Il principio lavoristico e le sue varie implicazioni costituzionali
Il diritto al lavoro è riconosciuto dall'art. 4 Cost. Il massimo che
può desumersi dal principio lavoristico, isolatamente preso, è il fondamento
costituzionale dell'indennità di disoccupazione. Ma la corte costituzionale ha
fin dagli inizi ritenuto che il "diritto" in esame si risolvesse in un "invito
al legislatore", per definizione insufficiente ad assicurare a ciascun
cittadino il "conseguimento di una occupazione". Così, le norme legislative
ordinarie sul collocamento dei lavoratori nei posti di lavoro sono state
giustificate dalla corte, appunto in nome dell'intervento dei poteri pubblici;
sicché si determina un nesso fra il principio lavoristico e le norme sui
licenziamenti. Sotto i profili indicati l'art. 4 si riferisce comunque al
lavoro dipendente. Ma quell'articolo è comunemente interpretato come la fonte
di una garanzia ben più comprensiva. Quale premessa indispensabile del "diritto
al lavoro", si pone cioè la cosiddetta libertà di lavoro, concernente l'accesso
al lavoro medesimo e dunque lo svolgimento di "un'attività corrispondente alla
propria capacità professionali". Ma anche quanti insistono sulle garanzie
positive e sociali, ricavabili dal citato primo comma, sono unanimi nel
riconoscere che le libere decisione sulle proprie attività lavorative precedono
il "diritto al lavoro": il quale, altrimenti, si tramuterebbe in un obbligo,
imponibile e sanzionabile. Il dovere del lavoro è stato definito come un
semplice vincolo morale. Ma il dovere stesso può essere forse concepito come il
fondamento delle norme legislative e dei provvedimenti a carico degli oziosi e
dei vagabondi.
In applicazione del principio lavoristico gli articoli 35 e successivi
della costituzione riaffermano e puntualizzano i diritti sociali pertinenti ai
rapporti di lavoro. Ma gli oggetti, il grado di penetrazione e lo stesso
concetto di lavoro sono alquanto diversi secondo i vari casi. "La repubblica
tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni"; tale disposto ha una
"funzione introduttiva". Si spiega perciò che esso non riguardi il solo lavoro
subordinato, ma anche il lavoro autonomo, con la sola esclusione delle attività
imprenditoriali. Tutte le disposizioni successive degli articolo 35-36-37 si
riferiscono ai lavoratori dipendenti. Ma la destinazione ai rapporti di lavoro
dipendente è ancora più palese quanto all'art. 36 concernente il diritto alla
giusta retribuzione, la durata massima della giornata lavorativa, il riposo
settimanale e le ferie annuali retribuite. A differenza di altri diritti
sociali le proposizioni costituzionali riguardanti la giusta retribuzione sono
state subito considerate immediatamente precettive e dunque operative. Ma il
livello retributivo costituzionalmente garantito non è stato fissato a
discrezione; ciò che ha contraddistinto il ricorso all'art. 36 è stato
l'utilizzo giudiziale dei contratti collettivi. In altre parole, sia la
sufficienza della retribuzione si ala proporzionalità di essa trovano i loro
"indici rivelatori" nei contratti collettivi stipulati per varie categorie. È
su questa base che spetta al giudice far corrispondere la retribuzione "a due
fondamentali e diverse esigenze": la prima della quali si ricollega al rapporto
di scambio tra prestatori d'opera e datori di lavoro"; la seconda, cioè la
sufficienza, va salvaguardata "in ogni caso". Dei due criteri è quello della
proporzionalità che appare primario. E ad esso fa riferimento anche l'art. 37
quando prescrive che alle donne lavoratrici ed ai minori competano, "a parità
di lavoro", le stesse retribuzioni di cui godano i lavoratori adulti adibiti
alle medesime mansioni.