Dagli Stati liberali agli Stati democratici; lo Stato sociale di
diritto
Il superamento delle contraddizioni insite nei primitivi stati di
diritto comincia ad attuarsi tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, con
l'estensione del diritto di voto a tutti i cittadini che raggiungono la
maggiore età. Il suffragio universale viene stabilmente introdotto dapprima a
vantaggio dei soli abitanti delle città, quindi per le stesse popolazioni delle
campagne. Dal punto di vista dei suoi contenuti lo Stato di diritto diviene
pertanto uno Stato sociale, che mira a
realizzare un'effettiva eguaglianza di tutti i cittadini, operando se non altro
nelle tre direzioni seguenti: primo nel senso di distinguere dal comune diritto
dei privati il diritto del lavoro. Secondo, nel senso d'istituire forme
generalizzate di previdenza e di assistenza destinate a favore di intere
categorie assistibili, senza riguardo alle loro condizioni soggettive: terzo
nel senso di individuare il diritto dell'economia pubblica avente per oggetto
gli interventi diretti delle pubbliche amministrazioni nel campo economico. In
antitesi alla dottrine liberistiche, si prende in effetti coscienza che lo
Stato non può fungere da semplice spettatore dei rapporti economici, dovendo
invece attivarsi per assicurare una maggiore giustizia sociale; così si
giustifica non solo una vasta attività statale rivolta a controllare e
indirizzare le attività degli operatori privati, ma la stessa nazionalizzazione
delle imprese e dei servizi considerati di preminente interesse pubblico.
Tuttavia questo moltiplicarsi degli interventi statali non può non implicare contraccolpi
assai notevoli, sia nelle forme di governo sia nelle complessive forme di
Stato. Tanto gli Stati di tipo nazional-fascista quanto gli Stati socialisti o
comunisti si contraddistinguono anzitutto per la soppressione o la deformazione
delle libertà individuali: che in alcuni
casi (come nel III Reich germanico) non hanno più nessuna garanzia di ordine
costituzionale, in altri (come nella Russia sovietica) sono trasformante in
situazioni soggettive c.d. funzionali, cioè suscettibili di venir fatte valere
nel solo interesse collettivo, interpretato autoritariamente dagli organo di
governo del Paese. Ma parallelamente la divisione dei poteri cede
necessariamente il passo alla confusione o alla concentrazione di tutte le
funzioni statali. Tutti questi Stati si pongono come ordinamenti ed
organizzazione di tipo totalitario, miranti a guidare tutte le azioni e le
opinioni dei loro cittadini secondo comuni indirizzi.Meno semplice è invece il
problema se negli ordinamenti ridivenuti o rimasti di stampo liberal-democratico
la forma dello Stato di diritto sia sopravvissuta od abbia finito qui pure per
estinguersi, danno luogo alla forma degli Stati sociali. Chi i presupposti
politici dell'azione degli Stati stessi non siano più quelli del secolo scorso,
può considerarsi del tutto pacifico. Ma molti studiosi ritengono che assieme ai
presupposti, anche le più caratteristiche fra le garanzie insiste nel
Rechtsstaat siano state messe irrimediabilmente fuori gioco, perché
incompatibili con i nuovi compiti statali. In uno Stato che interviene di
continuo nel tessuto dei rapporti economico-sociali, è infatti inevitabile che
gli atti legislativi si amministravizzino, risolvendosi in leggi-provvedimento
del caso concreto anziché in leggi norma generali ed astratte; mentre
l'amministrazione si trasferisce a sua volta dal campo del diritto pubblico
tradizionalmente inteso nel campo delle attività imprenditoriali, naturalmente
soggette al diritto privato. Non è facile stabilire fino a che punto simili
siano accettabili: anche perché su questo punto si riscontra un nettissimo
divario fra quanto appare dalla lettura della Carte costituzionali e quanto si
desume da un più realistico esame degli ordinamenti rispettivi. Stando alle
Carte costituzionali più recenti, si potrebbe trarne addirittura l'impressione
che le strutture dello Stato di diritto abbiano subito un rafforzamento od un
perfezionamento. Sicché, se l'indagine potesse arrestarsi a questo punto, se ne
dovrebbe desumere che la forma dello Stato italiano non è affatto mutata, salva
la parentesi del ventennio fascista: semplicemente, dallo Stato liberale
ottocentesco si sarebbe passati ad uno Stato sociale di diritto. Se tuttavia,
si confrontano i modelli delineati dalle Carte costituzionali con le realtà
sottostanti, si dimostra che non sono completamente infondate le tesi di quanti
considerano concluso il ciclo dello Stato di diritto. In primo, cioè, non è
dubbio che i Parlamenti non operino più secondo gli schemi del Rechstssaat, in
quanto essi approvano ben poche "grandi leggi", deliberando piuttosto una massa
di misure legislative o di "leggine". In secondo luogo, questa stessa azione
può comportare che i settori realmente riservati agli operatori economici
privati si restringano progressivamente e per converso si allarghino le
responsabilità imprenditoriali delle pubbliche amministrazioni. In terzo luogo,
l'alterazione dei ruoli tradizionali dei pubblici poteri sta ripercotendosi
finanche sulla magistratura, che per un verso tende a sostituirsi ad altri
organi statali, per l'altro è privata degli indispensabili punti di
riferimento.