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Resa dell'Italia - La Seconda Guerra Mondiale




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Resa dell'Italia - La Seconda Guerra Mondiale



Occupata la Tunisia e successivamente le isole di Pantelleria e di Lampedusa, gli Anglo-americani sbarcarono in Sicilia nella notte fra il 9 e il 10 lu­glio 1943.

Lo sbarco in Sicilia e i rapidi progressi degli Anglo-ame­ricani diedero il colpo decisivo al morale degli Italiani. Rassegnati al fascismo, piuttosto che suoi fautori, essi avevano in grande mag­gioranza subìta la guerra senza alcun entusiasmo, attendendosi co­munque un esito rapido e vittorioso, secondo le illusioni nutrite dallo stesso governo. Le disastrose campagne di Grecia, di Russia e dell'Africa settentrionale avevano smentito brutalmente e luttuosa­mente, alla prova dei fatti, le quotidiane declamazioni verbali del regime e l'avevano reso oggetto dell'universale disprezzo, sicché, in definitiva, gli Italiani desideravano ormai di liberarsi ad un tem­po della guerra e del fascismo, che l'aveva voluta e dichiarata nono­stante la nostra totale impreparazione.

Perciò non ci fu ombra di quella reazione popolare all'invasione del nostro suolo, che c'era stata, per esempio, dopo Caporetto; anzi, persino fra le alte gerarchie del regime e negli ambienti della Co­rona - solidalmente responsabili con Mussolini della tragedia ita­liana - prese corpo l'intenzione di rompere i vincoli della com­plicità e di cercar di salvarsi sacrificando il «duce», fino allora osannato e adulato.


Così, mentre i partiti tradizionali si andavano rico­stituendo nella clandestinità e ad essi si aggiungeva il nuovo Partito d'Azione[1], si organizzava anche una fronda fascista, i cui esponenti, in una riunione del Gran Consi­glio del Fascismo tenutasi nella notte fra il 24 e il 25 luglio 1943, misero in minoranza Mussolini e votarono un ordine del giorno che in sostanza chiedeva le sue dimissioni.

Vittorio Emanuele III, che già per suo conto andava maneggiando contro Mussolini, colse allora l'occa­sione per congedarlo e per farlo imprigionare, al fine dichiarato di preservarne l'incolumità personale.

Il governo fu quindi assunto dal generale Pietro Badoglio, che in un proclama agli Italiani di­chiarò: «Per ordine di S.M. il Re e Imperatore assumo il governo militare del Paese, con pieni poteri. La guerra continua La conse­gna ricevuta è chiara e precisa chiunque si illuda di poterne in­tralciare il normale svolgimento o tenti di turbare l'ordine pubbli­co, sarà inesorabilmente colpito».

Queste parole erano rivolte, per un verso, a tranquillizzare gli alleati tedeschi (che in realtà non nu­trivano alcun dubbio sull'effettiva volontà dell'Italia di uscire da un conflitto divenuto per essa insostenibile), per l'altro, a minacciare gli antifascisti, e particolarmente i partiti di sinistra, dai quali si te­meva qualche iniziativa rivoluzionaria.

In verità il governo Badoglio, pur decretando la immediata scar­cerazione dei prigionieri politici e abolendo le più abiette istituzio­ni fasciste, come il Tribunale speciale, rinviava al termine delle ostilità la ricostituzione legale dei partiti politici, e si proponeva, né più né meno, una semplice restaurazione dello status quo prefasci­sta, come se il ventennio di complicità della Corona con il fascismo potesse essere cancellato o messo tra parentesi.


Mentre le truppe tedesche affluivano numerose nel­la penisola per contrastare l'avanzata anglo-america­na e per premunirsi contro il previsto «tradimento» del governo Badoglio, emissari di quest'ultimo iniziavano segreta­mente i contatti con gli ex nemici, e li concludevano il 3 settembre con la firma di un armistizio, annunziato pubblicamente da Ba­doglio l'8 settembre.


Secondo i piani predisposti sin dal 25 luglio, i tedeschi provvidero allora ad occupare gran parte del­la penisola, mentre l'esercito italiano, demoralizzato e lasciato sen­za ordini, si sbandava o veniva fatto prigioniero dalle truppe della Wehrmacht

Quel che rimaneva della marina e dell'aviazione si consegnò agli Anglo-americani in esecuzione delle clausole dell'ar­mistizio

Il re e Badoglio abbandonarono immediatamente la capi­tale e si rifugiarono a Brindisi, rimasta sgombra da truppe tedesche e presto occupata dagli Alleati.


Il 10 settembre Mussolini veniva liberato da un gruppo di paracadutisti germanici, calatisi sul Gran Sasso dov'egli si trovava prigioniero, e instaurava la cosiddetta Repubblica Sociale Italiana (più nota come Repubblica di Salò, dal­la località del Lago di Garda dove si trovavano alcuni ministeri), complice dei nazisti nell'opprimere il popolo italiano. Si trattava in realtà di un governo fantoccio, completamente disistimato dagli stessi Tedeschi i quali, fra l'altro, gli sottrassero anche formalmen­te ogni sovranità sul Trentino e sulla Venezia Giulia.


L'Italia restava di fatto divisa in due parti:

  1. la meri­dionale, dalla quale gli Anglo-americani risalivano la penisola, efficacemente contrastati dalla Wehr­macht;
  2. la settentrionale, nominalmente assegnata a Mussolini.

Il nazionalismo fascista concludeva pertanto il suo ciclo riducendo l'Italia a campo di battaglia degli eserciti stranieri e cedendo ai Te­deschi intere regioni del suolo nazionale. Toccava ora agli Italiani, traditi dall'ex-duce e dal re suo complice, ricrearsi una patria su ba­si completamente nuove.


Per gli Anglo-americani il fronte italiano, data l'im­pervietà della penisola, aveva prevalentemente il va­lore di un diversivo. Per questa ragione la campagna d'Italia proce­dette con estrema lentezza, ulteriormente ritardata da un disastro­so bombardamento del porto di Bari operato dalla Luftwaffe (2 di­cembre 1943), nel quale andarono distrutte decine di navi e grandi quantitativi di rifornimenti destinati al fronte.


Napoli fu occupata dagli Alleati il 1° ottobre 1943, quando già era stata liberata dall'insurrezione popolare; ma la Wehrmacht, at­testata poco più a nord sulla linea di Cassino (linea Gustav), poté mantenere le sue posizioni fino al maggio del 1944, benché gli Anglo-americani riuscissero a stabilire alle sue spalle, mediante un nuovo sbarco, una testa di ponte fra Anzio e Nettuno (gennaio 1944).

L'avanzata alleata riprese nel maggio: il 5 giugno 1944 fu liberata Roma; nel lu­glio, Siena, Arezzo e Livorno; verso la metà di agosto, Firenze, do­ve l'azione partigiana ebbe importanza determinante ed eco inter­nazionale.

Nel corso dell'autunno i Tedeschi riuscirono di nuovo ad arrestarsi sulla cosiddetta linea gotica, cioè sull'Appennino to­sco-emiliano, dove resistettero sino alla crisi finale dell'aprile 1945.


Già nell'aprile del 1944, per iniziativa del leader co­munista Togliatti ,si era avuto un pro­fondo cambiamento nel governo Badoglio, che era stato completa­mente trasformato grazie alla partecipazione dei partiti antifascisti; con la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III trasferì i suoi poteri al figlio Umberto, nominandolo luogotenente generale del Regno, e furono gli stessi partiti antifascisti a designare il nuovo presidente del Consiglio nella persona di Ivanoe Bonomi.

La sorte della monarchia, per tanti anni legatasi e identificatasi col fasci­smo, veniva così demandata al futuro giudizio popolare; si conveni­va sull'opportunità di una tregua istituzionale che permettesse di concentrare tutti gli sforzi nella lotta contro i Tedeschi, ai quali il governo italiano aveva dichiarato la guerra sin dal 13 ottobre si realizzava intanto una formula politica molto più aderente alla realtà del paese.







Il P. d'A. si rifaceva agli ideali del movimento clandestino Giustizia e Li­bertà, cioè proponeva una sintesi li­beral-socialista, secondo la definizio­ne elaborata da Guido Calogero che fu uno dei teorici del partito stesso. II P. d'A. ebbe tra gli aderenti illustri personalità della cultura italiana (co­me gli storici Adolfo Omodeo e Luigi Salvatorelli e il filosofo Guido De Ruggiero), ma, travagliato da interni dissensi e sostenuto da un seguito troppo esiguo, ebbe vita breve e finì con lo sciogliersi nel 1947.


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