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Il lavoratore è tenuto a prestare l'attività lavorativa nel luogo stabilito dalle parti nel contratto o, in mancanza, nel luogo dove l'attività deve essere esplicata. secondo i principi generali la prestazione deve essere eseguita nel luogo determinato dal contratto, dagli usi o desumibile dalla natura della prestazione (art. 1182 c.c.).
La disciplina che limita la durata massima della prestazione di lavoro, concernente l'orario di lavoro, le pause settimanali e le ferie annuali, svolge una rilevantissima funzione di tutela della persona del lavoratore. Essa, infatti, è volta a consentire a quest'ultimo non solo di reintegrare le energie spese nello svolgimento della propria attività, ma anche di soddisfare le proprie esigenze ricreative, familiari e sociali. Le principali fonti normative in materia sono:
Il Dlgs 66 del 2003 definisce orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività e delle sue funzioni. L'orario di lavoro deve essere specificato nel regolamento di azienda e deve essere comunicato al lavoratore mediante il contratto di lavoro o la lettera di assunzione.
L'orario normale di lavoro è fissato di regola su base settimanale ed ha, come limite massimo, quello delle 40 ore. I contratti collettivi possono tuttavia stabilire una durata minore e riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno.
La durata massima concerne il solo lavoro effettivo, ossia quello che richiede un'applicazione continua e senza soste. Inoltre, poiché per il calcolo della giornata lavorativa deve, come si è detto, farsi riferimento al solo lavoro effettivo, non possono prendersi in considerazione: i riposi intermedi (per la consumazione dei pasti); il tempo occorrente per recarsi al lavoro; quello necessario per indossare gli abiti di lavoro o per fornirsi degli attrezzi; le soste di lavoro non inferiori a 10 minuti dovute a forza maggiore oppure a necessità tecniche.
Le ore di lavoro settimanale sono normalmente distribuite su 6 giorni. Il contratto collettivo e il datore di lavoro possono però ripartirle su 5 giorni. In tal caso il sabato (anche se non si lavora) non è considerato riposo settimanale.
L'articolo 16 del decreto legislativo 66/03 indica un lungo elenco di attività per le quali il limite della media settimanale sale a 48 ore: lavoratori agricoli, commessi viaggiatori, giornalisti, dipendenti delle industrie di impianti di distribuzione di carburante, personale di stabilimenti balneari, dipendenti di servizi di pubblica utilità e di servizi nei quali sia necessario assicurare la continuità operativa, ecc.
Non si applica il limite delle 40 ore settimanali anche ai cosiddetti lavoratori discontinui (custodi, guardiani, portinai, fattorini, ecc.), ossia a coloro che svolgendo un'attività di semplice attesa o custodia non hanno un impegno continuativo, e durante l'orario di lavoro hanno pause e lunghi riposi. L'elenco dei lavoratori discontinui è fissato dalla legge (RD 2657/23) e dai contratti nazionali. Anche la durata dell'orario di lavoro di queste figure professionali è fissata dal contratto collettivo nazionale, e sempre deve tener conto della integrità, della salute fisica e psichica del lavoratore.
Se l'orario di lavoro supera le sei ore, il lavoratore ha diritto a una pausa di riposo che per legge non può essere inferiore ai dieci minuti (art. 8 D.lgs.66/03). Generalmente la durata e le modalità della pausa sono indicate, sia nel contratto collettivo nazionale, sia in quello aziendale.
L'orario di lavoro giornaliero deve essere tale da consentire al lavoratore undici ore di riposo consecutive ogni ventiquattro ore. In alcuni specifici casi il contratto nazionale consente una deroga alla legge e la possibilità che al lavoratore siano accordati periodi di riposo più brevi, i quali comunque sono ammessi solo a condizione di periodi equipollenti di riposo compensativo.
L'orario di lavoro settimanale deve tener
conto del diritto del personale a un periodo di riposo di almeno 24 ore
consecutive, di regola in coincidenza con
II lavoro straordinario è quello svolto oltre l'orario normale di lavoro, ossia le 40 ore settimanali previste dalla legge (L. 66/03). Qualora il contratto applicato preveda un orario inferiore alle 40 ore, la prestazione che eccede l'orario contrattuale fino alle limite legale delle 40 ore è denominata lavoro supplementare.
La legge di riforma ammette il ricorso al lavoro straordinario per i seguenti motivi (art. 5 DLgs.66/03):
La legge ha fissato il tetto massimo di straordinario annuale in 250 ore (art. 4 D.lgs. 66/03), spesso la contrattazione collettiva ha stabilito limiti inferiori.
I contratti nazionali di categoria stabiliscono le modalità con le quali si esegue il lavoro straordinario e i limiti massimi (giornalieri e settimanali). Fissano anche le maggiorazioni retributive dovute ai lavoratori per risarcirli dell'allungamento dell'orario di lavoro, e spesso consentono di usufruire di riposi compensativi in aggiunta alle maggiorazioni.
Se mancano disposizioni collettive, si applicano i limiti legali stabiliti dal Dlgs 66/03 e cioè:
con sensualità, ovvero necessità di un preventivo accordo tra datore di lavoro e lavoratore;
limiti di 250 ore annuali.
Il lavoro notturno è soggetto ad una serie di divieti e di limitazioni, in quanto, alterando i ritmi biologici di vita del prestatore, risulta più dannoso e faticoso non solo del lavoro diurno, ma anche del lavoro straordinario. Generalmente i contratti di categoria specificano l'ora da cui decorre il lavoro notturno e dalla quale scattano le maggiorazioni e i benefici contrattuali.
La legge stabilisce che l'orario notturno
è quello svolto nell'intervallo tra la mezzanotte
e le cinque del mattino e che il lavoratore
notturno è colui che svolge almeno tre ore del suo normale lavoro giornaliero
durante il periodo notturno - secondo le norme definite dai contratti -
oppure in mancanza di disciplina contrattuale: qualsiasi lavoratore che svolga
lavoro notturno per almeno 80 giorni lavorativi all'anno. Il lavoro notturno
non deve superare otto ore nell'arco delle
Per compensare la fatica del lavorare durante la notte, tutti contratti di categoria indicano maggiorazioni retributive e nella gran parte dei casi anche delle specifiche riduzioni dell'orario di lavoro. A meno che non sia accertata la non idoneità del dipendente (attraverso le strutture sanitarie competenti), esso ha l'obbligo, se gli viene richiesto, di prestare la sua attività anche di notte.
Sono esclusi dall'obbligo di lavorare dalla mezzanotte alle sei del mattino (art. 11 DIgs. 66/03) i seguenti soggetti:
L'introduzione del lavoro notturno comporta per il datore di lavoro i seguenti adempimenti di carattere informativo:
una consultazione preventiva delle rappresentanze sindacali aziendali, o in mancanza, delle organizzazioni territoriali dei lavoratori, effettuata secondo i criteri e con le modalità previsti dai contratti collettivi e da concludersi entro sette giorni;
una comunicazione annuale, scritta, ai servizi ispettivi del lavoro territorialmente competenti e alle organizzazioni sindacali, avente ad oggetto l'esecuzione di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari notturni periodici; la comunicazione è dovuta solo nel caso in cui il lavoro notturno non sia previsto dal contratto collettivo.
Lo svolgimento di prestazioni di lavoro notturno non può avvenire in danno della salute e dell'integrità psicofisica del lavoratore. Pertanto è obbligo del datore di lavoro accertare lo stato di salute dei lavoratori addetti al lavoro notturno attraverso controlli preventivi e periodici adeguati al rischio cui il lavoratore è esposto secondo le disposizioni previste dalla legge e dai contratti collettivi. Nel caso di sopravvenuta inidoneità alla prestazione di lavoro notturno, accertato dal medico competente o dalle strutture sanitarie pubbliche, il lavoratore verrà assegnato al lavoro diurno, in altre mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili (Dlgs 66/03). Il Dlgs 66/03 non prevede quindi divieti soggettivi di effettuazione di lavoro notturno, assumendo invece il più efficace principio generale che esso non deve essere richiesto ogni qualvolta risulti incompatibile con le condizioni di salute del lavoratore.
Accanto al riposo settimanale si pongono le festività infrasettimanali, nazionali e religiose, disciplinate dalla L. 27 maggio 1949, n. 260, dalla L. 5 marzo 1977, n. 54 e dal D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792. I giorni festivi oggi esistenti sono:
Durante tali festività, i datori di lavoro devono corrispondere ai propri dipendenti - compresi quelli retribuiti ad ore - la normale retribuzione giornaliera. Nel caso in cui, in tali giorni, i dipendenti lavorino, è loro dovuta, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, comprensiva di ogni elemento accessorio, anche la retribuzione per l'attività svolta con la maggiorazione per il lavoro festivo. Nel settore del pubblico impiego, in luogo del trattamento economico, è previsto il recupero delle festività soppresse in altri giorni dell'anno come permessi straordinari o in aggiunta alle ferie, con il pagamento della retribuzione.
L'art. 36, co. III, Cost., sancisce che 'Il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi'. Il D.Lgs. 66/2003 stabilisce che il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane, consentendo tuttavia alla contrattazione collettiva la facoltà di derogare in senso più favorevole.
Stante la funzione dell'istituto, la legge dispone che tale periodo minimo di quattro settimane non possa essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
Durante il periodo feriale, il prestatore ha diritto alla retribuzione globale di fatto corrispondente a quella che percepisce normalmente (comprensiva anche delle voci più strettamente connesse alla prestazione lavorativa); in caso di retribuzione in natura ha diritto all'equivalente in danaro.
La sentenza della Corte costituzionale 30
dicembre 1987, n.
Altre possibilità di sosta nell'attività lavorativa subordinata sono previste dal legislatore per consentire al lavoratore l'espletamento di impegni di carattere civile e personale. Queste soste, che prendono il nome di congedi o permessi, e che costituiscono un vero e proprio diritto del lavoratore, non vanno confuse con eventuali permessi stabiliti dalla contrattazione collettiva o concessi a discrezione del datore di lavoro. Dei permessi e dei congedi parentali si dirà più avanti.
Permessi o congedi retribuiti.
I donatori di sangue hanno diritto di astenersi dal lavoro nel giorno del prelievo.
I lavoratori studenti, oltre a particolari agevolazioni nei turni di lavoro e sul lavoro straordinario, hanno diritto a permessi giornalieri per sostenere prove di esame presso ogni ordine e grado di scuole.
I lavoratori in genere hanno la possibilità di utilizzare 150 ore di permesso annuale di aggiornamento professionale.
Le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l'effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici nel caso in cui debbano essere eseguiti durante l'orario di lavoro.
Al lavoratore che contragga matrimonio deve essere concesso, a sua richiesta, un perioso di congedo la cui retribuzione è interamente a carico del datore di lavoro per gli impiegati mentre per gli operai i primi sette giorni sono a carico dell'INPS.
Permessi o congedi non retribuiti.
I dirigenti delle RSA hanno diritto, oltre ai permessi previsti dall'art. 23 legge 300/70, a non meno di otto giorni annui di permesso non retribuito per convegni, congressi e iniziative sindacali in genere;
i sindaci e gli assessori comunali oltre ai permessi spettanti quali consiglieri, hanno diritto a permessi non retribuiti per almeno 30 ore mensili;
il lavoratore ha diritto a permessi, non retribuiti, per adempiere a doveri civici (teste, votazioni).
Congedi e permessi per handicap grave. L'art. 33 della legge 104/92, modificato dal Dlgs 151/01, disciplina i permessi e i congedi spettanti ai lavoratori con handicap ovvero ai parenti che assistono familiari con handicap ed in particolare:
i lavoratori handicappati maggiorenni hanno diritto a due ore di permesso giornaliero retribuito o, in alternativa, a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche continuativamente a condizione che la persona non sia ricoverata a tempo pieno;
colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità e sia parente o affine entro il terzo grado o convivente, ha diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche continuativamente a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno.
Il Dlgs 151 del 2001 contiene poi la disciplina per i genitori di bambini con handicap grave:
la la voratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con handicap in situazione di gravità hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati;
in alternativa, sempre fino a tre anni di età del bambino, possono essere fruiti i permessi retribuiti di due ore giornaliere;
dopo i tre anni di età, i genitori, alternativamente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche continuativamente a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno;
al raggiungimento della maggiore età del figlio con handicap in situazione di gravità, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre continuano ad avere diritto ai tre giorni mensili di permesso a condizione che sussista convivenza con il figlio o, in assenza di convivenza che l'assistenza al figlio sia continuativa ed esclusiva.
L'art. 42, comma 5, Dlgs 151/2001 prevede in favore dei lavoratori genitori di soggetto con handicap grave il diritto a fruire di congedo, continuativo e frazionato, della durata di due anni.
Permessi e congedi per eventi particolari. La legge 53/00 finalizza alla promozione del migliore equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione prevede che i lavoratori possono fruire di speciali permessi retribuiti pari a tre giorni complessivi all'anno in caso di eventi particolari (decesso o malattia grave di un parente). I lavoratori hanno diritto ad un periodo di congedo non retribuito per gravi e documentati motivi familiari, per la durata massima di due anni in tutta la vita lavorativa, fruibile in modo continuativo o non.
Né la legge 53/00, né le disposizioni di attuazione disciplinano le conseguenze del rifiuto del datore alla concessione del congedo per gravi e documentati motivi familiari, rimanendo alla contrattazione collettiva il compito di regolamentare il procedimento per la richiesta e per la concessione, anche parziale o dilazionata nel tempo, o il diniego del congedo per gravi e documentati morivi familiari.
La lavoratrice e il lavoratore hanno diritto a rientrare nel posto di lavoro alla scadenza del periodo di congedo, o anche prima purché non sia stata fissata una durata minima del congedo, dandone preventiva comunicazione al datore di lavoro.
Congedi
per
Per tali finalità i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, con una anzianità di servizio prillo la stesse azienda o amministrazione di almeno 5 anni, possono richiedere al proprio datore di lavoro la sospensione del rapporto di lavoro per un periodo di congedo, da utilizzare in via continuativa o in modo frazionato, non superiore a 11 mesi nell'arco dell'intera vita lavorativa.
L'art. n. 6 della legge 53 del 2000 sancisce, invece, il diritto per tutti i lavoratori a fruire di percorsi di formazione per tutto l'arco della vita, allo scopo di accrescere le proprie conoscenze e competenze professionali; a tale scopo spetta allo Stato, alle Regioni, agli enti locali il compito di assicurare una offerta formativa articolata sul territorio. Il diritto a fruire di una formazione professionale continua può trovare attuazione attraversi una autonoma scelta del lavoratore dipendente che attraverso piani formativi aziendali o territoriali. Per le attività legate ad attività formative il lavoratore ha diritto ad un monte ore di congedi che dovrà essere stabilito dalla contrattazione nazionale e decentrata; a tale accordo è anche demandato il compito di stabilire i criteri per l'individuazione dei lavoratori che vi posson partecipare, le modalità di fruizione e la retribuzione connessa alla partecipazione a tali attività formative.
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