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Quadro storico dell'Europa dopo la seconda Rivoluzione Industriale
La rivoluzione tecnologica dell' ultimo trentennio del secolo scorso non si limitò a cambiare la 'qualità' della vita, ma ne allungò considerevolmente la durata media. Il boom demografico era cominciato con la rivoluzione industriale e con l'introduzione di nuove tecnologie agricole. A partire dalla seconda metà dell'800, i progressi della medicina e dell'igene, sommandosi allo sviluppo dell'industria alimentare, determinarono in Europa una riduzione della mortalità. Nonostante il calo delle nascite verificatosi nei paesi economicamente più avanzati ( dovuto alla diffusione di metodi contraccettivi e ad una nuova mentalità tesa a programmare razionalmente la famiglia ), si ebbe cosi un sensibile aumento della popolazione.
Per effetto della rivoluzione industriale, mutarono volto intere contrade:dove prima si estendeva ininterrotta la campagna con pochi villaggi sparsi qua e là, sorsero, in prossimità delle fabbriche, quartieri e città, tutti nuovi in seguito all'afflusso degli operai con le loro famiglie.
Questo fatto creava molti problemi di alloggio e di igiene che per parecchio tempo provocarono situazioni drammatiche. Accalcati in abitazioni primitive e malsane costruite in tutta fretta di fronte ai bisogni più immediati dell'industria privi di ogni forma di assistenza e servizi, questi lavoratori dovettero rimpiazzare l'aria pura e libera nei campi che avevano abbandonato.
La vita in fabbrica non era meno dura: sottoposti a estenuanti ore di lavoro ( anche 15, 16 ore al giorno ), non protetti da alcuna garanzia, gli operai erano la merce dei loro padroni, che fissavano a loro arbitrio il salario.
E' facile immaginare come queste condizioni dovessero essere insoddisfacienti in proporzione ai sacrifici e allo sfruttamento che venivano loro imposti. Ogni protesta era facilmente repressa, sia perché i lavoratori non erano ancora in grado di organizzarsi e a far valere i loro diritti, sia perché lo Stato, quando interveniva col peso della sua autorità nei controlli tra lavoratori e padroni non era affatto imparziale, ma si metteva sempre dalla parte di questi uomini. La cosa non deve stupire se si pensa che i governi erano nelle mani di quella stessa padronale che trovava vantaggio da questo stato di cose.
Le fabbriche sorgevano nel pieno centro della città e quindi inquinavano l'aria a livelli insopportabili.
Le condizioni igeniche e abitative degli operai e dei poveri disoccupati erano spaventose; la mortalità alta. Per venire incontro a questa popolazione, in Inghilterra naquero i primi sindacati, le Trade Unions, che risposero con forza e compattezza alle richieste operaie, portando alla progressiva riduzione dell' orario di lavoro e ad una certa assistenza ai disoccupati.
Dopo la riforma elettorale del 1832, gli operai inglesi scatenarono una grande offensiva rivoluzionaria per tutti i diritti civili e politici: per i cittadini di sesso maschile suffragio universale, voto segreto, la carriera parlamentare anche ai proletari, stipendio ai deputati per consentire agli operai eletti di mantenersi a lavorare in fabbrica.
Un prezzo alto nella rivoluzione industriale fu, però, pagato dai bambini tra i cinque e i dodici anni. I vantaggi per l'industria erano numerosi: i bambini venivano pagati da un terzo a un sesto in meno dell'operaio, perchè più docili, ed erano legati da un contratto di apprendistato che li impegnava a restare in fabbrica per sette anni e durante il tutto il periodo di lavoro questi bambini non ricevevano alcuna istruzione. Le condizioni di vita degli operai-bambini erano atroci tanto da essere puniti con pene simili a vere e proprie torture. Le macchine non si fermavano neanche di notte e squadre di operai-bambini si davano il cambio sul posto, tanto che nei dormitori i letti non si freddavano mai.
Un ruolo di grande importanza, negli ultimi decenni del secolo scorso, fu svolto dalla scuola.L'impegno dello Stato nel campo dell'istruzione,infatti ebbe per conseguenza una drastica diminuzione dell'analfabetismo in tutta Europa. La scolarizzazione poteva rappresentare un mezzo per educare il popolo e per ridurre la criminalità, ma anche un canale attraverso cui lo Stato poteva diffondere i suoi valori tra le giovani generazioni.
A partire dagli anni '70 tutti i governi d'Europa si impegnarono per rendere
l'istruzione elemenare obbligatoria e gratuita. L'effetto più immediato fu un aumento generalizzato della frequenza scolastica, con conseguente rapida diminuzione del tasso di analfabetismo.
L' Italia giolittiana
Gli ultimi governi, che erano stati al potere in Italia attorno alla fine del secolo, avevano mostrato il volto violento e repressivo di una classe dirigente interessata a mantenere lo status quo e ad accrescere la potenza coloniale del Paese. Il 1900 si apre con la morte di Umberto I, ucciso per mano di un anarchico, e con la successione al trono del figlio.
Il nuovo re Vittorio Emanuele III affidò, nel 1901, l'incarico di costituire il nuovo governo a Zanardelli, esponente principale della Sinistra costituzionale, il quale, abbandonando il sistema delle repressioni iniziò una politica nuova, soprattutto nei confronti dei ceti popolari.
Nel 1903, ritiratosi Zanardelli per motivi di salute, il re diede a Giolitti, fino ad allora ministro degli interni, l'incarico di formare il nuovo governo, governo che guiderà per un decennio, salvo brevi interruzioni nel 1905-6 e nel 1909-11.
Il disegno politico di Giolitti era quello di allargare le basi dello Stato, ricercando appoggi e consensi in quelle forze sociali e politiche, come il partito socialista, che fino ad allora erano state perseguitate. Il suo obiettivo era poter dirigere le masse popolari senza reprimere le loro organizzazioni.
In campo economico Giolitti optò per lo sviluppo industriale del Nord, appoggiando la nuova classe imprenditoriale del triangolo Torino-Milano-Genova: l'assunzione dello sviluppo industriale come asse portante degli equilibri politici e sociali e delle attività di governo era l' unica opzione capace di garantire la modernizzazione del Paese senza intaccare i vecchi interessi legati alla rendita e al monopolio. E' la doppia natura della politica giolittiana: riformista e dinamica al nord, dove si appoggiava sulle forze più avanzate della borghesia e sul socialismo riformista di Turati; autoritario e clientelare al sud, dove continuava ad essere legata alle vecchie forze e ai vecchi sistemi. Per l'uso spregiudicato del sud come serbatoio elettorale, dove Giolitti non ebbe paura di fare ricorso a un abuso dei prefetti e delle clientele, fu fortemente criticato dai democratici meridionalisti come Salvemini, che lo chiamò ministro della malavita.
Con Giolitti si vide il varo di varie leggi sociali, quali la tutela del lavoro femminile e infantile, l'assicurazione lavoro, le pensioni di vacchiaia, la tutela del riposo festivo. Vennero costituiti anche un Commissariato per l'emigrazione (1901) e un Consiglio superiore del lavoro (1906). Fu lasciata via libera agli scioperi di natura economica, e questo comportò un certo aumento dei salari.
Per le elezioni del 1904 si verificò infatti uno spostamento a destra di Giolitti, che dopo il grande sciopero generale del settembre (clamoroso atto di frattura tra socialisti e il governo) si indirizzò verso le forze cattoliche, orientate da Pio X, dopo l'attuazione del 'non expedit', in senso moderato e antisocialista. Dopo il 1905 la politica giolittiana si risorse in una continua contrattazione con le grandi forze economiche e sociali svalutando il Parlamento e gli apparati sindacali a semplice sede di formazione della maggioranza, a semplice massa di manovra per il governo.
La riforma elettorale del 1912 concedeva il voto a tutti i cittadini maschi, e rispondeva al duplice obiettivo di fornire la parlamentarizzazione del conflitto, rafforzando i riformisti, e permettere la formazione di un blocco conservatore comprendente i cattolici, e quindi le masse contadine. A questo scopo venne stipulato un accordo, in previsione delle elezioni del 1913, tra liberali e cattolici
(Patto Gentiloni), in base al quale, in cambio dell' appoggio cattolico a Giolitti, i liberali si impegnavano a non danneggiare gli interessi clericali, soprattutto nel campo dell'istruzione e dei diritti civili. Il peso dei cattolici cominciava ad essere molto forte; d'altra parte nei socialisti, dopo la guerra in Libia, si facevano più forti le spinte dell'estrema sinistra che nel Congresso di Reggio emilia, del 1912, conquistò la maggioranza espellendo l'ala riformista.
La guerra in Libia (1911), condotta da Giolitti per accontentare i nazisti e la grande industria bellica, aveva portato all'esasperazione di tutti i contrasti. Questa tensione sociale e politica condusse allo sfaldamento del blocco e del modello giolittiano ed infatti, il 14 maggio 1914, Giolitti fu costretto a dare le dimissioni. Di lì a poco sarebbe scoppiata il primo conflitto mondiale, evento inatteso al quale nessuno era realmente preparato, e sarebbe cambiata non solo la vita dell'Italia ma di tutta l'Europa.
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