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Sicuramente molte persone conosceranno le principali vicende che caratterizzarono la seconda Guerra mondiale, ma ben poche credo, sappiano spiegare con chiarezza la fase finale di questa terribile e logorante guerra. In godesta relazione infatti, volevo illustrare inanzitutto come si svolse la liberazione dei paesi occupati dalle forze dell'Asse, e in secondo luogo raccontare il difficile e drammatico periodo passato dall'Italia dopo la caduta del regime fascista, magari appoggiandomi a delle testimonianze artistiche, lasciate dai personaggi che caratterizzarono questo mutamento ricco di nuove prospettive civili e politiche.
Alla metà del 1942, le forze dell'Asse avevano raggiunto la loro massima espansione. In Europa, fra stati occupati, regimi vassalli e alleati, la coalizione nazifascista dominava su un territorio di 2.5 milioni di chilometri quadrati, popolati da 250 milioni di persone. Nell'Africa settentrionale gli italo-tedeschi si apprestavano a lanciare l'offensiva decisiva per la conquista dell'Egitto. Nel Pacifico, i giapponesi avevano compiuto una travolgenteavanzata e controllavano l'intera fascia costiera cinese, l'Indonesia, l'Indocina, la Birmania, la Filippine, oltre a un gran numero di isole di grande importanza strategica e militare nel conflitto con gli Stati Uniti, che aveva carattere essenzialmente aeronavale. Non mancavano, tuttavia, i fattori di debolezza. La strategia della guerra lampo era sostanzialmente fallita: la Germania si trovava ora a dover condurre su più fronti una logorante guerra di lunga durata. L'Italia, nonostante i numerosi episodi di valore di cui si resero protagonisti i reparti delle forze armate, aveva mostrato tutta la sua impreparazione militare e la fragilitta delle sue strutture economiche. Per quanto riguarda il Giappone, i suoi stessi successi lo avevano portato a dover agire militarmente su un teatro di guerra di enorme estensione, difficile ed oneroso da presidiare. Sull'Asse, poi, pesava una grande incognita: quale potenza militare sarebbero stti in grado di dispiegare gli Stati Uniti? La risposta non avrebbe tardato a giungere. A partire dalla seconda metà del 1942 le sorti del conflitto volsero progressivamente a favore degli anglo-americani e dei sovietici, alleati in una lotta che aveva come obiettivo la resa senza condizioni della Germania. Un primo evento decisivo si verificò sul fronte orientale: qui, nel giugno 1942, i tedeschi lanciarono una violenta offensiva, intesa a conquistare le ricche regioni petrolifere del Caucaso e a prendere Mosca. Affiancavano l'esercito tedesco diversi contingenti dei paesi alleati, tra i quali i 220mila soldati deel'Armir, il corpo di spedizione italiano inviato da Mussolini ad appoggiare Hitler nella campagna di Russia. Gli attacchi colsero importanti successi iniziali, respingendo i sovietici oltre il fiume Don, ma in luglio l'offensiva si arrestò a Stalingrado. Qui si svolse una drammatica battagli, durata fino al febbraio del 1943, combattuta nelle strade e nei quartieri delle città. I tedeschi non riuscirono a prendere Stalingrado, e ciò segnò una svolta nel conflitto in quel settore: la resa dell'armata tedesca a Stalingrado fu il primo atto di una ritirata, sotto l'incalzare della controffensiva sovietica, destinata a concludersi solo a Berlino. Nel terribile inverno 1942-43 le forze dell'Asse furono decimate e l'armata italiana, nonostante la disperata reistenza, distrutta.Ma l'elemento che determinò in modo irreversibile la disfatta dell'Asse fu l'intervento degli Stati Uniti. L'apparato industriale americano fu in grado di produrre, tra il 1940 e il 1945, 3000mila aerei, 86mila carri armati, 71mila navi da guerra, 3milioni di mitragliatrici: un impegno economico senza precedenti, reso possibile da un completo accordo fra imprenditori, governo e sindacati. Gli uomini e i mezzi americani rappresentarono un forza d'urto insostenibile sia per la Germania, sia per il Giappone.Il primo teatro di intervento delle forze statunitensi fu l?africa settentrionale. In questo fronte, l'offensiva italotedesca a El-Alamein (23 ottobre 1942) venne arrestata dagli inglesi del generale Montgomery, che iniziarono poi a respingere le forze dell'Asse verso occidente. Sempre più isolati a causa dell'efficace azione della marina inglese nel Mediterraneo contro i convogli destinati a rifornirli, gli italo-tedeschi dovettero retrocedere, perdendo l'intera Libia.Dopo la sbarco anglo-americano in Marocco e Algeria, le forze dell'Asse vennero prese fra due fuchi. La loro ultima resistenza in Tunisia venne piegata nel marzo 1943. Con la vittoria sul fronte dell'Africa settentrionale, si apriva per gli alleati la possibilità di realizzare uno sbarco in Sicilia, che ebbe luogo il 10 luglio 1943. A questo punto, la situazione dell'Italia si fece estremamente critica: emergeva chiaramente l'impossibilità per il governo di Mussolini di realizzare un'efficace difesa del territorio nazionale. Il fallimento militare del fascismo ebbe decisive ripercussioni sul piano interno: il regime, indebolito, perdeva rapidamente consenso. Le notizie dal fronte, i bombardamenti alleati, le sempre più difficili condizioni economiche indebolirono irreversibilmente la credibilità del regime e diedero forza agli antifascisti: gli scioperi avvenuti nel marzo 1943 nelle principali città del nord ne erano stati un chiaro segno. Di fronte a questa situazione, nè i gerarchi fascisti nè la monarchia erano ormai più disposti a sostenere Mussolini. Il 25 luglio 1943 il duce fu costretto a dimettersi da un colpo di mano attuato dal Gran consiglio del fascismo, con ilconsenso di Vittorio Emanuele terzo; il dittatore venne imprigionato e condotto sul Gran Sasso. Il fascismo era finito. Il Re affidò il governo al maresciallo Pietro Badoglio, che l'8 settembre 1943 annunciò l'armistizio con gli anglo-americani. L'esrcito, abbandonato a se stesso, si sbandò: i reparti italiani all'estero che tentarono di resistere ai tedeschi furono massacrati, come accadde a Corfù e Cefalonia. Mentre il re e Badoglio fuggivano da Roma, riparando a Brindisi sotto la protezione degli alleati, i tedeschi occuparono la parte centro-settentrionale del paese, arrestando all'altezza di Cassino l'avanzata degli anglo-americani, che nel frattempo erano sbarcati anche in Calabria e Salerno. Nell'Itali controllata dai tedeschi, il 12 settembre 1943, Mussolini, liberato da Hitler, fondò la Repubblica sociale italiana, con capitale Salò e un governo di fatto sottomessoa quello tedesco. Ebbe inizio in Italia la lotta di liberazione.Nella conferenza di Teheran (dicembre 1943), Churchill, Roosevelt e Stalin decisero l'apertura di un secondo fronte in Europa. Era questa una strategia sostenuta con forza da Stalin, cui premeva vedere impegnati i tedeschi da occidente, e anche da Roosevelt, che considerava un attacco diretto alla Germania l'unico modo per distruggere il nazismo. Il secondo fronte fu aperto il 6 giugno 1944 con lo sbarco in Normandia, un'imponente operazione aeronavale comandata dal generale statunitense Dwight Eisenhower, che travolse le difese tedesche e condusse alla liberazione del Belgio e di quasi tutta la Francia. Il 18 agosto i soldati di De Gaulle, dopo un riuscito sbarco in Provenza, entrarono in Parigi, che con un'insurezzione aveva scacciato i tedeschi. Lo sbarco in Normandia ebbe come l'effetto di indebolire l'importanza strategica del fronte italiano: qui liberata Roma (giugno 1944) la lenta avanzata degli Alleati si arrestò lungo la linea gotica, che andava da Rimini a La Spezia. Sul fronte orientale , intanto, l'Armata rossa era avanzata fino a Varsavia e alla Vistola, alle porte quindi della Germania, e aveva rioccupato le repubbliche baltiche. Sotto l'avanzata russa, tutto il sistema di dominio nazista nell'Europa centrale e balcanica si sfaldò: i paesi satelliti del Reich, Ungheria, Romania e Bulgaria, firmarono l'armistizio con i sovietici. In Jugoslavia, Belgrado insorse vittoriosamente contro i tedeschi (ottobre 1944), che dovettero lasciare anche la Grecia, occupata dagli inglesi. Nell'Europa sottoposta alla dominazione nazifascista si svilupparono quasi ovunque movimenti di resistenza. Questi movimenti furono molto diversi per composizione, estensione, efficacia e conobbero sovente al loro interno divisioni anche forti di carattere ideologico e politico: li accumunava tuttavia l'idea di combattere contro l'oppressione in nome di un ideale di libertà che si accompagnava talvolta anche a un'esigenza di trasformazione politica della società, una volta sconfitto il nazismo. La resistenza europea combattè con le armi della propaganda contro l'occupante, con il sabotaggio, con il sostegno agli Alleati e alle loro operazioni militari. In alcuni casi essa diede vita a veri e propri eserciti di liberazione e a una guerriglia di grande impegno anche militare, come per esempio in Jugoslavia e in Italia. Al di là del suo contributo militare, la Resistenza ebbe un grande significato politico, poichè dimostrò, pagando un prezzo altissimo, la volontà dei popoli europei di non piegarsi al dominio nazifascista. Dovette passare tuttavia un altro lungo inverno di guerra prima che la Germania si arrendesse. Hitler, dopo essere sfuggito per poco ad un attentatto organizzato da alcuni generali (luglio 1944), comandò un disperato quanto inutile sforzo di resistenza: fu ordinata la mobilitazione totale, coinvolgendo anche i giovanissimi nella guerra e intesificando lo sfruttamento ed il terrore in Germania e nei territori ancora occupati dal Reich. Ciò permise di arrestare per qualche mese l'avanzata dei Alleati, ma costò alla Germania e a buana parte dell'Europa un crescendo di morte e distruzzione. L'aviazione americana attuò bombardamenti a tappeto di obiettivi militari ma anche di intere città: nel solo bombardamento di Dresna perirono oltre 100mila civili. La Germania venne ridotta a un cumulo di macerie. A ovest, gli Alleati passarono il Reno; a est, l'Armata rossa entrò in Austria e il 13 aprile 1945 occupò Vienna. Il 25 aprile 1945 anglo-americani e russi si incontrarono sul fiume Elba; negli stessi giorni in Italia, dove gli Alleati avevano ripreso l'avanzata sfondando la linea gotica, un'isurezzione liberò le principali città del nord. Il 30 aprile Hitler si tolse la vita, imitato da altri capi del regime; il 2 maggio i sovietici entrarono a Berlino. Il 7 maggio la Germania firmò la resa senza condizioni. La guerra era finita in Europa, ma continuava in Estremo Oriente. Anche in quest'area le sorti del conflitto erano progressivamente mutate a favore degli Stati Uniti. In una guerra combattuta essenzialmente con mezzi navali ed aerei, l'enorme capacità industriale americana, alla lunga, non poteva che imporsi. La resa del Giappone era solo ormai questione di tempo: proprio per l'intento di risparmiare tempo, e quindi vite di soldati americani, fu l'argomentazione che il presidente Harry Truman, salito alla Casa Bianca nell'aprile 1945, dopo la morte di Roosevelt, addusse per motivare l'impegno contro il Giappone della bomba atomica. Il 6 agosto 1945 il primo ordigno termonucleare venne sganciato sulla città di Hiroshima, causando circa 100mila vittime; tre giorni dopo, un'altra bomba atomica colpiva Nagasaki. Il 2 settembre 1945 fu firmata la resa del Giappone. La guerra era finita, ma Hiroshima e Nagasaki aprivano l'inquietante futuro dell'era atomica. La caduta del regime fascista e l'armistizio (25 luglio e 8 settembre 1943) aprirono per l'Italia un periodo difficile e drammatico, ma anche pieno di significato e di nuove prospettive civili e politiche. Dopo venti anni di regime dittatoriale, il paese si trovava di fronte al compito di determinare il proprio futuro.
Nel 1945, a conclusione di un cinflitto bellico che aveva lasciato sul campo decine milioni di morti nella sola Europa, le condizioni economiche dei paesi coinvolti direttamente in quella tragica esperienza erano a dir poco disastrose. L'apparato produttivo, sino a quel momento orientato sulle necessità militari, doveva essere riconvertito a usi civili e ciò costituiva, di per sè, un notevole dispendio di energie e di capitali, anche per le difficoltà oggettive di procedere in tempi brevi a tale processo. Le infrastrutture, poi, risultavano distrutte o ampiamente inutilizzabili, specie quelle dislocate, nel corso della guerra, in posizioni strategiche per l'approvigionamento dei fronti. La ricostruzione post-bellica era partita un pò in tutti i paesi, ma procedeva, agli inizi, piuttosto faticosamente, soprattutto a causa dell'aumento vertiginoso dei prezzi che connotava le diverse economie. L'iperinflazione che si stava verificando in Europa era chiaramente il risultato del grande squilibrio tra la crescita dell'offerta di moneta, e un'offerta di beni di consumo ancora assai limitata. L'azione americana si precisa il 5 luglio 1947 con il celebre intervento di Marshall all'Università di Harvard di fronte a centinaia di laureandi. In esso il segretario di Stato abbozza la strategia che di li' a quattro anni dovrà rendere possibile la ripresa europea, legando indissolubilmente i destini dei paesi europei alla grande potenza statunitense e favorendo nel contempo lo sviluppo economico e la crescita dei commerci su scala planetaria. 'La nostra politica di aiuti economici non è diretta contro nessun paese' dirà Marshall ' ma contro la fame, la povertà, la disperazione, il caos. Il suo obiettivo è la rinascita dei sistemi economici entro i quali le libere istituzioni democratiche possano esistere'. In altri termini Marshall proponeva di varare un massiccio piano di aiuti 'mirati' ai diversi paesi europei con un duplice intento. Inanzitutto consentire a questi paesi di esercitare sul mercato mondiale una 'domanda pagante' in modo da favorire lo sviluppo economico, secondo uno schema di crescita 'virtuosa' del reddito , della produzione e dell'occupazione di chiaro impianto keynesiano che ormai non era più in discussione. In secondo piano (ma non certo in via subordinata rispetto al primo obiettivo), consentire in Europa il rapido completamento della ricostruzione e una ripresa armonica delle diverse aconomie, affinchè fosse ovunque scongiurato il periodo di tensione sociali che avrebbero potuto produrre tentativi eversivi con l'appoggio dell'Unione Sovietica. I fondi erogati tra il 1948 e il 1952 dal Congresso statunitense ammontarono complessivamente a poco più di tredici miliardi di dollari, in buona parte utilizzati per acquistare negli Stati Uniti beni concessi poi agli alleati a titolo gratuito. Con l'intesificarsi della guerra fredda, una parte sempre maggiore dei fondi fu utilizzata per sostenere le spese militari più che il processo di ricostuzione industriale; ciononostante, al termine del programma, i livella produttivi euro-occidentali avrebbero superato del 35% quelli prebellici.
In questo periodo post-bellico, segnato dalla povertà e dalla fame, il popolo era falcidiato da carestie, o da altre malattie come la pellagra o lo scorbuto, che si possono attribuire alla carenza di alcuni principi alimentari, come le vitamine. Queste fanno parte delle molecole degli enzimi, il quale sono catalizzatori ( sostanze che accelerano le reazioni chimiche). La carenza di vitamine è detta ipovitaminosi, la completa assenza avitaminosi, più raro invece l'eccesso chiamato ipervitaminosi. E' necessario tener presente che alcuni procedimenti di trasformazione degli alimenti possono ridurne il contenuto vitaminico, dato che molte di queste sostanze sono sensibili alla luce, calore o ossigeno. Spesso in natura le vitamine non esistono come tali, ma derivano da precursori chiamati provitamine, ed inoltre possono essere reperite sostanze di struttura analoga, ma dotate di azione biochimica antagonista, dette antivitamine. A volte, differenti composti hanno la stessa attività vitaminica: si parla allora di vitameri. Invece si dice azione sinergica quando per far procedere tutta una serie di reazioni coenzimatiche, sia necessaria la presenza contemporanea di molte vitamine. Le vitamine vengono divise in due gruppi, a seconda che siano solubili nei grassi (liposolubili) o in acqua (idrosolubili). Sono liposolubili le vitamine A,D,E,K e F che si trovano in alimenti contenenti grassi e possono essere accumulate nel tessuto adiposo dell'organismo. Le vitamine del gruppo B ,C e P invece sono vitamine idrosolubili e, dal momento che non possono essere conservate, devono essere assunte con frequenza.
Dopo queta lunga e straziante guerra, l'unico sentimento di speranza che era rimasto alla gente, era di vedere un futuro florido, caratterizzato dalla pace e dalla solidarietà. Una lirica che sà impersonare alla perfezzione questo concetto è sicuramente 'NON GRIDATE PIU'' di Giuseppe Ungheretti. Questa lirica, contenuta nella raccolta 'Il dolore', fu composta poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, ed ha come destinatari coloro che sono sopravvissuti a quella tragedia. E' un esempio di poesia civile, il dolore del poeta si apre ai problemi della staria e della vita politica, con una accorata preghiera agli uomini perchè riscoprano i valori della solidarietà, superando gli odi di parte. Al 'grido' di chi odia si contrappone il silenzio dei morti, il cui messaggio è testimone della dignità dell'uomo:al loro insegnamento è affidata la speranza dell'immortalità (se sperate di non perire). Gli imperativi (cessate; non gridate) non esprimono un comando, ma un'esortazione, rarrorzata dall'uso dell'adynaton, figura retorica che evidenzia un fatto impossibile (cessate d'uccidere i morti). Fitta è la trama fonica, che ha lo scopo di potenziare le iterazioni del testo (cessate, non gridate, se li volete, se sperate). Oltre alle tecniche appena accennate, Ungheretti usa anche delle anafore, antitesi e delle allitterazioni (suoni simili). Questa lirica è composta da due quattrine, di cui la prima è formata da novenari ritmati ai vv. 3 e 4, la seconda da un endecasillabo, due settenari e un novenario.
Un messaggio simile a quello di Ungheretti, è stato dato anche nel campo della fisica, grazie a otto studiosi di fama internazionale (fra cui Einstein) che firmarono il 'Testamento spirituale'. In questa lettera, si cerca di far capire all'umanità, l' estrema pericolosità delle nuove bombe atomiche. Einstein infatti bensi' estraneo alla politica scrisse al Presidente statunitense Roosevelt:' Alcuni recenti lavori di E.Fermi e di L.Szilard, che mi furono presentati manoscritti, mi convincono che l'elemento uranio possa essere usato come nuova ed importante fonte di energia nel prossimo avvenireUna sola bomba di questo tipoche esplodesse in un portopotrebbe assai facilmente distruggere l'intero porto insieme al territorio circostante.
Un altro artista che troviamo subito dopo la fine della seconda guerra mondiale è Alberto Burri. Nato a Città di Castello, in provincia di Perugia, nel 1915, Burri si laurea in medicina (1940), ma subito viene travolto dagli eventi bellici e nel 1944 è prigioniero di guerra in un campo di concentramento in Texas. E' proprio l'esperieza della prigionia a far maturare in lui il desiderio di accostarsi alla pittura che, una volta liberato, comincia a praticare a tempo pieno. Nell'immediato dopoguerra Burri si stabilisce a Roma, dove ha modo di avvicinarsi agli ambienti dell'avanguadia informale, interessandosi alle problematiche della materia che costituiva, insieme al gesto, uno dei due principali temi conduttori della poetica informale.In questo senso la ricerca di Burri è sempre estremamente rigorosa e porta dei risultati che avranno echi e conseguenze anche oltre Oceano. Egli infatti, userà nelle sue opere materiali poveri di varia natura: dai semplici sacchi di iuta ai fogli di cellophane, passando attraverso i legni bruciati e le lamiere saldate. La serie dei sacchi inizia a partire dal 1952, quando l'artista umbro balza alla ribalta del panorama artistico italiano grazie ad un insieme di composizioni realizzate con vari brandelli di tela di sacco. Si tratta di sacchi laceri, sporchi, a volte anche bruciacchiati, recuperati dal deposito di qualche carbonaio o rinvenuti nelle discariche dei rifiuti. Solo brandelli di materia usata e consunta, che negli strappi e nelle sgranature delle trame conservano una traccia eloquente della loro umile storia. Nel 'Sacco', un'opera realizzata nel 1953, Burri incolla su una tela da pittore vari brandelli di sacco, armonizzandone gli accostamenti in relazione al colore, alla grana delle iute, alle toppe che vi sono state cucite sopra. Quello che ne risulta, comunque, non è un semplice collage, del tipo di quelli cubisti nè, tantomeno, un provocatorio ready-made di gusto dada. Burri utilizza i sacchi affinchè essi ci narrino la loro storia, una storia modesta e mai retorica, parallela a quella degli uomini che li hanno usati. Negli strappi e nelle bruciacchiature, come sulla pelle rugosa di un vecchio, l'artista ricerca gli indizi della vita, del suo sudore, dei suoi dolori, delle sue miserie. Burri muore il 13 febbraio 1995. Nel dicembre dell'anno precedente, comunque, quale prestigioso riconoscimento per una vita dedicata all'arte, in umiltà e silenzio, aveva avuto la rara soddisfazione che 'Bianco e Nero', una sua opera del 1969, venne accolta nell'esposizione permanente della Galleria fiorentina degli Uffizi.
Nell'opera 'Sacco' la linee di forza ci portano in un primo momento a notare la linea di mezzo, poi si passa subito alle due macchie colorate, e la lettura procede con i due buchi sottostanti, poi lo strappo a sinistra e infime l'altro buco. L'opera tende ad avere un'inclinazione verso sinistra a causa dello strappo non perpendicolare. I pieni ed i vuoti, sono caratterizzati dalle parti più chiari, e zone più scure, quasi a dare un senso di luce ed ombra. Sono state adoperate le terre, le ocre per dare maggiormente il senso della materia grezza. Poi ha adoperato due tipi di contrasto, uno chiro-scuro, e poi il contrasto dei colori puri con quelli complementari, cosi' il verde è adoperato in contrapposizione al rosso vivo, rendendo cosi' in equilibrio i colori diametrali rosso-verde. Il peso del quadro è tutto nella fascia alta, alleggerito però dal quadrato, il peso provocato dalla fascia cosi' viene bloccato dai rettangoli e dai cerchi della tela grezza. I moduli sono cosiderati sia le forme rettangolari, che da quelle circolari, e questa modularità è messa in modo tale da creare un ritmo casuale, perchè non costituito con basi geometriche, ma seguendo un logica personale.
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