sempre marginali e spesso deludenti rispetta alle loro promesse. Quanto al cambiamento che avviene in carcere attraverso il puro meccanismo della pena è un cambiamento fortissimo e drammaticamente negativo. Le persone si incattiviscono, la parola incattivirsi ha a che fare con la cattività, la cattiveria ha a che fare con la cattività, il modo italiano, tardo latino di trasformare quella che è una condizione dell'animo in una condizione del corpo, cioè nello stato di prigionia. Le persone si incattiviscono, subiscono delle mutilazioni fisiche gravissime. Oggi, essendo molto giovani, le persone subiscono delle mutilazioni che hanno ripercussioni sulla loro psiche.
C'è un forte insorgenza di malattie mentali in carcere?
È una malattia fisica e dunque anche mentale, basti pensare alla situazione sessuale in carcere, la proibizione di rapporti sessuali che non significa la abolizione della sessualità della gente, ma il suo dirottamento su pratiche assolutamente frustranti produce una vera mutilazione corporale. Anche per me è frustrante ma io sono un uomo vecchio e non è importante. Pensa ai ragazzi che ci sono e che sono la stragrande maggioranza degli abitanti del carcere sono messi in una condizione abietta. Questo cambiamento diventa positivo soltanto in casi rarissimi e assolutamente eccezionali e per così dire titanici in cui dei detenuti non grazie alla pena, ma nonostante la pena rovesciano la condizione di tortura effettiva in cui vivono e si dedicano ad una specie di eroica ricostruzione di sé stessi. Stanno rannicchiati dentro la loro rabbia e provano a trovare dentro di sé le risorse, l'energia, l'intelligenza, il ricordo di qualcosa che possa portarli a non avere più a che fare con questo sistema. Stiamo parlando come se sempre i detenuti stessero dentro per buone ragioni, ma c'è un altro fatto, cioè che la stragrande maggioranza di detenuti spesso sta in galera per delle pessime ragioni. Molti ci stanno senza ragione, essendo completamente innocenti, che è una parola da non usare, ma insomma essendo veramente non colpevoli. Il fenomeno più impressionante è quello delle persone che non sono specificamente colpevoli, cioè la maggior parte dei detenuti cosiddetti abituali che commettono piccoli reati e che poi sono in maggioranza tossicodipendenti o stranieri poveri, quelli che si chiamano malamente extracomunitari, stanno in galera all'ingrosso non al dettaglio. Cioè vengono beccati, giudicati, condannati senza nessun particolare scrupolo di attenzione. La loro destinazione è la galera e l'occasione che ce li porta è secondaria, per così dire. A me i detenuti dicono la verità, credo che ce ne sia uno su mille che non me la dice, ed è raro che non mi raccontino la loro storia, anzi gli piace addirittura. E' rarissimo, insomma, che tu non trovi di detenuti, non parlo dei mafiosi o dei grandi delinquenti, che peraltro non frequento perché sono in altri luoghi, che in questa corte dei miracoli che è la popolazione delle carceri, è rarissimo, dicevo, che tu non trovi una persona che si dice che ha commesso dieci reati di un certo genere, è stato accusato di due di questi reati, è stato accusato di sette reati che non ha commesso ed è stato condannato per cinque di questi. Dunque così funziona la giustizia, è una specie di grossismo. Dunque nessun detenuto, anche con la mentalità rassegnata alla galera, spesso i detenuti sono uomini d'ordine, hanno mentalità persino reazionaria quando non riguarda da loro conditone personale, anche se guardano alla galera come se vera fossero in qualche modo meritata, come se la fossero cercata. Contemporaneamente è però del tutto iniqua, del tutto ingiusta c'è una situazione di assoluta impossibilità della stragrande maggioranza delle figure che affollano le galere. Come sanno bene tutti gli addetti ai lavori in tutti questi casi non solo la pena è assolutamente inutile, dal punto di vista del tasso medio di criminalità, ma è controproducente, cioè è nociva. L'idea stessa della reclusione corporale come sanzione delle trasgressioni penali è un'idea del tutto superata nella teoria penalistica o comunque nelle sue componenti più significative o più lucide, non solo non sono superate nella pratica, ma assistiamo ad un costante incremento di carcerazione, che in Italia è limitato rispetto alle straordinarie performance degli Stati Uniti, per esempio.
Sì, negli Stati Uniti la carcerazione è usata in modo diverso. Magari non si ha una reazione punitiva al primo reato, ma se il soggetto compie un'altra azione criminosa la reazione è durissima.
Sì questo è per valutare la recidiva. La recidiva è una grande balla, nel senso che la recidiva è la condizione normale di tutta quella piccola criminalità moderna. Le persone non recidive sono quelle che ammazzano la moglie e che poi non hanno un'altra moglie da ammazzare, ma il tossicodipendente commette 50 reati al giorno per comprarsi la dose. Dunque porre la recidiva come condizione alla concessione di qualunque cosa, qualunque indulgenza, qualunque beneficio è una pura pazzia insomma.
Altra domanda: con la Legge Gozzini si sono introdotti numerosi benefici come la possibilità di accedere alle misure alternative o altro. Secondo te il fatto che il detenuto attraverso il suo comportamento possa ottenere una modificazione della sua situazione ha comportato che siano state strumentalizzate dal possibile beneficiario ?
C'è una strumentalizzazione opposta, naturalmente la legge Gozzini che aveva un'ottima intenzione, cioè, come sai, fondata su un'interpretazione di Gozzini stesso e degli altri suoi collaboratori della stessa Costituzione dalla quale ricavavano in polemica anche con altri garantisti, come Ferrajoli, ricavavano la convinzione il fatto che la pena fosse non una cosa fissa, una volta per tutte, ma una cosa in progress. Concetto giusto, ma Ferrajoli ha ragione quando dice che ne possono derivare una quantità enorme di arbitrii, la strumentalizzazione più grave non sta nella barzelletta per cui i detenuti tanto più sono veri delinquenti, tanto più diventano in galera angeli, poeti, chitarristi per poi tornare fuori e risequestrare le persone. Strumentalizzazione da macchietta, per un verso ovvia, per l'altro del tutto insignificante, neanche vera poi per la massa delle persone che, viceversa, sono piene di denunce, rapporti, di castighi guadagnati in galera. Dal punto di vista della strumentalizzazione vale molto di più quello che è successo negli ultimi anni cioè non solo uno svuotamento quasi pieno delle previsioni della cosiddetta legge Gozzini, attraverso una sequela di correzioni che la legge ha subito legate a questo andamento singhiozzante ed emergenziale di tutto ciò che ha riguardato la giustizia in Italia. A parte il problema dello svuotamento della legge c'è il problema della sua applicazione che sempre di più s'è fondato sulla concessione di benefici sulla base della collaborazione dei detenuti, cioè si è estesa questa specie di ubriacatura entusiasta e molesta del pentitismo al di là dell'uso pre-processuale e processuale, dentro la condizione normale del carcere. Dunque l'effetto della legge Gozzini è stato quello di restituire speranza, aspettativa, luce in una condizione tenebrosissima alla vita dei detenuti dentro le galere e al tempo stesso di anestetizzare la dignità, la capacità di ribellione giusta, o di protesta, o di conservazione della propria identità personale, magari con i vecchi codici che un tempo erano quelli della malavita ormai del tutto superata e persino fisicamente estinta. Forse anche qualcosa di più, una specie di corrompimento metodico della dignità delle persone attraverso questa commentata, scrupolosa, persino minuziosa degli uni nei confronti degli altri, contrapposizione dei detenuti, rivalità ecc. La gestione delle carceri funziona attraverso questa opera ininterrotta di piccolo spionaggio, poi le cose su cui fare la spia sono quasi inesistenti.
Quindi è vero che fanno la spia?
Sì che la fanno, e sono premiati. Quindi c'è al tempo stesso una reintroduzione della speranza e una fortissima corruzione personale. Poi c'è un altro elemento che sta quasi annullando qualunque senso della Gozzini, o di ciò che si è collegato, visto che la Gozzini è ormai un puro scheletro, un attaccapanni a cui è rimasto attaccato poco, come diceva lo stesso Gozzini per protestare e cioè il fatto che tendenzialmente, sempre di più, la popolazione carceraria è composta di stranieri e questa legge non si applica agli stranieri se non in casi del tutto eccezionali, perché le previsioni di questa legge come il lavoro, rapporti familiari, dimora non si possono applicare a queste persone, tutte condizioni mancanti per gli stranieri. Questo comporta che nelle galere oggi di sia una componente razzista, una disparità di trattamento, assolutamente iniqua: una persona vede compiere agli altri un altro itinerario mentre per lui il tempo passa totalmente a vuoto, a fondo perduto. Ed è una cosa offensiva, che ferisce l'anima della gente di cui bisognerebbe vergognarsi. E c'è contemporaneamente un'incubazione di violenza che non affrontano perché per ora non esplode, perché fino ad oggi, diciamo, erano comunque una minoranza, tenuti quindi sufficientemente a bada, anzi si sono sentiti finora in soggezione. Poi c'è un elemento di divisione etnica, per cui mettiamo la contrapposizione tra marocchini e tunisini o algerini o albanesi ecc. funziona di più come elemento di divisione di tensione interna che non la loro unione contro l'istituzione carceraria. Alla lunga però, con la crescita del numero, l' aggravarsi delle tensioni e dei problemi, se non si trova il modo di affrontare questo problema le carceri esploderanno esattamente ripercorrendo tutto il percorso che ha portato all'esplosione della tensione per i detenuti italiani. Oggi i detenuti, fatta eccezione per alcuni esemplari eccentrici, soprattutto tossicodipendenti, non si tagliano, gli arabi ad esempio si tagliano dalla testa in piedi, tutti giorni nelle galere scorre il sangue dalla mattina sera e dalla sera alla mattina. Si tagliano perché hanno chiesto un pacchetto di sigarette, si tagliano perché vogliono cambiare cella, si tagliano perché non è venuto l'infermiere a dargli il metadone e così via. Queste forme di protesta autolesionistiche sono sintomo di debolezza, di disperazione e così via, quando si sentiranno più forti arriveranno a fare le rivolte, a mettere a ferro e a fuoco le carceri così come hanno fatto i detenuti italiani ad un certo punto del loro itinerario. Dal punto di vista degli italiani questo itinerario è arrivato ad un punto della parabola , diciamo, di ricaduta con questi mezzi di anestetizzazione ed insieme di speranza di queste leggi su benefici o le aspettative di amnistia, la parola d'ordine che corre dentro le galere come un vento. Dal punto di vista di questi altri non c'è niente di tutto questo. Dunque la situazione è molto complicata ed è persino peggiorata. Abbiamo tolto la norma per cui un detenuto extracomunitario poteva ad un certo punto della pena decidere di scegliere se essere rimpatriato o meno. Si sono aboliti questi diritti. Ora si tiene la gente fino alla fine della pena dentro le galere con l'effetto, quindi, di riempire le galere e di togliere qualunque prospettiva a queste persone.
Ora farò l'ultima domanda, stupida e scontata. Che tipo di funzione ha secondo te la pena?
Se tu prendi un animale, lo metti in una gabbia stretta, gli impedisci di muoversi, se è un uccello gli impedisci di volare, se è un felino gli impedisci di saltare, di correre ecc. lo guardi solo attraverso le sbarre, gli tiri qualche pallina per giocare, che esito avrà tutto questo? Che una volta che liberi quella pantera, quel gorilla o quella quell'avvoltoio non puoi sperare che cinguetti "ciao, ciao bambina". La funzione della pena è di incattivire il rendere le persone tenute in gabbia persone piene di rancore, risentimento nei confronti della società, frustrazioni personali e desiderio di vendetta o comunque senso di secessione totale interiore ed esteriore verso la società in cui si vive. La pena corporale, la pena della reclusione corporale è una pura eredità passiva di altri tempi, di altri modi di pensare, che però fa comodo. Non solo non è in via di estinzione, ma ha una forte reminiscenza quasi un soprassalto di efficacia, perché siamo in una società in cui si sono moltiplicate le persone che danno fastidio fuori. Le carceri di oggi un giorno io detto che sono la discarica sociale, adesso Caselli e i ministri dicono tutte le volte che sono una discarica sociale, che sono un immondezzaio umano, vuol dire che non c'è più niente da fare: se le autorità chiamano le porcherie a cui presiedono con il loro nome di porcheria vuol dire, per l'appunto, che non c'è più niente da fare. Le carceri di oggi sono l'equivalente dell' Hopital General che si studia nei manuali di storia della follia e di emarginazione delle istituzioni totali e così via. Tu vai alla stazione la sera, alla stazione non si può andare avanti così perché la sala d'aspetto chiude, il bar chiude dalle 3 alle 5 devi prendere tutti quei barboni, tunisini, quei piccoli spacciatori, quelli ubriachi ecc. quelli che si pisciano addosso e li devi mettere via perché domani mattina quando arrivano le persone non li vedano, non sentano la puzza ecc.. Il posto dove devi ammucchiare tutta questa gente, questa deriva umana che viene dalle interiora della nostra società, o dall'esterno annegando a centinaia, da qualche parte li devi mettere, li metti in galera. È una specie di scivolo dentro il quale precipitano esattamente tutta questa gente che viene scaricata in carcere. Tu hai chiesto l'autorizzazione per venire a parlare con me al D.A.P.
No, veramente l'ho chiesta al Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria. Prima era al Ministero di Grazia e Giustizia.
Comunque all'amministrazione penitenziaria. Cosa vuol dire penitenziaria? Si chiama penitenziaria perché l'origine è un'origine religiosa, perché il detenuto è un penitente, cioè uno che deve fare penitenza. Prima delle galere e negli stessi luoghi che poi sono diventati galere c'è stata la clausura religiosa. È la clausura religiosa che ha fatto da modello a tutte le detenzioni corporali non solo in Italia, ma nel mondo cosiddetto civile studiato da Focault e soprattutto sulla detenzione femminile. Il modello su cui si fonda il disporre dei corpi altrui è il modello religioso dell'uomo di Chiesa maschio che giudica i comportamenti devianti, corporali, isterici o sessuali ecc. della donna. Studiando Gertrude, la monaca di Monza, il cardinale Borromeo dettava indicazioni fin nei minimi particolari della grandezza della fessura per poter passare il piatto quotidiano dentro cella della clausura perpetua della donna punita per i suoi rapporti con Egisto ecc. lo sai come si chiamano le carceri italiane oltre a questo nome? Si chiamano le mantellate, le murate Chi sono le murate? Le murate sono delle monache, è un ordine religioso, le mantellate sono delle suore come dice la canzone popolare 'Maronna son soltanto celle scure", è una canzone degli ex detenuti. Questo modello, che è poi il modello dell'inquisizione, ma la sua azione non era più cattiva degli altri modelli, che è stato poi passato al braccio secolare e cioè allo Stato, al suo modo di gestire la reclusione, implica che tu debba nella solitudine murata senza fessure, o con le fessure ridotte al minimo, con una grata. la grata del confessionale, la grata della cella, il chador delle ragazze e delle donne afgane, c'è solo una grata che le separa dal mondo esterno, che infagotti e chiuda il loro corpo. Questa muratura delle persone serve a far sì che le persone si convertano, facciano penitenza rimangano sole con il proprio animo e riscattino sé dal peccato che hanno commesso, prima della colpa penale, prima del reato, c'è il peccato. Le carceri italiane per quanto fingano di essere statali, circondariali, laiche sono ancora propaggini finali ravvivate di questo spirito di penitenza. Non a caso si chiama ancora amministrazione penitenziaria, non hanno più cambiato questo nome perché a nessuno più viene in mente cosa significhi davvero e contemporaneamente hanno reinventato per descrivere dei farabutti delatori di professione e premiati per questo, la parola pentiti che è una parola nobilissima, che dovrebbe riguardare una conversione interiore dell'anima delle persone che si rendono conto di aver sbagliato. Tutta questa parodia, caricatura di comportamenti e sentimenti religiosi presiede al modo in cui si amministrano e padroneggiano i corpi altrui compreso il mio.
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