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STORIA MARITTIMA - Racconti Aztechi della Conquista




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STORIA MARITTIMA




Racconti Aztechi della Conquista








CAPITOLO I



MODALITÀ NARRATIVE


Fin da una prima lettura quello che colpisce di questi racconti aztechi della conquista è la loro "diversità" rispetto alle visioni che noi europei abbiamo avuto in eredità nei secoli. Questa è dovuta al fatto che tutti i racconti qui presi in considerazione sono di origine indiana e conseguentemente esprimono, chi più chi meno, la "visione dei vinti". È questa una caratteristica molto particolare se pensiamo che la maggior parte delle nostre conoscenze vengono dalla lettura di testi di origine europea.



Fonti


La storia che noi conosciamo è stata ricavata dalla principale fonte pervenutaci, costituita dal racconto in lingua spagnola trascritto da Cortés nelle Cartas de relaciòn indirizzate alla maestà imperiale Carlo V, niente abbiamo per conto di Motecuhzoma (sovrano del Messico) probabilmente a causa del fatto che gli spagnoli perpetrarono una sistematica distruzione di libri e documenti provenienti dal Messico, il cui contenuto pareva loro fortemente sospetto di idolatria; inoltre la popolazione fu decimata dalla guerra, dalle malattie, dai lavori forzati.

Nel mezzo, tra questi due estremi della contesa, si può collocare una serie di testimonianze scritte dagli aztechi esprimenti varietà di sfumature.

Possono essere individuati tre gruppi di documenti: i testi più prossimi al punto di vista messicano, provengono da  Tlatelolco e sono il Codice Fiorentino e gli Annali storici di Tlatelolco. Un secondo gruppo è costituito dal Codice Aubin e dalle testimonianze trascritte da Diego Durán Storia delle Indie della Nuova Spagna e delle isole di «Tierra firme» tradotto dalla Historia Mexicana. Questi sono i testi che, pur essendo redatti nelle regioni in cui Cortés reclutò i suoi alleati, hanno tuttavia eliminato ogni traccia di tale collaborazione e fanno trasparire, in un certo senso, il punto di vista messicano espresso da una velata polemica contro l'invasore.

Ultime due testimonianze vengono anch'esse dagli alleati di Cortés ma al contrario tendono a giustificare o celebrare la loro militanza. Si tratta del Codice Ramírez e la Storia di Tlaxcala. Questi testi sono entrambi concordi nel proclamare la loro fedeltà all'invasore, rivendicando ciascuna per la propria parte (Texcoco per il Codice Ramírez e Tlaxcaltechi per la Storia di Tlaxcala) il merito di alleato più utile alla causa.

Queste distinzioni risultano particolarmente interessanti soprattutto quando andiamo a leggere nelle fonti alcuni episodi comuni, dal confronto dei quali si rende palese la divergente visione dei fatti e la diversa sfaccettatura con la quale vengono riportati gli avvenimenti. Mi riferisco in particolare a due episodi:  il ritrovamento da parte degli spagnoli di ori e pietre preziose nelle stanze segrete del palazzo di Motecuhzoma e lo scontro nel tempio. Questi due racconti infatti sono entrambi presenti sia nel Codice Fiorentino che nella Historia Mexicana di Durán ma la loro descrizione differisce notevolmente .



Generi


I testi sono resoconti fedeli degli eventi, la loro tradizione si avvicina ai generi del racconto popolare e del romanzo di cavalleria. Accostandoci a queste visioni della conquista il lettore odierno ha la sensazione di essere in presenza di almeno tre diversi generi:

Il primo è quello annalistico: una notazione di date, nomi propri e un resoconto essenziale  di eventi cruciali. Gli Annali storici di Tlatelolco e il Codice Aubin fanno parte di questo genere.

Il secondo potrebbe definirsi memorabilia: racconti dedicati a eventi particolari considerati degni di essere tramandati alle generazioni successive. A questo genere potranno essere ricondotti il Codice Ramírez e la Storia di Tlaxcala.

Il terzo è quello delle saghe: si tratta di storie complete, centrate all'interno di più dinastie. Tra questi il Codice Fiorentino e la Storia delle Indie della Nuova Spagna e delle isole di «Tierra firme».



Stili


Tutti i testi sono stati scritti in lingua Nahuatl, a noi sono pervenute traduzioni spagnole del XIV. La cosa che vale sottolineare è che i testi in lingua Nahutal mantengono un livello di astrazione minimo, nel senso che gli eventi sono riferiti per quello che sono; i testi in spagnolo attribuiscono diversi gradi di importanza agli eventi, nel senso che perché un fatto sia degno di essere registrato, non basta che esso abbia avuto luogo, ma occorre che sia un esempio capace di spiegare leggi generali.

Altra cosa da sottolineare è che nei testi spagnoli la presenza del narratore travisa in un certo senso la storia articolando i fatti dando personali interpretazioni del comportamento dei personaggi, viceversa nei testi Nahuatl non ci è dato di intravedere nessuno specifico autore.







CAPITOLO II



LA STORIA


La storia narrata è comune a tutte le versioni, si tratta della conquista del Messico che terminerà con la morte di Quauhtemoc successore del Sovrano del Messico Motecuhzoma, da parte degli spagnoli guidati da Cortés e appoggiati anche dall'alleanza di alcune tribù che vedevano negli spagnoli  la possibilità di scacciare il Sovrano.

Il Messico agli inizi del XVI secolo non è uno Stato omogeneo, ma un insieme di nazionalità dominate con pugno di ferro dagli aztechi di Messico.

Dominazione questa non priva di crepe e appesantita al suo interno da molteplici fragilità. L'arrivo degli spagnoli scatena una serie di reazioni contraddittorie che si riveleranno poi funzionali agli interessi di Cortés: alcune tribù ad esempio, mai integrate nell'impero azteca, ne subiscono le ripetute aggressioni e per questo la loro decisione di mettersi al servizio degli spagnoli è priva di ripensamenti e pervasa da uno spirito di vendetta.

Grazie al suo capillare sistema di informazioni, Cortés viene presto a conoscenza dell'esistenza di dissesti interni:


"Aveva trovato vivissime discordie, che era quanto desiderava trovare"


(Historia Mexicana, cap. LXXIII)


Cortés cercherà di sfruttare al meglio tali dissesti cercando alleati, tanto che alla fine un impressionante esercito di indigeni andrà ad integrare lo spaurito manipolo di armati al servizio di Cortés, pronto a vibrare il colpo decisivo ai messicani.

Il 13 agosto 1521 i messicani sono sconfitti:


"E quando abbiamo abbassato lo scudo, quando siamo stati sconfitti, ilcalendario degli anni segnava Tre-Casa, e il calendario dei giorni, Uno-Serpente."


(Codice Fiorentino, cap. XL)



I presagi


Il primo fatto degno di nota è che tutti i racconti partono non con l'arrivo dei conquistadores, ma con la descrizione dei presagi che lo annunciavano.

Il Codice Fiorentino parla di otto presagi considerati dagli aztechi segni premonitori: una cometa, un incendio, la folgore, altre comete, il ribollire dell'acqua, una misteriosa voce di donna, un uccello con sul capo un diadema, uomini a due teste.


"Prima che arrivassero gli spagnoli, dieci anni innanzi, un presagio di sventura apparve una prima volta nel cielo, come una vampa, come una lingua di fuoco, come un'aurora. Essa sembrava piovere a gocce minute, come se fendesse il cielo; si allargava alla base, si assottigliava mano a mano che saliva. Fin nel mezzo del cielo, fino al cuore del cielo essa giungeva, fino al più profondo del cuore del cielo saliva. In tal guisa, la si vedeva, laggiù verso oriente si mostrava, scintillava nel cuore più oscuro della notte, sembrava far giorno, e più tardi il sole sorgendo la dissolveva. [.] Quando appariva, la gente prorompeva



in lamenti, si batteva la bocca, ne era sgomenta, ogni lavoro

smetteva."


(Codice Fiorentino, cap. I)


Il Codice Aubin parla di una colonna di pietra; Durán in Storia delle Indie della Nuova Spagna e delle isole di «Tierra firme» si sofferma su tre accadimenti meravigliosi: la cometa, la pesantissima pietra che non si solleva e parla a oracolo, la storia di un contadino che viene sollevato da un'aquila che lo costringe a marcare a fuoco la coscia del sovrano addormentato e a recarsi immediatamente a riferirne a palazzo.

Per quanto riguarda la veridicità dei presagi è ben possibile che appaiano comete, che si verifichino tornado, uragani e terremoti; tutti gli altri eventi-presagio costituiti da avvenimenti misteriosi che evidentemente non possono esistere nella realtà sono legati alla concezione del tempo degli aztechi che rifiuta l'evento assolutamente inedito - e cosa potrà mai immaginarsi di più sconvolgentemente inedito della venuta degli spagnoli? - per cui si cerca di trasportarlo all'interno di uno schema mentale familiare per renderlo almeno parzialmente accettabile.

Un episodio registrato dalla Historia di Durán chiarisce tale atteggiamento. Come reagisce il sovrano azteca Motecuhzoma alla relazione resagli dai suoi emissari reduci dal primo incontro con gli spagnoli?


"Motecuhzoma si domandava come avrebbe potuto sapere chi fossero e di dove venissero quelle genti. Diede disposizioni che con ogni mezzo ci si mettesse sulle tracce di vecchi indios che potessero dargliene conto nel più grande segreto."


(Historia Mexicana, cap. LXIX)


Il fatto che il sovrano avverta la necessità di consultare  vecchi indigeni, non può discendere che dalla convinzione che nulla possa prodursi nel presente che già non sia accaduto nel passato, non fosse che sotto forma di predizione.

Il resoconto dice che Motecuhzoma fa eseguire prima dei ritratti degli spagnoli che mostra a diversi vecchi, ma essi non possono rinvenire nella propria memoria nulla che vi assomigli. Allora chiede ai pittori più anziani di mostrargli i loro vecchi disegni recanti esseri  mostruosi e rari, ma non giunge a niente.

Alla fine viene convocato un vecchio pittore e uomo di riconosciuta saggezza che gli mostra una pergamena dei propri avi con raffigurati uomini simili agli spagnoli che cavalcano aquile. Motecuhzoma ne è sconvolto ma sollevato: la cosa è stata predetta.  



La venuta degli spagnoli


La venuta degli spagnoli è l'evento inedito.


"Avvenimenti così strani e singolari, mai visti ne uditi fino ad allora"


(Storia di Tlaxcala, cap. I)


Come vengono percepiti i nuovi venuti? In mancanza di una consuetudine preliminare, quella che si determinò fu una visione che potrebbe definirsi distanziata: gli archibugi divengono trombe di fuoco; le navi colline che si muovono da sole, case che galleggiano sospinte da grandi drappi; i cavalli sono caprioli o cervi e, a un primo contatto, sembrano formare un tutt'uno con coloro che li montano. Presenze queste che non esistono nel mondo indigeno e che vengono quindi descritte in modo il più plausibile possibile.

Ma questa visione prelude ad una successiva e inderogabile interpretazione. Sarà proprio in questo sforzo di capire che ci imbatteremo in un altro tratto peculiare dell'incontro tra indiani e spagnoli: questi ultimi saranno considerati, per un primo tempo degli dèi.


"E egli aveva agito in questa guisa. Lui, Motecuhzoma, perché li teneva per dèi, per dèi li aveva scambiati. Per questo erano detti gli dèi-venuti-dal-cielo".


(Codice Fiorentino, cap. VIII)


I messicani si rendono però ben presto conto che di dèi non può trattarsi. Lo stesso Codice Fiorentino riporta che:


"Abbattono idoli e rendono loro offesa, giacché ne sarebbero fratello"


(Storia di Tlaxcala, cap VIII)


E ancora:


"Come scimmie dalla lunga coda hanno arraffato d'ogni parte l'oro [.] essi bramavano a guisa di porci il metallo prezioso"


(Codice Fiorentino, cap. XII)


Sono questi epiteti non certo usati per descrivere degli dèi.

La cosa più interessante è che proprio dall'utilizzo di questi attributi traspare una descrizione sicuramente più vicina ai messicani che agli spagnoli, al contrario se andiamo a vedere come vengono descritti quest'ultimi nella Historia Mexicana,  trasmessaci da Diego Durán, l'immagine risultante è quella di "buoni": cristiani che mossi da spirito pietistico accolgono e aiutano gli indiani senza interessarsi del tesoro, che Durán non manca di descrivere in modo a dir poco desiderabile, ritrovato nelle stanze segrete del palazzo di Motecuhzoma:


"V'erano pile di vassellame d'oro, di piatti e scodelle destinati alla tavola del sovrano, quattro grandi piatti modellati a guisa di fonti, tutti d'oro, e grandi quanto gli scudi. [.] e v'erano, ancora, tazze d'oro, forgiate e lavorate nella stessa guisa di quelle di zucca, ai quattro angoli della stanza, v'era gran quantità di pietre preziose ancora grezze; insomma era custodita in essa la maggior ricchezza che mai si fosse veduta nel mondo. Stupefatti alla vista di tanto spettacolo, gli Spagnoli corsero a darne notizia al Marchese, portandogli i piatti d'oro, perché vedesse quanta ricchezza vi fosse rinchiusa. [.]. Ma avendo il buon Hernando Cortés e i suoi a cuore la salvezza delle anime dei messicani, come si addiceva a buoni cristiani, spregiarono ogni personale profitto per innalzare la fede del Cristo e, nel nome di Lui, convertire questa gente barbara ed accecata di idolatria."


(Historia Mexicana, cap. LXXIV)



La reazione di Motecuhzoma


Come reagisce Motecuhzoma alle prime notizie sugli spagnoli? Egli affida l'interpretazione agli indovini, si rivolge agli antichi manoscritti per trovare risposta alla questione.

Motecuhzoma ascolta con crescente disagio le notizie che riguardano gli spagnoli tanto da esserne terrorizzato:


"E quando Motecuhzoma udì ciò, ne fu straordinariamente atterrito e quasi tramortito: il suo cuore ne era afflitto, il suo cuore era sconvolto"


(Codice Fiorentino, cap. VII)


Il Codice Fiorentino rappresenta l'intero popolo Messicano come colpito da una sorta di paralisi collettiva. Si piange incontrandosi per la via o del buio delle case.


"I messicani erano grandemente atterriti, nutrivano una folle paura, erano tramortiti per lo sgomento. Un grande terrore aleggiava dovunque, dilagava il terrore; nessuno osava battere ciglio, come se si aggirasse colà una famelica fiera; come se morta fosse la terra".


(Codice Fiorentino, cap. VII)


Quando Motecuhzoma manifesta una più decisa opposizione contro i nuovi venuti, ricorre ancora a indigeni e stregoni, ma loro manifestano la loro impotenza e sanciscono definitivamente la superiorità Spagnola.



Lo scontro


I primi scontri vedono gli spagnoli combattere con città prossime alla costa atlantica e il trionfo degli invasori è indiscusso.

L'inizio delle ostilità contro i messicani è segnato da un grande eccidio nel tempio durante una festa e gli indigeni disarmati vengono sterminati: Cortés è costretto ad abbandonare le città per contrastare l'avanzata di un altro spagnolo, Pánfilo de Narváez, mandato contro di lui dal governatore di Cuba. Pánfilo de Narváez, convinto che Alvarado, cui è affidata da Cortés la guarnigione della città, sia ancora lontano autorizza lo svolgimento di una festa, così facendo però taglia ogni via di fuga dal tempio agli indios.

La descrizione nel Codice Fiorentino è molto chiara e mette in risalto il terribile scontro:


"Certuni sono stati colpiti da tergo e, subito, i loro visceri si sono riversati dovunque. Ad altri hanno fatto a pezzi la testa, li hanno, con forza, colpiti alla testa, l'hanno ridotta in poltiglia [.] sono venuti per trafiggere da parte a parte i corpi dei nostri [.] Invano, allora, hanno tentato la fuga [.] in nessun luogo si poteva trovare rifugio".

(Codice Fiorentino, cap. XX)


In questo caso la narrazione è molto cruda  e gli spagnoli sono descritti come terribili assassini dando una interpretazione dei fatti molto più vicina ai messicani che agli spagnoli. Confrontando tale testimonianza con ciò che è riportato nel Codice Aubin l'immagine dei conquistatori risulta notevolmente divergente, infatti:


"Coloro che non avevano fatto in tempo a mettersi in salvo, si gettarono ai piedi del buon Marchese per aver risparmiata la vita implorando il perdono (per la qual cosa non sarà da stupire se, sovente, anche gli Indigeni venivano a lui con le mani incrociate sul petto chiedendo misericordia). E il Marchese li ricevette tutti con grande bontà."


(Historia Mexicana, cap. LXXV)


Il successivo punto forte è quello della morte di Motecuhzoma. Nei resoconti indigeni della resistenza, questo imperatore dal comportamento contraddittorio e ambiguo non viene certo presentato come un eroe. Gli spagnoli - che mai ammetteranno la loro responsabilità al riguardo - pugnalano Motecuhzoma in gran segreto per poi restituirne le spoglie ai messicani.

Secondo il Codice Fiorentino, gli indigeni procedono a cremarne sommariamente il cadavere; è evidente il contrasto con le solenni esequie che erano riservate ad un grande imperatore.

Il corpo di Motecuhzoma, precisa il testo, puzzava mentre bruciava. Il Codice Aubin indugia su una scena curiosa: il cadavere viene caricato sulle spalle di un Messicano. Tutti accorrono da ogni parte al passaggio delle spoglie regali, ma nessuno accetta di prenderle in consegna. La scena si ripete una seconda e una terza volta; il risultato non cambia. Fino a che, stanco di trasportare questo corpo, l'indigeno grida "Ecco lo sventurato Motecuhzoma! Dovrò forse passare il resto della mia vita gravato dal suo peso?" a queste parole, viene in tutta fretta innalzata una pira; il corpo viene deposto sul rogo e, senza alcuna cerimonia, cremato.

La morsa degli spagnoli intorno alla città si chiude e i messicani indietreggiano. Particolarmente commoventi gli ultimi tentativi di impressionare gli spagnoli. Viene riesumato da Quauhtemoc un vecchio abito cerimoniale lasciatogli in eredità dal padre, antico imperatore del Messico, e lo fa indossare ad un valoroso guerriero prima, di incitarlo contro gli spagnoli.


"E quando i nostri nemici lo hanno veduto, fu come se una montagna si fosse rovesciata. Tutti gli spagnoli ne furono atterriti".


(Codice Fiorentino, cap. XXXVIII)


Ma l'esito della guerra è ormai segnato. Durán riferisce di un altro stratagemma di Quauhtemoc:


"Volendo far credere ai nemici che non facevano difetto uomini e forze per la difesa, ordinò alle donne della città di vestire abiti maschili e,di primo mattino, di impugnare le armi e gli scudi,e di salire sulle terrazze delle case  e far loro gesti di scherno".


(Historia Mexicana, cap. LXXVII)


In un primo momento l'inganno ha successo; ma ben presto la verità viene scoperta, e l'avanzata degli spagnoli continua, inesorabile.

L'epilogo del dramma è la resa di Quauhtemoc. I racconti ne riferiscono descrizioni ben dettagliate. Cortés lo scruta e gli liscia i capelli, questo non gli impedirà, poco più tardi, di torturarlo, bruciandogli i piedi, per obbligarlo a rivelare il luogo ove è custodito il tesoro di Motecuhzoma.






Riservo l'interessante differenza al secondo capitolo di questa relazione ai paragrafi "La venuta degli spagnoli" (pag. 9) e "Lo scontro" (pag. 12).

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