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Ebbe il nome di G. il vescovo fiammingo Cornelis, figlio di Jan Ottiie, detto Janszoon, in linguaggio volgare Jansseens, latinizzato in Jansennius o Jansenius (Acquoy, presso Leer­dam, 1585-Ypres, 1638). D'in­gegno precoce, iniziò gli stu­di ad Utrecht e li continuò a Lovanio sotto la direzione dei Gesuiti. Nel 1604, desi­derando entrare nella Com­pagnia di Gesù, se ne vide escluso; è però falso che questa ripulsa sia stata l'origi­ne prima dell'antigesuitismo che animerà tutta l'opera sua. Proseguì gli studi filosofici e teologici nel collegio Adria­no VI, ove ebbe a maestro (1604-09) il Janson, ardente ammiratore di Baio, e dove conobbe quel Jean Duvergier de Hauranne, divenuto poi abate di Saint-Cyran, che tanta parte avrà nella storia del giansenismo. Nel 1611 andò a Parigi, dove strinse con Duvergier vincoli d'amicizia. Questi lo invitò in una sua villa a Camp-du-Prats (Champré), presso Bayonne, dove i due giovani condussero vita in comune per sei anni, dedi­candosi con passione allo studio dei Padri della Chiesa. Tornato nel 1617 a Lovanio, il G. diresse per sette anni il nuovo Collegiurn Dominae Pulcheriae, ma non tra­scurò gli studi prediletti, dedicandosi particolarmente a S. Agostino, che si convinse essere la fonte della vera dottrina cattolica. Tutto preso dai problemi della Grazia e della predestinazione, sollecitò il consiglio del Saint­Cyran con il quale s'incontrò a Lovanio nell'autunno del 1621. Nacque allora il disegno di un piano segreto di riforma che avrebbe dovuto ricondurre la Chiesa alla sua primitiva purezza di dottrina e di costumi. Da questo momento si trova nel carteggio dei due amici una sorta di cifrario, inteso a custodire il segreto in torno alle " scoperte " di G. e all'opera che egli andava preparando, la quale doveva inevitabilmente suscitare aspre polemiche e incontrare l'opposizione accanita so­prattutto dei Gesuiti. Dopo due viaggi in Spagna com­piuti per sostenere i diritti dell'università di Lovanio, nella quale insegnava teologia con grande successo, contro l'invadenza dei Gesuiti, G. iniziò nel 1628 la stesura dell Augustinus, opera divisa in tre parti, la prima delle quali è un'esposizione delle dottrine dei pelagiani e dei semipelagiani, di cui i Gesuiti sareb­bero i continuatori; la seconda la descrizione dei tre stati dell'uomo: lo stato di natura pura, lo stato della natura decaduta e lo stato della natura riscattata da Cristo; la terza una trattazione dei problemi della Grazia e della predestinazione. L'immane lavoro, in­terrotto per la redazione di un amaro libello contro la Francia, alleatasi con Gustavo Adolfo e con i prote­stanti tedeschi ai danni dell'Austria, il Mars gallicus, e dalla nomina a vescovo di Ypres (1635, consacrazione 1636), era condotto a termine quando, 18 mesi dopo il suo insediamento, G. morì stroncato dalla peste. La stampa ne era già stata autorizzata, e l'autore ne aveva affidata la cura al suo segretario e ai suoi due amici Froidmund e Calenus.

L'eresia, che deriva il proprio nome da Giansenio, ha ori­gini più remote, giacché il teologo fiammingo ri­prende, evolvendole, le dottrine del Baio intorno alle conseguenze del peccato originale che tolse all'uomo, insieme con la Grazia abituale, anche la capa­cità di fare il bene, intorno all'inefficienza della Reden­zione e alla predestinazione. Inoltre il giansenismo, che da movimento puramente dottrinale e teologico verrà configurandosi come indirizzo morale e si trasformerà da ultimo in una specie di partito politico, si alimenta dei contributi di altre figure di primo piano, quali il Saint-Cyran, gli Arnauld, Pascal, Quesnel, ecc. Secondo alcuni il Saint-Cyran fu il vero ispiratore del gianse­nismo, e lo stesso G. sarebbe stato poco più che uno strumento nelle sue mani; secondo altri al Saint-Cyran si può muovere soltanto l'addebito di aver assecondato G. e di non averlo saputo fermare sulla china dell'eresia. In ogni caso è certo che durante la lenta e labo­riosa stesura dell Agustinus i due furono in stretto contatto epistolare e che, prima della pubblicazione di questo libro, il Saint-Cyran aveva incominciato a diffondere e ad applicare le idee gianseniane quando divenne predicatore del monastero di Port-Royal e poi direttore della comunità (1635). Ma, in effetti, il Saint­Cyran entra in scena sul finire del 1633 con un'Apo logie del Chapelet secret du Saint-Sacrement, opuscolo com­posto fin dal 1627 da Mère Agnès (al secolo Jeanne Arnauld, sorella di Jacqueline, in religione Mère An­gélique), contenente 16 meditazioni corrispondenti ai 16 secoli dell'era cristiana, già condannato dalla facoltà teologica della Sorbona e successivamente dal Santo Uffizio, che egli aveva sottoposto al giudizio di Giansenio, ottenendone da lui e dal teologo Froidmund un'entu­siastica e incondizionata approvazione. L'Apologie con­teneva principi giansenistici, quali l'affer­mazione che l'uomo non è che peccato, che ogni suo atto è frutto della concupiscenza e che sarebbe pela­gianismo sostenere l'immunità di taluni dal peccato veniale. D'altra parte il Saint-Cyran, fatto arrestare dal Richelieu pochi giorni dopo la morte di Giansenio, pare non abbia avuto cognizione diretta dell Augustinus nel suo testo definitivo, se non in carcere, donde ne aveva fatti appassionati elogi.

Nell Augustinus Giansenio sostiene che nello stato primitivo d'innocenza l'uomo godeva di una Grazia simile a quella degli angeli, concessagli da Dio con la sua stessa natura. Questa Grazia, che gli era indispensabile per compiere il bene, non lo obbligava però a compierlo: egli poteva resistervi, poiché era dotato di libero ar­bitrio, e, infatti, come gli angeli ribelli, Adamo vi resi­stette e commise il peccato. Da questo momento l'uomo perdette la Grazia e la libertà: tutte le sue azioni, deter­minate dalla concupiscenza, non potevano essere che male; l'umanità intera non era che una "massa dam­nata" irrimediabilmente destinata all'eterna perdizione. La venuta di Cristo restituì all'uomo la Grazia, ma non a tutti, bensì solo a una piccola minoranza di eletti e di predestinati. La Grazia di Cristo, che Giansenio distingue dalla Grazia di Dio concessa all'uomo prima del pec­cato, non gli consente più la libertà, poiché essa è irresistibile; l'umanità viene ad essere così divisa in due parti: i predestinati al bene e alla beatitudine eterna e i condannati all'inferno, i quali non possono far nulla per salvarsi, non avendo le opere umane alcun valore di merito o di demerito, ed essendo il destino del­l' uomo dipendente soltanto dalla Grazia che Dio con­cede a suo beneplacito.

È evidente l'ereticità di questa dottrina che, secondo Giansenio, non è che la fedele riproduzione del pensiero di S. Agostino, e sarebbe quindi pienamente ortodossa, come egli dichiara nel suo testamento spirituale. In realtà essa costituisce un'esaspera­zione dell'agostinismo tale da alterarne profondamente la lettera e lo spirito: dall'agostinismo G. non ammette deviazione e re­spinge ogni posteriore svolgimento dottrinale, segnatamente le dottrine di S. Tommaso e la Scolastica. Giansenio, benché non sia mai Stato riprovato durante la sua vita e abbia dichiarato di voler morire nel grembo della Chiesa, è eretico soprattutto perché nega il libero arbitrio e, per quanto non sottoscriva il " servo arbitrio " di Lutero, dal quale, come da Calvino, afferma vigorosa­mente di distinguersi, si avvicina al protestantesimo soprattutto per la negata efficacia delle azioni umane ai fini della salva­zione. Il libro, stampato in segreto per timore dei Gesuiti, i quali avutone tuttavia sentore, tentarono invano di impedirne la pubblicazione, ebbe un enorme successo: uscito a Lovanio nel 1640, fu ristampato a Parigi nel 1641 e successivamente a Rouen. Le polemiche si accesero immediatamente: un gesuita di Lovanio rilevò subito alcuni errori, ma papa Urbano VIII, nella speranza di soffocare le dispute sul nascere, impose il silenzio ad ambo le parti. Poco dopo, in seguito agli attacchi dal pulpito del teologo Isaac Habert e all'intervento dello stesso cardinale Richelieu, il libro fu condannato con la bolla In eminenti (datazione 6-111-1642; pubblicazione e promulgazione, 10-VI-1643). La difesa dei giansenisti, basata sulla pretesa incompetenza del papa a giudicare del fatto, estese l'eresia giansenistica dal campo puramente teologico a quello della costituzione della Chiesa e dei poteri del papa e della sua infallibilità, e provocò nuove condanne, fra cui la bolla Ad sanctam B. Petri Sedem di Alessandro VII (1656), la quale dichiara essere contenute nell Augustinus cinque tesi che ne aveva estratto il sindaco della facoltà teologica di Parigi, Nicolas Cornet, già precedentemente condannate con la bolla Cum occasione di Innocenzo X (1653).Interveniva frattanto nella polemica Antoine Arnauld con un libro che ebbe un successo non minore dell Augustinus, il Traité de la fréquente Communion (1643), da alcuni considerato come il manifesto dello spirito giansenistico. Il libro, ispirato dal Saint-Cyran e scritto con l'intento di controbattere l'eccessivo lassismo del gesuita P. Sesmaisons, veniva a negare la compa­tibilità della vita religiosa con la vita del mondo e poneva, per ricevere degnamente la Comunione, esigenze superiori alle pos­sibilità della natura umana (virtù praticamente irraggiungibili, penitenza pubblica per l'assoluzione dai peccati, ecc.), finendo con il trasformare il sacramento dell'Eucaristia da un soccorso alla debolezza umana in una sorta di premio per virtù sovru­mane. Così al pessimismo dottrinale si aggiungeva un altro ele­mento che sarà pure tipico del giansenismo: il rigorismo morale che nelle pratiche religiose si risolveva in un'intransigenza fredda e scostante di sapore calvinistico. L'opera fu confutata dai ge­suiti G. Nouet e D. Petau (Petavius, autore del De la pénitence publique), e l'Arnauld dovette sottoscrivere una dichiarazione di sottomissione. Alcuni anni più tardi, riaccesasi la polemica in seguito al rifiuto dell'assoluzione al duca di Liancourt, egli inter­venne con due lettere, la seconda delle quali, riprendendo la questione del diritto e del fallo, sostiene che la prima delle famose cinque tesi tratte dall Augustinus era suffragata dal Vangelo e dai Padri della Chiesa. L'insubordinazione era così evidente che l'Arnauld fu espulso dalla Sorbona (gennaio 1656).A questo punto intervenne Blaise Pascal, il quale nelle sue celebri Lettres Provinciales, sosteneva che l'uomo non può far nulla per salvarsi, poiché la sua salvazione dipende unica­mente dalla misericordia e dalla Grazia di Dio. Le lettere pasca­liane furono condannate dalla Sacra Congregazione dell'Indice in data 6-9-1657. Il grande successo del libro e alcuni miracoli avvenuti nella cappella di Port-Royal risollevarono le sorti dei giansenisti, i quali rifiutarono di sottoscrivere un formu­lario di sottomissione proposto da Alessandro VII e, nonostante la bolla Regiminis apostolici del 15-2-1664, continuarono a negare al papa il diritto di sentenziare sull'attribuzione a un autore di dottrine condannate come tali, finché nel 1669 papa Clemente IX, per amore di pace, si accontentò di una dichiarazione generica e lodò i vescovi giansenisti per la loro sottomissione (pace clemen­tina). La pace durò meno di 40 anni: nel 1702 uscì un opuscolo, Le cas de conscience, nel quale si poneva la domanda come un con­fessore dovesse comportarsi di fronte a un penitente che in teoria riprovasse le cinque famose proposizioni, ma in pratica serbasse un " rispettoso silenzio ". Il papa Clemente XI lo condannò; re Luigi XIV, ostile al giansenismo, ottenne dal papa la pubbli­cazione di una costituzione dogmatica (Vineam Domini) che per le cinque proposizioni richiedeva un vero assenso interno e ri­provava il "rispettoso silenzio" (1705). L'atto papale riscosse consenso quasi unanime, ma le monache di Port-Royal non vollero sottomettervisi, onde il re ordinò la chiusura del con­vento e la dispersione delle religiose. Il fermo contegno di queste valse loro l'ammirazione generale, e il deserto convento di Port-Royal divenne meta di pellegrinaggi, finché il re ne ordinò la distruzione (1710); un anno dopo furono di­sperse anche le salme dei più famosi portorealisti (Saint-Cyran, Pascal, Nicole, ecc.) e traslate in varie chiese e cimiteri. I fe­deli portorealisti, forti dell'appoggio dell'arcivescovo di Parigi, de Noailles, si sentirono più strettamente legati tra loro nel­l' avversa fortuna, e la polemica si riaccese, rinfocolata da un contrasto tra quest'ultimo e il re intorno alle Reflexions di Pasquier Quesnel, pubblicate fin dal 1693, che contenevano opinioni molto spinte sulla Grazia e sulla costituzione della Chiesa tali da rasentare il protestantesimo. Il libro fu condannato, prima con un breve del 1708 e poi con la bolla Unigenitus del 1713, che riprovava 101 proposizioni delle Reflexions morales. Riusciti vani gli sforzi per ricondurre all'obbedienza il vescovo ribelle, Cle­mente XI ne propose in concistoro la deposizione (1716), ma il de Noailles, appoggiato da altri vescovi e dalla Sorbona, dove il giansenismo era tornato in onore, si appellò a un futuro concilio. Sorse così un partito detto degli  "Appellanti" con a capo il de Noailles e con l'adesione di più di 3000 ecclesiastici, circondato dal favore popolare; Clemente XI li colpì di scomu­nica con la bolla Pastoralis officii, (1718) e il vescovo di Parigi dovette ritrattarsi, seguito da molti altri vescovi e dottori. Dopo un momento di auge dovuto ai pretesi miracoli del cimitero di S. Medardo e a clamorosi fenomeni per i quali gli aderenti al partito furono detti " Convulsionari

il giansenismo perdette terreno in Francia e dovette rifugiarsi all'estero, come pure la rivista " Nouvelles ecclésiastiques che, iniziate clandestina­mente le pubblicazioni in Francia nel 1727, continuò a stamparsi in Olanda fino al 1805.Il giansenismo assunse una colorazione politica nel sec. XVIII e fu vigorosamente sostenuto dal parlamento, il quale pretendeva di infliggere severe punizioni a quei sacerdoti che negavano i Sa­cramenti agli Appellanti, ribelli alla bolla Unigenitus. In seguito a nuovi incidenti l'arcivescovo di Parigi de Beaumont fu co­stretto all'esilio e alla perdita dei beni. Finalmente papa Bene­detto XIV con la bolla Ex omnibus christiani orbis del 1756 di­chiarò non doversi negare i Sacramenti se non a coloro che avessero notoriamente impugnato la bolla Unigenitus, rendendo così pubblici peccatori: la clemenza del pontefice ricondusse una certa calma e permise al cardinale de Beaumont di essere reintegrato nel proprio ufficio. Alcuni turbamenti sorti nel 1777 furono fatti cessare dal re con l'esilio dei parlamentari più accesi.

Il giansenismo in Italia. Per quanto le Les Provinciales di B. Pascal siano state largamente diffuse in Italia, di un vero e proprio giansenismo italiano non si può parlare fino alla metà del sec. XVIII. Ricordiamo a questo proposito i nomi del ve­scovo Scipione de' Ricci a Pistoia; degli abati Pietro Tamburini, e Giuseppe Zola a Pavia; di Vincenzo Palmieri e di Eustachio Degola a Genova; di Serrao e di Capecelatro a Napoli. Ma in realtà, più che di un'eresia giansenistica, si trattava di un'avver­sione ai Gesuiti e di un'aspirazione al rigorismo morale che, in generale, non condussero fuori dell'ortodossia e non provoca­rono la ribellione ai decreti della Santa Sede. A Pistoia, peraltro, sorse un movimento giansenista, limitato all'ambito ecclesiastico, che culminò nel sinodo del 1786, promosso e capeggiato dal de' Ricci, il quale riaffermò tutte le dottrine giansenistiche, che vennero ancora una volta e più severamente condannate con la bolla Auctorem fidei del 18-VIII-1794. L'uragano della Rivolu­zione Francese e l'invasione napoleonica che travolse anche il papato indussero il clero ad abbandonare le polemiche dottrinali. Ma, calmatasi la tempesta, le idee giansenistiche, che erano state coltivate in ristretti cenacoli, riaffiorarono e influirono più o meno profondamente su insigni personaggi della letteratura e della politica. Basti ricordare Alessandro Manzoni, venuto in contatto con le idee giansenistiche attraverso la sua sposa, En­richetta Blondel, che, convertitasi al cattolicesimo, aveva avuto a padre spirituale il Degola; Camillo Benso di Cavour, la cui famiglia era in stretti rapporti con il cenacolo giansenlstico pie­montese, e Giuseppe Mazzini, le cui tendenze giansenistiche non sono tuttavia provate con certezza.

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