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Amministrazione di regolazione
Le funzioni di regolazione sono quelle attività svolte dalle amministrazioni mediante l'esercizio del potere autoritario, che mirano al soddisfacimento degli interessi di una parte di soggetti limitando però il soddisfacimento degli interessi di altri soggetti, le libertà e i diritti di altri individui. Le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari dei provvedimenti autoritativi vengono considerati interessi legittimi. Ad esempio l'obbligo che i mezzi di trasporto abbiano requisiti prestabiliti. Le funzioni di prestazione sono quelle funzioni svolte dalle amministrazioni volte ad assicurare ai soggetti prestazioni di vario genere. L'insieme di questi due tipi di funzione costituisce la ragione dell'esistenza delle amministrazioni e sono dette funzioni finali. Per svolgere le loro funzioni, le amministrazioni hanno bisogno di personale e di beni; esse non curano direttamente l'interesse del cittadino ma svolgono delle funzioni strumentali. L'amministrazione svolge inoltre funzioni ausiliarie, ovvero attività di consulenza e di controllo volte a favorire la buona qualità dell'amministrazione.
POTERI AUTORITARI E GARANZIE RELATIVE
Con il termine autoritatività o autoritarietà viene indicato un complesso di poteri che riguardano la funzione di regolazione. Alcuni poteri dell'amministrazione si caratterizzano per la loro imperatività. Ad esempio secondo il codice della strada, un veicolo non può superarne un altro ad un certo limite di velocità. Quando l'amministrazione impartisce l'ordine mediante un atto unilaterale con il quale manifesta la propria volontà, ottiene l'effetto giuridico di far sorgere l'obbligo per i soggetti di non circolare ad una velocità superiore al limite da essa indicata, obbligo per il quale potrà imporne il rispetto mediante controlli e sanzioni. Per stabilire se un provvedimento sia di natura autoritativa, è necessario esaminare il consenso degli interessati affinché certi tipi di atti possano raggiungere i propri effetti. Gli effetti di un provvedimento che costituisce manifestazione di un potere imperativo si realizzano nonostante la volontà contraria del destinatario, e se pure il consenso di quest'ultimo ci fosse non avrebbe comunque rilevanza. Nei rapporti tra privati invece, per ottenere gli effetti di un provvedimento imperativo è indispensabile un accordo ed è necessario il consenso della parte la cui libertà risulta limitata in quanto i privati sono posti in una posizione di reciproca eguaglianza, e di norma l'ordinamento non attribuisce efficacia giuridica ad atti che pretendono di incidere nella sfera giuridica di altri. Nei pochi casi in cui la legge lo preveda, tale effetto verrà ottenuto attraverso un provvedimento giudiziale. Quindi per essere considerato imperativo, è necessario che si prescinda dal consenso di chi ne subirà gli effetti. L'amministrazione pubblica esercita inoltre un altro tipo di potere definibile come autoritativo, ed è quello dell'esecutorietà dei provvedimenti amministrativi. Nei rapporti tra privati, il creditore ha il dovere di accertare l'esistenza di un'obbligazione nei suoi confronti mediante una sentenza del giudice. Soltanto dopo la pronuncia della sentenza, che costituisce un titolo esecutivo ed è il presupposto necessario per l'intervento coattivo, il creditore può ottenere l'uso della forza per costringere il debitore ad adempiere l'obbligazione (esecuzione forzata). Ciò avverrà a conclusione di un nuovo procedimento svolto sotto il controllo del giudice, detto esecutivo, a garanzia che la forza venga usata in modo corretto e senza eccessi. Se invece un privato ha un'obbligazione nei confronti di un'amministrazione pubblica, che può essere sorta con l'emanazione di un provvedimento imperativo ed egli non provvede ad adempiere, può avvenire che l'amministrazione pubblica ricorra all'esecuzione forzata senza chiedere al giudice che venga pronunciata una sentenza per far accertare l'effettiva esistenza dell'obbligazione, giacché il provvedimento viene considerato esecutivo, e neanche per ottenere l'uso della forza per costringere il debitore ad adempiere, giacché il provvedimento viene considerato esecutorio. L'esecutorietà e l'esecutività del provvedimento amministrativo, vengono denominate forme di autotutela dell'amministrazione pubblica, nel senso che mentre un privato deve chiedere l'intervento del giudice per ottenere la tutela che gli serve, una pubblica amministrazione quando i suoi poteri autoritari sono giunti fino all'esecutorietà del provvedimento può fare da sé.
Infatti secondo l'art. 21 -ter LPA le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge. Inoltre il provvedimento costitutivo degli obblighi dovrà indicare il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. L'esecutorietà può talvolta indurre in equivoci. Un equivoco potrebbe essere quello di credere che di fronte a provvedimenti esecutori il cittadino sia privo di tutela giurisdizionale. Infatti è compito del cittadino ,quando l'amministrazione pubblica emana un provvedimento imperativo, di rivolgersi al giudice affinché ne verifichi la conformità alla legge e proceda al suo annullamento nel caso in cui l'atto non sia conforme alla legge. Inoltre il cittadino può chiedere al giudice di sospendere l'esecuzione del provvedimento ancor prima che ne sia verificata la conformità nel caso possano derivargli danni gravi e irreparabili. Un altro equivoco potrebbe essere quello di credere che l'esecutorietà possa darsi esclusivamente in relazione a un provvedimento imperativo. Un ulteriore equivoco si potrebbe avere se si citasse l'esecutorietà in riferimento agli effetti reali di un provvedimento imperativo; infatti ha senso parlare di esecutorietà solo con riferimento ad atti che abbiano effetti obbligatori perché quanto agli effetti reali gli atti sono evidentemente auto-esecutivi. Altre manifestazioni di autoritarietà possono considerarsi l'annullamento d'ufficio e la revoca, che vengono chiamati provvedimenti di secondo grado in quanto hanno per oggetto altri provvedimenti. La revoca è un provvedimento con il quale, mediante una decisione unilaterale, si può eliminare un atto facendone venir meno l'efficacia e dunque sacrificando gli interessi e le posizioni giuridiche fondate sull'atto stesso. Secondo un'opinione tradizionale, i provvedimenti amministrativi possono essere revocati quando un dato provvedimento dovesse risultare non più conforme all'interesse pubblico, e in tal caso gli eventuali interessi che son stati soddisfatti dal provvedimento verrebbero sacrificati con una decisione unilaterale. Secondo il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi autoritativi, è la legge che individua gli atti che possono avere effetti autoritativi, i loro effetti, in presenza di quali presupposti possono essere presi e quali organi possono emanarli e con quale procedimento. La legge prende queste decisioni in base al contesto nel quale le amministrazioni pubbliche devono agire. L'ordinamento prevede la possibilità dell'emanazione delle cosiddette ordinanze contingibili ed urgenti, cioè di provvedimenti che possono essere emanati solo in caso di urgenza e possono disporre solo in relazione alla situazione contingente, e che quindi dovrebbero intervenire in situazioni impreviste e imprevedibili per fronteggiare le esigenze più immediate. Il principio di tipicità viene inoltre attuato quando ad esempio il campo d'azione dell'amministrazione è caratterizzato da problemi tecnici complessi e in continua evoluzione, se la competenza a prendere tali provvedimenti sia attribuita ad organismi competenti in materia, e se le finalità da questi perseguite sono chiare. Secondo il cosiddetto principio di nominatività, si ritiene che se per certi provvedimenti è possibile la deroga ad alcuni aspetti del principio di tipicità deve sempre trattarsi di provvedimenti nominati cioè previsti. Secondo il principio di proporzionalità, il potere deve essere esercitato in modo che si abbia il minor sacrificio degli interessi dei destinatari. In base a questo principio, i provvedimenti autoritari devono essere idonei al raggiungimento del fine, devono essere effettivamente necessari a questo fine e non devono incidere sulle situazioni giuridiche soggettive in misura superiore a quella indispensabile in relazione al fine stesso. Mentre la tipicità può operare positivamente anche soltanto in senso formale assicurando comunque la giustiziabilità del provvedimento, la proporzionalità ha invece una portata sostanziale. La particolare attenzione che viene posta attualmente sulla proporzionalità, può spiegarsi con la difficoltà di rispettare esattamente la tipicità; i due principi si integrano in modo reciproco. Viene considerato un aspetto della proporzionalità, il criterio di semplicità, ovvero l'esigenza di evitare restrizioni delle libertà non necessarie e l'imposizione di adempimenti burocratici evitabili. Tale esigenza viene espressa nell'art. 1 c. 2 LPA secondo il quale la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria. Nella LPA sono state dettate altre disposizioni normative con l'obiettivo di semplificare l'attività amministrativa; è previsto inoltre che il Governo presenti annualmente un disegno di legge di semplificazione.
Nel diritto comunitario, una direttiva sui servizi nel mercato interno stabilisce che gli Stati membri devono esaminare le procedure e le formalità relative all'accesso ad un'attività di servizi e al suo esercizio. Nel caso in cui quest'ultime non siano semplici, gli Stati membri devono provvedere a semplificarle.
TIPOLOGIE DI PROVVEDIMENTI AUTORITATIVI E RELATIVE POSIZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
Vi sono provvedimenti autoritativi individuali e generali; i primi riguardano individui, i secondi riguardano gruppi nel loro insieme. Tra i provvedimenti generali più importanti ci sono i cosiddetti provvedimenti conformativi ovvero che hanno effetti imperativi consistenti nella definizione del contenuto di un diritto in termini di poteri e facoltà del suo titolare. Per tali provvedimenti non ci sono problemi di esecutorietà in quanto per provvedimenti di questo genere non si richiede una separata attività di esecuzione. Anche se i provvedimenti conformativi incidono su diritti preesistenti, viene riconosciuta la tutela degli interessi legittimi. Fanno parte di tali provvedimenti, i regolamenti che sono atti normativi dotati di generalità ed astrattezza. Ve ne sono alcuni il cui contenuto è essenzialmente tecnico e ad essi si applica il regime degli atti amministrativi. Sono provvedimenti conformativi anche i piani o anche detti programmi. Sono atti generali non astratti in quanto si riferiscono a situazioni attuali e concrete. Talvolta i piani sono costituiti da un insieme di prescrizioni contestuali che si integrano in modo reciproco e che sono tenute insieme da una determinata coerenza rispetto ad un obiettivo. Tra i piani ci può essere un rapporto gerarchico nel senso che le prescrizioni di un piano potrebbero essere tenute a rispettare le prescrizioni di un piano di un livello superiore. Ai piani ci si può anche riferire utilizzando il termine programma ma quest'ultimo può essere usato in riferimento ad un insieme di prescrizioni volte a coordinare delle attività rispetto ad un obiettivo. Vengono ritenuti provvedimenti generali conformativi, i provvedimenti che stabiliscono le tariffe dei servizi di pubblica utilità o i livelli di qualità che questi devono possedere, e vengono ritenuti generali in quanto riguardano l'insieme degli utenti dei servizi e dei fornitori. Per quanto riguarda i provvedimenti individuali possono avere effetti conformativi i provvedimenti relativi per esempio, alla tutela del paesaggio; infatti sono previsti dei piani paesaggistici con i quali l'intero territorio viene sottoposto a una specifica normativa. Sono previsti inoltre che possano essere emanati dei provvedimenti che conformano diritti di proprietà, e che anche le cosiddette autorizzazioni che rientrano nei provvedimenti individuali possono avere effetti conformativi. I provvedimenti ablatori o privativi producono effetti imperativi che consistono nel privare un soggetto di un diritto senza il suo consenso. L'oggetto dell'ablazione può riguardare diritti reali, patrimoniali o personali. I provvedimenti ablatori personali, privano i soggetti di poteri inerenti le loro libertà costituzionali o inerenti i diritti alla persona. Essi sono costituiti dagli ordini i quali possono avere un contenuto positivo e che perciò vengono detti comandi. Ad esempio l'obbligo sanitario di sottoporsi a una vaccinazione. Possono avere anche un contenuto negativo e in tal caso son detti divieti. Ad esempio quelli attinenti alla circolazione stradale. Non tutte le libertà sono oggetto di ablazione in quanto vige la riserva di provvedimento giudiziario. Per questi provvedimenti vi è il problema dell'esecuzione, ma l'esecutorietà viene esclusa in quanto si è in mancanza di previsione legislativa delle ipotesi e delle modalità. I provvedimenti ablatori reali incidono su diritti patrimoniali. Sono tali quelli che incidono su diritti reali estinguendoli, privandoli oltre un certo limite del contenuto o costituendone nuovi su cosa altrui. Il più noto dei provvedimenti ablatori reali è l'espropriazione per pubblica utilità il cui effetto consiste nel privare coattivamente un soggetto di un diritto, attribuendone la titolarità ad un altro soggetto. Secondo la disciplina originaria, tale provvedimento veniva preso da un prefetto su richiesta del soggetto che doveva realizzare l'opera, dopo che con la dichiarazione di pubblica utilità veniva riconosciuta la necessità di realizzarla. Il soggetto a cui favore veniva pronunciata l'espropriazione doveva versare un'indennità di espropriazione, ovvero una somma di denaro corrispondente al valore di mercato del bene espropriato. Attualmente non viene più fatta la dichiarazione di pubblica utilità in quanto è implicita nella destinazione di un suolo ad un uso pubblico da parte di un piano urbanistico.
Il provvedimento può essere preso anche dal soggetto che acquisisce il bene espropriato e l'indennità di espropriazione è determinata in misura inferiore al valore di mercato del bene. L'espropriazione ha efficacia reale ed ha effetti obbligatori. La giurisprudenza ritiene non eliminabili gli effetti di provvedimenti ablatori illegittimi, dando vita a un istituto privo di fondamento legislativo, la cosiddetta occupazione acquisitiva sulla cui base si ha l'effetto dell'acquisto della proprietà e si è tenuti al risarcimento del danno. Un altro provvedimento ablatorio ad effetti reali è la requisizione. Il motivo di interesse generale che ne deve costituire il presupposto deve essere una situazione di emergenza di tipo militare, come una guerra, o di tipo civile, come un cataclisma. Le requisizioni riguardano beni immobili dei quali viene normalmente sottratto l'uso, e beni mobili dei quali viene sottratta la proprietà. Per quanto attiene all'istituto della prelazione su beni culturali, se un bene viene ritenuto d'interesse storico o artistico secondo l'apposito procedimento è oggetto di compravendita tra privati; le parti sono tenute a notificare il contratto all'amministrazione competente che può esercitare il diritto di prelazione acquistando essa stessa il bene al prezzo convenuto tra le parti. I provvedimenti ablatori obbligatori fanno sorgere imperativamente delle situazioni obbligatorie. Trovano la loro fonte nell'art. 23 Cost. che consente l'imposizione di prestazioni personali o patrimoniali. I provvedimenti più importanti di questa categoria sono quelli che impongono tributi i quali comportano il pagamento di una somma di denaro. Ci sono inoltre le cosiddette precettazioni, cioè provvedimenti che impongono la prestazione di un'attività lavorativa. I provvedimenti sanzionatori sono quelli che hanno una funzione punitiva o affittiva con lo scopo di infliggere una punizione in relazione a dei comportamenti che sono ritenuti meritevoli di pena. Ad esempio le sanzioni pecuniarie come le ammende per la violazione del codice della strada. Le posizioni giuridiche soggettive rilevanti in quest'ambito sono i diritti soggettivi. Alla categoria dei provvedimenti sanzionatori appartengono anche quelli che svolgono una funzione ripristinatoria. I provvedimenti caratterizzati da questa funzione mirano a rimediare alle conseguenze derivanti da comportamenti contrastanti con la legge in modo da assicurare comunque il raggiungimento degli obiettivi voluti dall'ordinamento. Hanno funzione sanzionatoria anche le revoche di provvedimenti aventi effetti favorevoli, come per esempio in caso di inosservanza delle condizioni apposte ad un'autorizzazione. Per i provvedimenti sanzionatori vi è l'esigenza dell'esecutorietà. I provvedimenti autorizzatori riguardano provvedimenti detti appunto autorizzazioni o per i quali sono usati termini diversi come licenze, abilitazioni, nullaosta, permessi, dispense o ammissioni. Solitamente per autorizzazione si intende un provvedimento che rimuove un limite all'esercizio di un diritto. Quindi la norma che richiede un'autorizzazione necessità di una sorta di assenso di un'amministrazione allo svolgimento di un'attività considerata ammissibile dal diritto. L'autorizzazione viene considerata un istituto che consente a una pubblica amministrazione di conoscere i programmi e le attività dei cittadini prima che queste abbiano un principio. Questi provvedimenti consentono di verificare se esistono i presupposti e i requisiti per i quali la legge dà il diritto al privato di svolgere un'attività programmata, esercitare poteri conformativi nei casi in cui la legge lo preveda ed esercitare poteri ablatori. Il rilascio dell'autorizzazione avviene esclusivamente previa verifica dei presupposti e dei requisiti previsti dalle leggi; ci possono essere però due ipotesi. La prima è che l'effettuazione di tale verifica costituisca un'operazione conoscitiva a risultato certo. L'autorizzazione si innesta su un'attività amministrativa di tipo accertativa ed è implicito in essa un atto dichiarativo. Inoltre è previsto un contingentamento, ovvero un numero chiuso delle autorizzazioni che possono essere rilasciate. Per stabilire quali richieste di autorizzazione accogliere occorre fare delle graduatorie. La seconda ipotesi è che si debba effettuare una verifica a risultato non certo. Le autorizzazioni che richiedono queste verifiche vengono chiamate abilitazioni o accreditamenti. Ad esempio si hanno atti autorizzativi di questo tipo quando è prescritto che chi intende svolgere certe attività deve essere in possesso di certi requisiti di idoneità tecnica. In questo caso l'autorizzazione svolge una funzione di verifica preventiva del possesso. Talvolta è possibile che l'amministrazione competente per l'autorizzazione scelga le modalità con cui l'attività deve essere svolta, definendo poteri e facoltà riguardanti il diritto che si vuole esercitare in occasione del rilascio dell'autorizzazione.
Altre volte è possibile che la legge attribuisca all'amministrazione il potere discrezionale di decidere se un'attività può essere svolta o sia da evitare; quest'ultimo caso porterà effetti ablatori. Ci son stati casi nei quali anche in Italia, è stata messa in discussione l'esigenza dell'intervento regolatorio, e conseguentemente sono state attuate delle politiche di deregolazione cioè volte a ridurre le limitazioni alle libertà dei privati. Si è constatato che le attività di regolazione contrastavano con i principi di proporzionalità e semplicità, e ciò ha avuto come effetto degli interventi legislativi diretti alla semplificazione. La d.i.a. detta anche dichiarazione di inizio attività, è un istituto al quale si fa ricorso quando il rilascio degli atti dipenda solo dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti previsti dalla legge, o da atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite per il rilascio degli atti stessi. Tale disposizione prevede delle eccezioni per gli atti in relazione ai quali si può verificare più di frequente la necessità di operare valutazioni tecnico-discrezionali, ad esempio atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione e così via. La più nota variante della d.i.a. è la cosiddetta d.i.a. edilizia. Gli interessi legittimi pretensivi sono quelli per la cui soddisfazione si pretende l'esercizio del potere amministrativo a favore dell'interessato, mediante il rilascio dell'autorizzazione, atto considerato avente un effetto "accrescitivo" per l'interessato. Quando non vi è alcun potere discrezionale dell'amministrazione al rilascio dell'autorizzazione, l'interessato ha fin dall'inizio un diritto. Può accadere che ci siano degli interessi di terzi che contrastano con quelli di chi richiede il rilascio dell'autorizzazione. L'ordinamento tutela sia gli interessati che i controinteressati. La tutela degli interessi legittimi, ovvero la tutela delle posizioni giuridiche coinvolte, consiste nella possibilità di ottenere dal giudice amministrativo l'annullamento dell'atto illegittimo e il risarcimento del danno. Le autorizzazioni si contrappongono alle concessioni; quest'ultime sono dei provvedimenti con i quali l'amministrazione fa acquistare al concessionario un diritto. Possono essere traslativi o costitutivi. Con i primi l'amministrazione attribuisce al concessionario qualcosa che esisteva già nella sua sfera giuridica e glielo trasferisce, come ad esempio le concessioni di uso di beni pubblici. Con i secondi, al concessionario viene attribuito un diritto che non preesisteva nella sfera giuridica dell'amministrazione ma essa ha comunque il potere di costituire. Alle concessioni costitutive la d.i.a. non si applica. La maggior parte delle concessioni hanno natura contrattuale, e vengono definiti concessioni-contratto. Le sovvenzioni sono concessioni traslative con finalità economiche che talvolta la legge definisce provvidenze. Di solito il termine sovvenzioni si utilizza per indicare le erogazioni di denaro pubblico in favore di imprese le quali possono avere l'obiettivo di favorirne la sopravvivenza nonostante la loro debolezza economica e di incoraggiare certe produzioni o la produzione di certe aree geografiche; in tal caso si parla di incentivi. Gli atti che prevedono tali erogazioni sono di natura autoritativa, anche se solo indirettamente. Infatti non hanno effetti imperativi per i destinatari, ma li hanno nei confronti dei soggetti che appartengono alla stessa categoria economica che sono esclusi, limitando la loro libertà d'iniziativa economica. Le sovvenzioni pubbliche sono considerate dal diritto comunitario "aiuti di Stato". La LPA detta una specifica disciplina sulla modalità di applicazione del principio di imparzialità per quanto attiene alle sovvenzioni. Infatti la concessione di sovvenzioni, è subordinata alla predeterminazione e alla pubblicazione dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni devono attenersi da parte delle amministrazioni stesse. I provvedimenti dichiarativi acquistano importanza come presupposto di un altro atto che produce effetti nei confronti di terzi; in tal caso si avrà un verbale delle attività svolte e dei risultati ottenuti, come ad esempio il verbale dell'esame di guida che costituisce il presupposto per il rilascio della patente. Questi provvedimenti possono avere anche un rilievo autonomo costituendo il presupposto per una serie indefinita di atti. In tal caso si avrà un'attestazione o un certificato come ad esempio un titolo di studio. Talvolta un atto dichiarativo ha per presupposto altri atti dichiarativi, per esempio il certificato degli esami sostenuti da uno studente universitario che ha per presupposto i verbali delle prove d'esame. Un atto dichiarativo può anche essere contestato dando la prova contraria., o può determinare una certezza legale, il cui contenuto può essere contestato solo con lo specifico procedimento giurisdizionale della "querela di falso".
Quest'ultimi sono considerati atti autoritativi, ma vengono considerati più semplicemente un privilegio dell'amministrazione con il quale essa si sottrae al controllo del giudice. Tali atti danno origine inoltre a vari problemi giuridici come quelli connessi alle dichiarazioni sostitutive dette anche autocertificazioni, rilasciate dalle amministrazioni. Anche gli enti privati possono rilasciare dei certificati. In alcuni casi la legge prevede che i certificati concessi da organismi privati, possono essere equiparati ad atti pubblici, e il possesso di questi certificati costituisce un requisito necessario per l'emanazione di un atto amministrativo. Un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato; gli effetti dell'esercizio del potere di revoca determinano l'inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Il ritiro di un atto legittimo attributivo di diritti o vantaggi è inammissibile; ciò sembra essere a parere del diritto comunitario un carattere comune degli Stati membri. Gli atti ad efficacia istantanea, sono atti la cui attività è destinata a giungere ad una conclusione in un certo periodo di tempo. Talvolta la legge ha stabilito l'irrevocabilità di questi provvedimenti ancor prima che abbiano avuto un principio di esecuzione. L'organo che emana l'atto è lo stesso che prende il provvedimento di revoca. Quest'ultimo è ammesso in caso di motivi di interesse pubblico, in caso di mutamento della situazione di fatto o in caso di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario. La legge stabilisce che l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere all'indennizzo dei pregiudizi eventualmente subiti dai soggetti interessati. L'indennizzo viene concepito come ristoro di tutti i danni che possono derivare dal venir meno degli effetti del provvedimento anche se questo sembra voler limitare le categorie dei soggetti che possono reclamare un indennizzo. In certi casi l' indennizzo deve corrispondere al massimo al danno emergente. Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.
MODELLI ORGANIZZATIVI E RAPPORTO POLITICA-AMMINISTRAZIONE
Le funzioni di regolazione vengono esercitate attraverso degli apparati, riconducibili a due modelli dominanti: quello ministeriale o politico-burocratico, e quello delle amministrazioni indipendenti o tecnocratico. Gli apparati del primo modello svolgono regolazioni tradizionali che riguardano per esempio l'ordine e la sicurezza pubblica. Gli apparati del secondo modello sono competenti per regolazioni che richiedono decisioni consistenti nell'attuare indirizzi politici molto generali trovando il corretto equilibrio tra interessi contrapposti attraverso la risoluzione di problemi tecnico-economici complessi. I ministeri sono 18 apparati caratterizzati da stretti rapporti organizzativi che intercorrono al loro interno tra gli apparati politici detti anche organi di governo, e gli apparati burocratici detti anche dipartimenti o direzioni generali, in modo da garantire che le competenze attribuite in via esclusiva a quest'ultimi siano esercitate nel rispetto degli indirizzi impartiti dagli organi di governo. I ministri hanno varie competenze: esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo definendo gli obiettivi e i programmi da attuare, adottando atti che rientrano nello svolgimento di queste funzioni e verificando la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Interpretano e applicano gli atti normativi e gli indirizzi. Definiscono obiettivi, piani, priorità e direttive generali per l'azione amministrativa e la gestione. Individuano risorse da destinare alle varie finalità e la loro ripartizione fra gli uffici burocratici di maggior livello. Spettano loro nomine, designazioni, e la definizione di criteri generali per quanto riguarda aiuti finanziari a terzi e di tariffe, canoni e simili oneri a carico di terzi. Per l'esercizio di queste funzioni i ministri si avvalgono di uffici di diretta collaborazione mediante i quali sono collegati con le strutture burocratiche. I dirigenti sono responsabili dell'attività amministrativa e adottano atti e provvedimenti amministrativi compresi quelli che impegnano l'amministrazione verso l'esterno. Sono competenti anche per quanto concerne la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.
I ministri non possono revocare, riformare, riservare, e adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti; in caso di inerzia o ritardo da parte del dirigente, il ministro può costituire un apposito organo che provveda a quanto doveva essere fatto nel caso in cui fissato un termine perentorio l'inerzia permanga o via un'inosservanza tale da pregiudicare l'interesse pubblico. I dirigenti formulano proposte ed esprimono pareri al ministro nelle materie di loro competenza, e devono inoltre riferirgli sulle attività svolte e in tutti i casi in cui lo stesso ministro lo richieda. Il ministro propone al PdC il conferimento degli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale con l'indicazione degli obiettivi da conseguire, delle priorità, dei piani e dei programmi definiti nei propri atti di indirizzo. In genere gli incarichi dirigenziali vengono attribuiti a persone già dipendenti dello Stato con la qualifica di dirigenti. Tali incarichi sono rinnovabili e sono a tempo determinato per una durata idonea al conseguimento degli obiettivi prefissati la quale non può essere inferiore ai tre e superiore ai cinque anni. I dirigenti sono soggetti alla cosiddetta responsabilità dirigenziale che comporta l'impossibilità del rinnovo dell'incarico qualora non portino a termine gli scopi prefissati e nel caso di inosservanza delle direttive generali imputabili al dirigente. Nei casi estremi si giunge anche alla revoca dell'incarico e al recesso dell'amministrazione dal rapporto di lavoro. Questi provvedimenti vengono presi su parere conforme di un comitato di garanti formato da un magistrato della Corte dei conti, da un esperto designato dal PdC e da un dirigente eletto tra i colleghi. Alcuni ministeri prevedono una figura di livello superiore rispetto a quella dei dirigenti: i segretari generali o capi dipartimento. Essi hanno compiti di coordinamento e i secondi anche di direzione e controllo delle attività dei dirigenti generali. Sono nominati con decreto del PdR previa deliberazione del CdM su proposta del ministro competente. I loro incarichi cessano 90 giorno dopo l'insediamento del nuovo governo così come quelli dei dirigenti nominati all'esterno delle amministrazioni. Certi ministeri prevedono le agenzie, strutture organizzative che svolgono attività di carattere tecnico-operativo e talvolta di tipo regolatorio. Hanno maggiore autonomia rispetto alle direzioni in termini di bilancio, fino al possesso della personalità giuridica ma rimangono tuttavia al servizio delle amministrazioni pubbliche. Ciò che non deve mancare è un'apposita convenzione tra il direttore generale dell'agenzia e il ministro competente per la definizione dei fini attribuiti, dei risultati attesi e delle risorse finanziarie utilizzabili.
Venivano considerate anche le amministrazioni pubbliche peculiari i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica ed era stabilito che queste amministrazioni dovevano adeguare i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo politico e controllo, e attuazione e gestione. Alla stessa disposizione erano collegate le autonomie locali, delle regioni e delle province autonome. Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione soltanto la materia ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, appartiene alla potestà legislativa dello Stato, e l'ordinamento degli uffici, non ricade più nell'ambito della legislazione concorrente delle Regioni che possono esercitare in materia la loro potestà statutaria e la loro potestà legislativa generale residuale. Per quanto riguarda l'organizzazione degli enti locali la legge n. 142 del 1990 aveva anticipato la distribuzione delle competenze tra organi di governo e organi burocratici secondo il principio della distinzione tra indirizzo e gestione. Nei Comuni più grandi è prevista la figura del direttore generale; per tutti gli enti locali è previsto il segretario i cui compiti non sono sempre chiaramente separabili da quelli del direttore generale. Agli enti locali è attribuita la potestà statutaria secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Le funzioni degli apparati tecnico-burocratici ai quali si riferisce la denominazione di amministrazioni indipendenti consistono soltanto di indirizzi politici generali di regola risultanti direttamente dalle leggi o dalla Costituzione. Alla categoria delle amministrazioni indipendenti rientrano il Garante per la protezione dei dati personali, l'autorità garante della concorrenza e del mercato, l'autorità d regolazione di servizi di pubblica utilità dell'energia elettrica e del gas, e l'agenzia per la garanzia delle comunicazioni.
Il garante per la protezione dei dati personali è stato istituto per garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei dritti, libertà fondamentali e dignità delle persone fisiche con particolare riferimento alla riservatezza e identità personale per garantire i diritti delle persone giuridiche e di ogni altro ente o associazione. L'AGCM è stata istituire con la funzione di impedire che nel mercato nazionale si verifichino intese restrittive della libertà di concorrenza, di abusi di posizione dominante e di concentrazioni. L'AEEG è stata istituita con la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza. L'AGcom è disciplinata dalla stessa legge dell'AEEG, la legge n. 481 del 1995. In tutti questi casi si è in presenza d organi collegiali che operano con piena autonomia di giudizio e valutazione e che non sono destinatari degli indirizzi degli apparati politici di governo se non in termini generali o in via eccezionale. I loro membri sono scelti tra persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilevo. Le competenze e le modalità di nomina dei componenti sono diverse ma tutte volte ad evitare che la decisione spetti al Governo o alla sola maggioranza parlamentare. Per il primo organismo alle nomine, per la durata di 4 anni con un'unica possibilità di conferma e senza previsione di revoca, si provvede con elezione di due membri da parte della Camera e due da parte del Senato con voto limitato. Per il secondo alle nomine, per la durata di 7 anni senza possibilità di conferma e senza previsione di revocabilità, si provvede con determinazione adottata d'intesa dal Presidente della Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica. Per il terzo alle nomine, per la durata di 7 anni senza possibilità di conferma e senza previsione di revocabilità si provvede con decreto del PdR previa deliberazione del CdM su proposta del Ministro competente. Per l'ultimo alla nomina del presidente si provvede con le modalità precedenti mentre i commissari sono eletti dal Senato e dalla Camera in numero di 4 ciascuno con voto limitato a 2.
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