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Una concezione realistica del tempo e del progresso. l'analisi di marx e il ruolo della nuova societÀ




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Una concezione realistica del tempo e del progresso.  L'analisi di Marx e il ruolo della nuova società


L'errore di Nietzsche. L'analisi del capitalismo di

Marx come base per l'evoluzione sociale; l'errore di Marx


Come già anticipato nell'introduzione, l'argomento di questo percorso vuole sostenere una concezione del tempo in continua evoluzione, rivolto sempre in avanti e inarrestabile. Una visione opposta, già proposta da molti altri grandi intellettuali e pensatori della storia (tra cui Machiavelli), viene fornita da F. Nietzsche con la teoria dell'eterno ritorno dell'uguale. Il filosofo tedesco sostiene infatti che ciascun momento e ciascuna azione che l'uomo compie oggi è stata già compiuta nel passato e si presenta in un continuo ripetersi all'infinito, sempre uguale: il tempo non ha fine e non corre verso uno scopo. Questo pensiero sostiene dunque che la vita non propone più nulla di nuovo, ma tale concetto, per Nietzsche, non deve però favorire una visione fatalistica e una rassegnazione a questa condizione, tutt'altro deve essere volontariamente accettato, come legge universale. In questo modo Nietzsche vuole rivalorizzare il singolo istante, il quale, non più visto come intermedio tra un inizio e una fine, riacquista tutto il suo senso e la sua importanza. Tuttavia, l'errore principale di Nietzsche sta nell'aver considerato solo una concezione lineare del tempo (principalmente secondo l'interpretazione religiosa) dotata di un inizio e di un fine al quale tendere, corrispondente più che altro ai progetti religiosi di salvezza e redenzione.

Compiendo però un'osservazione realistica sull'argomento, ammettere che ciascun istante si è già ripetuto migliaia di volte significa basarsi su una visione troppo astratta e poco pratica: Nietzsche riscatta il valore del singolo attimo, ma la concezione temporale da lui proposta mal si adatta all'esperienza reale; riprendendo inoltre quanto affermato nell'introduzione al percorso, negare l'unicità di ogni singolo momento, che nella storia mai si è presentato e mai si ripeterà uguale, non è assolutamente possibile. La concezione del tempo e della sua evoluzione, dunque, si presenta lineare e unica in ogni istante, senza dover necessariamente tendere a un fine particolare (argomento che riguarda principalmente il piano religioso), ma conservando comunque la dignità e l'importanza di ogni attimo.

Ritornando all'influenza che il progresso ha esercitato sulla società, è necessario citare l'analisi del sistema capitalista compiuta dal filosofo tedesco Karl Marx; ciò soprattutto perché nel sistema capitalista è evidente come l'evolversi dei rapporti sociali, politici ed economici nel XIX secolo abbia portato alla formazione di un sistema non solo economico ma anche sociale di rapporti, classi differenti, nuove strutture e ideologie. Il capitalismo, infatti, si è presto affermato anche come stile di vita, come insieme di determinati costumi e nuove tradizioni e come meccanismo di comunicazione tra gli individui, i quali tessono rapporti attraverso il mercato.

Il capitalismo è a sua volta l'evoluzione diretta della dialettica servo-padrone (proposta dal filosofo tedesco F. Hegel): nella lotta per il riconoscimento, due autocoscienze (due soggetti) si scontrano finché una delle due, disposta a rischiare la propria vita, non prevale su quella più timorosa, che quindi cede al più forte. Questo nuovo equilibrio porta alla relazione padrone (autocoscienza vincitrice) - servo (autocoscienza perdente). In essa, in un primo momento, il padrone si pone come dominatore e sfrutta il lavoro del servo per soddisfare il proprio appetito; con il lavoro, però, il servo trasforma la natura e riesce a soddisfare l'appetito proprio e del padrone: si eleva così ad una condizione più alta di quest'ultimo, il quale invece, dipendendo dal servo, non esercita un dominio diretto sulla natura. Avviene dunque il rovesciamento dialettico, attraverso il quale l'autocoscienza del padrone, inizialmente considerata "vera", si dimostra dipendente da quella del servo, la quale, plasmando e dominando la natura, si rivela essere veramente indipendente.          
Questo rovesciamento però in Hegel rimane "senza soluzioni": alla riacquistata dignità del servo non segue un progetto di riscatto o un nuovo equilibrio con il padrone, lasciando invariata la situazione. Forte di questa "incertezza ideologica", il capitalismo si fonda proprio sulla dialettica padrone-servo che rimane così com'è, anche dopo l'eventuale riscatto del servo come vera autocoscienza. Nascono così i primi padroni, gli imprenditori, grazie alla miracolosa rivoluzione industriale, che porta al sorgere di una nuova società adatta ad essere sottoposta al sistema nascente di industrie, fabbriche e produzione di massa. La merce assume un valore elevatissimo e diventa elemento fondamentale del nascente sistema economico: tutto ruota intorno alla merce. La nuova struttura favorisce anche inediti rapporti sociali, mutamenti nell'assetto demografico e un cospicuo aumento della stessa popolazione. Il capitalismo finisce col trasformarsi in uno stile di vita, appunto, e condiziona la nuova mentalità del cittadino medio.
I due concetti che rivoluzionano il metodo di produzione sono quelli di plusvalore e di pluslavoro.
Il plusvalore, semplicisticamente, è la differenza fra il valore di scambio della merce prodotta e il valore necessario a produrla, e costituisce il guadagno; in realtà esso si basa piuttosto sul pluslavoro, nozione chiave del sistema capitalista. L'imprenditore usa il capitale di partenza per acquisire i mezzi di produzione e pagare la forza-lavoro: questa però viene utilizzata per produrre un valore di scambio superiore a quello necessario per pagare i costi di produzione (pluslavoro); nell'intero processo, dunque, non è semplicemente la merce ad essere venduta ad un valore più alto di quello necessario a produrla, ma è la forza-lavoro degli operai a produrre una quantità di merce dal valore di scambio complessivo più alto di quello pagato per la produzione. Con questo sistema, dunque, ad una maggiore produzione (o meglio, produttività) corrisponde un maggiore plusvalore, e quindi un guadagno più alto. A questo punto, il capitalista può aumentare il plusvalore solo in due modi: prolungando il tempo di lavoro, cosicché una forza-lavoro impiegata per maggior tempo produca più merce, oppure migliorando la produttività, attraverso l'automazione e l'evoluzione organizzativa, permettendo così una produzione più alta anche con una forza-lavoro meno sfruttata (e meno pagata). Il secondo sistema, oltre a consentire un notevole risparmio nel pagamento dei salari, consente anche di vendere il prodotto ad un prezzo minore, puntando principalmente sulla quantità totale delle vendite e non su quella di ogni singolo prodotto; ciò consente infatti di attirare maggiormente all'acquisto e assicura una percentuale di vendita decisamente più alta rispetto a quello fornita dal primo sistema.

Per tutti questi motivi, l'aumento della produttività basato sull'automazione è sempre stato l'aspetto principale dell'intera industria: i macchinari consentono di eseguire il lavoro con maggiore precisione e velocità, mentre è richiesta una specializzazione degli operai sempre minore. Questo cambiamento ha portato a lungo andare ad una riduzione del valore di ciascun lavoratore, che a causa delle macchine ha assunto un ruolo non più fondamentale e può essere sostituito con grande facilità: l'uomo perde il suo estremo valore e la sua identità. Lo sfruttamento che deriva dalle industrie dopo la rivoluzione industriale riduce l'uomo a pura forza-lavoro con l'unico compito di controllare un determinato macchinario. L'importanza nella catena di produzione volge tutta negli strumenti meccanici, mentre l'operaio viene costretto ad eseguire un'azione continua e ripetuta per tutto il tempo di lavoro. Perdendo la visione del prodotto finale (che nel sistema artigianale nasceva e si completava nelle mani dello stesso artigiano), l'uomo perde la cognizione del suo lavoro, e di conseguenza, la coscienza di se stesso: egli si vede ormai come un ingranaggio qualunque di un'immensa catena di montaggio, pronto ad essere sostituito una volta divenuto difettoso.

Marx, tuttavia, pur accusandolo di questa condizione, riconosce nel capitalismo una fondamentale azione sviluppatrice, ma infine lo indica solo come momento di passaggio. Nonostante il sistema capitalista abbia portato all'aumento della produzione e alla modernizzazione di città, industrie e mercato, esso rappresenta, per il filosofo tedesco, solo il periodo di preparazione ad una successiva rivoluzione proletaria.       
Il proletario, ovvero l'uomo che possiede solo la sua prole (identificato allora da Marx con la classe operaia) grazie al capitalismo è divenuto pronto a concludere definitivamente il rovesciamento dialettico, la dialettica servo-padrone. Rendendosi conto della sua indipendenza dal signore, capace di trasformare e dominare la natura, il suo compito è adesso quello di riscattare la propria dignità e giungere alla struttura comunista, attraverso due fasi: quella della trasformazione rivoluzionaria e quella dello sviluppo onnilaterale. La prima è caratterizzata dalla dittatura del proletariato, nella quale la ricchezza viene distribuita in proporzione al lavoro prestato da ognuno; questo però costituisce un limite, che deve essere superato con la seconda fase, grazie alla quale gli individui accrescono insieme le loro forze produttive sociali e ognuno verrà premiato "secondo le sue capacità" e "secondo i suoi bisogni".

E' da notare il fatto che Marx non propone mai una precisa struttura politica che possa sostituire il capitalismo, anche se più volte indica l'ideologia comunista come meta da raggiungere. Riguardo l'interpretazione di Marx sul sistema comunista, egli sostiene principalmente due fattori: il primo, che determina la realtà contraddittoria del capitalismo, è il carattere del sistema di produzione, fondato solo sull'autovalorizzazione del capitale nel capitalismo, da rivolgere alla soddisfazione dei bisogni sociali nel comunismo; il secondo interessa la gestione della struttura produttiva, che secondo Marx deve spettare al proletario, all'operaio, al "servo", completando dunque il rovesciamento dialettico hegeliano.

Solo verificandosi questi due fattori la rivoluzione sociale idealizzata dal filosofo tedesco può definirsi compiuta; tuttavia, come la modernità ci dimostra, il capitalismo domina ancora le nostre strutture economiche, politiche e sociali, e ciò è soprattutto dovuto all'azione persuasiva che le classi dirigenti sono riuscite ad attuare sulla mentalità del proletario, arrivando a controllarlo e limitarlo, rendendo impossibile la prima fase della trasformazione rivoluzionaria. L'operaio moderno, infatti, e in generale tutta la classe proletaria, sotto l'influenza martellante dei mass media, si sono lasciati manipolare ideologicamente dal "padrone", che ha instaurato in lui il desiderio di ascesa sociale.

Viene a mancare dunque quella forte coscienza della propria condizione che Marx riteneva fondamentale, sostituita da un vano e artificioso desiderio di elevazione sociale che porta il proletario a "sognare" di migliorare la propria condizione e diventare egli stesso un borghese, parte integrante di quella società che lo domina. In questo modo, il proletario non arriverà mai a desiderare la scomparsa di una classe sociale alla quale egli sogna di entrare a far parte: i capitalisti, fin quando riusciranno a mantenere tale sogno vivo nell'immaginario collettivo, potranno continuare ad esercitare il loro controllo di "padroni" sul "servo-operaio", ignaro della sua reale condizione sociale.


Per quanto pressoché perfetta, la minuziosa analisi di Marx non ha tenuto conto, purtroppo, dell'incredibile potere che il progresso tecnologico, soprattutto con l'avvento e la diffusione dei mass media, ha esercitato sull'intera società. La radio, la televisione e i nuovi mezzi di informazione hanno rivoluzionato il modo di comunicare, ma soprattutto lo hanno reso ad un'unica via: il pubblico si trasforma in spettatore inerte e passivo, pronto solo a ricevere e ad assorbire le informazioni mediatiche. La propaganda e la pubblicità diventano i mezzi più potenti per vincere le elezioni e conquistare il favore delle folle. La cultura si massifica, la letteratura perde il proprio valore guida: nella nuova società, anche le ideologie, i pensieri, i movimenti culturali diventano "capitalistici" e si uniformano alla mentalità ormai diffusa dall'immenso sistema economico dominante. Il capitalismo completa la propria evoluzione e si consolida più che mai come fenomeno economico, politico e sociale senza precedenti, e apparentemente senza rivali.







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