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Sostenitori del Marxismo
Antonio Gramsci (1891 - 1937)
Rappresenta l'espressione più matura del marxismo italiano. Egli pensava che le rivoluzioni non si possano copiare e che il processo rivoluzionario in Italia dovesse avere caratteristiche proprie, differenti da quelle della Russia; e affermava che la rivoluzione non coincideva con l'abbattimento del sistema capitalistico ma con la prima fase del suo smantellamento. Nei suoi Quaderni e successivamente nelle Lettere dal Carcere, espone il suo concetto di egemonia: la classe operaia per conseguire i suoi obiettivi rivoluzionari deve conquistare l'egemonia sul resto della società, tale è il compito del partito della classe operaia che Gramsci definisce "il moderno principe", con esplicito riferimento a Machiavelli. A differenza della rivoluzione russa che è stata piuttosto violenta, il partito proletario deve conquistare la direzione intellettuale, morale e culturale della società. La borghesia riesce a mantenere l'egemonia sulla società in quanto ha realizzato un blocco storico di forze sociali e politiche differenti e contraddittorie, unite tra di loro dall'ideologia, che funge quindi da collante. Fino a quando le classi popolari resteranno imprigionate negli schemi culturali e morali dell'ideologia della classe borghese, non riusciranno a contrapporre il proprio progetto politico a quello della classe dominante. La concezione della storia che emerge è decisamente più complessa di quella marxista-leninista: la crisi rivoluzionaria si verifica quando la classe dominante perde la capacità di dirigere il proprio blocco sociale e quindi le classi, fino a prima subalterne, sono in grado di dirigere la società. Secondo Gramsci quindi il marxismo può unire intellettuali e popolo e può dare loro gli strumenti necessari alla trasformazione della società in senso più giusto e umano. Gramsci fa così la distinzione di due tipi di intellettuale: il commesso della classe dominante, che fa quindi propaganda al potere; e il rivoluzionario che sposa la causa dei lavoratori. Questi ultimi sono intellettuali organici, capaci di esprimere gli interessi del proletariato. L'intellettuale organico per eccellenza è quello del Partito Comunista, identificato con "il moderno Principe", che a differenza di quello di Machiavelli non è una persona sola, bensì l'organizzazione in cui si concretizzano i voleri del popolo.
Jean - Paul Sartre
Nell'opera del 1960 Critica della ragione dialettica, Sartre cerca di riformulare il suo pensiero, volendo pervenire a una sintesi di marxismo ed esistenzialismo. Perciò analizza l'esistenza anche riguardo alle condizioni socio-economiche, piegando l'esistenzialismo alle esigenze del materialismo storico. Egli critica la società borghese, come società che "serializza" gli individui, considerandoli come oggetti numerabili, giustapposti uno all'altro. Sartre denomina pratico-inerte questo rapporto seriale, del tutto estrinseco e oggettuale, che si stabilisce tra gli uomini quando sono sottratti alle proprie responsabilità, reificati, resi anonimi e succubi di un potere che li sovrasta. A tale situazione l'uomo può ribellarsi, restaurando la libertà e riorganizzandosi in gruppi che consentono agli uomini di stabilire rapporti liberi tra loro al fine di trasformare le condizioni materiali di sfruttamento e di alienazione.
Vladimir Ilic Lenin
Riprende il giudizio positivo di Marx circa la comune parigina e difende con forza l'idea della rivoluzione violenta da parte del proletariato. Nel periodo di transizione al socialismo lo Stato è ancora necessario, sarà opportuno tuttavia, procedere a una riduzione graduale. La fase di transizione è anche qui trattata come Dittatura del Proletariato che collasserà dando spazio al comunismo. Dopo il 1920 Lenin si dimostrerà meno ottimista affermando che la dittatura del proletariato sarà di difficile attuazione e che al suo posto sarà possibile istituire una dittatura di partito, assumendo così quindi tutto il potere nelle proprie mani.
Documento: Lenin ha tradito Marx?
Vladimir Il'ic Uljanov, noto con lo pseudonimo di Lenin, nacque a Simbirsk da una famiglia di intellettuali e funzionari borghesi. Per lo sviluppo del suo pensiero fu decisivo il destino del fratello maggiore, Aleksej: populista, fu coinvolto in un complotto contro lo zar, e venne impiccato a soli 21 anni (1887). Questo tragico episodio segnò profondamente la vita di Vladimir, inducendolo a prendere le distanze dai metodi terroristi del movimento populista, considerati inutili e dannosi. Sin dagli anni Novanta si avvicinò al marxismo, trovandosi su posizioni politiche vicine a quelle di Georgij Plechanov (1856 - 1918), uno dei principali propagandisti del marxismo in Russia.
Per le sue idee, Vladimir venne perseguitato dal regime zarista: nel 1895 fu condannato a tre anni di deportazione in Siberia (vicino al fiume Lena, da cui forse prese lo spunto per il suo pseudonimo); nel 1900 fu costretto a rifugiarsi in Occidente, dove entrò subito nei circoli dei socialisti russi in esilio.
Nel 1902, in preparazione del congresso del Partito operaio socialdemocratico russo, Lenin scrisse un testo dal titolo significativo: Che fare?. Quel breve scritto riassumeva tutta la sua politica successiva e fondava il cosiddetto "marxismo-leninismo".
Nella sostanza, Lenin reinterpretò il pensiero di Marx adeguandolo alla situazione russa; in effetti, in Russia l'impossibilità di una opposizione legale, il dispotismo e l'arretratezza sociale rendevano inapplicabili gli strumenti delle lotte politiche occidentali. Le tesi di Lenin si possono riassumere nei punti seguenti.
La lotta politica deve essere prioritaria rispetto alle rivendicazioni sindacali. Le conquiste sindacali illudono le masse perché migliorano le condizioni materiali degli operai, ma non trasformano la società né eliminano le cause dello sfruttamento; per fare questo occorre una rivoluzione.
Il proletariato da solo non è in grado di realizzare la rivoluzione: anzi gli operai tendono ad "imborghesirsi" e a ricercare solo un miglioramento immediato delle loro condizioni. La lotta contro il capitalismo deve essere dunque guidata da un partito di "professionisti della politica".
Questo partito dovrà essere caratterizzato da una rigida disciplina e non potrà avere un'organizzazione democratica. Solo in questo modo potrà educare le masse all'ideologia marxista e guidarle alla conquista del potere.
La Russia però non era un paese capitalista; inoltre, la sua classe operaia era relativamente poco numerosa e debole. Non esistevano dunque le condizioni che Marx aveva previsto per la rivoluzione socialista. Lenin, tuttavia, pensava che la rivoluzione si dovesse fare lo stesso, come argomentò in uno scritto del 1916: L'imperialismo fase suprema del capitalismo.
La prima guerra mondiale, affermava Lenin, era una prova che il capitalismo era entrato in una fase di crisi autodistruttiva. Presto i popoli europei si sarebbero ribellati alla guerra e avrebbero fatto la rivoluzione contro il capitalismo che li costringeva a morire nelle trincee.
La Russia, dunque, doveva solo avviare una rivoluzione che avrebbe coinvolto molti paesi europei. Successivamente questi paesi avrebbero aiutato la Russia a svilupparsi e a realizzare compiutamente il comunismo.
Lenin ha tradito Marx?
Il rifiuto del terrorismo e la tesi del ruolo-guida del proletariato dividevano profondamente Lenin dai populisti. Contemporaneamente Lenin e i bolscevichi sembravano riprendere alcune delle tesi fondamentali del populismo: la specificità della storia e dello sviluppo politico della Russia; la necessità di creare un'elite di rivoluzionari. In questa prospettiva , molti marxisti hanno sottolineato che Lenin pareva ispirarsi più al modello della dittatura giacobina del 1973 che al socialismo marxista. Infatti egli poneva l'accento sull'azione politica di una minoranza organizzata piuttosto che allo sviluppo economico e sociale del capitalismo.
Secondo Marx, la rivoluzione "avviene", in quanto costituisce il compimento di un progresso economico e sociale
Secondo Lenin la rivoluzione si fa con l'energia delle masse e con la volontà di conquistare il potere: nella sostanza, il pensiero di Marx è reinterpretato in una prospettiva volontaristica e "partitocentrica".
Oppure Marx ha tradito Lenin?
Lenin ha probabilmente tradito Marx. Tuttavia si può sostenere anche il contrario, cioè che Marx ha tradito le aspettative di Lenin e di tutti i comunisti.
Storicamente, infatti, nessuna rivoluzione ha mai assunto le caratteristiche ipotizzate dal filosofo tedesco.
Come ha osservato lo storico Massimo L. Salvadori, l'evoluzione del processo storico ha rovesciato l'analisi marxiana, secondo cui la rivoluzione socialista sarebbe scaturita dalla maturità dello sviluppo capitalistico. In realtà il comunismo ha vinto la sua battaglia <<solo nei paesi dove era mancato lo sviluppo sia del capitalismo sia della democrazia di matrice liberale>>. Non è nato quindi dalle contraddizioni del capitalismo, ma dal suo mancato sviluppo.
Il marxismo così non è mai stato l'ideologia di una classe operaia inserita in una società di capitalismo maturo. E' stato piuttosto l'ideologia dell'elite di intellettuali e di una parte fortemente minoritaria della classe operaia. I marxisti si sono trovati a operare prevalentemente in società debolmente capitaliste, più autoritarie che democratiche. E quando hanno conquistato il potere, i partiti marxisti hanno disatteso le promesse di uguaglianza e autogoverno per assolvere all'unico compito "possibile": quello di promuovere una modernizzazione industriale che il capitalismo debole non era in grado di assicurare.
Documento: Il modello di Lenin era la fabbrica
Secondo Lenin, per il partito era vitale un'organizzazione in cui regnasse la più rigida disciplina, dotata di una struttura gerarchica capace di connettere in maniera funzionale il vertice dei capi-ideologici, lo strato intermedio composto da quadri selezionati, i membri di base.
Il modello di Lenin era la struttura verticistico-burocratica della fabbrica moderna tesa a ottenere comportamenti funzionalmente razionali; ed egli convergeva di fatto con le tesi dei moderni teorici delle elite secondo cui le masse non potevano agire che sotto la direzione e il controllo delle minoranze e che l'organizzazione costituiva una risorsa enorme e imprescindibile dell'azione politica. Il partito nel suo insieme aveva il compito di educare ideologicamente e guidare le masse proletarie nel corso delle lotte di classe. La teoria leniniana delineava così il ruolo di tre elites gerarchicamente strutturate: i capi del partito costituivano l'elite interna; il partito era l'elite preposta a dirigere il proletariato; il partito insieme con il proletariato industriale da esso guidato ed educato formavano a loro volta, nei confronti delle grandi masse arretrate contadine, una più vasta elite, avente quale compito di mettere in atto la rivoluzione nell'intero corpo sociale.
M. L Salvadori, La parabola del comunismo, Laterza.
Dibattito: Il libro nero del comunismo: vero o falso il bilancio?
Nel 1997 esce in Francia, a cura dello storico francese Stéphane Courtois, Il libro nero del comunismo. Il bilancio è tragico: sommando i crimini compiuti dal comunismo in tutto il mondo, si giunge alla cifra di circa 100 milioni di morti.
Conclusione: nessun sistema politico del Novecento ha causato tante vittime, nemmeno il nazismo (25 milioni di morti). Anzi, il comunismo sarebbe stato quattro volte più criminale del nazismo.
Né è seguita un'aspra polemica, anche politica, che non si è del tutto spenta. Da un lato, coloro che apprezzano il lavoro di ricerca storica curato da Courtois e sono scandalizzati per il ritardo con cui l'opinione pubblica ha preso coscienza della dimensione dei crimini del comunismo; dall'altro, coloro che non condividono i criteri metodologici seguiti da Courtois e trovano assurdo il paragone tra comunismo e nazismo basato sul conteggio delle vittime.
1. Il comunismo ha causato più danni del nazismo: cento milioni di morti
Che cosa intendiamo esattamente con il termine «comunismo»? E' necessario stabilire subito una distinzione fra la dottrina e la pratica. Come filosofia politica, il comunismo esiste da secoli, se non da millenni. Non è stato forse Platone, nella 'Repubblica', a esporre per primo l'idea di una città ideale in cui gli uomini non fossero corrotti dal denaro e dal potere e in cui comandassero la saggezza, la ragione e la giustizia? Un pensatore e statista del rango di Tommaso Moro, cancelliere d'Inghilterra nel 1529, autore della famosa 'Utopia' e morto per mano del boia di Enrico Ottavo, non è stato forse un altro precursore di quest'idea di città ideale? L'approccio utopico sembra perfettamente legittimo come strumento critico della società: esso partecipa del dibattito ideologico, ossigeno delle democrazie. Ma il comunismo di cui trattiamo in questa sede non si colloca nel mondo delle idee. E' un comunismo reale, che è esistito in una determinata epoca, in determinati paesi, incarnato da leader famosi: Lenin, Stalin, Mao, Ho Chi Minh, Castro ecc.
Di crimini il comunismo reale ne ha commessi moltissimi: crimini contro lo spirito innanzitutto, ma anche crimini contro la cultura universale e contro le culture nazionali.
Stalin ha fatto demolire decine di chiese a Mosca; Ceausescu ha sventrato il centro storico di Bucarest per costruirvi nuovi edifici e tracciarvi, con megalomania, sterminati e larghissimi viali; Pol Pot ha fatto smontare pietra dopo pietra la cattedrale di Phnom Penh e ha abbandonato alla giungla i templi di Angkor; durante la Rivoluzione culturale maoista le Guardie rosse hanno distrutto e bruciato tesori inestimabili. Eppure, per quanto gravi possano essere a lungo termine queste perdite, sia per le nazioni direttamente coinvolte sia per l'umanità intera, che importanza hanno di fronte all'assassinio in massa di uomini, donne e bambini?
Abbiamo, quindi, preso in considerazione soltanto i crimini contro le persone, che costituiscono l'essenza del fenomeno del terrore e che si possono ricondurre a uno schema comune, anche se ciascun regime ha la sua propensione per una particolare pratica: l'esecuzione capitale con vari metodi (fucilazione, impiccagione, annegamento, fustigazione e, in alcuni casi, gas chimici, veleno o incidente automobilistico); l'annientamento per fame (carestie indotte e/o non soccorse); la deportazione, dove la morte può sopravvenire durante il trasporto (marce a piedi o su carri bestiame) o sul luogo di residenza e/o di lavoro forzato (sfinimento, malattia, fame, freddo). Più complicato è il caso dei periodi detti di «guerra civile»: non sempre, infatti, è facile distinguere ciò che rientra nella lotta fra potere e ribelli dal vero e proprio massacro della popolazione civile. Possiamo, tuttavia, fornire un primo bilancio in cifre, che, pur essendo ancora largamente approssimativo e necessitando di lunghe precisazioni, riteniamo possa dare un'idea della portata del fenomeno, facendone toccare con mano la gravità:
- URSS, 20 milioni di morti,
- Cina, 65 milioni di morti,
- Vietnam, 1 milione di morti,
- Corea del Nord, 2 milioni di morti,
- Cambogia, 2 milioni di morti,
- Europa dell'Est, u1 milione di morti,
- America Latina, 150 mila morti,
- Africa, un milione 700 mila morti,
- Afghanistan, 1 milione 500 mila morti,
- Movimento Comunista Internazionale e partiti comunisti non al potere, circa
10 mila morti.
Il totale si avvicina ai 100 milioni di morti.
S. Courtois, Il libro nero del comunismo, Mondadori
2. Il bilancio è falso ed è assurdo paragonare comunismo e nazismo.
Le cifre del Libro nero del comunismo sono approssimative e non forniscono affatto un ordine di grandezza: per fare alcuni esempi, in Indocina le cifre variano a seconda delle fonti da 800 mila a due milioni di morti; in Algeria da 300 mila a un milione, ecc. Ma l'obiettivo di Stéphane Courtois è un altro. Sapendo che i crimini nazisti, e in particolare il tentativo di sterminio totale degli ebrei d'Europa, rappresentano nella memoria collettiva l'abominio assoluto, vuole stabilire un'analogia tra nazismo e comunismo.
Con 25 milioni di vittime per il nazismo, contro i 100 milioni di vittime per il comunismo, ci sarebbe la prova secondo la quale il comunismo fu quattro volte più criminale del nazismo. Tuttavia, citando i discorsi dei bolscevichi, Stéphane Courtois deve ammettere che i borghesi e i kulaki vennero assassinati in quanto erano "nemici di classe".
Di conseguenza introduce il concetto di "genocidio di classe". L'impostura intellettuale stupisce per l'audacia. Agli occhi dei nazisti, un ebreo restava tale fino alla sua morte. Un borghese privato dei suoi beni non è più un borghese. Stéphane Courtois scrive: "La morte di fame di un bambino kulako dell'Ucraina deliberatamente provocata dal regime stalinista vale la morte di fame di un bambino ebreo del ghetto di Varsavia provocata dal regime nazista". Il paragone non ha senso perché il bambino kulako dell'Ucraina se per caso sopravviveva alla fame aveva una vita davanti a lui, mentre se il bambino ebreo per caso scampava alla morte non aveva nel suo avvenire che la camera a gas di Treblinka. [.] Nel Libro nero del comunismo c'è un grande assente: l'avversario. Ogni esperienza comunista è descritta come se si fosse svolta in un vaso chiuso, tagliato fuori dal mondo esterno. Un altro grande assente: il fattore umano. I militanti comunisti aderirono a un progetto di universale liberazione, mentre i nazisti avevano come obiettivo quello di sottomettere a una "razza", ritenuta superiore, tutte le altre. E' forse una differenza da poco?
Quanto al Libro nero del capitalismo, viene scritto tutti i giorni sotto i nostri occhi ed è presente nelle nostre vite. Popolazioni piegate alla dittatura dei mercati finanziari; disoccupazione devastante in numerosi paesi; guerre tribali fatte scoppiare con cinismo per avere il controllo delle ricchezze del sottosuolo; diktat economici delle istituzioni internazionali che, imponendo la drastica riduzione delle risorse per la sanità, riducono le speranze di vita a milioni di persone; innumerevoli emigrati condannati all'esilio per sfuggire ad una condizione disperata. E se ogni sistema deve essere giudicato dal numero delle sue vittime innocenti, quale peso avranno i quarantamila bambini che, secondo l'Unicef, ogni giorno muoiono di fame nel mondo? La sfortuna degli uomini merita qualche cosa di più di un libro chiassoso. La storia a cui si vuole porre rimedio esige qualche cosa di più di un libro di propaganda.
G. Perrault, Les Falsifications d'un <<Livre noir>>,
in <<Le Monde diplomatique>>, 1998
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