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Relazione visita guidata museo Santa Giulia a Brescia
Il Museo, allestito nel complesso monastico di origine longobarda, rappresenta un itinerario di visita in cui il dialogo fra i materiali esposti e la struttura che li accoglie incanta. Circa 11.000 reperti archeologici e manufatti storico-artistici raccontano le vicende di Brescia, dall'Età del Bronzo ai giorni nostri. Testimonianze delle diverse epoche che hanno contrassegnato il cammino della città. Il monastero, fondato dal futuro re longobardo Desiderio e da sua moglie Ansa, sorto su una vasta domus romana, si sviluppa infatti attorno a tre chiostri e a tre edifici religiosi di epoche diverse, arricchiti da affascinanti cicli di affreschi: la basilica longobarda di San Salvatore, l'oratorio romanico di Santa Maria in Solario e la cinquecentesca Chiesa di Santa Giulia. I pezzi esposti non potevano trovare collocazione migliore.
Il settore dell'Età Romana del Museo di Santa Giulia è senza dubbio la più importante realtà museale archeologica dell'Italia settentrionale: la quantità e la qualità dei materiali conservati parlano da soli. Il Museo di Santa Giulia sorge inoltre su un'area della città antica di grandissimo interesse, per molti anni al centro di importanti campagne di scavo da cui sono emersi, oltre a reperti eccezionali, resti notevoli di abitazioni romane. Su tutte, la cosiddetta Domus dell'Ortaglia con i suoi mosaici policromi e le pitture parietali, uno degli esempi di edilizia residenziale romana meglio conservati e più significativi del Nord Italia.
Il museo risponde ai più avanzati modelli museografici e a criteri didattico-espositivi che permettono al pubblico autonomia di movimento e facilità di approccio. Tavole didattiche, modelli ricostruttivi, l'uso di supporti informatici e pannelli di riferimento redatti in italiano e inglese. Il Museo è inoltre dotato di numerosi servizi di accoglienza: bookshop, guardaroba, caffetteria e una biblioteca specialistica, aperta al pubblico.
La mostra si inserisce in un periodo tra la fine dell'impero romano e la nascita di un nuovo impero, quello Sacro e Romano sancito dall'alleanza tra il papa e Carlomagno. Si sta rivalutando l'impatto dei 'barbari' sulle province dell'impero: non solo (o solo occasionalmente) distruttori di una civiltà, ma piuttosto forze che contribuirono al suo rinnovamento. L'Italia era stata il cuore dell'impero i cui nuovi stati guardavano come alla fonte della loro stessa civiltà. Era tuttora la sede del papa che era andato sviluppando una visione universalistica destinata ad ancorarsi più verso l'Europa continentale che nel Mediterraneo. Era, dopo la parziale conquista longobarda, terra di confine tra le nuove nazioni romano-barbariche e l'impero bizantino, autorità suprema alla quale i nuovi popoli, almeno idealmente, se non istituzionalmente si rapportavano.
Negli ultimi venti anni gli studi sull'età longobarda sono stati arricchiti da una più incisiva rilettura delle scarne fonti scritte e dei pochi monumenti superstiti, ma soprattutto dall'esplodere di un'archeologia medievale che nelle città, nei monasteri e, in misura minore, nelle campagne, ha portato in luce un gran numero di sequenze stratigrafiche.
L'esposizione è parte di un progetto internazionale cui partecipano anche le città di Paderborn, Barcellona, Spalato e York, dedicato a Carlo Magno ed alla costruzione dell'Europa ma non mira a dare soluzione a tutti i problemi in discussione.
Il lettore del catalogo e del volume dei saggi registrerà opinioni ancora divergenti sulla datazione di un singolo monumento o sull'interpretazione di aspetti più generali. Ad esempio, per citare una questione assai controversa, Giordano Benazzi nelle schede sul tempietto del Clitunno e sul San Salvatore di Spoleto predilige una datazione entro la metà del VI secolo, corroborata ora da un C14, mentre gli altri studiosi che ne parlano in questi volumi la ritengono di età longobarda. Abbiamo lasciato questi pareri diversi perché riteniamo corretto che il visitatore e il lettore, non necessariamente uno specialista, avverta l'eco del dibattito in corso.
Così che la mostra propone variegate chiavi di lettura su questo periodo cruciale della storia europea.
Nella prima parte viene proposta una riflessione sullo sviluppo della società longobarda tra VII se VIII secolo. Un VII secolo di lenta e contraddittoria gestazione cui si contrappone il successivo che vede la pena maturità ma anche la fine drammatica del regno.
Nel 569 i Longobardi invadono un'Italia da poco uscita dai disastri della guerra greco-gotica, governata da un'autorità bizantina che stenta a controllare le regioni a nord del Po. I nuovi arrivati, d'altra parte, comprendono un coacervo di gruppi diversi per etnia, cultura e fede, spesso in contrapposizione tra loro. Non riescono a conquistare l'intera Italia e perciò aggiungono i guai della frammentazione territoriale ad una situazione politica già di per sé instabile.
Le due anime della società longobarda si contrapporranno fino al 680, allorquando Cuniperto riporterà una decisiva vittoria in campo aperto sul ribelle duca di Brescia Alachis.
La vittoria di Cornate aprirà la strada ad un'alleanza tra elites longobarde e gerarchia ecclesiastica foriera di profondi mutamenti sociali. Sia al vertice con il re ancora formalmente eletto dall'assemblea dei liberi armati, ma di fatto espressione di ristrette cerchie aristocratiche e legittimato dalla protezione divina. Sia nelle aristocrazie che vedranno nelle istituzioni ecclesiastiche un interlocutore privilegiato cui affidare, attraverso le preghiere e le messe, la memoria dei defunti, in sostituzione del dono funebre deposto nelle tombe.
Un riflesso diretto che innescherà una rivoluzione nel campo storico-artistico è il pieno utilizzo della cultura scritta e figurativa da parte della nuova aristocrazia che controlla sia le cariche ecclesiastiche che quelle civile. Cultura che pervade i momenti più significativi della vita delle elites che ormai possiamo definire romano-longobarde, grazie anche alla confluenza nella società longobarda delle aristocrazie dei territori bizantini di recente conquista. Nelle iscrizioni celebrative e dedicatorie che in vita attestano la grandezza del donatore o del costruttore, in quelle funerarie che in morte ne tramandano le imprese, nell'utilizzo della lingua scritta per la gestione del potere, assicurata dai testi legislativi e dalle carte documentarie che divengono via via più complesse per le incombenze giuridiche, nella cultura personale costruita sulle sillogi enciclopediche, come quella celebre di Isidoro di Siviglia che danno una risposta sintetica sui vari aspetti del sapere.
Il lungo travaglio di una società 'barbara', frammentata al suo interno e impegnata in un prolungato conflitto con i Bizantini aveva dunque sortito un effetto positivo: una società romana-longobarda che era andata definendo come base comune di intesa, un'unica religione e un'unica cultura. Ma nel momento in cui questo risultato era stato raggiunto con il regno di Liutprando, iniziava la parabola discendente del regno.
Sulla crisi dell'impero bizantino, squassato dall'iconoclastia, prosperava non solo il sogno dei Longobardi di unificare l'Italia, ma anche quello dei ducati bizantini di conquistare una propria autonoma indipendenza. Nella congiuntura del 726-27, quando gli eserciti delle Venezie, di Roma e Napoli si ribellano al potere imperiale schierandosi son il papa contro l'iconoclastia, si coglie appieno l'esistenza di unaltra Italia che anela all'autogoverno. Su questa Italia, che annovera anche i grandi ducati longobardi di Spoleto e Benevento, restii a farsi integrare nel lontano regno del Nord, fa leva il papa per ritagliarsi un proprio spazio territoriale. Liutprando, al culmine della potenza longobarda, non osò schierarsi contro questa seconda Italia moralmente guidata dal papa, ma non ancora rinforzata dalla spada dei Franchi.
Con la morte di Liutprando (744) inizia un trentennio segnato sul piano politico da una grande instabilità del regno cui fa da riscontro una notevole fioritura culturale ed artistica. Sul piano politico la morte del re pius et catholicus segna la fine delle dinastie pavesi. Prende il potere l'aristocrazia friulana. Dapprima con il mite e religiosissimo Ratchis che per due volte depone la spada e lo scettro per ritirarsi nella quiete di Montecassino. E, nell'intermezzo tra le due monacazioni, il battagliero fratello Astolfo che con le sue offensive contro l'Esarcato e la Pentapoli provoca due vittoriosi interventi dei Franchi chiamati dal papa. Alla sua morte improvvisa in una partita di caccia (756) il papa e i Franchi appoggiano Desiderio che in cambio sottoscrive un accordo con Roma per consegnare i territori bizantini conquistati dai suoi predecessori. L'ultimo re dei Longobardi è un politico spregiudicato che inaugura una strategia di larghe vedute, per alcuni versi innovativi. Destina tre figlie ad alleanze matrimoniali con personaggi potenti dello scenario europeo: il duca di Benevento, quello di Baviera e il re dei Franchi.
Nomina la quarta badessa del Monastero di s. Salvatore di Brescia nel quale concentra una gran quantità di beni personali e fiscali.
Questi trent'anni di fortissima tensione politica innescano profondi cambiamenti nella società e nella cultura, che sono ancora da valutare nel loro insieme. La storia di quel periodo è stata scritta dai vincitori: dal Liber Pontificalis che dedica grande spazio ai papi, come Stefano II e Adriano I che furono tenacemente temporalisti e si opposero ai Longobardi, mentre liquida in poche righe la vita di Paolo I che tentò un compromesso con Desiderio e dalle cronache carolingie che riservano solo pochi cenni alla sorte dei vinti, condotti prigionieri in Francia. Paolo Diacono che scrisse la storia dei Longobardi scelse il silenzio e concluse la sua narrazione con la morte di Liutprando.
Lo storico moderno, per non ripetere gli stereotipi dei vincitori, deve utilizzare altre fonti, quelle documentarie anzitutto, ma anche quelle archeologiche e storico artistiche che sono particolarmente ricche a conferma di un periodo che vede una forte accelerazione del confronto archeologico e culturale.
La fine delle dinastie pavesi aveva lanciato al vertice del regno le aristocrazie friulane e quelle dei ducati centro padani capeggiati da Brescia, una città che già nel VII secolo aveva espresso un grande re (Rotari) e un pretendente (l'ariano Alahis). Sull'asse Brescia Cividale si fonda il potere di Astolfo. Alla sua morte l'aristocrazia friulana si divide tra l'appoggio a Ratchis e Desiderio. Il vincitore Desiderio nomina un friulano (Arechi) duca di Benevento e gli dà in sposa la figlia Adelperga. Su questo nuovo asse politico Cividale, Brescia, Benevento, si sviluppa la fioritura artistica di quel trentennio i cui fermenti innovativi si prolungheranno nella Langobardia Minor fino ai primi decenni del IX secolo.
Una fioritura prodotta da artisti che si muovono lungo i percorsi di questa nuova geografia del potere. Significativo è il contributo di un uomo di cultura come Paolo Diacono, un friulano che studia a Pavia, mette il suo ingegno a disposizione dei sovrani (nel 771-72 compone l'epitaffio per la regina Ansa) e del duca di Benevento per il quale scrive i versi celebrativi scolpiti poi in lettere bronzee sul palazzo di Salerno. Si tratta di uno sviluppo culturale che, pur muovendo dall'ambiente delle corti urbane, si diffonde nel territorio grazie alla fondazione di grandi monasteri (Leno, Nonantola, Sesto al Reghena, S.Salvatore sul monte Amiata) e al rilancio di cenobi già esistenti (Montecassino, Farfa, S.Vincenzo al Volturno, Bobbio). I fondatori o rifondatori appartengono all'alta aristocrazia, animata da sincera fede religiosa e dal desiderio di porre il patrimonio familiare al riparo dall'instabilità politica del tempo.
Sul fronte longobardo la crisi politica si coniugava dunque con una stagione di forte spiritualità e di grandi investimenti negli edifici di culto. In quegli stessi anni, l'altra Italia, quella che cercava una soluzione in chiave autonomistica della crisi dell'impero bizantino, consumava il distacco dal mondo mediterraneo e il progressivo avvicinamento a quello europeo mediato dall'alleanza tra il papa e i franchi. Un cambiamento dell'orizzonte, che, dopo la fine del regno longobardo, si dispiegherà in ogni settore, da quello economico a quello culturale. In quello economico, con l'abbandono del sistema monetario bizantino basato sulla moneta aurea e l'adozione di quello merovingio fondato sul denaro argenteo. In quello culturale con lo svluppo di una cultura e di una arte europea alla quale daranno contributo le diverse nazioni e tra queste, in modo che riteniamo assai rilevante, anche l'Italia longobarda.
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