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Il concetto di diritto e il concetto di Stato
- Il diritto come insieme di regole di condotta
- La peculiarità della "regola giuridica" rispetto agli altri tipi di regole di comportamento
- Il diritto come ordinamento giuridico
- La pluralità degli ordinamenti giuridici
- Gli ordinamenti politici e, in particolare, lo Stato come ordinamento giuridico originario e sovrano
- Il concetto di "costituzione": costituzione formale e costituzione materiale
- Stato comunità (Repubblica o "Stato-ordinamento") e Stato apparato o Stato-soggetto
- Gli elementi essenziali dello Stato: popolo, territorio e governo
- La cittadinanza
Il diritto come insieme di regole di condotta
Il diritto, visto da un primo e più immediato punto di vista, è composto da regole di condotta, che impongono comportamenti inter-soggettivi; in ciò si distinguono le regole giuridiche da quelle morali, da quelle religiose e da quelle fisiche, le quali tutte si indirizzano non soltanto all'uomo nei rapporti con gli altri uomini, ma anche al singolo.
Questo complesso di regole di condotta che formano il diritto ha un preciso scopo fondamentale: quello di assicurare la pacifica convivenza all'interno della comunità nella quale esse vengono poste. La pacifica convivenza può essere assicurata soltanto mediante il raggiungimento di due scopi essenziali: quello della certezza del diritto e quello della certezza dell'osservanza del diritto medesimo.
La certezza del diritto viene assicurata soprattutto mediante la istituzione degli organi giurisdizionali: i tribunali, le corti costituzionali, le corti internazionali e quelle sovranazionali. Il secondo scopo (l'"effettività") può essere raggiunto ricorrendo alla coazione, introducendo cioè accanto alla norma che impone il comportamento una norma complementare che stabilisca sanzioni a carico di chi non osserva la prima.
La peculiarità della "regola giuridica" rispetto agli altri tipi di regole di comportamento
Qual è il fondamento delle norme giuridiche, che le distingue dalle altre regole di condotta? Non si può rispondere altrimenti che richiamando la convinzione collettiva. Convinzione collettiva della necessità che queste regole siano osservate perché indispensabili al funzionamento della società. Questa indispensabilità pone la norma stessa, una volta emanata, in un rapporto di eteronomia rispetto ai destinatari.
La violazione delle norme che poggiano sulla convinzione collettiva provoca perciò immancabili reazioni nell'ambito della società che esse sono destinate a regolare: società la quale non esita a sottoporre al giudizio dei tribunali i violatori delle norme, e addirittura eventualmente ad espellerli dal suo seno mediante il ricorso alla resistenza collettiva. Il che vuol dire che le reazioni della società possono perfino giungere a reazioni di forza, ma solo quando violate siano norme effettivamente vigenti, non norme esistenti ma non osservate, prive cioè del requisito dell'effettività.
Ciò
significa anche che la sanzione - la quale, talvolta, può consistere in
una coazione - accompagna sempre spontaneamente la norma dotata di
effettività (cioè quella osservata), mentre quando accompagna una norma non
osservata, anche se è una norma che esiste formalmente, si dimostra inefficace.
Il diritto come ordinamento giuridico
L'insieme di norme giuridiche può essere anche visto da un secondo punto di vista, unitario e complessivo, ossia come ordinamento giuridico. Questa definizione si affianca all'altra del diritto come insieme di norme ma pone in evidenza un aspetto del tutto peculiare del fenomeno giuridico: mai queste regole di condotta possono essere viste come avulse dalla collettività alla quale esse si dirigono. Una collettività vive in quanto si dà un diritto: ubi societas, ibi jus. Il concetto del diritto come ordinamento sottolinea il carattere unitario delle norme giuridiche, le quali lo assumono non appena la società struttura la propria vita collettiva divenendo così "effettiva".
L'ordinamento giuridico presenta le seguenti caratteristiche:
a) esso, attraverso l'insieme di regole di condotta che vengono poste, crea la propria organizzazione con i suoi centri di potere;
b) l'ordinamento compie costantemente, senza mai arrestarsi, una discriminazione fra ciò che lo interessa e ciò che non lo interessa: esso decide sulla rilevanza dei comportamenti umani;
c) l'ordinamento giuridico, ancora, è capace di completarsi da sé: ciò vuol dire che l'ordinamento stesso rifugge dalle lacune, ossia dai "vuoti normativi";
d) esso infine predispone un sistema di garanzie, allo scopo di assicurare la vita futura dell'ordinamento anche in presenza dei prevedibili attentati che saranno apportati contro di esso.
La pluralità degli ordinamenti giuridici
Gli ordinamenti giuridici sono di numero indefinito, in quanto molteplici sono i fini e gli interessi capaci di raggruppare gli uomini in collettività organizzate.
Allo scopo di fare qualche esempio sulla molteplicità degli ordinamenti giuridici, si può pensare non soltanto ai più piccoli, come le società commerciali o le associazioni civili, ma anche a quelli più rilevanti, che talvolta sono più grandi dello Stato.
Esempi
di ordinamenti giuridici che vanno al di là dei confini degli Stati sono gli
ordinamenti sovranazionali e il più tradizionale ordinamento internazionale.
La differenza più rilevante tra i primi e il secondo è che gli ordinamenti
sovranazionali, come la Comunità europea e l'Unione europea, si chiamano così
in quanto - per effetto dei Trattati istitutivi - sono caratterizzati dal
potere di adottare atti normativi che entrano a far parte direttamente dell'ordinamento
giuridico degli Stati membri, senza bisogno del consenso, volta per volta, da
parte dei medesimi.
Gli ordinamenti politici e, in particolare, lo Stato come ordinamento giuridico
originario e sovrano
Fra gli ordinamenti giuridici si dicono politici quelli portatori di un fine generale, onnicomprensivo, che comprende cioè tutti i fini fondamentali della convivenza civile.
Il paradigma di tali ordinamenti è lo Stato, che si distingue dagli altri per l'elemento territoriale che esso possiede, e per il fatto che è, di regola, superiorem non recognoscens, cioè possiede la sovranità esterna in rapporto con gli altri Stati, oltre che la sovranità interna nel disciplinare la pacifica convivenza.
Attraverso le sue leggi fondamentali, che si dicono costituzionali, o più semplicemente "costituzione", lo Stato assume e dismette, volta a volta, i fini essenziali che si propone di perseguire o rispettivamente di abbandonare, disciplinando l'organizzazione dei centri di potere, nonché i rapporti con la comunità sottostante. Quella che - come si vedrà - viene chiamata funzione costituente crea il nuovo Stato; e nell'atto in cui lo crea lo fornisce delle sue tavole di fondazione. Da questo punto di vista, lo Stato è un ordinamento giuridico originario, nel senso che non deriva la propria esistenza da alcun potere diverso o superiore.
Nel corso della storia, peraltro, ogni Stato assume e dismette numerosissimi fini, oltre a quelli che figurano nella costituzione, cioè nel suo atto di nascita; la costituzione è dunque soltanto la pietra angolare sulla quale si modella e nella quale si riconosce la comunità di persone che hanno deciso di convivere pacificamente.
Il concetto di "costituzione": costituzione formale e costituzione materiale
Cos'è allora la costituzione dello Stato? Essa si può definire come un insieme di regole giuridiche fondamentali che caratterizzano un determinato Stato in un dato momento storico. Possono essere regole scritte o anche regole non scritte, ma non è neppure pensabile che uno Stato esista senza una costituzione.
La costituzione si suole distinguere in costituzione formale e costituzione materiale.
La costituzione formale è quella che appare dai testi scritti e dalle consuetudini vigenti.
Quella materiale (che può essere solo una parte di quella formale, o addirittura può essere, in parte almeno, diversa da quella formale) è il nucleo essenziale della costituzione effettivamente vigente, perché poggiante sulla forza dei gruppi politici che hanno un peso nel gioco delle forze politiche in campo.
La costituzione in senso materiale non è dunque il gruppo politico dominante, come talvolta si dice; essa è il complesso delle norme istituzionali per il raggiungimento dello scopo voluto dal gruppo dominante, quale risulta temperato dalla presenza, dialettica e polemica, delle altre forze politiche efficienti, sia di quelle schierate a fianco della maggioranza, sia di quelle schierate all'opposizione.
Stato comunità (Repubblica o "Stato-ordinamento") e Stato apparato o "Stato-soggetto"
Lo Stato democratico contemporaneo tende sempre di più verso una soluzione di sdoppiamento fra Stato-apparato e Stato-comunità, intendendosi per Stato-apparato il complesso organizzativo che realizza il potere supremo, e per Stato-comunità il complesso organizzativo cui lo Stato riconosce un potere autonomo, in quanto espressione diretta di organismi sociali all'interno della comunità.
Tale distinzione nasce per evitare di affidare al primo (cioè alla pesante soprastruttura gravante dall'alto) tutte le funzioni tipiche dello Stato, preferendo distribuire fra organi e istituti dello Stato-comunità (cioè istituti meno burocratici, più vicini agli uomini che vivono nello Stato) un gran numero di interessi da tutelare. Tali istituti dello Stato-comunità sono basati su un principio essenziale, quello di autonomia.
Autonomia equivale a libertà di auto-organizzarsi: sono liberi di darsi una propria organizzazione, purché non sia in contrasto con quella dello Stato, sia enti pubblici, sia enti privati, sia i singoli, sia le comunità intermedie fra società e individuo. Oltre a concedere o riconoscere queste autonomie, che tendono a diventare sempre più vaste e più consistenti, gli Stati contemporanei decentrano il più possibile la loro organizzazione di apparato, perché in questo modo si ottiene una maggiore conoscenza dei problemi locali e una più rapida decisione di essi (art. 5 Cost.).
Art. 5 Cost.. - La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.
La massima espressione di tale tendenza nel nostro ordinamento è oggi rappresentata dall'art. 114 Cost
Art. 114 Cost. − La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento (1).
Articolo così sostituito dall'art. 1 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
Gli elementi essenziali dello Stato: popolo, territorio e governo
All'interno dello Stato, la sovranità si rende effettiva attraverso tre elementi. Alludiamo al popolo, al territorio ed al governo (in senso lato). Si tratta, in realtà, di elementi assai eterogenei, per cui giustamente si è osservato che essi sono del tutto inadatti a comporre, insieme, il concetto di Stato e che, in fondo, popolo e territorio sono anzitutto presupposti essenziali dello Stato. La dottrina tradizionale ritiene comunque che vi sia uno Stato se quel determinato ordinamento giuridico sia caratterizzato da:
a) un popolo, ossia una comunità di persone legate da un vincolo riconosciuto, le quali intendano istituzionalizzarlo;
b) un territorio, sul quale il popolo vive: si esclude in genere, infatti, l'esistenza di Stati nomadi, così come si esclude che l'occupazione bellica trasferisca il territorio occupato dallo Stato vinto all'occupante, mentre si ritiene ben possibile che, in caso di Stato federale, lo stesso territorio funga da elemento di esso e nel contempo dei singoli Stati membri;
c) un governo, inteso come organizzazione dei centri di potere, organizzazione che può essere oligarchica, fino a ridurre il numero dei centri di potere ad uno solo (monarchia assoluta, dittatura), oppure democratica, basata sul bilanciamento tra più centri di potere.
La cittadinanza
Il popolo è costituito dalle persone che fanno parte dello Stato in quanto ne hanno la cittadinanza. Il complesso del popolo è quindi costituito dal complesso dei cittadini, intendendosi per cittadini non soltanto le persone fisiche, ma anche le associazioni e le persone giuridiche aventi la nazionalità: in altre parole, anche le cosiddette "comunità intermedie" (fra singoli e Stato) sono, come tali, cittadini dello Stato, fanno cioè parte del popolo.
La cittadinanza non può essere tolta unilateralmente dallo Stato per ragioni politiche: questo dispone l'art. 22 Cost. perché in precedenza, sotto il fascismo, si era fatto largo uso del potere di togliere la cittadinanza, sia a singoli antifascisti, sia, nel 1938, a interi gruppi della popolazione (ebrei), privando costoro, in modo profondamente iniquo e disumano, di tutti i diritti che spettano al cittadino.
Art. 22 Cost. - Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.
La legge sulla cittadinanza è la legge n. 91 del 1992. La disciplina legislativa contempera il principio fondamentale, in materia di attribuzione della cittadinanza, che è quello del diritto del sangue (ius sanguinis) (è cittadino il figlio di genitore cittadino) con quello del diritto del territorio dove si nasce (ius soli) (è cittadino chi nasce in Italia da genitori stranieri o apolidi che non comunicano la loro cittadinanza in base alla legge dello Stato cui appartengono) e infine con gli altri due principi del diritto di scelta (ius electionis) e della comunicabilità del diritto di cittadinanza di un membro della famiglia all'altro (iuris communicatio).
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