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Nel 1915 Falkenhayn concentrò gli sforzi contro la Russia, sia perché era il punto più debole dell'Intesa, sia per rafforzare la posizione dell'alleata Austria prima che l'intervento italiano la minacciasse da Sud. L'esercito russo subì gravissime disfatte ed enormi perdite da parte di Hindenburg e Ludendorff (seconda battaglia dei Laghi Masuri a febbraio) e di von Mackensen e Conrad (sfondamento di Gorlice a maggio e occupazione austriaca della Galizia). Allontanata la minaccia russa dai Carpazi, l'offensiva tedesca e austro-ungarica di luglio-settembre si concludeva con l'occupazione dell'intera Polonia. Falliva intanto un tentativo franco-inglese di ristabilire i collegamenti con la Russia per mezzo di una spedizione navale contro la Turchia: lo sbarco a Gallipoli (aprile-novembre) si risolse con pesanti perdite. Mentre l'entrata in guerra della Bulgaria a fianco degli Imperi Centrali segnò il crollo della Serbia (ottobre-novembre): i resti dell'esercito serbo furono tratti in salvo a Corfù dalla flotta italiana col concorso di unità alleate. Ancora una volta i successi austro-tedeschi erano notevoli ma non decisivi. La Russia, scarseggiando di artiglieria e munizioni, aveva dovuto subire la guerra di movimento del nemico su un fronte troppo esteso da fortificare e trincerare: perse così oltre due milioni di uomini e tuttavia le sue riserve umane erano tali che non si poteva ancora considerarla fuori combattimento. Sul fronte occid., dove i Tedeschi si erano limitati alla difesa, i Franco-Inglesi avevano cercato di approfittare del concentramento nemico a oriente per sferrare una serie di offensive nell'Artois e nella Champagne (Ypres, Arras) che, al solito, costarono più delle perdite inflitte ai Tedeschi senza produrre risultati significativi. La guerra navale non registra fatti di rilievo. Dopo che la corsa agli armamenti navali era stata un importante elemento di tensione fra Gran Bretagna e Germania, scoppiata la guerra nessuno dei due Paesi osò impegnare la propria flotta: quella tedesca restava nei porti, mentre gli ammiragli inglesi esercitavano il blocco a distanza, ritenendo di mantenere la supremazia sui mari senza rischiare una disfatta. Solo unità veloci come gli incrociatori di von Spee esercitavano azioni di disturbo contro questa supremazia: vincitori nel novembre 1914 presso le coste cilene, vennero però quasi tutti distrutti dagli Inglesi nel dicembre 1914 alle is. Falkland. Nel teatro del Mare del Nord, dove le due flotte antagoniste si fronteggiavano, i Tedeschi tentarono, nei primi sei mesi di guerra, di provocare scontri con importanti frazioni della flotta britannica effettuando scorrerie di grandi incrociatori sulle coste orient. della Gran Bretagna. Questa attività culminò, il 24 gennaio 1915, nello scontro del Dogger Bank, che impegnò le forze veloci delle due flotte e dopo il quale i Tedeschi dovettero ripiegare. Il controblocco era esercitato attivamente invece dai sommergibili tedeschi, che dal febbraio 1915 minacciarono anche le navi neutrali: finché la decisa reazione americana all'affondamento del piroscafo inglese Lusitania il 7 maggio 1915 (in cui persero la vita 1200 passeggeri, 118 dei quali erano cittadini americani) spinse la Germania a limitare le azioni di guerra sottomarina. Questo secondo anno del conflitto diede, in conclusione, un nuovo colpo alle illusioni di una soluzione a breve scadenza: a causa di ciò venivano sempre più in primo piano problemi quali la resistenza economica e la mobilitazione industriale di ciascun Paese a fini bellici, il rafforzamento degli accordi politici e del coordinamento militare nell'ambito di ciascuno dei due blocchi, il mantenimento dell'unità politica e della pace sociale in seno a ogni Paese, al fine di conservare un'adesione il più possibile di massa alla continuazione della guerra sino in fondo. Un'opposizione alla guerra cominciò a crescere fra le forze socialiste: alcune frazioni minoritarie, che propagandavano una pace senza annessioni ne indennità, promossero nel settembre 1915 una conferenza a Zimmerwald. Questa opposizione, presente con diversa forza in ogni Paese, si rafforzò e divenne più incisiva a partire dall'anno successivo (Congresso di Kienthal, aprile 1916), allorché si sviluppò un'azione diretta per la cessazione immediata della guerra e si andò affermando la concezione di dirigenti rivoluzionari come Lenin e Rosa Luxemburg mirante a trasformare la guerra in rivoluzione sociale anticapitalistica in tutti i Paesi. Ma, per ora, i governi restavano sufficientemente saldi e gli esecutivi erano dotati di estesi poteri. Quanto alla compattezza dei due campi, il problema era relativamente più acuto per l'Intesa: tra Francia, Russia e Gran Bretagna (legate dal Patto di Londra, 5 settembre 1914), nonostante l'unità raggiunta contro il comune nemico, sussistevano contrasti di interessi, di fini, nonché divergenze di vedute sulla condotta della guerra. L'accordo anglo-francese Sykes-Picot del marzo 1915, stabilendo una divisione di zone d'influenza (Mesopotamia alla Gran Bretagna, Siria alla Francia), contribuì a spianare alcuni motivi d'attrito. Dal punto di vista militare invece non si fecero passi avanti nella creazione di un comando unico, nonostante vi fosse in quell'anno un primo tentativo fra Anglo-Francesi, Russi e Italiani di coordinare un'azione simultanea per l'anno successivo. Del resto, anche nel campo degli Imperi Centrali le discordie tra Conrad e Falkenhayn impedivano che si pervenisse a un comando unificato.
Nel 1916 Falkenhayn tornò a concentrare le forze tedesche sul fronte occid. considerandolo il solo che poteva decidere l'esito della guerra. Questa volta la Germania prese atto del carattere di immobilismo assunto dalla guerra e adottò una strategia di logoramento, fidando nella propria superiorità tattica rispetto agli Anglo-Francesi e nella propria potenza di fuoco. Scegliendo la fortezza di Verdun come punto su cui sferrare l'attacco, Falkenhayn schierò in pochi chilometri quadrati diciannove divisioni sostenute da un enorme concentramento di artiglieria. Il suo piano non consisteva più nel cercare di sfondare le linee nemiche, ma nel costringere la Francia a esaurire tutte le proprie riserve nella difesa di una posizione essenziale, fino a dissanguarsi definitivamente. L'attacco tedesco cominciò con un improvviso violentissimo bombardamento il 21 febbraio, e la battaglia si protrasse per oltre cinque mesi, fino a luglio: persero la vita in questa carneficina ca. 700.000 soldati, equamente distribuiti tra le due parti. Anche questo nuovo piano tedesco era dunque sostanzialmente fallito, sia per il costo ulteriormente dimostrato dell'offensiva nella guerra delle trincee e delle mitragliatrici, sia perché la Gran Bretagna (passata proprio all'inizio del 1916 dal servizio militare volontario alla coscrizione obbligatoria) stava rapidamente restaurando l'equilibrio di riserve umane. Tale maggiore capacità d'impegno della Gran Bretagna sul fronte occid. spinse l'Intesa a tentare, nell'ultimo mese della battaglia di Verdun, una massiccia offensiva sulla Somme (1s luglio): in questa occasione fecero la prima comparsa i carri armati inglesi, che non ebbero però adeguato impiego e non produssero risultati di rilievo, sciupando l'effetto della sorpresa. Anche la battaglia della Somme, durata fino a novembre, non ebbe esiti significativi e si risolse in una carneficina come Verdun: se costò ai Tedeschi mezzo milione di uomini, gli Inglesi ne persero 400.000 e i Francesi 200.000. Pressappoco in coincidenza con questa offensiva, la Russia si rifaceva viva attaccando a giugno col generale Brusilov sul fronte orient., costringeva le divisioni austro-ungariche a ripiegare profondamente e catturava in pochi giorni 200 mila prigionieri sul fronte della Volinia e della Bucovina. I successi di Brusilov ebbero importanti risultati: costrinsero Falkenhayn a spostare truppe dal fronte occid. impedendogli un contrattacco sulla Somme; contribuirono al fallimento della 'Strafexpedition' lanciata da Conrad contro l'Italia sull'altopiano dei Sette Comuni (maggio-luglio 1916), permettendo a Cadorna una vittoriosa controffensiva (sesta battaglia dell'Isonzo, agosto-novembre) iniziata con la conquista di Gorizia (agosto) ma proseguita con un pesante logoramento umano; favorì infine la decisione presa dalla Romania di entrare in guerra contro gli Imperi Centrali (27 agosto). Ciò non fu però di alcun aiuto per l'Intesa, in quanto la Romania venne in breve tempo invasa da truppe tedesche, austro-ungariche e bulgare (Bucarest cadde il 6 dicembre), senza poter ricevere appoggio dalla Russia la cui offensiva era ormai bloccata dall'endemica scarsità di equipaggiamento e munizioni: l'esercito russo, duramente provato, cominciava a entrare quell'anno in gravissima crisi. Intanto lo scacco tedesco portava alla destituzione di Falkenhayn, che venne sostituito al comando supremo da Hindenburg e Ludendorff. Sugli altri fronti è da segnalare la vittoria turca sul corpo di spedizione britannico in Mesopotamia (aprile). La Gran Bretagna riuscì però a conservare Suez, mentre il colonnello Lawrence incitava contro la Turchia le tribù arabe con la promessa della creazione di uno Stato arabo indipendente. La guerra sui mari vide nel 1916 l'unico scontro importante tra grandi unità di tutta la guerra: la battaglia dello Jütland (31 maggio-1s giugno), provocata dall'ammiraglio tedesco von Scheer per cercare di allentare la pressione del blocco infliggendo un grave colpo alla flotta britannica dell'ammiraglio Jellicoe, fece registrare effettivamente alla Gran Bretagna perdite in uomini e navi circa doppie rispetto a quelle tedesche. Ma la Germania dovette prendere atto che simili successi tattici erano lontani dallo spezzare l'egemonia navale inglese, e fino alla fine della guerra la sua flotta rinunciò a contrastare agli Inglesi il dominio del Mare del Nord. Nel complesso la fine di quell'anno vedeva perdurare l'equilibrio delle forze opposte e una situazione di stallo generale. La durata della guerra e i sacrifici e le privazioni sofferti dalle popolazioni facevano intanto intravedere un aggravarsi della situazione interna dei vari Stati. Perciò nel corso del 1916 si assistette a un tentativo di rafforzamento dei vari governi. Aristide Briand in Francia guidava un governo di larga coalizione; in Italia, dopo la 'Strafexpedition', il gabinetto Salandra cadeva attaccato dalla destra nazionalista e dalla sinistra socialista e veniva sostituito dal governo di 'concentrazione nazionale' di Paolo Boselli; al posto del gabinetto Asquith subentrava in Gran Bretagna il 'gabinetto di guerra' di David Lloyd George. In Germania l'ascesa di Hindenburg e Ludendorff al comando supremo dell'esercito acuiva i contrasti fra il potere militare e quello civile: mentre lo Stato Maggiore premeva per la ripresa della guerra sottomarina senza restrizioni, il cancelliere Bethmann-Hollweg e il nuovo imperatore d'Austria Carlo I (succeduto nel novembre 1916 a Francesco Giuseppe) erano inclini a negoziati di pace. Proposte in tal senso vennero avanzate nel dicembre dagli Imperi Centrali, con la mediazione del presidente americano Wilson: ma il tentativo fallì ben presto, anche perché la Germania voleva trattare sulla base del riconoscimento dei vantaggi territoriali fin allora acquisiti. Lo Stato Maggiore tedesco ebbe infine la meglio sul governo e all'inizio dell'anno successivo (febbraio 1917) impose la ripresa della guerra sottomarina illimitata: anche perché, sia pur lentamente, la Germania cominciava a risentire degli effetti del blocco. L'inverno 1916-17 fu assai duro per lo scarseggiare delle riserve di cibo, nonostante l'occupazione della Romania avesse procurato nuove scorte di frumento e petrolio. Davanti alla prospettiva di un nuovo anno di stasi della guerra in terraferma, gli Imperi Centrali preferirono correre l'estremo rischio, fidando di riuscire a piegare la Gran Bretagna entro sei mesi, prima cioè che l'eventuale intervento americano spostasse definitivamente la bilancia a favore dell'Intesa.
Il 1917 fu un anno di acuta crisi per tutti i Paesi belligeranti, ma soprattutto per l'Intesa. Il morale delle truppe era deteriorato dall'estenuante sforzo della guerra, dalle inutili carneficine e dall'immobilismo senza prevedibile sbocco degli eventi bellici. In Italia si cominciava a diffondere uno spirito di sfiducia verso Cadorna soprattutto in seno ai giovani ufficiali di complemento. In Francia la crisi si manifestò ancor più gravemente in occasione dell'offensiva dell'aprile 1917 che il generale Nivelle (succeduto a Joffre al comando supremo) sferrò nella Champagne su un fronte di 80 km contro una munitissima linea difensiva tedesca: non solo questo inutile attacco costò 100.000 uomini, ma aggravò la stanchezza e la confusione fra le truppe, causando l'ammutinamento di vari reparti combattenti a Soissons. In seguito a questi avvenimenti, Nivelle fu sostituito dai generali Pétain e Foch con l'incarico di rimettere in piedi l'esercito francese. In questa fase il maggior sforzo gravò sul corpo di spedizione britannico e sui resti dell'esercito russo. Anche i tentativi offensivi inglesi furono pagati duramente: l'avanzata di 8 km permessa dalla lunga battaglia di Passchendaele, su un terreno sconvolto e ridotto a un mare di fango dai bombardamenti d'artiglieria, costò 400.000 vittime. Non maggior fortuna ebbe l'attacco a sorpresa sferrato a fine anno a Cambrai, che pure riuscì, con l'appoggio di 400 carri, a sfondare in parte le linee tedesche: il successo parziale non poté essere consolidato per la scarsità di rifornimenti, truppe fresche e nuovi carri. Il 1917 si chiuse ancora per il fronte occid. in una situazione di stasi, con l'Intesa molto logorata e gli Imperi Centrali in attesa di sferrare l'ultima disperata offensiva. Per questi ultimi la guerra era divenuta, più che mai, una lotta contro il tempo. La reazione americana alla guerra sottomarina non si era fatta attendere: il 1s febbraio Wilson ruppe i rapporti diplomatici con la Germania e il 2 aprile 1917 gli Stati Uniti, dietro la spinta della grande industria e dell'alta finanza (legate all'Intesa dalla concessione di larghi crediti), dichiararono guerra alla Germania, seguiti dalla maggior parte degli Stati americani. Ma l'intervento americano non avrebbe potuto influire in modo decisivo sul corso degli eventi se non l'anno seguente. Nel frattempo per la Germania si trattava di sfruttare il vantaggio offertole dall'uscita della Russia dalla scena della guerra. Come già era accaduto in occasione del conflitto russo-giapponese del 1904, la guerra aveva precipitato la crisi dell'Impero zarista mettendone in luce l'arretratezza, la disorganizzazione e la corruzione. Una serie di rivolte spontanee, scioperi e ammutinamenti scoppiati nel marzo 1917, provocati inizialmente dalla mancanza di pane, furono appoggiati dalle truppe di Pietroburgo e si politicizzarono rapidamente trasformandosi in rivoluzione politica e portando il 15 marzo all'abdicazione dello zar Nicola II. La lotta di classe si sviluppò impetuosamente e per alcuni mesi la vita politica russa fu caratterizzata da un 'dualismo di potere' che vide contrapposte le organizzazioni spontanee di operai, contadini e soldati (Soviet) ai resti in disgregazione del potere statale (la Duma) a capo del quale si succedettero i cadetti (nobili liberali e alta borghesia moderata) e il governo menscevico di Aleksandr Kerenskij. Questi governi provvisori cercarono di far accettare ai contadini e alle masse russe la continuazione della guerra promettendo un regime democratico-costituzionale e procedendo a nuove distribuzioni delle terre: ma, nonostante qualche iniziale successo contro l'Austria, l'offensiva del giugno-luglio in Galizia voluta da Kerenskij ebbe risultati disastrosi e confermò l'impossibilità di continuare la guerra mentre le armate si disgregavano e la rivoluzione seguiva il suo corso. Nel novembre 1917 i bolscevichi di Lenin, guadagnatisi il controllo dei Soviet, conquistarono il potere proclamando la Repubblica Socialista Federativa dei Soviet, conclusero subito (dicembre) un armistizio con la Germania e infine, il 3 marzo 1918, sottoscrissero il Trattato di Brest-Litovsk pagando la pace separata a durissimo prezzo (perdita dell'Ucraina, dei Paesi baltici e della Finlandia). Questi avvenimenti diedero respiro agli Imperi Centrali, permettendo loro di spostare su altri fronti le armate fino ad allora immobilizzate sul fronte russo; anche se, nel contempo, la vittoria delle forze popolari in Russia contribuì ad acuirne le difficoltà politico-sociali interne (rafforzarsi delle correnti favorevoli alla pace, scioperi e rivolte). Si era soprattutto andato accentuando, nel corso del 1917, il processo di sfaldamento dell'Impero asburgico con la creazione di un governo cecoslovacco in esilio e la conclusione del Patto di Corfù (luglio 1917) tra Serbi, Croati e Sloveni per la creazione di uno Stato unitario iugoslavo, con l'appoggio dei governi dell'Intesa e l'opposizione invece del ministro degli Esteri italiano Sonnino. La politica nazionalista di quest'ultimo verso le terre ottomane e i Balcani alla conferenza alleata di San Giovanni di Moriana (19-20 aprile 1917) - durante la quale aveva anche posto il veto a un tentativo di pace separata avanzata dall'imperatore d'Austria - provocò una decisa opposizione da parte dell'opinione pubblica democratica italiana e una grave crisi del gabinetto Boselli. Alla fine dell'anno, dopo il fallimento di un ultimo tentativo di pace di Benedetto XV (agosto), i governi dell'Intesa assunsero il carattere di gabinetti della guerra a oltranza, con poteri quasi dittatoriali (Lloyd George in Gran Bretagna, Clemenceau in Francia, Orlando in Italia dopo Caporetto). Nel settembre 1917 Ludendorff, con l'obiettivo dell'eliminazione dell'avversario più debole, appoggiò finalmente il piano del comando austriaco di scatenare una massiccia offensiva sul fronte italiano. Dal maggio del 1917 Cadorna aveva logorato l'esercito italiano in una serie di offensive che, malgrado successi parziali come la conquista dell'altopiano della Bainsizza (agosto), erano costate circa 400.000 vittime senza raggiungere l'obiettivo sognato di Trieste. Contro questo esercito esaurito e sfiduciato gli Austro-Tedeschi lanciarono l'attacco il 24 ottobre 1917 sfruttando la testa di ponte di Tolmino sull'Isonzo: Cadorna, pur preavvisato, si dimostrò incerto e passivo e il crollo del fronte italiano fu quasi immediato. Dopo lo sfondamento austro-tedesco di Caporetto, l'esercito italiano iniziò una disastrosa ritirata per evitare l'accerchiamento: in seguito a nuovi attacchi, dovette ripiegare dal Tagliamento al Piave (9 novembre), perdendo complessivamente 600.000 uomini. Il disastro provocò la caduta del governo Boselli, sostituito dal governo di coalizione nazionale di Vittorio Emanuele Orlando, mentre a Cadorna subentrava il generale Armando Diaz. Dopo cinque giorni di durissima lotta un nuovo attacco nel settore fra il Piave e il Brenta venne fermato, mentre cominciavano ad affluire aiuti da parte degli alleati.
Nell'attesa dell'ultima offensiva degli Imperi Centrali prima dell'arrivo in Europa delle forze americane, i comandi dell'Intesa erano finalmente riusciti a creare un comitato esecutivo interalleato (febbraio 1918) con a capo il maresciallo francese Foch. La forza economica e produttiva degli Stati Uniti aveva bilanciato le perdite causate dai sommergibili tedeschi e l'uscita della Russia dalla guerra; si trattava ora di resistere al meglio, per poter poi sferrare la controffensiva decisiva con l'apporto delle divisioni statunitensi. Perciò l'Intesa, abbandonata la tattica delle massicce offensive frontali, adottò una linea di difesa elastica. L'attacco di Ludendorff iniziò il 21 marzo su un fronte di 65 km nella regione di San Quintino, alla congiunzione delle armate britanniche con quelle francesi di Pétain che difendevano Parigi. Ludendorff intendeva produrre una rottura fra le truppe inglesi e le armate francesi, costringendo le prime a ritirarsi a protezione della Manica e le seconde in direzione di Parigi, e occupare il nodo ferroviario di Arras. La rottura fra lo schieramento inglese e quello francese di Pétain si produsse, ma gli Inglesi, pur travolti con pesanti perdite, riuscirono a conservare Arras, mentre Foch difendeva strenuamente Amiens. Una serie continua di violente offensive in aprile e maggio portava i Tedeschi a raggiungere nuovamente la Marna (30 maggio, battaglia dello Chemin des Dames). Contemporaneamente l'esercito austriaco riprendeva l'offensiva sul Piave (15 giugno) e, mentre veniva fermato nella zona di Asiago e del Grappa, riusciva a passare il fiume sulla direttrice di Treviso e occupava il massiccio del Montello: in dieci giorni di battaglia l'attacco venne contenuto e respinto e il 22-23 giugno si aveva la ritirata austriaca. Nel luglio 1918 anche l'offensiva di Ludendorff si era ormai spenta: intanto, dall'aprile, le truppe americane arrivavano in Europa al ritmo di 300.000 uomini al mese, permettendo all'Intesa di sferrare tra agosto e settembre il contrattacco decisivo: questo iniziò con la seconda battaglia della Marna (18 luglio) poi, sfruttando la deficienza di riserve e lo sbilanciamento dell'esercito tedesco, l'Intesa lo costrinse con una serie di attacchi combinati (Soissons, Amiens, Ypres) a ripiegare sino alle ultime linee di difesa (Wotan, Hindenburg e Grunilde), sferrando nelle Ardenne il colpo di grazia. Il 24 ottobre aveva inizio anche la controffensiva italiana che, sfondato il fronte austriaco a Vittorio Veneto dopo una dura lotta sul Grappa e sul medio Piave, si concluse il 3 novembre con la conquista di Trento e Trieste e la firma, lo stesso giorno, dell'armistizio di Villa Giusti che segnava la resa senza condizioni degli Austro-Ungarici (v. Italia, storia). La vittoria dell'Intesa maturava pure su altri fronti. A metà settembre un attacco di Francesi, Serbi e Inglesi a Salonicco permise la liberazione di Serbia, Montenegro e Albania portando alla resa della Bulgaria per la fine del mese. Sul fronte turco (dove, l'anno precedente, i rapporti arabo-inglesi erano entrati in crisi per la promessa di lord Balfour al movimento sionista della costituzione di uno Stato ebraico in Palestina) le truppe inglesi di Allenby catturavano in Palestina l'intero esercito turco, e invadevano la Siria e l'Asia Minore entrando a Damasco il 1s ottobre. Il 30 ottobre la Turchia era costretta alla resa. Gli Imperi Centrali erano ormai in completo sfacelo: l'impero asburgico si disfaceva e, alla fine di ottobre, si costituivano gli Stati di Iugoslavia, Cecoslovacchia, Austria e Ungheria, e Carlo I abdicava. Il comando supremo tedesco invitava il Kaiser a chiedere l'armistizio (riunione di Spa, 29 settembre): ma il nuovo cancelliere Max von Baden, formato un gabinetto liberale su base parlamentare, voleva continuare la lotta, mentre ormai gli eserciti dell'Intesa non incontravano resistenza e la Germania stava per essere invasa. Scoppiarono rivolte popolari e dell'esercito, il 3 novembre la flotta si ammutinò a Kiel, mentre il movimento rivoluzionario si estendeva a tutta la Germania, da Monaco a Berlino, dove sorgevano Soviet di lavoratori e soldati sull'esempio della Russia. Il 9 novembre Guglielmo II dovette abdicare e l'11 l'Armistizio di Rethondes segnava la capitolazione della Germania, mentre la fine della guerra veniva sanzionata definitivamente dal Trattato di Versailles che concluse i lavori della Conferenza di Parigi il 28 giugno 1919. Il cancelliere socialdemocratico Friedrich Ebert aveva appena proclamato la Repubblica e si accingeva con l'aiuto dell'esercito a reprimere i tumulti popolari e a impedire la svolta rivoluzionaria guidata dalla Lega di Spartaco di Liebknecht e Rosa Luxemburguerra
Con lo smembramento degli ultimi imperi supernazionali (Austria-Ungheria, Russia, Turchia) la I guerra mondiale concludeva il periodo storico della formazione delle nazionalità europee e, soprattutto, apriva una nuova epoca caratterizzata non tanto dai notevoli mutamenti territoriali apportati dal conflitto quanto dalla crisi economica e politico-sociale sul piano internazionale e interno ai vari Stati: da un lato la guerra aveva aperto la via alla vittoria delle forze rivoluzionarie socialiste in Russia con la creazione del primo regime sovietico e aveva creato condizioni rivoluzionarie in numerosi altri Paesi occid.; dall'altro, aveva sancito la fine del predominio esclusivo del continente europeo sul mondo intero, portando alla ribalta nuove potenze come Stati Uniti e Giappone. Il centro di gravità del commercio mondiale era passato dall'Europa agli Stati Uniti, le cui capacità produttive erano talmente aumentate che le esportazioni nel periodo bellico furono triplicate. Enormi erano i debiti dei Paesi dell'Intesa verso gli U.S.A. ai cui prestiti anche la Germania nel dopoguerra dovette ricorrere per la ricostruzione: questo danaro tornava poi negli Stati Uniti nella forma di acquisti di merci americane o riparazioni di guerra o restituzioni di debiti, permettendo ai capitali e ai prodotti americani di invadere i mercati europei, asiatici e sudamericani. Alle nazioni europee il conflitto - che aveva provocato complessivamente la morte di ca. 13 milioni di persone - causò la perdita di incalcolabili ricchezze in impianti industriali e raccolti agricoli, di molto superiori al pur elevatissimo costo finanziario della guerra. Il Paese più provato dalle distruzioni belliche fu la Francia che, col Trattato di Versailles e il suo atteggiamento nella questione delle riparazioni di guerra, mirò a impedire la rinascita economica della Germania facendole pagare il peso della propria ricostruzione: quest'ultima dovette cedere l'Alsazia-Lorena e lo sfruttamento per 15 anni del bacino minerario della Saar alla Francia e perse interamente i possessi coloniali in massima parte a vantaggio della Gran Bretagna. Quanto al problema delle riparazioni, che contribuì ad avvelenare gravemente il clima politico-diplomatico del dopoguerra, fu fissata una cifra astronomica che prostrò finanziariamente la Germania per lungo tempo. In tutti i Paesi europei gli anni della guerra e del primo dopoguerra videro il costante sviluppo di una profonda crisi economico-sociale, che si manifestava nella tendenza inflazionistica di una continua ascesa dei prezzi dei prodotti. Se, da un lato, questa crisi portava a un processo di immiserimento delle masse popolari (in tempo di guerra i salari non conobbero infatti aumenti corrispondenti al crescere del costo della vita) e alla rovina di ceti piccolo-borghesi e di quanti vivevano di redditi fissi, dall'altro poterono approfittarne grandi imprenditori industriali, banchieri, grandi azionisti, realizzando grandi profitti grazie alle condizioni di monopolio in cui vennero a trovarsi nel periodo bellico. Queste classi conquistarono il controllo sempre più stretto dello Stato, le cui funzioni si estendevano ora anche sul terreno economico attraverso le commesse belliche e i finanziamenti che poteva accordare alle industrie, rastrellando danaro pubblico e piccoli risparmi. Proprio in quegli anni si assistette infatti a un vertiginoso sviluppo dell'industria italiana (meccanica, elettrica, chimica). Gli sconvolgimenti apportati dalla guerra nella vita economica delle nazioni furono alla base dell'esasperazione dei contrasti di classe e della lotta politica dell'Europa postbellica. Al desiderio dei ceti dominanti di far pagare tutto il peso della guerra e della ricostruzione alle masse popolari si opponeva un nuovo livello di coscienza e organizzazione del proletariato internazionale (sorsero in quegli anni partiti comunisti in tutti i Paesi, guardando all'esempio russo). Ma le forme della lotta di classe divenivano più complesse per l'innestarsi dei risentimenti dei ceti intermedi rovinati, per le difficoltà della riconversione dell'economia di guerra, per il riacutizzarsi dei nazionalismi (anche in seguito alla impostazione data dalle potenze alla conferenza della pace, in cui l'idealismo wilsoniano uscì sconfitto dalle mire imperialistiche dei vincitori).
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