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ALLA CONQUISTA DELL'AMERICA: PERCHE' SPAGNA E PORTOGALLO?
I presupposti economici
Il colonialismo moderno nasce nell'Europa occidentale dei secoli XV e XVI, allorché già erano in atto i meccanismi economico-sociali di disgregazione del feudalesimo e di formazione dei rapporti di produzione capitalistici, basati prevalentemente sulla manifattura. In questo periodo, la metallurgia e l'industria mineraria, tessile, manifatturiera (ad es. orologi, vetri, specchi, armi da fuoco, oggetti di lavoro precisi, ecc.) avevano raggiunto un'indipendenza quasi totale dall'agricoltura, realizzando profitti notevolmente superiori. Anche nelle campagne era aumentata quella parte della produzione agricola e dell'allevamento del bestiame destinata non al consumo dei contadini e dei feudatari, ma al mercato e allo scambio con prodotti dell'industria. La piccola produzione artigianale destinata al mercato locale, l'economia agricola finalizzata all'autoconsumo, le rendite parassitarie dei grandi latifondisti - tutto ciò stava per essere superato da una forma sociale più redditizia: quella capitalistica, sia essa nella forma commerciale e usuraia del mercante, che nella forma imprenditoriale vera e propria.
L'allargarsi del mercato e della divisione sociale del lavoro stavano eliminando i rapporti personali tra produttore e consumatore, stavano trasformando i prodotti in merci, il valore d'uso in valore di scambio I mercanti, in particolare, diventavano l'anello indispensabile che univa, su vasti mercati, le singole, grosse, aziende con i consumatori. I produttori diretti, artigiani e contadini, rovinati dalla concorrenza dei prodotti dell'industria manifatturiera, o intenzionati a emanciparsi dalla servitù della gleba o dalle costrizioni corporative, si trasformano in operai salariati: i più capaci o i più fortunati tentano la strada dell'imprenditoria privata a scopo di lucro.
Uno dei modi ritenuti più facili per arricchirsi era il commercio con l'Asia, la cui importanza era notevolmente cresciuta dopo le crociate. Genova e ancor più Venezia distribuivano a tutta Europa gli oggetti di lusso orientali più richiesti: le spezie (pepe, chiodo di garofano, cannella, zenzero, noce moscata), l'oro e le pietre preziose. India, Cina e Giappone erano considerati Paesi ricchissimi già dai tempi di Marco Polo. Tuttavia, tre problemi avevano messo in crisi questi commerci: a) il mondo musulmano monopolizzava tutti i commerci con l'Oriente e l'Estremo Oriente, per cui l'Europa non poteva avere legami diretti con queste aree geografiche (la via commerciale che passava attraverso il Mar Rosso era monopolio dei sultani egiziani, che a partire dal XV sec. cominciarono a imporre dazi doganali estremamente alti su tutte le merci); b) il crollo della potenza mongola, ad opera di quella ottomana, ebbe come risultato la fine del commercio carovaniero dell'Europa con la Cina e l'India attraverso l'Asia centrale e la Mongolia (l'ottomano era un regime dispotico di tipo feudale-militare); c) la caduta di Costantinopoli nel 1453 e le conquiste turche nell'Asia minore e nella penisola balcanica avevano chiuso quasi completamente la via commerciale verso l'Oriente attraverso la stessa Asia minore e la Siria.
Prima della 'scoperta' dell'America, i commerci più proficui, ma del tutto insufficienti, dei Paesi europei con l'Oriente e l'Africa erano diventati quelli con Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia. Solo questi Paesi potevano avere collegamenti diretti coi Paesi sub-sahariani (Sudan, Guinea, ecc.), per ottenere oro, avorio, schiavi e prodotti esotici. L'esigenza degli europei, quindi, era di cercare nuove vie marittime verso l'Africa, l'India e l'Asia orientale. Le classi socialmente più elevate: nobili e monarchi, borghesi e alto clero, che conducevano una vita molto dispendiosa o che miravano ad accumulare capitali per investirli in attività finanziarie o produttive, o che necessitavano di finanziamenti per gli apparati burocratici, amministrativi e militari degli emergenti Stati assoluti e nazionali, ritenevano che il modo migliore per soddisfare le loro esigenze fosse quello di avere ingenti quantitativi di argento e soprattutto di oro, cioè una moneta pregiata come mezzo di scambio. Ecco, in questo senso si può dire che il colonialismo fu una diretta conseguenza del capitalismo europeo, anche se ebbe delle ripercussioni fondamentali (ai fini p.es. dell'accumulazione dei capitali) sullo stesso sviluppo del capitalismo.
La scienza della navigazione
I lunghi e pericolosi viaggi marittimi poterono essere intrapresi solo quando fu perfezionata la navigazione. I primi a trasformare la navigazione furono i portoghesi, che, utilizzando le due più importanti tradizioni navali del loro tempo: nordica e mediterranea (di quest'ultima, in particolare, essi presero come modelli la piccola imbarcazione araba, detta 'karabo', usata per i commerci mediterranei, e un tipo di nave a tre alberi in uso a Genova), crearono un nuovo veliero: la caravella. Più lunga delle grosse navi da carico del XIII sec. e più corta delle galee e liburne romane (il rapporto tra lunghezza e larghezza andava da 3,3 a 3,8), la caravella era veloce e facilmente manovrabile, in virtù dell'uso simultaneo di poche vele diritte o quadre (per la propulsione in mare aperto) e di molte vele oblique o triangolari o latine (per la direzione), che le permettevano, con soli 20-30 marinai, di muoversi anche col vento sfavorevole. La necessità di aumentare la velocità e di guadagnare in stabilità aveva determinato l'allargamento della superficie delle vele e, di conseguenza, la trasformazione della chiglia, che si alzava in due parti ricurve uguali, in elemento portante della nave.
Nel Mediterraneo, dove le navi usavano vele latine, introdotte dagli arabi all'inizio del XIV sec., l'uso della vela quadra all'albero maestro e della latina a quello di mezzana, segnò una vera rivoluzione, anche se la vela quadra era già stata ampiamente usata nell'antichità greco-romana. Fin dalla metà del '400, navi di tre o quattro alberi erano la normalità.
La caravella aveva un unico timone di poppa, interno allo scafo, manovrato attraverso un'asta terminante in una ruota: esso sostituiva il timone esterno e i remi di governo. Il timoniere operava sotto il ponte di coperta ed aveva una visuale molto limitata. La stiva, molto capiente, era utile per le lunghe navigazioni. Lo scafo di scarso pescaggio (grazie alla chiglia 'panciuta') consentiva di avventurarsi sui bassi fondali costieri e addirittura di risalire i fiumi per lunghi tratti.
Delle tre caravelle di Colombo, solo la Niña (50 tonnellate di stazza, 17 metri di lunghezza) e la Pinta (60 tonnellate di stazza, 21 metri di lunghezza), possono essere definite tali, in quanto la Santa Maria, nave ammiraglia (100 tonnellate di stazza, 26 metri di lunghezza) era piuttosto una 'caracca'. Essa si sfasciò durante il primo viaggio, mentre l'equipaggio costeggiava l'isola di Haiti.
La velocità della caravella sarà superata soltanto dai clippers, gli enormi velieri del XIX sec. La caravella, col tempo, si trasformerà nella fregata, nave tipica da guerra, passando dalla struttura in legno a quella in acciaio.
Oltre a ciò furono adottati o migliorati la bussola (l'ago magnetico prima immerso nell'acqua, montato su un perno, ora viene inserito in una scatola, insieme ad un quadrante circolare, diviso in 32 punti: nord, nord-est, nord-nord-est ecc., formando la cosiddetta 'rosa dei venti', indipendente dal movimento della nave), le carte nautiche (basate sul mappamondo di Toscanelli) e i portolani (libri particolari che descrivevano le coste e gli approdi: i portolani saranno prodotti come vere e proprie carte marine solo quando si generalizzerà la proiezione cartografica di Mercatore nel 1569), l'astrolabio (strumento goniometrico preso dagli arabi, con cui si calcolava la posizione degli astri e la latitudine), il quadrante nautico e la balestrigia (che facilitavano il calcolo della latitudine in mare), le tavole trigonometriche di martelogio (che permettevano di correggere in modo approssimato lo scarto fra il Nord e il polo magnetico indicato dalla bussola).
Qui si può precisare che molta di questa strumentazione, già in uso sulla terra per lo studio dei corpi celesti, venne adottata sulle navi proprio per intraprendere dei viaggi in mari sconosciuti. Per i navigatori era necessario imparare a determinare la posizione delle terre avvistate, in rapporto a precisi punti di riferimento (i corpi celesti), a cominciare dalla stella polare, la cui altezza, cioè l'angolo sopra l'orizzonte, diminuiva via via che una nave procedeva verso sud. Nell'emisfero australe, dove non era più possibile riferirsi alla stella polare, si ricorreva, sempre con l'aiuto dell'astrolabio, alla misurazione dell'altezza della meridiana del sole, il che comportava calcoli piuttosto complicati.
In ogni caso per tutto il '500 non fu possibile risolvere il problema della determinazione della longitudine. La navigazione in mare aperto era basata su una stima approssimata della velocità, della direzione e del tempo, integrata con osservazioni di latitudine. La stessa decisione di usare le Canarie come base di partenza del primo viaggio, era nata da un'errata valutazione di Colombo che, sulla scia del Toscanelli, credeva il Giappone (Cipango) non solo sulla stessa latitudine dell'arcipelago canario (28o parallelo), ma anche a una distanza inferiore ai 5000 km, mentre in realtà la distanza è di quasi 20.000 km. Fu dunque un caso che Colombo scoprì l'America.
La cartografia
Un serio ostacolo all'organizzazione dei viaggi marittimi erano alcune opinioni geografiche che risultarono dominanti nei primi 1500 anni d.C., fondate sulla teoria di Tolomeo, uno scienziato dell'antica Grecia, la cui mappa terrestre fu comunque di gran lunga migliore di tutte le mappe prodotte nel Medioevo. Tolomeo ammetteva la sfericità della Terra, ma la restringeva all'8% della sua reale dimensione, mettendo l'equatore troppo a nord, al punto che a sud la sua mappa si fermava all'Etiopia. Inoltre sosteneva che l'Asia sud-orientale si congiungesse con l'Africa orientale e che l'Oceano Indiano era completamente racchiuso dalla terra (ignorava anche la natura peninsulare dell'India e l'esistenza dell'arcipelago indonesiano). In tal modo non sarebbe stato possibile passare dall'Oceano Atlantico all'Oceano Indiano e raggiungere, per via mare, le coste dall'Asia orientale. Inoltre nel Medioevo si credeva che presso l'equatore esistessero temperature così elevate da far 'bollire' il mare e bruciare le navi. La vita sulla Terra era ritenuta possibile solo nelle zone climatiche temperate.
Molte di queste idee già nel sec. XIII, con Marco Polo e altri viaggiatori (inclusi i missionari francescani), erano state messe seriamente in discussione (si dimostrò, ad es., che la costa orientale dell'Asia era bagnata dal mare). Nel 1375 l'Atlante catalano dell'ebreo Abramo Cresques aveva presentato un'assoluta novità. Sino a quel momento si credeva che esistesse solo ciò che gli europei avevano visto: ora invece le terre che si sapevano esistere, ma che non si conoscevano, erano raffigurate in bianco, come 'luogo sconosciuto' (le isole atlantiche, l'Estremoriente e i regni africani oltre il Sahara).
Agli inizi del XV sec. si avanzò l'idea di poter raggiungere via mare la costa orientale dell'Asia, navigando dall'Europa verso occidente, attraverso l'Oceano Atlantico (vedi ad es. l'opera Imago Mundi del vescovo francese Pierre d'Ailly, del 1410, la carta geografica del cosmografo fiorentino Paolo Toscanelli e il mappamondo dell'astronomo di Norimberga, Martin Behaim). Naturalmente, per condividere un'idea del genere bisognava accettare l'ipotesi della sfericità della Terra e di un unico oceano che la bagnava (ipotesi peraltro già formulata da alcuni antichi scienziati greci). Verso la metà del '400 le mitiche Colonne d'Ercole, barriera del mondo conosciuto, si erano spostate in mezzo all'Atlantico. Il problema era diventato non solo quello di arrivarvi ma anche quello di ritornare in Europa. Non pochi casi erano finiti tragicamente.
Decisive furono le esperienze dei portoghesi che nel 1483-84 avevano superato l'equatore, dimostrando a tutti che la zona intertropicale era abitata e attraversabile. Era di colpo crollata la teoria tradizionale secondo cui agli Antipodi gli uomini non potessero stare in piedi e che le navi, scivolando verso sud, non potessero mai fare ritorno. Praticamente, alla fine del XV sec. la rotondità della terra non veniva messa in discussione da nessuno, se non da qualche ambiente clericale. Il merito di Colombo, in tal senso, sta piuttosto nell'aver saputo sfruttare, nel percorso di andata, i venti alisei che nel mese di settembre soffiano in modo regolare e costante presso le Canarie, e, nel percorso di ritorno, i venti occidentali.
Da notare che le mappe del capitano turco Piri Reis, scoperte nel 1929 negli archivi del Topkapi, essendo molto precise e di assoluta avanguardia per quei tempi, gettano una luce diversa sul patrimonio delle autentiche conoscenze nautiche a cavallo tra XV e XVI secolo. Forse a partire da esse gli studiosi riusciranno anche a risolvere il famoso mistero di una mappa segreta giunta nelle mani di Colombo prima della sua partenza per San Salvador.
L'arte militare
Naturalmente senza il perfezionamento dell'arte militare, non sarebbero potute avvenire le esplorazioni marittime commerciali, poiché sia il Portogallo che la Spagna non scartarono mai a priori l'idea di dover usare la forza (soprattutto contro il mondo musulmano), pur di ottenere quello che cercavano. Furono la scoperta della polvere da sparo (miscela di carbone, zolfo e potassio) e i progressi nella lavorazione del ferro ad aprire la strada alla costruzione dei cannoni, in grado di lanciare bombe di ferro o di bronzo che esplodevano sino a mille metri di distanza. Con i cannoni (che perfezionarono le primitive bombarde, larghe di bocca e molto corte, capaci di lanciare solo palle di pietra lungo una traiettoria quasi circolare) si potevano distruggere torri, bastioni, castelli e assediare con successo le città; mentre con i proiettili dei fucili si poteva forare il ferro e il cuoio, rendendo così inutili le pesanti armature medievali. Le caravelle, nate come battelli da commercio, si potevano trasformare in navi da guerra, in grado di portare anche pesanti cannoni, da un minimo di 15 a un massimo di 40.
Il resto del mondo
E' bene però sottolineare che in questi secoli non era sviluppata solo l'Europa occidentale ma anche una buona parte dell'Asia. Indiani, cinesi, malesi e arabi avevano raggiunto già nel periodo medievale notevoli risultati nel campo delle conoscenze geografiche, nello sviluppo e nell'arte della navigazione negli oceani Indiano e Pacifico. Molto tempo prima della comparsa degli europei nell'Oceano Indiano, questi popoli avevano scoperto la grande via marittima sud-asiatica che collegava i Paesi dal Mar Rosso e dal Golfo Persico fino al Mar Cinese meridionale.
Come già detto, nel XV sec. il primato nel commercio e nella navigazione nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e nella parte occidentale dell'Oceano Indiano, era passato agli arabi, che erano gli unici veri intermediari nel commercio dell'Asia meridionale con l'Europa. Le loro navi raggiungevano l'India, Ceylon, Giava, la Cina Città e mercanti dell'Islam -ha scritto F. Braudel- s'impadronivano già di oro, avorio e schiavi sulla costa di Zanzibar e, attraverso il Sahara, nell'ansa del Niger.
Anche gli arabi disponevano di bussole, compassi, portolani, carte nautiche e di una vasta letteratura specializzata per la navigazione. Senza questa letteratura, l'arrivo dei portoghesi in India sarebbe stato sicuramente più difficoltoso. Quando le navi di Vasco de Gama, nel 1498, gettarono per la prima volta l'ancora nella città indiana di Calcutta, il loro pilota era il famoso marinaio Ahmed Ibn Madjid. Egli scrisse il Libro di dati utili sulle basi della scienza marinara e sulle sue regole, ove vengono minuziosamente delineate tutte le rotte nel Mar Rosso e nel Golfo Persico lungo l'Africa, verso l'India e verso l'arcipelago malese, fino alle coste della Cina e di Formosa.
Solo il commercio marittimo nell'Asia sud-orientale era sostanzialmente nelle mani dei cinesi e dei malesi. La Cina, in particolare, era una grande potenza marinara. Già nel II secolo d.C. nei cantieri cantonesi si fabbricavano navi a quattro alberi, con una capacità di carico di 100 tonnellate.
La Cina esportava grandi quantità di seta, porcellane, oggetti d'arte, mentre importava spezie, cotone, erbe medicinali, vetro e altre merci. Nei suoi porti si costruivano vascelli per i viaggi di lungo percorso, in grado di contenere fino a mille marinai e soldati (scorta necessaria per fronteggiare i pirati dell'arcipelago malese). Queste navi erano mosse da vele fatte di canna, fissate su pennoni mobili: il che permetteva di mutarne la posizione a seconda della direzione del vento.
Le carte geografiche erano note da tempi immemorabili e alla fine dell'XI sec. le navi cinesi impiegavano regolarmente la bussola, mentre i loro marinai conoscevano alla perfezione i monsoni dei mari del Sud, le correnti marine, le secche, i tifoni, ecc. Nella prima metà del XV sec. essi avevano già realizzato grandi spedizioni militari e marittime nell'Oceano Indiano e nell'arcipelago malese, eliminando le numerose bande di pirati che ostacolavano lo sviluppo del loro commercio con i Paesi dell'Asia meridionale.
Tra il 1403 e il 1419 i cinesi erano riusciti a costruire delle navi di circa 100 metri di lunghezza. Si pensa addirittura che intorno al 1420 essi siano giunti al Capo di Buona Speranza. Ciò non può escludere l'ipotesi che la Cina o comunque l'Asia abbia tenuto contatti sporadici con l'America fino a poco tempo prima dell'arrivo degli europei.
Anche per i cinesi la Terra era composta da tre continenti: essi conoscevano il profilo sud-occidentale dell'Asia fino al Mar Rosso, la forma triangolare dell'Africa e l'esistenza del Mediterraneo. Inoltre, benché non conoscessero né il nome né il profilo dell'Europa, indicavano sulle loro carte un centinanio di toponimi europei, tra cui Germania, Francia, Budapest Alla fine del '500 saranno i gesuiti a introdurre in Cina la nuova immagine del mondo.
Perché Spagna e Portogallo
Sino a pochi anni fa si sosteneva che gli indios americani erano venuti dall'Asia (australiani, mongoli, popolazioni uraliche e malesi-polinesiani) attraverso lo stretto di Bering nell'età della pietra. Oggi invece, grazie alla nuove scoperte archeologiche, ai progressi nella stratigrafia e nell'uso del carbonio 14, si fa risalire tale migrazione a 40-80.000 anni prima della nostra era. Alcuni degli antichi abitatori dell'America possono essere giunti dall'Asia attraverso l'Antartico. Probabilmente tale migrazione è cessata circa 20.000 anni prima della nostra era.
Non pochi studiosi oggi sono dell'avviso che i rapporti tra Asia e America siano continuati anche dopo la fine delle migrazioni. Troppe cose simili lo attestano: non solo oggetti di artigianato, sculture, ceramiche, ma anche nell'ambito dell'architettura, della letteratura, della religione, delle tecniche agricole e di costruzione delle canoe, persino nei calendari e nell'alimentazione.
Esiste un documento cinese, conosciuto col nome di Storia delle dieci isole, che risale a due secoli prima di Cristo, e che narra di una spedizione di monaci buddisti diretti verso il continente americano, tornati in Asia dopo 40 anni, attraverso il Pacifico a sud.
Da notare che quando Colombo raggiunse per la prima volta la terraferma, nell'attuale territorio del canale di Panama, gli aborigeni gli comunicarono che sul versante opposto non solo c'era il mare, ma anche che da quel punto si poteva raggiungere la Cina.
Naturalmente nessuno dei fatti qui ricordati è sufficiente da solo a provare che gli asiatici abbiano 'scoperto' l'America prima degli europei; anche perché questi contatti attraverso il Pacifico, se vi sono stati, non hanno prodotto effetti significativi sulle popolazioni del Nuovo Mondo. Alla 'scoperta' non seguì la 'conquista'. E questo vale anche per alcuni europei pre-colombiani: si pensi a quel gruppo di monaci irlandesi, tra cui san Brendano, che nel VII sec. avrebbe -secondo una tradizione- varcato l'Atlantico. O al vichingo Leif Ericsson, che attorno all'anno mille, approdò in Vinlandia, l'attuale Terranova.
Oggi peraltro nessuno mette in discussione che gli scandinavi abbiano mantenuto piccoli stanziamenti nel nord-est del continente americano tra il IX e il XV sec., anche se non compresero di aver scoperto il Nuovo Mondo e non introdussero neppure i cavalli.
Era necessario elencare queste cose per sfatare anzitutto il mito che Spagna e Portogallo siano state le prime nazioni del mondo a metter piede in America. Gli europei non hanno 'scoperto' l'America: semmai l'hanno fatto i primi emigranti asiatici, che hanno popolato un continente disabitato.
Meglio sarebbe dire che con Colombo inizia il colonialismo europeo di tipo capitalistico in un nuovo continente. E inizia in modo consapevole, poiché lo stesso Colombo, che per l'occasione cambiò il proprio cognome in Colòn (ripopolatore), negli anni 1497-98 elaborò un Memoriale, abbastanza dettagliato, di colonizzazione, rivolto ai Re Cattolici sul popolamento delle Indie. Nel 1500 scrisse una lettera a donna Juana de Torres in cui rivendicò esplicitamente il suo ruolo di conquistatore: 'Io debbo essere giudicato come capitano inviato di Spagna a conquistare fino alle Indie gente bellicosa e numerosa, di costumi e credenza opposti ai nostri, la quale vive per balze e monti senza fissa dimora Io debbo essere giudicato come capitano, che da tanto tempo ad oggi, porta le armi al fianco senza abbandonarle nemmeno un'ora e che comanda a cavalieri di conquista e a uomini d'azione e non a letterati'. Il modello di colonialismo cui Colombo s'ispirava era evidentemente quello portoghese, che aveva realizzato grandi successi, nel decenni precedenti alla 'scoperta' dell'America, sia in Africa che in Asia.
Molto tempo prima di Colombo vi era stato il colonialismo medievale delle crociate, indirizzato verso l'Europa orientale e il Medioriente. Praticamente l'Europa occidentale, da quando è sorta l'istituzione della proprietà privata, è sempre stata caratterizzata da rapporti colonialistici col resto del mondo. Al tempo dei romani il ruolo veniva svolto dall'Italia nei confronti dell'Europa e dei paesi mediterranei.
Solo partendo da questo presupposto si può comprendere il motivo per cui Spagna e Portogallo, e non Cina o qualche paese arabo, hanno fatto dell'America un continente da sfruttare. Naturalmente non sarebbe inutile cercare di capire se il cristianesimo aveva in sé degli elementi che potevano essere usati meglio di quelli dell'islam o del buddismo, per un'operazione del genere. Gli studi, in questo senso, sono davvero pochi, almeno in Europa.
Ancora, in effetti, non è molto chiaro il motivo per cui sono state proprio le due nazioni più cattoliche d'Europa, quelle peraltro che si trovavano nelle peggiori condizioni per uno sviluppo capitalistico (si pensi soprattutto alla Spagna), a dare il via al moderno colonialismo borghese.
Probabilmente Spagna e Portogallo cercavano nelle avventure coloniali internazionali un modo pratico per non far morire l'ideale della cristianità, che nell'Europa umanistica e rinascimentale era entrato fortemente in crisi. Spagna e Portogallo, rimaste troppo indietro rispetto ai processi emancipativi del continente europeo, credettero di trovare nel colonialismo l'occasione della propria sopravvivenza in quanto nazioni 'cattoliche'.
In questo senso la 'Riconquista' antislamica non sortì l'effetto sperato, poiché alla omologazione ideologica non seguì il benessere economico. Eliminando ebrei e musulmani (cioè le classe e i ceti artigianali, commerciali e finanziari), gli spagnoli e i portoghesi non furono capaci di sostituirli con proprie forze sociali di tipo borghese, né seppero edificare un tipo di società più democratica. Il fallimento economico della 'Riconquista' rese in un certo senso inevitabile, se si voleva salvaguardare inalterata l'ideologia cristiana, la sua prosecuzione aldilà dei confini nazionali.
Solo col passare del tempo, non senza drammi e tragedie, Spagna e Portogallo saranno costrette ad ammettere che il medioevo cattolico non aveva alcuna possibilità di contrastare l'emergente capitalismo protestante. L'ideale cristiano poteva sperare di sopravvivere solo dopo averlo negato.
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