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Il periodo storico che sbocca nella I guerra mondiale si caratterizza principalmente per le grandi trasformazioni che hanno avuto luogo nel modo di produzione dominante: il capitalismo, che aveva ormai creato un mercato mondiale, aveva condotto a uno sviluppo senza precedenti la produzione industriale e la sua concentrazione in un numero relativamente ristretto di grandissime imprese. Il passaggio dalla fase liberistica a quella dei monopoli e dei trusts si accompagnò al formarsi di un'oligarchia finanziaria e alla fusione di capitale bancario e capitale industriale nell'ambito di potenti società per azioni. Nella vita economica delle nazioni più avanzate l'esportazione di capitale assunse maggiore importanza rispetto all'esportazione di merci: si crearono nuove forme di legami internazionali, di dipendenza finanziaria e diplomatica, attraverso le quali un gruppo di associazioni monopolistiche (non di rado multinazionali) si ripartirono il mondo, tendendo a sostituire le forme di asservimento puramente coloniale. Si era ormai compiuta la ripartizione (territoriale, economica, politica) della terra tra le più grandi potenze imperialiste. Questo periodo relativamente 'pacifico' della storia europea non vide affatto l'attenuarsi della concorrenza economica e delle tensioni politiche fra Stati, ma il loro estendersi su scala più vasta. Gli accordi fra i maggiori cartelli internazionali non escludevano - in seguito all'ineguale sviluppo dei Paesi capitalistici e ai mutamenti di rapporti di forza che ne erano conseguiti - ulteriori redistribuzioni delle sfere di influenza e sfruttamento. In questo quadro, il fenomeno più rilevante degli anni 1871-1914 fu il rapido affermarsi della Germania come maggiore potenza economico-militare del continente e il conseguente insorgere e acuirsi della rivalità con la prima potenza del mondo, la Gran Bretagna. Sul piano diplomatico, la politica tedesca dopo Bismarck, abbandonando alcune fondamentali direttive del grande e prudente cancelliere, ebbe grosse responsabilità nel provocare un notevole rivolgimento degli schieramenti tradizionali: da un lato, la sfida lanciata alla Gran Bretagna nel campo delle costruzioni navali per la supremazia sui mari allarmò quest'ultima (tradizionalmente rivolta anzitutto ai propri interessi extraeuropei e in secondo luogo al mantenimento di un equilibrio fra le potenze del continente) e la spinse a superare l'antica rivalità con la Francia - nonché con la Russia - fino all'instaurazione di un''intesa cordiale' (1904-1907); dall'altro il sempre più chiaro appoggio della Germania alla politica austriaca nei Balcani e il suo abbandono del trattato di riassicurazione con la Russia (la quale nel 1887 si era impegnata a non appoggiare la Francia in caso di guerra di questa contro la Germania) favorirono la conclusione di un patto militare fra Russia e Francia e dunque quell'accerchiamento che Bismarck aveva sempre cercato di evitare. Sette anni prima dello scoppio della guerra il quadro delle alleanze era così ben definito e un nuovo equilibrio fra le potenze aveva sostituito le linee diplomatiche e le affinità politiche tradizionali. Ma soprattutto le principali questioni ottocentesche irrisolte (revanchismo francese per l'Alsazia-Lorena, questione balcanica e vari nazionalismi e irredentismi) venivano a essere strettamente intrecciate con i contrasti tra imperi industriali in concorrenza; la polveriera dei Balcani veniva inscindibilmente connessa alle rivalità interimperialistiche delle potenze occidentali (che controllavano il mondo intero) tanto che qualunque scintilla doveva portare, come avvenne, a un conflitto generalizzato in cui sarebbero stati coinvolti quasi tutti i continenti. Di fatto, il conflitto tra aspirazioni nazionali dei popoli slavi ed espansionismo austro-ungarico nei Balcani fu la causa più immediata dello scoppio della guerra. Allorché l'arciduca ereditario d'Austria Francesco Ferdinando fu ucciso a Sarajevo da terroristi serbi (28 giugno 1914), la fitta trama di alleanze che legava le potenze europee le trascinò in pochi giorni a intervenire: l'Austria dichiarò guerra alla Serbia il 28 luglio, nonostante quest'ultima avesse risposto in termini concilianti al durissimo ultimatum austriaco; il 30 luglio la Russia ordinò la mobilitazione generale a fianco della Serbia; la Germania dichiarò guerra alla Russia il 31 e alla Francia il 2 agosto; quindi lanciò l'ultimatum al Belgio neutrale, provocando l'immediato intervento della Gran Bretagna (4 agosto). L'Italia, legata dalla Triplice Alleanza agli Imperi Centrali, proclamò il 2 agosto la propria neutralità. Il 23 agosto anche il lontano Giappone si schierava a fianco della Triplice Intesa, limitandosi però a colpire i possedimenti tedeschi nel Pacifico e in Cina. L'esplosione di un conflitto di tanto vaste proporzioni fu resa possibile anche dal clima ideologico dominante in quegli anni, permeato di un nazionalismo aggressivo e distruttivo che aveva preso piede in vasti settori di opinione pubblica sia delle potenze imperialistiche in sviluppo sia degli Stati dinastici multinazionali minacciati dalle aspirazioni dei popoli sottomessi. Del resto giustificazioni della guerra in termini di lotta della democrazia contro l'autocrazia espansionista poterono divenire principali nella propaganda dell'Intesa solo dopo il crollo dell'alleata Russia zarista. Se, per lo più, la guerra fu sostenuta dalla grande industria e dall'alta finanza che videro in essa possibilità di espansione e di illimitati profitti, si poté verificare anche come forme di sciovinismo si fossero largamente infiltrate nell'ambito dello stesso movimento operaio organizzato nella II Internazionale, i cui partiti (il tedesco e il francese in primo luogo) votando i crediti di guerra e appoggiando i governi di unità nazionale cercarono di fare accettare al proletariato dei rispettivi Paesi la guerra come 'difensiva' e necessaria alla salvezza della patria: venivano così sconfessate nella pratica le affermazioni pacifiste del Congresso internazionale di Basilea (1912) e la fine della II Internazionale era segnata.
Come risultato della febbrile corsa agli armamenti e dell'instancabile attività diplomatica che precedettero lo scoppio della guerra, fu raggiunto un notevole equilibrio delle forze in campo che, dal momento in cui non servì a scongiurare il conflitto, lo rese incredibilmente aspro e interminabile: esso si rivelò lontano da ogni immaginazione e ben differente dalle guerra cui l'Europa era abituata, come p. es. le campagne bismarckiane. Queste erano state strumenti finalizzati al raggiungimento di precisi obiettivi politico-diplomatici da ottenere col minimo costo e rischio, mentre la 'grande guerra' andò molto al di là di ogni previsione. Una delle sue principali caratteristiche fu la prevalente sottomissione dei governi agli Stati Maggiori degli eserciti, della politica alla tecnica militare. Per di più, lo stesso livello degli armamenti e le novità emerse fin dai primi scontri posero spesso i capi militari e politici alla coda degli avvenimenti sconvolgendone i piani e le strategie. Una delle concezioni che furono rapidamente smentite dai fatti era la pretesa superiorità raggiunta dagli strumenti di offesa rispetto ai mezzi di difesa (su ciò si basò il piano tedesco di guerra-lampo): in base a tale convinzione i militari erano tutti fiduciosi in una guerra di breve durata, tanto che per lungo tempo non vollero riconoscere la nuova realtà della guerra di posizione. Eppure gli avvenimenti bellici dimostrarono subito che la combinazione di due nuove armi, la mitragliatrice e il filo spinato, consentivano a eserciti interrati in trincee scavate in breve tempo e appoggiati dall'artiglieria di creare uno sbarramento contro cui era destinato a infrangersi qualsiasi attacco di fanteria o cavalleria nemica. Il costo di un attacco volto a sfondare il fronte avversario diveniva proibitivo, tramontavano le battaglie manovrate e il conflitto si trasformava in tremenda guerra d'usura tra eserciti capaci di resistere a qualsiasi offesa, ma incapaci di attaccare con successo. Solo negli anni successivi lo sviluppo dell'artiglieria pesante e delle bombarde, dei carri armati e degli aerei avrebbe posto le premesse per una ripresa delle possibilità offensive. Si ricorda in particolare l'impiego su larga scala di gas asfissianti, lanciati in appositi contenitori dall'artiglieria, che rendevano temporaneamente impraticabili zone nevralgiche come comandi, passaggi obbligati e lo schieramento d'artiglieria nemico (i gas suscitarono tanto orrore che successivamente furono proibiti da una convenzione internazionale rispettata nella II guerra mondiale). Inoltre vanno citati il forte sviluppo qualitativo e quantitativo dell'aviazione, che ai compiti iniziali di osservazione aggiunse il bombardamento tattico e a lunga distanza e la difesa del proprio cielo, e l'invenzione dei carri armati, messi a punto da Inglesi e Francesi troppo tardi per influire in modo decisivo sul conflitto, in tempo però per dimostrare le loro enormi possibilità. La superiorità assoluta dell'offensiva sulla difensiva era però un dogma all'inizio della guerra; e su questa base la Germania impostò la sua preparazione al conflitto. Essa, nel momento in cui diede incondizionato appoggio all'aggressione austriaca alla Serbia, si poneva come obiettivo l'annientamento della Duplice Intesa franco-russa, fidando nella neutralità della Gran Bretagna (impegnata sul piano interno col problema irlandese): per la guerra su due fronti si basò sul piano operativo preparato fin dal 1905 dal capo di Stato Maggiore von Schlieffen, che prevedeva con una rapidissima mobilitazione di piegare la Francia prima che la Russia, lentissima nel mobilitare il suo ingente potenziale umano, potesse impegnare duramente le truppe tedesche sul fronte orientale. A tal fine, l'unico territorio adatto a una rapida avanzata non era la frontiera franco-tedesca (collinosa e boscosa) ma le pianure del Belgio e della Francia sett., che erano per di più meno fortificate. Perciò le armate tedesche avrebbero dovuto disporsi con un'ala destra enormemente rafforzata che, invadendo di sorpresa il Belgio neutrale e avanzando oltre la Marna, avrebbe dovuto minacciare in brevissimo tempo Parigi e accerchiare le armate francesi fra la capitale e i Vosgi. La rete ferroviaria interna avrebbe permesso in un secondo tempo alle truppe tedesche di affrontare una Russia demoralizzata e indebolita dal crollo francese. Nella realtà, allo scadere delle sei settimane previste per la riuscita del piano, questo non solo si dimostrò già fallito, ma la guerra si era chiaramente stabilizzata mostrando il suo nuovo volto di guerra di logoramento. A ciò concorsero molteplici fattori: il generale Helmuth von Moltke, capo di Stato Maggiore tedesco, temendo un'avanzata francese nella Lorena, ridusse la consistenza che l'ala destra aveva nel piano Schlieffen, indebolendone la forza d'urto; le truppe del piccolo Belgio ritardarono, sia pure di pochi giorni, l'avanzata tedesca con una resistenza inattesa; infine, allorché le armate tedesche erano già arrivate a 40 km da Parigi - dopo la caduta di Namur e il fallimento del tentativo offensivo francese nelle Argonne - una violenta controffensiva scatenata dai generali francesi Joffre e Gallieni colpì le armate di von Moltke al fianco e le costrinse a ritirarsi prima sulla Marna e quindi sull'Aisne e la Somme (battaglia della Marna, 6-12 settembre, la più decisiva dell'intero conflitto ). Con la prima battaglia di Ypres (ottobre-novembre) i Franco-Inglesi poterono impedire ai Tedeschi di occupare i porti della Manica e quindi di bloccare l'afflusso di aiuti britannici. Da questo momento il fronte si stabilizzò e nell'autunno i due eserciti si rintanarono nelle trincee. Pagando l'insuccesso della guerra-lampo, von Moltke fu sostituito al comando supremo da Erich von Falkenhayn. Anche sul fronte orient. i calcoli dello Stato Maggiore tedesco non si dimostrarono esatti: la rapidità di mobilitazione della Russia superò ogni previsione, e due corpi d'armata tedeschi dovettero essere trasferiti rapidamente dal fronte occid. proprio nel momento più critico. I generali tedeschi Hindenburg e Ludendorff riuscirono a fermare l'avanzata russa nella Prussia orient. con le grandi vittorie di Tannenberg e dei Laghi Masuri. Contemporaneamente però sul fronte sud-orient. i Russi battevano gli Austro-Ungarici a Leopoli (8-12 settembre), occupavano la Galizia e minacciavano l'Ungheria, costringendo il maresciallo austriaco Conrad - che aveva occupato Belgrado nell'agosto - a ritirarsi dalla Serbia. Per la fine dell'anno comunque anche il fronte orient. si stabilizzava. Intanto le diplomazie dei due blocchi riprendevano la loro attività cercando di rafforzare le posizioni dei rispettivi Paesi. L'intervento della Turchia a fianco degli Imperi Centrali (1s novembre) mise in grave difficoltà la Russia, cui vennero a mancare i rifornimenti da parte degli alleati attraverso i Dardanelli: presto per l'esercito russo scarseggiarono le munizioni, e anche a causa di ciò fu costretto ad attestarsi sulla difensiva. Si aprivano così nuovi fronti: uno russo-turco in Armenia e uno anglo-turco in Mesopotamia e in Egitto, mentre gli Inglesi estendevano la guerra pure alle colonie, attaccando i possedimenti tedeschi in Africa. Già si vedeva la tendenza di ambo le parti ad allargare il conflitto nel tentativo di uscire dall'immobilismo. Queste prime fasi di guerra avevano evidenziato una superiorità degli Imperi Centrali - insufficiente però a spezzare la resistenza dell'Intesa - dovuta sia alla loro continuità territoriale, che facilitava rapidi e segreti spostamenti di truppe e azioni coordinate, sia al possesso di una maggior quantità di artiglieria pesante; nonché alla lentezza della mobilitazione russa e inglese (la Gran Bretagna poté mettere in campo solo 160.000 uomini, meno del Belgio). Ma il tempo giocava a favore dell'Intesa: il suo potenziale demografico ed economico, dovuto alla maggior ricchezza di colonie e di alleati extraeuropei, e il dominio dei mari dovevano spostare a suo favore il rapporto di forze in una guerra d'usura che implicava il massimo sforzo dei campi avversi per mobilitare tutte le proprie riserve produttive e umane, distruggendo o neutralizzando nel contempo le fonti di rifornimento degli avversari. A tal fine si scatenò presto un duello fra blocco navale anglo-francese, che impediva anche alle navi dei Paesi neutrali di far rotta per la Germania, e controblocco tedesco esercitato per mezzo dell'uso senza restrizioni della nuova arma sottomarina (non limitata cioè a colpire le navi da guerra nemiche); e si sviluppò anche l'azione volta a procurarsi l'appoggio e l'alleanza delle nazioni rimaste ancora fuori dal conflitto.
Il 3 agosto 1914 il governo Salandra (succeduto a Giolitti nel marzo) aveva dichiarato la neutralità italiana sia in nome della violazione del patto della Triplice da parte dell'Austria, che aveva dato l'ultimatum alla Serbia senza accordarsi preventivamente con l'Italia, sia in virtù del carattere prevalentemente difensivo del trattato. D'altra parte l'esercito non era pronto per un'eventuale entrata in guerra, e il Paese era profondamente diviso nelle sue componenti economiche, politiche e sociali tra interventisti e neutralisti. Favorevole alla neutralità (almeno in un primo momento) era una parte degli industriali, mirante a realizzare grossi profitti procurando a entrambi i campi belligeranti forniture belliche; questo settore trovava espressione politica nelle posizioni liberal-giolittiane e nel loro principale organo, La Stampa di Torino. Giolitti era profondamente convinto che, per quanto riguardava le terre irredente, 'molto si sarebbe potuto ottenere senza guerra', cioè attraverso negoziati con l'Austria, in cambio della neutralità italiana. Neutralisti erano pure i cattolici sotto il pontificato di Benedetto XV (1914-22), così come la maggioranza del Partito socialista, che fu l'unico nell'ambito della II Internazionale a opporsi coerentemente alla guerra: ma lo sterile verbalismo della direzione costrinse il partito a un sostanziale immobilismo di fronte alle decisioni governative, che si risolse nella formula ambigua e attendista 'né aderire né sabotare', allorché l'Italia entrò in guerra. L'intervento a fianco dell'Intesa era voluto invece da quei settori dell'industria che aspiravano ai superprofitti di guerra e a liberarsi del capitale tedesco in Italia; di questi interessi erano portavoce i liberal-conservatori (quali Salandra e Sonnino, ministro degli Esteri dall'ottobre 1914) e il Corriere della Sera di Luigi Albertini. La guerra veniva propugnata in nome delle terre irredente e dell'eredità storica del Risorgimento, fornendo un obiettivo unificante alle disparate e composite forze interventiste: nazionalisti, dannunziani e futuristi, che esaltavano la guerra per se stessa, passarono dall'iniziale appoggio agli Imperi Centrali a una accesa campagna a favore dell'intervento a fianco dell'Intesa. È da ricordare anche il caso - seppure isolato - di Benito Mussolini che, finanziato dal governo francese, nel novembre 1914 passò dal campo neutralista a quello interventista-nazionalista venendo espulso perciò dal P.S.I. In nome del retaggio risorgimentale erano interventisti anche i socialisti riformisti di Bissolati, molti repubblicani, sindacalisti rivoluzionari come Corridoni, gli irredentisti capeggiati da Cesare Battisti, e quanti, come Salvemini, videro nella guerra condotta dall'Intesa la difesa della democrazia progressista e delle nazionalità oppresse contro l'assolutismo reazionario. Intensa era intanto l'attività segreta del governo italiano sul piano diplomatico: Sonnino tentava, tramite trattative con l'Austria, di ottenere compensi territoriali nel Trentino in cambio del mantenimento della neutralità italiana. Ma l'Austria non fu disposta a fare concessioni se non nell'aprile del 1915, cioè dopo il fallimento dell'offensiva invernale contro la Russia nei Carpazi e della guerra-lampo a occidente: a questo punto però l'Italia aveva iniziato (dal marzo 1915) le trattative segrete con l'Intesa, che si conclusero il 26 aprile 1915 con la sottoscrizione del Patto di Londra, in base al quale l'Italia si impegnava a entrare in guerra a fianco dell'Intesa entro un mese e otteneva in caso di vittoria il Trentino e l'Alto Adige fino al Brennero, Trieste, l'Istria e metà della Dalmazia e delle isole costiere. Mentre il trattato veniva tenuto segreto, il 4 maggio il governo italiano denunciava la Triplice e il generale Luigi Cadorna, capo di Stato Maggiore, iniziava la radunata dell'esercito. Il 9 maggio Giolitti, all'oscuro del patto, giungeva a Roma sperando di raccogliere intorno a sé la maggioranza parlamentare neutralista perché sconfessasse col suo voto l'operato del gabinetto Salandra: la Camera non era riunita, ma la maggioranza dei parlamentari dimostrò lo stesso la propria solidarietà a Giolitti depositando i biglietti da visita nella portineria della sua abitazione. Il gabinetto Salandra decise, il 13 maggio, di presentare le dimissioni senza attendere il voto in Parlamento. Dopo un periodo di consultazioni, durante il quale D'Annunzio faceva comizi e i nazionalisti promuovevano manifestazioni, mentre il Partito socialista non era in grado di organizzare un'efficace azione contro l'entrata in guerra, il re respinse le dimissioni di Salandra (16 maggio) e convocò la Camera dei Deputati: questa rivelò tutta la propria impotenza dando nella sua maggioranza (escluso il P.S.I.) appoggio alla richiesta di 'poteri straordinari in caso di guerra'. Il 24 maggio l'Italia dichiarava guerra all'Austria-Ungheria (mentre alla Germania fu dichiarata solo il 25 agosto 1916). Ma l'esercito non era affatto pronto: l'ordine di mobilitazione fu emanato il 22 maggio e le operazioni di radunata terminarono solo il 16 giugno 1915. Esso era composto di 35 divisioni di fanteria oltre che di reparti di alpini e bersaglieri (equivalenti ad altre ca. 8-9 divisioni), cui si contrapponevano inizialmente solo 14 divisioni austriache. Il piano di Cadorna assegnava l'offensiva principale a 15 divisioni (più sette di riserva) schierate nel settore orient., che irrompendo oltre l'Isonzo, sulla linea Villach-Lubiana, avrebbero dovuto assicurare in 45 giorni all'Italia il possesso di Lubiana e aprire da lì la marcia su Vienna. Sul fronte del Trentino austriaco era previsto solo uno schieramento difensivo. Gli Austriaci, impegnati a sfruttare le vittorie sul fronte russo, si attestavano sulla difensiva adottando una tattica di logoramento delle forze italiane. Le speranze dello Stato Maggiore come del governo (che aveva persino limitato le commesse belliche) in una guerra breve, risolta con poche grandi battaglie di movimento, furono presto deluse, così come era avvenuto sul fronte franco-tedesco. Il fattore sorpresa era venuto a mancare per la lentezza della mobilitazione e per il mancato allestimento di sufficienti vie di comunicazione e installazioni. La prima e la seconda battaglia dell'Isonzo (giugno-luglio), lungi dal riuscire a sfondare le linee nemiche, si risolsero col guadagno di poche decine di metri pagati con gravissime perdite. Non diverso risultato ebbero la terza e la quarta battaglia dell'Isonzo (dal 18 ottobre al 2 dicembre 1915), caratterizzate da una serie di violentissimi attacchi frontali sempre destinati a infrangersi sui reticolati nemici. In quegli otto mesi di guerra si ebbero 250.000 tra morti e feriti su un esercito di un milione di uomini. Nessun obiettivo era stato raggiunto, sia a causa della scarsezza di mezzi capaci di aprire la strada alla fanteria, sia per l'impreparazione di molti alti comandanti e per i grossi limiti dello stesso Cadorna, che fu accusato di aver disperso le poche artiglierie pesanti disponibili su troppi obiettivi, sacrificando le truppe in sanguinosi attacchi frontali non adeguatamente sorretti. Significativo fu comunque il contributo italiano alla guerra mondiale: gli Austriaci, che avevano subito anch'essi gravi perdite, dovettero passare su questo fronte dalle 15 divisioni del giugno alle 22 dell'autunno.
CONTINUA SU: "PRIMA GUERRA MONDIALE - PARTE SECONDA"
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