I giudici costituzionali: nomina, permanenza in carica e "status"
Stando all'art. 135 primo comma della costituzione, la corte consta di
quindici giudici: "nominati per un terzo dal presidente della repubblica, per
un terzo dal parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme
magistrature ordinaria ed amministrative". Ma le necessarie attitudini ed
esperienze tecniche di tutti i giudici sono state comunque garantite dal
secondo comma dell'art. 135, dove si prescrive che le scelte cadano "fra i
magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed
amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli
avvocati dopo venti anni di servizio". Quanto ai giudici eletti dalle camere
riunite, è degno di nota che la loro nomina debba essere deliberata "con la
maggioranza dei due terzi dei componenti dell'assemblea". Fin dagli inizi,
pertanto, la composizione della corte è dipesa da scelte che venivano a
coinvolgere la stessa minoranza. Quanto ai giudici nominati dal presidente
della repubblica, è ancora più determinante il fatto che i relativi decreti di
nomina vengano bensì controfirmati dal presidente del consiglio dei ministri,
ma indipendentemente da qualsivoglia proposta governativa. Problemi siffatti
non si pongono, invece, quanto ai giudici eletti dalle "supreme magistrature":
tre dei quali vanno scelti dalla Cassazione, uno dal consiglio di Stato ed uno
dalla corte dei conti. È significativo che sin dalla prima votazione ci si
accontenti della "maggioranza assoluta dei componenti del collegio". Fra le
varie componenti della corte costituzionale si realizza in tal modo una
equilibrata integrazione reciproca. Ma l'equilibrio corre il rischio di venire
meno, allorché nella corte si inseriscono, per i giudizi penali di sua
competenza, altri sedici giudici aggregati: i cui nominativi sono "tratti a
sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a
senatore, che il parlamento compila ogni nove anni mediante elezione".
Già estesa a dodici anni, quella dei giudici costituzionali è ora una
durata novennale. Di più: "alla scadenza del termine il giudice costituzionale
cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni": il che vale ad escludere
la prorogatio. Nel corso del suo novennato, però, nessun giudice può essere
rimosso o sospeso dall'ufficio. Fanno eccezione le sole ipotesi di
"sopravvenuta incapacità fisica o civile" e di "gravi mancanze" nell'esercizio
delle funzioni. Ulteriori garanzie dell'indipendenza dei giudici costituzionali
risultano dalla disciplina del loro status. In primo luogo, consiste anche in
ciò il fondamento della norma costituzionale che vieta la loro nomina per un
secondo novennato. In secondo luogo, è questo lo scopo cui tendono le norme
sulle rispettive cause d'incompatibilità. In terzo luogo, al pari dei
parlamentari, i giudici in questione "non sono sindacabili, né possono essere
perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro
funzioni". In quarto luogo, ai giudici in carica competono le "immunità" già
previste dall'art. 68 secondo comma Cost.; ed è la corte che può, in tali casi,
deliberare le necessarie autorizzazioni a procedere ed agli arresti.