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tipologia delle città greche




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tipologia delle città greche

ORIGINI DELLA CIVILTA' GRECA

A partire dal terzo millennio a.C., a Creta visse una straordinaria fioritura culturale. Creta appare oggi arida, nell'antichità l'isola era ricca di vegetazione. La sua particolare collocazione geografica al centro dell'Egeo (Mediterraneo orientale) le permise di divenire il fulcro di estesi traffici commerciali. Il palazzo di Cnosso è la testimonianza della civiltà cretese tra il 1700 e il 1400 a.C., che era privo di fortificazioni. La zona centrale era occupta da un ampio corridoio rettangolare. I cretesi giungevano lungo le coste della Grecia, in Egitto, in Asia. Verso il 1700 a.C. la città di Crosso era il centro più popoloso del Mediterraneo. Creta non si costituì mai in uno stato unitario. Testa e cuore della città era il palazzo, dove venivano esercitate le fondamentali funzioni economiche e politiche. Una specificità del palazzo cretese è la mancanza di mura e fortificazioni. Verso il 2000 a.C. la Grecia venne invasa da popoli nomadi provenienti dalle pianure della Russia meridionale. Uno di questi popoli, gli Achei, si stabilì nel Peloponneso, la penisola che costituisce la parte più meridionale della Grecia. Qui gli Achei fondarono alcune città: Micene, Argo, Tirinto, Pilo. Erano città-fortezze situate in posizioni strategiche, difese da imponenti mura con due o tre sole porte d'accesso. Proprio dal nome di una di esse, Micene, la loro civiltà prese il nome di civiltà micenea. Gli Achei erano soprattutto guerrieri e il loro re era, in genere, il capo più valoroso. Questi distribuiva le terre e i bottini di guerra, amministrava la giustizia e l'economia, e decideva le spedizioni militari. Ogni città era indipendente e spesso in guerra con le altre. La vita economica si svolgeva grazie al lavoro dei contadini, degli artigiani, degli schiavi. Tra il 1600 e il 1200 a.C. gli Achei divennero anche marinai, commercianti, probabilmente pirati. Tra il 1600 e il 1400 a.C. i micenei subirono l'influenza dei cretesi, dei quali appresero a navigare, a commerciare e a coltivare l'ulivo e la vite. Dopo il 1400 a.C., però, essi si sostituirono ai cretesi nel predominio sul mar Egeo ed estesero la loro supremazia nel Peloponeso. Quando i cretesi, nell'anno 1425 a.C., tentarono una disperata sollevazione contro l'invasore, ebbero la peggio, e dovettero subire una repressione sanguinosa, conclusasi con la spietata distruzione del loro palazzo reale. Tra il 1400 e il 1100 a.C. gli Achei, minacciati dalle popolazioni vicine, eressero attorno ai centri abitati, collocarono su alture, possenti mure di difesa. Nella loro società il potere era in mano ad un'aristocrazia militare ed il palazzo reale, che esaltava la potenza del re. I dori, occupando le popolazioni micenee darà origine la civiltà greca.

I FENICI


La parte settentrionale della di Canaan, l'attuale Libano, vide fiorire nel XII sec. a.C. la civiltà fenicia, fondata su da una serie di città-Stato autonome, le cui più importanti erano Biblo, Sidone e Tiro. La forza di queste città non consisteva nella potenza politico-militare, ma nello sviluppo economico, basato soprattutto sul commercio marittimo. I fenici erano ottimi navigatori e conquistatori, tanto che tutta la zona da Cipro alle coste africane (Cartagine) cadde in loro potere, così come Sardegna, Sicilia e Spagna. Furono commercianti di stoffe e legnami, nonché artigiani di vetro e metalli.
Nel 1100 a.C. i fenici fondarono Cartagine, nell'Africa settentrionale (attuale Tunisia).
Secondo alcuni storici la progressiva trasformazione dei nuclei commerciali fenici in veri centri urbani deteriorò i buoni rapporti con le comunità nuragiche; così le colonie fenicie sarde, sentendosi minacciate dalle intenzioni bellicose delle popolazioni nuragiche, chiesero aiuto a Cartagine che intervenne in loro difesa. Secondo altri storici invece l'intervento cartaginese fu un'operazione diretta a soffocare la resistenza delle città fenicie sarde di fronte all'espansionismo di Cartagine nel Mediterraneo Occidentale. Nel 509 a.C. dopo anni di lotta i Cartaginesi guidati dai generali Amilcare e Asdrubale riuscirono ad occupare l'isola grazie soprattutto all'insanabile divisione dei Sardi. L'occupazione punica trasformò radicalmente l'organizzazione della società sarda e le città divennero il centro del potere politico, economico, religioso, militare: era un modello di organizzazione sociale sconosciuto, fino a quel momento, alle popolazioni dei piccoli villaggi nuragici.
Generalmente il potere apparteneva a un re, il quale, tuttavia, doveva tenere conto dei pareri dell'assemblea dei rappresentanti dei commercianti, degli armatori e dei proprietari terrieri. Tiro rappresentò per un certo tempo un'eccezione, perché, nel VI secolo, venne governata da magistrati detti sufeti, che erano eletti dal popolo, restavano in carica un anno ed erano generalmente due. La loro era una carica civile, non militare: sovrintendevano alle relazioni internazionali, avevano funzioni legislative, amministrative e giudiziarie. Col passaggio all'età del Ferro, il potere regio nelle città-stato dei Fenici venne limitato dall'ascesa delle classi mercantili, ma il sovrano conservò le funzioni religiose e sacerdotali che costituivano una sua prerogativa e continuò a preoccuparsi della costruzione degli edifici sacri. La regina godeva di privilegi particolari, poteva esercitare la reggenza e riferirsi a se stessa e all'erede usando il plurale.
Ai fenici è attribuita l'invenzione dell'alfabeto fonetico e la forma esteriore delle lettere che fu adottata dai greci. È grazie a loro che furono diffuse le unità di misura e il sistema dei pesi babilonesi in tutto il bacino del Mediterraneo.


GLI EBREI


Giacobbe con tutta la sua famiglia si recò in Egitto: e sembra che l'emigrazione degli ebrei si debba integrare con quella più vasta compiuta dagli Hyksos ("principi di paesi stranieri") che raggiunsero l'Egitto passando attraverso la Terra di Canaan: al loro seguito il piccolo numero degli Ebrei (secondo la Bibbia si trattava di circa settanta persone) acquistò ben presto posizione eminente. Giuseppe, figlio di Giacobbe, fu primo ministro del faraone e tutta la sua stirpe, aumentata considerevolmente di numero, si stabilì ai confini orientali del Delta. All'inizio, gli Ebrei conservarono una certa libertà; si spostarono anche, come nomadi, forse fino alla Terra di Canaan, unita allora all'Egitto.
Dopo l'espulsione degli Hyksos, gli Egiziani, avendo bisogno di manodopera, asservirono gli Ebrei. Liberati da Mosè, nel XV o nel XIII sec. a.C., gli Ebrei peregrinarono per un certo tempo nella penisola sinaitica, furono nutriti miracolosamente dalla manna e dissetati con acqua miracolosa. Intorno ai secoli XIII-XII, essi si stanziarono nella regione meridionale della terra di Canaan, ossia l'attuale Palestina. Il popolo d'Israele era organizzato come una confederazione di dodici tribù. La costituzione di un regno creava però un problema di legittimità, ossia gi giustificazione dell'autorità del re. Gli Ebrei intesero il sovrano come prescelto di Dio. Saul (significa impetrato da Dio) 1s re degli Ebrei, che regna dal 1020 al 1000 a.C., quando muore in guerra contro i Filistei. Fu scelto per consiglio divino e unto re segretamente a Rama dal profeta Samuele, che in seguito lo proclamò re pubblicamente. Gli succede Davide, suo genero, che regna per quasi quarant'anni, dal 1000 fino al 961 a.C. A Davide succede, nel 961 a.C., il figlio suo e di Betsabea, Salomone, diventato proverbiale per la sua saggezza. Salomone è quello che si dice un sovrano illuminato. Alla sua morte (922 a.C.) il regno si spezzò in due: uno è il regno di Israele, e l'altro si chiamerà di Giudea. L'alimentazione degli ebrei era caratteristica di un popolo dedito prevalentemente all'allevamento; infatti non mancavano il pane e il vino, ma un ruolo centrale era svolto dalla carne, ovviamente di animali non impuri come pecore e capre, e del latte e dei latticini. Resta il problema del significato dei tanti tabù alimentari degli ebrei. Si è fatta lìipotesi che essi, sotto l'apparenza religiosa, non fossero altro che proibizioni di carne di maiale sarebbe stato il risultato della consapevolezza della facile deperibilità di questo tipo di carne nei climi caldi, come quella dei palestinesi. Secondo questa interpretazione, le proibizioni religiose sarebbero state introdotte per rafforzare delle proibizioni di tipo sanitario.



CONFLITTO FRA ETENE E SPARTA E LE GUERRE GRECO-PERSIANE


A partire dalla fine dell'VIII secolo, i governi aristocratici presero il posto dei regimi monarchici, si diffusero il modello della polis (città). Nella polis greca il governo era cosa dei cittadini, che in vario modo partecipavano all'elaborazione delle leggi e alla gestione del governo. Tutta la storia della polis nell'età arcaica (VIII e VI secolo a.C.) è dominato dallo scontro sociale e politico fra i nobili e il demos. Molti greci allora si diressero verso Occidente (Italia meridionale, Francia, Malta, Spagna e Africa settentrionale, Ponto) e poi, dalla mèta del VII secolo a.C., verso Oriente (Egeo settentrionale e mar Nero). Questa colonizzazione diffuse la civiltà greca anche in un area molto più vasta della madrepatria: la cosiddetta Magna Grecia o grande Grecia. Ogni città greche ebbe caratteristiche proprie. Questo frazionamento derivava dal fatto che il territorio della Grecia è montuoso, con ristrette pianure e valli separate da rilievi. Così nacquero le costituzioni di Sparta e Atene, le due piu' importanti Peleis della Grecia. Sparta, dominata da un'oligarchia potentissima militarmente, sottomise fra l'VIII e il VI secolo a.C. quasi tutto il Peloponneso e formò in seguito con le città sottomesse la Lega Peloponnesiaca. La sua fondazione deve essere stata opera di genti che invasero la regione senza però fondersi con la popolazione locale che fu sottomessa e mantenuta poi in una condizione di quasi schiavitù. A questa particolare origine è prpbabilmnte dovuta alla rigida struttura della società spartana, divisa in tre classi fortemente differenziate: gli Spartani, i soli a godere di diritti politici; non svolgevano alcuna attività economica e dedicavano l'intera esistenza all'esercizio delle armi; i Perieci: uomini liberi, avevano il diritto di possedere terre e svolgere attività artigianali o commerciali, ma erano esclusi dall'assemblea cittadina e dal governo della città; gli Iloti, servi dello Stato messi a disposizione degli Spartani. Atene, del tutto diversa, anziché verso le conquiste territoriali, si indirizzò verso il raggiungimento all'interno d'una solida democrazia. Le sue origini sono scarse e incerte. Sappiamo dai resti archeologici che sorse in età micenea e che fu probabilmente risparmiata dalle invasioni che si abbatterono sulla penisola greca. Verso il 700 a.C. l'aristocrazia abbattè la monarchia. L'arconte Solone diede ad Atene una costituzione basata sulla divisione della popolazione in classi secondo la ricchezza, permettendo così la partecipazione al governo anche dei non nobili. In seguito il governo di Atene passò nelle mani di Clistene, la cui costituzione segnò la nascita della democrazia in Atene, dove ora tutti i cittadini avevano uguali diritti e tutti, anche i piu' poveri, potevano partecipare al governo della città. In politica estera, Atene si avvicina ad Argo, abbandona Sparta e si dota di nuove mura. Appoggiando Megara, tuttavia, provoca l'avvicinamento di Corinto a Sparta, la quale intreccia un patto anche con Tebe (460 a.C.). La guerra comincia con una vittoria di Sparta e Tebe a Tanagra e con una di Atene a Enofita (457 a.C.), mentre gli Ateniesi annettono al proprio territorio Beozia, Focide e Locride, dominando così l'intera Grecia centrale. Inoltre, la Lega delio-attica, ormai strumento politico di Atene, costringe Egina a consegnare la propria flotta, eliminandone così la concorrenza commerciale. Cimone, richiamato in patria, stipula con Sparta una tregua quinquennale (451 a.C.). Ormai Atene possiede un vero e proprio impero, ma il Congresso panellenico della pace non può tenersi per l'opposizione di Sparta. Un esercito costringe Atene alla Pace dei Trent'anni (445 a.C.): Sparta riconosce l'impero ateniese ma pretende il dominio assoluto sul Peloponneso. Pericle fa valere il proprio carisma per instaurare una sorta di tirannia personale, tesa alla potenza e al fasto di Atene. Le molte concessioni con cui egli s'ingrazia le classi sociali più povere generano un vero sistema assistenziale. Le migliori menti di Grecia (Anassagora, Socrate, Erodoto, Sofocle, Euripide, Tucidide) si ritrovano libere di pensare e di creare. Nonostante qualche ribellione (come quella di Samo, sedata da Pericle), oltre 400 città greche sono costrette ad aderire alla Lega delio-attica e a pagarne i tributi. Per gli Spartani la situazione è insostenibile, tanto che si giunge al conflitto. La Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) si apre con l'intenzione di Pericle di non affrontare sul campo il superiore esercito spartano, limitandosi a rintanarsi entro le mura di Atene. Mentre la flotta ateniese è attiva lungo il Peloponneso, gli Spartani di Archidamo attaccano l'Attica (429 a.C.). Potidea cade, dopo due anni di assedio, nelle mani degli Ateniesi, ma questi sono poi sconfitti a Spartolo. Intanto, la peste uccide un terzo degli abitanti d'Atene, fra cui Pericle (429 a.C.), sostituito dal popolare Cleone e dall'oligarchico Nicia. Quando Platea viene espugnata dagli Spartani, Archidamo decreta la morte dei suoi difensori. Ma a Sfacteria (425 a.C.) gli Ateniesi ottengono una clamorosa vittoria, che induce Sparta a chiedere la pace. Ora Nicia caldeggia un accordo e lo ottiene: Sparta e Atene siglano una pace per cinquant'anni (421 a.C.) e si alleano contro i possibili attacchi di Argo e delle città del Peloponneso. Sparta domina la situazione in Grecia, sostenendo i vari governi oligarchici, mentre le città dell'Asia Minore patiscono di nuovo il tallone persiano. Ma Atene ben presto restaura la democrazia ad opera di Trasibulo (403 a.C.), sotto il cui governo si decreta anche la morte di Socrate (399 a.C.). Sparta, che si sente ormai erede della supremazia ateniese, interviene in aiuto alle polis nell'Asia Minore inviando una spedizione al comando di Agesilao (399 a.C.). La Persia cerca appoggi e li trova in Atene, Corinto, Tebe ed Argo, che si alleano a lui contro Sparta iniziando la Guerra Corinzia (395-387 a.C.). La flotta persiana al comando dell'ateniese Conone vince i Lacedemoni a Cnido (394 a.C.), ma questi ultimi battono Ateniesi e Tebani a Coronea. Conone decide di riedificare le mura d'Atene. Ciò porta al riavvicinamento di Sparta con il re persiano Artaserse II, che blocca il Bosforo al fine di impedire approvvigionamenti di grano ad Atene dalla Scizia. La situazione si sblocca con la Pace del Re (o di Antalcida - 387 a.C.) tra Atene e Sparta mediata da Artaserse II, che prevede il dominio persiano sulle città dell'Asia Minore e il controllo spartano sulle rimanenti città greche. Ma gli Ateniesi costituiscono presto la Seconda Lega delio-attica (377 a.C.), che riunisce 60 città, mentre Tebe rifiuta di restituire la libertà alla Beozia. Tebe prosegue la lotta, invadendo Messenia e Arcadia e provocando l'alleanza fra Sparta e Atene (369 a.C.). La vittoria di Mantinea (362 a.C.) su Ateniesi e Lacedemoni decreterebbe il trionfo tebano se non fosse per la morte sul campo di Epaminonda. Con lui finisce il predominio stesso di Tebe, la quale deve soggiacere a un nuovo, potente Stato che si affaccia sul mondo greco: la Macedonia. Conflitti e rivalità divisero spesso tra loro le città greche. All'alba del V secolo a.C. le rivalità fra le città greche dovettero essere momentaneamente accantonate per fronteggiare un potente avversario che metteva in pericolo l'indipendenza di tutti i greci: l'impero persiano. Nel corso della prima guerra greco-persiana (490 a.C.) l'attacco di Dario fu respinto dai soli fanti ateniesi. Nella seconda guerra greco-persiana (480-479 a.C.) inizialmente i greci subirono gravi perdite, per poi trionfare nella battaglia navale di Salamina e quella terrestre di Platea. La vittoria sui persiani aprì un periodo di ascesa economica e politica per Atene. Dopo la vittoria sui persiani, la vita politica greca fu caratterizzato dalla "resa dei conti" fra Atene e Sparta. Un primo conflitto fra Atene e Sparta, portò nel 446 a.C. alla firma di una tregua trentennale, che fissava le rispettive zone di influenza delle due potenze. Ma lo scontro decisivo fu la guerra del Peloponneso che si aprì nel 431 per concludersi nel 404 a.C. con la sconfitta ateniese. Atene che, fiaccata militarmente e moralmente dal fallimento fu costretta ad arrendersi nel 404 a.C. Atene dovette accettare un presidio militare spartano e rinunciare ai possedimenti fuori dall'Attica. La principale fonte di ricchezza era costituito dall'agricoltura, dalla produzione di olio e di vino e dalla pastorizia. Quando si parla di commerci, si intende quasi esclusivamente quelli via mare. Un'altra importante fonte di ricchezza del lavoro degli schiavi. Per possederne uno era sufficiente acquistarlo al mercato. Cittadini si era per nascita. Tra i cittadini esistevano profonde differenze sociali: tra i pochi ricchi aristocratici e i molti contadini. Accanto ai cittadini e agli schiavi, incontriamo un altro gruppo sociale importante: i meteci. Si tratta degli immigrati che possono vivere e lavorare nella città, ma non essendo cittadini, non esercitavano i diritti politici. La religione ufficiale era quella olimpica, il culto olimpica, il culto delle divinità che abitavano la vetta del monte sacro, l'Olimpo. Signoreggiati da Zeus, dio del cielo e dei fenomeni atmosferici, gli dei olimpici presiedevano e proteggevano diversi settori della vita umana. L'antropomorfismo caratterizzava la religione greca: agli dei erano attribuiti sentimenti, comportamenti e abitudini umane. La religione costituiva un importante fattore di coesione. La famiglia era la struttura potente della società greca. Nella famiglia contadina tutti lavoravano; nelle famiglie nobili o benestanti, in cui maschi si dedicavano alla vita politica, erano le donne e gli schiavi a svolgere le attività domestiche. La vita della donna si svolgeva completamente all'interno del nucleo famigliare: la donna non usciva quasi mai e abitava le stanze più riparate e protette, nella zona all'interno della casa. Escluse dai diritti politici, esse erano del tutto soggette all'autorità del padre e del marito. Ad Atene, l'educazione del cittadino prendeva le mosse dai poemi omerici. L'educazione di un ateniese era cosa molto diversa dalla formazione militare di un cittadino spartano. La storiografia è una disciplina scientifica che studia la storia dell'uomo. Sono state elaborate forme culturali adatte a rispondere a domande fondamentali, come: "Da dove veniamo? Qual è il nostro pianeta?". La storiografia si pone un problema che per il mito non esisteva: quello del metodo dell'indagine. Come si può essere certi della verità di ciò che si racconta? Al centro della cucina greca vi erano i prodotti tipici di quella che i gastronomi del XX secolo hanno chiamato dieta mediterranea: olio d'oliva, cereali, frutta e i loro derivati. Erano molto apprezzate le verdure, come cipolla, aglio, crescione, rapa, porro, in genere consumate in forma di minestre. La frutta aveva un posto di non minor rilievo: fichi, uva, pere, mele, nespole, mandorle e meloni erano presenti frequentemente sulle tavole dei greci. Ma frutta e cereali costituivano pure la materia prima delle bevande alcoliche, tra le quali la più importante era ovviamente il vino, prodotto in molte varietà. Per i greci i banchetti costituivano il momento centrale di alcuni importanti riti sociali: dai riti religiosi a quelli legati a circostanze politiche. Ma il banchetto svolgeva un ruolo centrale anche nella vita di tutti i giorni: non era pensabile che un uomo degno di questo nome mangiasse da solo.

L'IMPERO PERSIANO


Gli inizi della dinastia persiana degli Achemenidi sono ancora poco conosciuti; verso il 700 a.C. i Persiani erano stanziati a Parsumach, ai piedi dei monti Bakhtiyari, dove, sotto la direzione di Achemene, fondarono un piccolo regno; l'Elam non era più abbastanza potente per fare opposizione. Il regno persiano continuò a espandersi: Teispe (675-640 a.C.), figlio di Achemene, che portava già il titolo di re di Anzan, si annetté la provincia di Parsa (Fars). Alla morte di Teispe il regno fu diviso tra i due figli: Ariaramne di Media (640-590 circa) e Ciro I di Persia (640- 600 circa). Dopo la distruzione totale dell'Elam da parte degli Assiri, Ciro I riconobbe l'autorità di questi ultimi, inviando uno dei suoi figli come ostaggio. Il successore di Ciro, Cambise I, obbligò il figlio di Ariaramne ad abdicare in suo favore, lasciandogli tuttavia il governo della provincia di Parsa, e sposò la figlia di Astiage di Media: da questa unione nacque Ciro II il Grande (558-528 circa). I due regni iraniani che si formarono, quello dei medi e quello dei persiani, vennero unificati dal re persiano Ciro, detto il Grande, nel 599 a.C. Dopo aver consolidato la sua posizione all'interno, Ciro sottomise l'Asia Minore, conquistò Babilonia (539), assumendo il controllo della Siria e ottenendo la sottomissione dei re fenici. Alla sua morte l'Impero passò a Cambise II (529-521 a.C.), che aveva regnato con il padre per otto anni. Il nuovo re dovette domare diverse rivolte in Persia, prima di partire alla conquista dell'Egitto nel 525; nel 522, abbandonando il progetto di conquistare Cartagine e l'Etiopia, ritornò in patria, dove un usurpatore, Gaumata, si era proclamato re; morì poco dopo in circostanze misteriose. Il suo successore Dario I (521-485) era figlio di Istaspe, satrapo dell'Ircania, e nipote di Ariaramne. Egli iniziò la sua opera ristabilendo l'ordine nel paese e nell'Impero; in seguito estese la sua azione a Oriente, sottomettendo il Gandhara, l'India occidentale e la valle dell'Indo; quindi combatté gli Sciti della Russia meridionale ed estese il suo potere sulle città greche della costa. Di lì si volse alla conquista della Grecia stessa, dando origine alle cosiddette guerre persiane, dopo le quali la lotta per i confini occidentali dell'Impero e per le città greche continuò per un secolo e mezzo: laddove la forza non bastava, l'oro del Gran re interveniva, suscitando e mantenendo le lotte intestine in Grecia. Con gli ultimi Achemenidi Artaserse I (465- 424), Dario II (424-404), Artaserse II (404-358), Artaserse III (358- 338), maturò lentamente la decadenza dell'Impero, fino alla definitiva sconfitta di Dario III (331 a.C.) a opera di Alessandro Magno. La forza dei persiani era in primo luogo militare: un potente esercito , costituito da un nucleo di nobili cavalieri persiani fornite dalle province assoggettate, era lo strumento per mantenere il controllo dell'impero. A essa si univa però anche una notevole capacità di assimilazione culturale (a cominciare da Ciro, che conquistata Babilonia nel 539 a.C., restituì la libertà agli ebrei che vi erano stati deportati da Nabucodonsor nel 596). Ma grande fu anche l'abilità con cui Dario seppe organizzare l'immenso impero. Il potere era centralizzato: il sovrano governava attraverso i satrapi, membri dell'aristocrazia persiana, ai quali era affidato il controllo delle diverse province, o satrapie, dell'impero.



Novità fondamentale dell'età arcaica fu l'apparizione delle poleis, ovvero delle città-stato: prodotto non soltanto delle trasformazioni che seguirono, ma anche di quelle precedettero (e resero possibile) la formazione e la grande diffusione delle colonie.

Furono difatti i villaggi gentilizi dell'età buia a porre le basi stesse delle successive formazioni cittadine e comunitarie. E il loro sviluppo sfociò - seppure attraverso un processo lungo e graduale - nella nascita delle poleis greche



CITTÀ ANTICA

È arduo fissare nel tempo le origini della città: a prescindere dalla difficoltà di identificare un minimo comun denominatore nelle differenti forme, di rado le fonti antiche sanno distinguere tra un villaggio e una città, non aiutano a cogliere le tappe della crescita di un agglomerato di abitazioni né paiono interessate all'evoluzione dalle forme più semplici a quelle più complesse di insediamento umano.

LE GRANDI CIVILTÁ URBANE


Autorevoli studiosi pensano all'età del bronzo come momento di costituzione della città. È significativa la tradizione che assegna un posto di rilievo alla biblica Gerico, le cui radici affondano nella preistoria. Dalla metà alla fine del IV millennio a.C. nel paese mesopotamico dei sumeri, in connessione all'affermarsi della cultura di Uruk, si svilupparono città in numero così cospicuo (Eridu, Ur, Uruk, Lagash) da suggerire agli studiosi la definizione di 'rivoluzione urbana'. Testi cuneiformi parlano di città nella Mesopotamia del III e II millennio a.C.: sono le testimonianze letterarie più remote a nostra disposizione, nelle quali la città appare come qualcosa che esiste da sempre, poiché la sua fondazione è ricondotta alla volontà di un dio che la crea dal nulla. È naturalmente più facile immaginare che le condizioni ambientali (fertilità, disponibilità d'acqua, difendibilità del sito da aggressori esterni), le spinte religiose (vicinanza a luoghi abitati dal dio) e politiche (aggregazioni attorno a residenze di sovrani) determinassero l'incremento di popolazione e l'insorgere delle strutture della vita cittadina. L'archeologia ha mostrato che gli agglomerati hittiti, assiri, babilonesi a pianta ora circolare (Karkemish) ora quadrangolare (Babilonia) erano talora di dimensioni notevoli (a Babilonia gli archeologi hanno calcolato un perimetro di circa 18 km) e includevano dentro le mura il tempio-palazzo, residenza dei funzionari del re. In Egitto sono noti agglomerati urbani dalla metà del III millennio a.C., come Kahun nel Fayum, già informati a criteri di notevole regolarità nell'organizzazione spaziale (forma rettangolare, assetto perpendicolare della viabilità, orientamento preciso e forse dettato da motivi religiosi). Vaga è l'origine della città greca (polis) in quanto comunità di cittadini dotata di un'organica struttura statuale fondata in progresso di tempo su principi di giustizia e legalità. La polis raggiunse la sua forma compiuta tra la migrazione dei dori e la scomparsa della civiltà palaziale micenea (XI secolo a.C.) e l'VIII secolo a.C. Sorta ai piedi di un'altura per lo più scoscesa e fortificabile (acropolis), per tutta l'età arcaica la polis, sprovvista di mura, mostrò un reticolo viario disordinato e tortuoso, tra edifici piccoli e addossati l'uno all'altro. Molte città greche sorgevano in prossimità della costa dove si trovava il porto, vero e proprio centro urbano minore. La rocca offriva una sicura difesa in caso di attacco o di assedio, anche se presentava svantaggi per un insediamento permanente. In mancanza di un sistema fluviale, le città greche dipendevano infatti per l'acqua dalle sorgenti e dai pozzi ed è appunto il declivio di un colle il luogo in cui le sorgenti d'acqua sono per lo più localizzate. Solo con il V secolo a.C. si affermarono le esigenze di un'urbanistica regolare e monumentale, teorizzata per esempio da Ippodamo di Mileto con la sua concezione della città a pianta ortogonale. È stato calcolato che il perimetro di Atene all'apogeo (V secolo a.C.) fosse di 27 km, quello di Siracusa 28, quello di Corinto 13, quello di Sparta 7. Nel nucleo essenziale la forma classica di governo nella polis greca e poi romana era rappresentata dai magistrati, dal consiglio degli anziani e dall'assemblea popolare. Solo dal punto di vista urbanistico le città mesopotamiche e minoico-micenee sono le antenate della polis, che sin dagli albori denunciò il ruolo trainante di un'aristocrazia dedita all'agricoltura e alle armi.

IL MODELLO DELLA POLIS


Importante fu il rapporto che legò la polis e la città antica in genere al suo territorio, dalla cui coltivazione la classe dominante traeva la propria forza economica e sociale. Città e campagna non erano spazi rigorosamente distinti. I campi si trovavano a ridosso delle case, gli orti stavano, non di rado, all'interno del centro abitato. La città greca non dovette avere del resto, se non relativamente tardi, strade lastricate, e sempre limitatamente alle vie di maggiore importanza. A differenza della città orientale, non veniva costruita intorno a un palazzo o a un tempio. Al suo centro si trovava lo spazio aperto della riunione (agorà), dove si svolgeva gran parte della vita cittadina. Qui ci si riuniva per decidere e in un secondo tempo si sarebbe tenuto il mercato. Atene controllava un territorio di 2500 km. In epoca classica una polis con più di 10.000 abitanti era considerata grande, piccola con meno di 5000. Una tale organizzazione dello spazio presupponeva una società poco stratificata. Le polis sperimentarono forme diverse di regime politico, dalla monarchia alla tirannide, all'oligarchia, fino alla democrazia radicale ateniese del V secolo a.C.; comune a tutte fu sempre l'incoercibile tendenza al particolarismo, per cui ciascuna concepì sé stessa come stato indipendente e sovrano. Con l'età ellenistica si diffuse in oriente il modello della polis: le nuove città volute dai sovrani e inserite in vasti organismi statali subirono forti restrizioni nella loro autonomia, senza perdere mai del tutto il controllo degli affari interni. In Italia la città non nacque per opera delle genti indoeuropee presenti dagli inizi del II millennio a.C., ma verso l'VIII secolo a.C. fu trapiantata nel sud dai greci e promossa dagli etruschi nel centro-nord. Lungo la costa occidentale a nord di Roma si verificò una fioritura di città etrusche (Arezzo, Cere, Chiusi, Cortona, Perugia, Tarquinia, Veio, Vetulonia, Volterra, per lo più con perimetro inferiore ai 10 km), il cui modello risentì di influenze sia elleniche sia orientali: forse la spinta all'urbanizzazione fu determinata dalle esigenze di sfruttare il territorio fertile e ricco di legnami e minerali. Dodici centri diedero vita alla confederazione dell'Etruria. Poco si sa della loro struttura politica: al potere dei re subentrarono aristocrazie, mentre non ci sono tracce di assemblee popolari. Verso la fine del VI secolo a.C. iniziò il declino delle città etrusche, già del tutto romanizzate nella prima età imperiale. La stessa Roma, benché la tradizione ne collochi la fondazione al 753 a.C., acquistò il volto di città per intervento della famiglia etrusca dei Tarquini, che all'inizio del VI secolo svilupparono una comunità o gruppo di insediamenti sparsi, allora di importanza limitata. Per il V secolo a.C. è stato calcolato a Roma un territorio di circa 150 km e una popolazione di 20-25.000 abitanti. La struttura del primitivo stato romano, composta di un re, un senato e un'assemblea degli uomini in armi, riproduceva verosimilmente lo schema delle comunità indoeuropee italiche. L'assimilazione delle istituzioni politiche di Roma a quelle greche fu un'operazione culturale degli storici romani.


Come si è detto, le stirpi dominanti che avevano invaso le diverse regioni della madrepatria si erano spartite tra loro i nuovi territori, mantenendo in una condizione di sudditanza i loro precedenti abitatori. A questi ultimi poi - quantomeno laddove la frattura tra esproprianti e espropriati si sviluppò in un modo meno radicale - fu probabilmente concesso a volte di rimanere proprietari, seppure a titolo personale e individuale, di piccoli appezzamenti terrieri. Ciononostante, furono le stirpi (ghenoi) dominanti ad appropriarsi della maggior parte delle terre. E ciò fu alla base di quel dislivello nella proprietà patrimoniale (che col tempo inoltre conobbe un'ulteriore recrudescenza) che generò, sia durante il periodo arcaico che durante quello classico, dei gravi conflitti sociali.
In un tale clima generale, oramai estremamente mutato, non aveva più molto senso l'istituto monarchico (il quale tuttavia sopravvisse ancora per alcuni secoli); così come del resto le strutture palazziali, prima centro della vita sociale, finirono gradualmente per decadere e scomparire. Si affermò invece un nuovo tipo di struttura: cioè il villaggio come residenza - di solito - di un'oligarchia dominante, il luogo nel quale quest'ultima discuteva i propri affari, tenendo vivo al tempo stesso il sentimento della propria superiorità (in quanto casta egemone) nei confronti della popolazione rimanente (che potremmo definire la 'plebe' greca).
Dal Palazzo come centro direttivo di un potere unidirezionale, si passò così al villaggio come sede di un'aristocrazia di carattere gentilizio, caratterizzata quindi da sfumature 'democratiche' (si ricordi a questo proposito il carattere socialistico delle antiche comunità gentilizie, cfr primo paragrafo).
In un tale contesto vennero poste appunto le basi delle future città-stato: al tempo stesso derivazione dei villaggi dei secoli precedenti, e loro sviluppo in un senso sempre più estraneo alla logica gentilizia (basata sull'identificazione della comunità con un'unica stirpe d'origine) e a quella delle caste (fondata sulla una stratificazione sociale rigida e inalterabile) - il tutto, come vedremo, con la sola eccezione di Sparta!
- Caratteri generali delle poleis greche
Anche se le poleis greche conobbero nel loro complesso un vasta gamma di forme politiche (oligarchia, timocrazia, democrazia, tirannide.), si possono tuttavia individuare a livello socio-politico dei tratti evolutivi comuni. E se è vero che - come si è appena detto - la città di Sparta costituì una lampante anomalia rispetto alla situazione generale, bisogna anche ricordare che essa non ebbe mai eguali né nel mondo antico (e non soltanto in quello greco) né in quello moderno. Essa costituì quindi, in un certo senso, l'eccezione che conferma la regola.
I tratti di fondo alla base della trasformazione delle antiche comunità oligarchiche e gentilizie dell'età oscura furono essenzialmente due: a) da una parte vi fu la crescita degli squilibri legati alla grande proprietà, a spese, ovviamente, della precedente situazione di parità sociale (riguardante tuttavia soltanto i membri della casta dominante), b) dall'altra invece vi fu l'emergere sul piano politico, su quello economico e su quello militare (tre piani peraltro strettamente interconnessi) di un ceto intermedio tra le due precedenti condizioni: la povertà quasi assoluta dei piccoli contadini e dei braccianti, e l'estrema ricchezza fondiaria dei nobili.
Lo stato greco moderno nacque dunque dall'azione concomitante di tali fattori. Se infatti, attraverso lo sviluppo della grande proprietà si affermò, oltre al diritto al possesso privato dei beni immobiliari, anche quello ad un loro indefinito ampliamento; dall'altra, il progressivo emergere delle classi medie - nonché in generale delle prime e aspre lotte sociali tra ceti nobiliari e non - pose le basi dei successivi sviluppi democratici (basati sulla parificazione dei diritti politici tra i cittadini) del mondo greco, e in generale di quello occidentale.
Ma come si giunse alla formazione di squilibri tanto accentuati in seno alla proprietà terriera?
Si possono fare molte ipotesi in merito. E' certo comunque che tra VIII e VII secolo si fosse giunti oramai a un forte accentramento di carattere fondiario a favore di una classe molto ristretta, la nobiltà, cioè alla dissoluzione della precedente comunità oligarchica gentilizia in favore di un'altra numericamente ancor più limitata, contrapposta ad una sempre crescente massa di poveri. Si consideri inoltre che il periodo in questione si sviluppò in massima parte lungo i cosiddetti secoli bui, dei quali non ci restano che poche tracce archeologiche e nessun (affidabile) documento scritto.
Si può ipotizzare in ogni caso che una delle ragioni della diminuzione graduale del numero dei proprietari fu l'isterilimento delle famiglie dominanti; oppure - al contrario - fu una prima divisione dei patrimoni fondiari tra eredi maschi, cui nel corso dei secoli seguì una ricomposizione assai meno paritaria rispetto a quella iniziale. è un fatto comunque che, al termine di lunghi secoli di evoluzione, la situazione divenne quella sopra delineata. Ad un piccolo gruppo di proprietari si affiancarono difatti due diverse classi: da una parte quella dei piccoli proprietari (spesso discendenti da antiche famiglie decadute, appartenute in precedenza alle stirpi dominanti) ormai in rovina, e dall'altra quella dei braccianti nullatenenti, ovvero i 'teti' (discendenti forse dalle popolazioni espropriate già ai tempi delle invasioni doriche).
Esiodo illustra bene, nel suo componimento 'Le opere e i giorni', quella che dovette essere la triste e dura condizione dei piccoli proprietari terrieri, asserviti ai più ricchi esponenti della nobiltà, e la cui vita era segnata da incubi costanti, quali la fame o la traduzione in schiavitù ].
E' ovvio come una simile configurazione della vita sociale non potesse non creare dei gravissimi attriti in seno alla società stessa. Anche a essi infatti, si dovette la grande colonizzazione avvenuta tra l'VIII e il VI secolo!
Tali tensioni tuttavia, non si tradussero mai in un movimento organizzato politicamente, rimanendo delle semplici istanze interne alla società, capaci effettivamente di determinare dei fenomeni di grande portata (ad esempio, appunto, i grandi flussi migratori alla base della colonizzazione), ma non di modificare - quantomeno radicalmente - la struttura economica e la distribuzione della proprietà all'interno delle poleis.
Sarà, invece, l'emergere di nuove forze sociali (portatrici non solo di inedite istanze morali, ma anche di forme di produzione e distribuzione della ricchezza differenti rispetto al passato) a rendere possibile un primo mutamento nelle strutture politiche, in un senso essenzialmente timocratico.
Non è necessario sottolineare come questi nuovi ceti sociali fossero essenzialmente legati al commercio, ovvero alle attività mercantili e a quelle artigiane, e avessero entrambi sede prevalentemente non nelle campagne, bensì nelle città. La loro ricchezza quindi non era - come per i latifondisti - peculiarmente agraria ma monetaria, o comunque basata più sulla capacità di fare circolare i beni, che su quella di tesaurizzarli.
Tali ceti, imprimendo all'economia e alla società una svolta differente rispetto al passato, guadagnarono una posizione di autonomia rispetto ai vari potentati dell'aristocrazia terriera che dominavano la vita politica e sociale, riuscendo così effettivamente ad emanciparsi (coinvolgendo poi in un tale processo anche altri strati della popolazione) dal potere invasivo di quest'ultima.
Vi furono inoltre anche altri fattori alla base di questa trasformazione della vita delle poleis, molti dei quali furono legati alle trasformazioni della tecnica militare!
A un individuo contemporaneo, abituato a considerare gli eserciti come delle entità fondamentalmente impersonali e controllate dall'alto, un tale fatto potrebbe sembrare strano o addirittura incomprensibile. Tale affermazione tuttavia appare meno assurda qualora si consideri la natura degli eserciti del mondo antico, e in particolare di quelli delle città-stato greche.
Col tempo infatti, la guerra tra i singoli stati per ragioni soprattutto territoriali (data la forte richiesta di nuove aree su cui insediarsi) divenne sempre più frequente, e le esigenze militari crebbero di conseguenza. Al tempo stesso, alle antiche tecniche belliche basate essenzialmente su combattimenti individuali tra condottieri (di solito nobili - si ricordino a tale proposito le gesta eroiche dei personaggi mitologici) se ne sostituirono altre. In esse il fattore individuale venne superato da quello collettivo, anche perché si era oramai scoperto come un esercito compatto (la falange) ] pagasse molto di più in battaglia rispetto a uno basato su combattenti sciolti (si ricordino a tale proposito le descrizioni delle battaglie presenti nell'Iliade). Ma questo tipo di formazione militare richiedeva al tempo stesso un massiccio impiego della popolazione libera, né si accontentava più fondamentalmente dell'apporto della nobiltà.
E con l'entrata stabile delle classi dei non nobili nelle fila degli eserciti, si affermarono in favore di queste ultime anche molti diritti politici. Come avrebbe difatti potuto la nobiltà permettere ai cittadini liberi di armarsi, sapendo al tempo stesso di mantenerli in una condizione di subalternità insopportabile? Con ciò essa avrebbe decretato la sua stessa condanna, o in ogni caso la pena a vivere in uno stato costante di latente guerra civile. Fu perciò per essa una necessità imprescindibile concedere ai plebei dei nuovi diritti, che ne parificassero almeno in parte la condizione politica alla propria. La nuova organizzazione militare fu definita 'tattica oplitica', e gli opliti (componenti della fanteria) divennero il pilastro stesso degli eserciti greci.
Bisogna tuttavia anche ricordare come ogni cittadino dovesse pagare il proprio armamento bellico, un fatto che restringeva di molto (dato il costo di quest'ultimo) il numero di coloro che avevano diritto a far parte di questo 'secondo' esercito (il primo era quello costituito dalla cavalleria, formata essenzialmente dalla nobiltà). In tal senso, più che di una rivoluzione democratica, si trattò qui di una rivoluzione timocratica, legata cioè alla ricchezza (ovvero al censo) dei singoli cittadini, anziché alla semplice cittadinanza politica!
In ogni caso, tanto le trasformazioni socio-economiche, quanto quelle militari, contribuirono in modo essenziale all'emancipazione politica delle classi 'plebee' rispetto al precedente dominio aristocratico.
E le riforme politiche del resto, diedero a propria volta un apporto molto positivo sia allo sviluppo che all'affermazione delle classi mercantili, e in generale a quello delle classi cittadine.
a) Gli sviluppi politici di Atene e dell'Attica
Nel panorama della storia greca l'Attica e la sua capitale, Atene, rivestono - come tutti sanno - un ruolo del tutto essenziale, sia per l'importanza da esse assunta a partire dal periodo classico, sia per la particolarità del loro sviluppo. D'altra parte, tali particolarità (o comunque molte di esse) possono essere ricondotte alla geografia stessa di tale regione, protetta e delimitata naturalmente da una vasta schiera di montagne, quindi costituente da sempre un territorio circoscritto con una popolazione tendenzialmente omogenea.
Tornando indietro nel tempo, ovvero al periodo della dissoluzione degli antichi regni micenei, vediamo ad esempio come gli eventi traumatici che - più o meno direttamente - sconvolsero tutta l'Ellade (oltre alle zone ad essa circostanti), intervenissero in maniera fondamentalmente attenuata in Attica. Quest'ultima difatti non conobbe direttamente le invasioni doriche, e nemmeno - molto probabilmente - quelle ad esse conseguenti, dei popoli cacciati dalle proprie sedi originarie.
Il suo isolamento naturale (rafforzato peraltro dai tratti peculiari della sua popolazione e dalle sue tradizioni politiche) portò l'Attica a rimanere indietro rispetto alle abitudini coloniali della gran parte degli stati circostanti (quali ad esempio Corinto o Megara). Si è già detto, a un tale proposito, come la prima vera colonizzazione ateniese avesse inizio soltanto attorno al settimo secolo, ovvero con un ritardo di circa un secolo rispetto alla maggior parte degli altri stati greci!
E fu anche - o forse principalmente - una simile inclinazione isolazionistica a porsi alla base della trasformazione in senso democratico della città-stato ateniese. L'assenza difatti per lungo tempo di quella 'valvola di sfogo' costituita, per le altre poleis, dalle colonie, finì molto probabilmente per esacerbare quei conflitti sociali interni che un po' ovunque si posero alla base delle rivoluzioni anti-oligarchiche. In Attica quindi, e ad Atene in particolare, queste ultime conobbero forme molto più radicali che altrove, tanto che essa si pose a modello di un po' tutte le altre democrazie greche (così come, del resto, Sparta divenne un riferimento per gli stati oligarchici).
Vedremo più avanti con maggiore esattezza le dinamiche che furono alla base dell'evoluzione di Atene da città-stato oligarchica (sostanzialmente quindi uguale alle altre) a città-stato di carattere timocratico prima, e successivamente pienamente democratica.
b) Sparta e la conquista della Messenia
Se Atene può essere presa a modello - o come 'tipo ideale' - dell'evoluzione popolare e anti-oligarchica degli stati greci, Sparta al contrario portò avanti una trasformazione di tipo diametralmente opposto: col tempo difatti le sue strutture politiche, anziché emanciparsi dall'antica conformazione gentilizia e di casta, finirono per consolidarne ulteriormente i caratteri. Tale città quindi si sviluppò in un senso inverso rispetto a tutte le altre poleis greche - anche, peraltro, rispetto a quelle che rimasero più attaccate a concezioni di tipo aristocratico (e arcaico)!
Tenteremo ora di indagare le ragioni per le quali tale città conobbe un'evoluzione così anomala rispetto al resto degli stati greci. Senza ovviamente voler togliere nulla al fattore della libera scelta umana, si deve infatti sottolineare l'esistenza di tutta una serie di presupposti che rendono meno inspiegabile e arbitraria anche ai nostri occhi una tale evoluzione. Cercheremo, qui avanti, di delinearli molto sommariamente.
Abbiamo già mostrato in precedenza che Sparta e il Peloponneso meridionale furono il centro dell'invasione dorica, ovvero il luogo in cui queste popolazioni - al termine della loro corsa attraverso le regioni dell'Ellade - decisero di insediarsi stabilmente. La totale estraneità di tali popoli nei confronti dei loro precedenti abitatori (appartenenti tutti al ceppo acheo), li pose con essi in un rapporto profondamente conflittuale. A un tale fattore quindi, si deve ascrivere l'atteggiamento difensivo assunto dai popoli occupanti nei confronti degli Achei, esplicatosi in un arroccamento - tanto morale quanto fisico - in sedi rigidamente distaccate rispetto ad essi.
Alla base della frattura insanabile tra questi due popoli vi fu, insomma, questa profondissima differenza di partenza, molto più marcata rispetto a quella sussistente tra gli altri popoli invasori, provenienti comunque da altre zone della Grecia, e quelli che furono per così dire costretti a 'ospitarli'.
La società dorica, la cui 'filosofia' si inverò soprattutto nel tipo di dominio instaurato dalla città-stato di Sparta, fu quindi una società 'coloniale' e imperialista fin dai propri esordi. Essa si fondò da subito sul dominio militare di una ristretta casta egemone nei confronti di una più vasta popolazione originaria. Col tempo inoltre questa egemonia basata sulla violenza, che sussisteva anche a prezzo di notevoli sacrifici personali tra i componenti della casta dominante, finì - anziché per attenuarsi - per acuirsi. Alla base di un tale fenomeno vi fu forse un processo autonomo di radicalizzazione dei conflitti che una tale situazione generava, che inevitabilmente comportò anche un inasprimento delle misure repressive ai danni delle popolazioni espropriate.
Quanto alla città-stato di Sparta poi, ovvero il più potente stato dorico in Grecia, essa non si limitò alla conquista e all'asservimento della Laconia e dei suoi abitanti (avvenute probabilmente tra XI e X secolo), proseguendo in un secondo momento fino a comprendere la vicina regione occidentale della Messenia (VIII - VII secolo).
Le vicende della guerra (o, per l'esattezza, delle due guerre) tra popoli messenici e spartani, ci raccontano il definitivo consolidarsi della potenza di questi ultimi nel Peloponneso, ma anche i rischi che essi più volte corsero di scomparire, travolti da quegli stessi nemici che successivamente riuscirono a sconfiggere e a sottomettere.
Generati dal bisogno di acquisire dei nuovi territori, in seguito all'aumento della popolazione spartana, entrambi i conflitti furono molto lunghi e conobbero diverse e alterne fasi, pur essendo entrambi alla fine vinti da Sparta.
Il primo conflitto si collocò nell'ultimo quarto dell'VIII secolo, e si concluse con la sottomissione dei popoli messenici. Il secondo ebbe inizio invece dalla rivolta di questi ultimi (oramai ridotti al rango di semplici Iloti, come si mostrerà meglio più avanti) contro il dominio spartano, a metà del VII.
Il secondo conflitto, inoltre, ebbe una portata decisamente maggiore rispetto al primo, riguardando ben più dei due semplici stati contendenti. La Messenia difatti cercò e ottenne l'alleanza in funzione anti-spartana dello stato argivo e di diversi stati arcadici (preoccupati dalla crescita d'estensione della loro rivale, che diveniva col tempo sempre più temibile).
Al termine della guerra quindi, quando Sparta ebbe riportato (pur con grandissime difficoltà, come si è detto) l'ordine nei suoi domini, era oramai divenuto chiaro a tutti come essa fosse la potenza egemone nel Peloponneso, in quanto si era dimostrata lo stato militarmente più potente, oltre che quello tra tutti territorialmente più esteso. Si formò perciò in quegli anni la prima lega tra gli stati greci della madrepatria ]: la Lega Peloponnesiaca, destinata a una lunga e gloriosa esistenza sia nel periodo classico che in quello post-classico.
Ma la situazione che seguì alle conquiste messeniche, comportò per lo stato spartano notevoli mutamenti anche sul piano dell'assetto sociale.
La consapevolezza infatti di dover sopportare un carico sempre maggiore di nemici interni, costituito ovviamente da una fascia sempre più ampia di popolazioni sottomesse, radicò ancora di più l'esigenza di una capillare attività interna di polizia, volta al mantenimento di un ordine sociale alquanto precario. Il tutto si tradusse quindi in un inasprimento delle norme comunitarie, a svantaggio delle libertà personali dei singoli cittadini. Così, mentre - come già si diceva - tutto il mondo ellenico conosceva un progresso in direzione dell'affermazione della libera iniziativa privata, ovvero a sfavore degli antichi vincoli comunitari che legavano tra loro i componenti della casta egemone, Sparta conosceva al contrario un drastico inasprimento di questi ultimi, conseguenza di un dominio sempre più difficile e instabile sulle varie regioni del proprio territorio.
Per ciò che riguarda le popolazioni sottomesse poi, esse si divisero sin dall'inizio (ovvero sin da prima dell'invasione messenica, dai tempi cioè dell'insediamento degli Spartani in Laconia) in due differenti gruppi: i Perieci da una parte, e gli Iloti dall'altra.
I primi, seppure posti in una condizione socialmente subordinata, costituirono una popolazione a latere rispetto agli spartiati, che godeva di alcuni diritti essenziali - e alla quale erano inoltre delegate attività, quali ad esempio il commercio, che gli spartiati (non solo come classe/casta egemone, ma anche in quanto profondamente chiusi di fronte a possibili influenze e contaminazioni esterne) non volevano né potevano esercitare! - ma che tuttavia non aveva alcuna voce nelle decisioni di natura politica. I peireci molto probabilmente erano i discendenti delle popolazioni che dominarono quelle zone prima dell'arrivo dei Dori. Queste ultime difatti in parte furono sospinte al di là dei loro precedenti territori (soprattutto in Arcadia e in Acaia), in parte continuarono invece a vivere ai margini di essi, laddove le regioni più fertili vennero occupate dai nuovi arrivati.
La condizione più dura fu però quella degli Iloti: una sorta di 'classe schiavile di stato', impiegata nella coltivazione dei campi e più in generale nelle attività produttive, totalmente priva di diritti (e non soltanto di quelli politici, ma anche di quelli più elementari). Gran parte delle popolazioni sia della Laconia (regione di più antica conquista), che della Messenia (acquisita definitivamente, come si è appena mostrato, verso la fine dell'VIII secolo) furono tradotte in schiavitù, andando così a comporre i membri di una tale classe, giuridicamente priva d'esistenza autonoma in quanto mero strumento produttivo per la classe egemone degli spartiati.
E' necessario infine dare un breve sguardo alle trasformazioni che, a partire soprattutto dalla seconda guerra messenica, ebbero luogo all'interno dello stato spartano.
Innanzitutto bisogna ricordare come, prima della conquista della Messenia, si stessero formando delle rivalità abbastanza forti tra le due famiglie politicamente più influenti dello Stato spartano (gli Agiadi e gli Euripontidi), un fattore che chiaramente era causa - e al tempo stesso espressione - di una crescente divisione interna. Prodotto di questo aspetto della vita politica e sociale fu forse la scelta istituzionale di carattere diarchico (ovvero la doppia monarchia) posta alla base dell'organizzazione stessa dello stato. Ognuno dei due re infatti (la cui carica peraltro, contrariamente a quella dei sovrani del periodo miceneo, durava soltanto un anno!) era espressione di una delle due famiglie dominanti, e la loro azione combinata tendeva quindi a mantenere tra esse un equilibrio di potere.
Il potere dei sovrani inoltre non era certo assoluto, ma bilanciato da altri istituti: la Gherusia (il Consiglio degli anziani), e l'Apella (l'assemblea dei cittadini liberi, ovvero gli spartiati, convocata solo per le decisioni più importanti).
Anche se le guerre messeniche, molto probabilmente, non modificarono da subito una tale struttura (fu infatti solo nel secolo successivo, il sesto, che gli Efori, i cinque magistrati la cui istituzione risaliva ancora all'VIII secolo, iniziarono ad avere la concreta possibilità di limitare il potere dei sovrani), esse sicuramente influenzarono lo spirito stesso del popolo spartano, rendendolo più chiuso e diffidente nei confronti degli altri stati (i quali, come vedremo più avanti, stavano conoscendo già da tempo un'evoluzione di segno opposto rispetto alla sua) e rafforzando contemporaneamente lo spirito di coesione interna, ovvero il senso della parità sociale e politica tra i cittadini liberi, a tutto svantaggio degli antagonismi politici tra le grandi famiglie.
Un altro elemento poi, che modificò profondamente la vita politica e sociale della polis spartana, fu l'introduzione (avvenuta verosimilmente proprio in concomitanza con la seconda guerra messenica) della tattica oplitica, la quale - come si visto - richiedendo un forte senso di solidarietà reciproca tra i cittadini-soldati, favorì (e anzi impose) il processo di parificazione sociale tra essi, a scapito di nuovo delle interne rivalità particolaristiche.
Un ultimo fattore che caratterizzò da sempre - ma ancor più profondamente a partire da questo periodo - la cultura spartana, fu il tipo di educazione impartita alla sua gioventù (Agoghè), la cui esistenza era improntata a un'esistenza dura, spietata e militaresca.
Elementi essenziali di essa furono: il distacco forzato dalla famiglia dall'età di tredici anni, l'inizio cioè di un'esistenza puramente comunitaria; la ginnastica come mezzo per temprare tanto il corpo quanto lo spirito; e delle condizioni di vita alquanto precarie, che obbligavano i giovani spartani a rubare per sostentarsi, a rischio di subire però terribili punizioni fisiche e morali.
Fu la guerra messenica quindi, l'evento che molto probabilmente costrinse la città di Sparta a trasformarsi definitivamente in quella roccaforte impenetrabile (spesso inoltre mitizzata dai suoi stessi nemici, elemento non secondario della sua forza) che tutti ancor oggi conosciamo, episodio più unico che raro nell'intera storia mondiale.
- Evoluzione interna degli altri stati greci
Per ciò che concerne invece gli altri stati greci, abbiamo già detto che la loro evoluzione fu molto più vicina a quella della città di Atene che non a quella di Sparta. Ma peculiarità dell'Attica fu anche qui - come per quanto concerne la crescita coloniale - un notevole ritardo rispetto alla maggior parte delle altre regioni. Così, ad esempio, mentre Corinto conobbe per la prima volta l'esperienza politica della tirannide ancora nel VII secolo, Atene la conobbe invece soltanto a partire più o meno dalla metà del VI, sotto la guida illuminata di Pisistrato.
Per ciò che riguarda quest'ultima forma di governo, bisogna notare che essa fu espressione in gran parte della volontà dei nuovi ceti commerciali e 'borghesi' (nel senso di non peculiarmente legati alle ricchezze fondiarie) di affermarsi anche su un piano politico e civile. I tiranni difatti, se da una parte furono quasi sempre degli esponenti della nobiltà, dall'altra furono anche espressione della necessità di mediare tra gli interessi di quest'ultima e quelli dei ceti emergenti, cittadini e commerciali. In questo senso la tirannide greca non ebbe (quantomeno da subito) quei connotati negativi che assunse in seguito, e che ancora oggi conserva.
In ogni caso la cultura politica delle altre poleis fu molto spesso influenzata dall'esperienza della democrazia ateniese, pur non essendo mai giunta in esse a soluzioni altrettanto radicali, ed essendosi quindi mantenuta su un piano di maggiore moderazione. Del resto, anche laddove si formarono stati di stampo oligarchico, essi conservarono sempre rispetto al passato un carattere decisamente attenuato: era oramai inconcepibile infatti, visti gli sviluppi sociali di un po' tutto il mondo greco, un dominio a senso unico della nobiltà terriera.
Le eccezioni più considerevoli rispetto a una tale situazione si trovarono in Arcadia (ovvero nelle zone più interne del Peloponneso) e in Tessaglia (nella zona nord-orientale della Grecia).
Qui difatti, gli sviluppi economici e sociali oramai avanzati nelle altre regioni, non ebbero altrettanta facilità a penetrare. Anche sul piano politico, dunque, rimasero in vigore in massima parte le tradizioni gentilizie più arcaiche e le forme di insediamento ad esse corrispondenti, più tribali che cittadine.
Ma quello dei dislivelli di proprietà non fu, nel mondo occidentale, un problema esclusivamente greco. Anche a Roma, ad esempio, la questione delle terre - detta 'questione agraria' - fu sempre estremamente sentita.
D'altra parte, il processo di graduale accentramento fondiario non venne mai realmente interrotto dai provvedimenti politici, ma al massimo rallentato. Ne è prova il fatto che la fine del mondo antico fosse segnata dalla realtà del feudalesimo - ovvero di una società divisa territorialmente tra le proprietà dei grandi possidenti.
L'invenzione della falange risale ancora al settimo secolo, e probabilmente deve ascriversi agli spartani (pare nel corso della seconda, e durissima, guerra messenica). Una tale tecnica bellica si diffuse poi molto velocemente in tutto il mondo greco. E da lì divenne patrimonio anche di molte altre culture e civiltà: in primis dei romani!
Le prime leghe tra le città greche non furono quelle della madrepatria, bensì quelle delle colonie asiatiche. Per l'esattezza la prima lega fu quella, fondata nel VII secolo, tra le poleis ioniche, e le cui basi furono innanzitutto religiose.
Anche qui, come in molti altri campi, le colonie ebbero il merito di costituire il 'volano' dell'evoluzione dei popoli ellenici. Solo con i secoli, quando lo sviluppo economico e politico principale si spostò nuovamente verso la madrepatria, quest'ultima si riappropriò del proprio ruolo 'egemone'.

















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