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Rivoluzione Francese - La fine della monarchia




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STORIA

Rivoluzione Francese - La fine della monarchia


I prodromi della caduta del sistema monarchico francese si possono individuare già a monte della vera e propria rivoluzione, nei grandi problemi economici che assillavano il paese alla vigilia della convocazione degli Stati generali e nella inadeguatezza dell'azione monarchica alla risoluzione degli stessi (grazie anche all'ottusa e pervicace difesa dei privilegi attuata dalle classi nobiliare e clericale).


La sopraccitata inadeguatezza della monarchia francese ad adeguarsi ai tempi, alle richieste politiche delle classi sociali economicamente emergenti che detenevano al loro interno le possibilità finanziarie e manageriali utili al risanamento del paese ed il ricorso ad un meccanismo paralegislativo antiquato quale gli Stati generali, rivelano pienamente lo scollamento del sistema assolutistico dalla realtà effettiva della nazione e l'ormai conseguente ed evidente inutilità di questo istituto.


Emblematica, e purtroppo scontata per un sovrano cresciuto nel mito dell'assolutismo regio, la linea politica assolutamente reazionaria e retriva adottata da Luigi XVI nei confronti della Costituzione del 1791, e del nuovo ruolo che il sovrano stesso doveva giocarvi nelle intenzioni dell'Assemblea costituente (potere esecutivo sotto il controllo parlamentare con diritto di veto sospensivo, per due volte consecutive, rispetto alle delibere dell'Assemblea), ruolo che, se accettato ed adeguatamente amministrato rispetto alla mutata realtà del paese, avrebbe portato la monarchia francese, al pari di quella costituzionale inglese oltre che alla probabile sopravvivenza, anche ad un importante influenza sugli avvenimenti francesi ed europei dei decenni successivi. Il sovrano, invece, non fece altro che arroccarsi sulle antiche posizioni assolutistiche, rifiutando di sanzionare il decreto di abolizione della feudalità, la Dichiarazione dei diritti, i primi articoli della costituzione, e successivamente ponendo il veto su importanti decisioni dell'Assemblea legislativa, succeduta all'Assemblea nazionale, quali la requisizione e la vendita dei beni degli aristocratici immigrati, partecipando peraltro alle trame che il partito di corte e gli aristocratici emigrati all'estero tessevano per rovesciare le istituzioni rivoluzionarie.  Il primo risultato di questa visione reazionaria della corte, insieme al malcontento per il prezzo del pane ancora alto, portò alla fiammata insurrezionale popolare del 5 - 6 ottobre 1789 che costrinsero Luigi XVI alla firma dei decreti ed al trasferimento del sovrano stesso a Parigi.


Parallelamente al problema politico avanzava, innestandosi con il primo in una spirale devastante per la stabilità interna del paese, il problema economico - finanziario. I provvedimenti legislativi liberisti adottati in tal senso, promettevano risultati solo a medio - lungo termine mentre era assolutamente prioritario ed urgente il risanamento del deficit statale. Si decise di provvedere quindi alla requisizione, nazionalizzazione e vendita dei beni del clero, sennonché non potendo procedere immediatamente alla vendita di tutti i terreni per non far crollare il prezzo delle proprietà, l'Assemblea decise l'emissione di titoli fruttiferi garantiti dai beni nazionali: gli assegnati. Le successive emissioni di questi titoli, decise a causa dell'aumento delle necessità finanziarie statali, in tagli sempre minori e con l'abolizione dell'interesse, portò gli assegnati a circolare in quantità eccessive, ed a essere utilizzati correntemente come carta moneta, innescando una spirale inflazionistica che li portò, nel 1792 a perdere ben il 60% del valore originario. Produttori e negozianti iniziarono così  ad accaparrare merci o a richiedere il pagamento in valuta pregiata, causando grave danno per l'economia, pericolo per gli approvvigionamenti dei cittadini e fomentando il mercato nero. L'assemblea decise quindi la requisizione e la messa in vendita dei beni degli emigrati, ma anche qui il re si dimostrò politicamente ottuso e fazioso, ponendo il veto a questo decreto.


Già del 1791, comunque, i sospetti sul sovrano di una sua collusione con le potenze regie straniere al fine di ordire un complotto controrivoluzionario si andavano moltiplicando, e la corte era ormai totalmente invisa soprattutto ai ceti popolari. La situazione precipitò con la tentata fuga di Luigi XVI e della sua famiglia nella notte del 20 giugno 1791 verso il Belgio. Fermati e identificati, i sovrani vennero riportati a Parigi, tra il silenzio di una folla immane. La parte più moderata dell'Assemblea nazionale, riuscì a mascherare la fuga come un inganno perpetrato allo stesso sovrano da parte dei suoi malfidati consiglieri, ma ormai il popolo chiedeva la destituzione del sovrano. Il 14 settembre 1791 Luigi XVI giurò la Costituzione, ma i suoi successivi atti politici, quali il veto posto alla legge che imponeva ai nobili emigrati il ritorno in patria entro la fine dell'anno, pena l'imputazione di tradimento, non fece che aggravare i sospetti di una partecipazione del re alla congiura internazionale controrivoluzionaria.


L'entrata in guerra della Francia contro l'Austria, decisa dai girondini di Brissot al governo, decisione perseguita per anticipare una probabile aggressione austriaca, per costringere il sovrano ad allinearsi alla Rivoluzione e per sviare il popolo dai gravi problemi interni, destabilizzò definitivamente il fragile sistema politico interno. I gravi insuccessi sul piano militare, uniti ai perduranti problemi finanziari portò il popolo all'esasperazione; un folto gruppo di estremisti i sanculotti, il 10 agosto 1792, in seguito al proclama del duca di Brunswick, comandante delle truppe austro-prussiane ormai in territorio francese, che minacciava di radere al suolo Parigi se il re e la sua famiglia avessero subito il minimo oltraggio, assaltarono in maniera estremamente cruenta, il palazzo reale ed il municipio istituendo un governo popolare la Comune rivoluzionaria, che impose all'Assemblea legislativa la destituzione del sovrano, il suo imprigionamento e la convocazione delle elezioni con suffragio universale.


Il potere venne affidato ad un Consiglio esecutivo che dovette fronteggiare la pesante situazione militare esterna ed il malcontento interno. Eletto il nuovo parlamento, con il nome di Convenzione, nel novembre 1792 il dibattito si spostò immediatamente sul processo al re. I sanculotti ed i montagnardi (schieramento giacobino così chiamato perché occupava i seggi nella parte alta dell'aula), premevano per il processo ed il castigo del sovrano, i girondini, movimento moderato, temevano invece che una condanna del re avrebbe rafforzato sia i monarchici controrivoluzionari, sia gli estremisti sanculotti e perciò premevano sull'impossibilità di giudicare il re, in quanto la Costituzione del 1791, ancora in vigore, ne garantiva l'inviolabilità. Dai seggi della montagna Saint Just avanzò invece la tesi che il re, non andava giudicato come un qualunque cittadino in quanto non partecipava del patto sociale che lega i cittadini ed essendosi comportato come nemico della nazione, andava punito. Robespierre intervenne in maniera decisiva, convincendo la maggioranza (anche sulla base del ritrovamento di documenti compromettenti che provavano la partecipazione del sovrano ad intrighi contro la Francia) a processare e giustiziare il re, in quanto, vivo, il sovrano costituiva un pericolo sempre aperto per la Repubblica.


Il re fu processato dalla Convenzione e giudicato colpevole: il 21 gennaio 1793 Luigi XVI fu ghigliottinato.

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