PRIMA GUERRA MONDIALE -
FASCISMO
Il 28 giugno 1914 un
gruppo di studenti assassinò l'arciduca ereditario d'Austria Francesco
Ferdinando e la consorte a Sarajevo. Tale evento fece precipitare verso la
guerra una situazione internazionale da anni carica di tensioni politiche,
economiche e sociali, coinvolgendo tutti gli stati europei e successivamente
Giappone e Stati Uniti d'America. Per ragioni politiche, molte erano le
questioni d'attrito tra gli stati europei e già con la caduta di Bismarck nel
1890, il sistema delle relazioni internazionali aveva cominciato a sgretolarsi.
La politica espansionistica inaugurata dal nuovo Kaiser Guglielmo II entrò in
collisione con l'Inghilterra, che vide minacciata la sua egemonia coloniale e
commerciale. Tale contrasto si inasprì ulteriormente quando l'imperatore cercò
di assecondare spinte nazionalistiche con l'intento di creare la grande
Germania; fu questo uno dei tanti focolai di tensione per i quali la guerra
costituiva l'unica valvola di sfogo. Nei Balcani la situazione era pressoché
simile: croati e sloveni lottavano per raggiungere l'indipendenza nazionale,
lotta intrapresa pure da cechi, magiari, ungheresi. Poi esistevano i conflitti nazionalistici
nell'impero ottomano. La Serbia, già indipendente alla fine del XIX secolo,
guidò il nazionalismo slavo contro il governo turco, formando una lega tra
Bulgaria, Grecia e Montenegro che, nel 1912 dichiarò guerra alla Turchia. Nel
1913 con la pace di Londra, fu sanata la vittoria balcanica, che riaccesa la
guerra per questioni di confini, creando instabilità in Russia, Italia, Serbia
e Austria. Agli inizi del '900 l'Inghilterra subisce un forte declino, perdendo
potere su tutta l'Europa e non solo. I timori di un'Europa dominata
politicamente e militarmente dalla Germania spinsero Inghilterra e Francia ad
un ravvicinamento che, dopo alla stipulazione di un'intesa cordiale del 1905,
diventò una vera e propria alleanza politica in contrapposizione, all'asse
Austro-Tedesco. L'assassinio di Sarajevo fu però la vera causa che portò alla
guerra, accompagnato ad una progressiva affermazione del nazionalismo come
ideologia di massa capace di penetrare profondamente nel tessuto sociale.
L'idea di nazione si era trasformata in un coagulo di aggressività di razzismo
e di spirito di potenza innovatrice. Davanti a questo processo però il
movimento operaio e socialista non fu in grado di imporre la propria cultura
pacifista. Ogni potenza, inoltre, desiderava accaparrarsi nuovi mercati, tanto
che Inghilterra, Francia e Germania erano coinvolte in una spietata concorrenza
per difendere le proprie posizioni economiche. Questa situazione si tradusse in
una politica sempre più aggressiva, che comportò una corsa agli armamenti, cioè
una tendenza a potenziare gli eserciti e flotte ed a investire capitali e
risorse per produrre armi sempre più micidiali. Era l'inizio della guerra.
L'ultimatum lanciato il 23 luglio dall'Austria alla Serbia, ritenuta
responsabile dell'assassinio, fu formulato in termini inaccettabili, in quanto
interveniva negli affari interni del paese. Si giunse così, il 28 luglio, alla
dichiarazione di guerra dell'Austria e al bombardamento di Belgrado, capitale
della Serbia. Il conflitto assunse subito dimensioni europee e si verificò la
mobilitazione della Russia per sostenere la Serbia. A essa fece seguito la
dichiarazione di guerra della Germania alla Russia il primo agosto, e il 3 alla
Francia. La Germania invase Belgio e Lussemburgo neutrali, per colpire la
Francia laddove era priva di difese. L'occupazione tedesca di questi stati ebbe
come effetto l'entrata in guerra dell'Inghilterra il 4 luglio. Infine, con lo
schieramento del Giappone a fianco dell'Intesa del 23 agosto, il conflitto
oltrepassò i confini europei e assunse dimensioni mondiali. L'Italia, ritenendo
non operante la Triplice Alleanza, si dichiarò neutrale. Nonostante la
resistenza belga, l'esercito tedesco dilagò fino a Parigi dopo di che la
Francia si impegnò in una ostinata resistenza lungo il fiume Marna, riuscendo,
dopo una lunga battaglia, ad allontanare i tedeschi, che si ritirarono sul
fronte occidentale; sul fronte orientale, i russi subirono dure sconfitte a
Tannenberg (23-30 agosto) e presso i laghi Masuri dagli eserciti
austro-tedeschi, risultando, nonostante tutto, vittoriosi. Intanto Germania e
Italia ingaggiarono un aspro conflitto sul mare del nord, durante il quale fu
affondato il piroscafo Lusitania. La protesta degli Stati Uniti fu durissima,
minacciando di entrare direttamente nel conflitto se incidenti simili si
fossero ripetuti. Nel 1915 la guerra estese il suo raggio d'azione con
l'ingresso di nuovi belligeranti: Turchia e Bulgaria con gli imperi centrali,
Portogallo e Romania a favore dell'Intesa. L'Italia entrò in guerra nel maggio
1915 a fianco di Francia e Inghilterra, determinando l'apertura del fronte sud
lungo i confini dell'Italia con l'impero austro-ungarico. Il conflitto aveva
raggiunto proporzioni mondiali. Con l'intervento italiano, si aprì dunque un
nuovo fronte di guerra, tanto che le operazioni concentrate sul Carso
alleggeriranno la pressione austriaca sul fronte russo, già sfondato nel maggio
1915. Il conflitto si stava trasformando da una guerra lampo a una di
logoramento. A Verdun le armate tedesche cercarono di sfondare le linee nemiche in una battaglia di 5 mesi,
ma l'attacco fu respinto dagli eserciti austro-tedeschi con la sostituzione del
comandante Falkenhayn con il generale Hindenburg, il quale decise di riaprire
la guerra sottomarina. Nella battaglia delle Jutland la marina tedesca ottenne
una vittoria che però non fu in grado di minacciare l'egemonia inglese sul
mare. I tedeschi adottarono una guerra sottomarina, mettendo a dura prova la
capacità di resistenza della popolazione inglese, tanto che l'Inghilterra
accentuò il blocco navale con l'aiuto americano, strangolando l'economia
tedesca. Intanto in tutti i paesi belligeranti iniziarono a manifestarsi
evidenti segni di stanchezza; i socialisti tedeschi tornarono a riorganizzare
l'opposizione ed anche i cattolici cominciarono a mobilitarsi: il primo
agosto1917 papa Benedetto XV inviò ai paesi belligeranti una nota nella quale
sosteneva la necessità di porre fine alla strage. All'interno delle varie
nazioni si formarono governi di coalizione per sostenere lo sforzo bellico: in
Francia, Aristide Briand; in Italia, Salandra; in Inghilterra, liberali e
conservatori; in Germania, l'imperatore; nell'impero austriaco, Carlo I. Il
parlamento veniva desautorato, lo stato era diventato il motore del sistema
industriale. Nei primi due mesi del 1917 due fatti mutarono il corso della guerra.
All'inizio di marzo uno sciopero generale di operai di Pietrogrado si trasformò
in una manifestazione politica contro il regime zarista e, quando i soldati si
rifiutarono di sparare sulla folla, la sorte della monarchia fu segnata,
costringendo lo zar ad abdicare. Il 6 aprile gli Stati Uniti decidevano di
entrare in guerra contro la Germania. Il 24 ottobre dello stesso anno i
tedeschi attaccarono le linee italiane a Caporetto, raggiungendo in profondità
il Friuli. Dopo due settimane l'esercito italiano prendeva le difensive sul
Piave. Cadorna fu sostituito da Armando Diaz. In Italia le forze politiche
trovarono maggiore concordia con il governo di Vittorio Emanuele Orlando. Tra
il 6 e il 7 novembre 1917 i bolscevichi presero il potere in Russia; il governo
rivoluzionario, presieduto da Lenin, decise di porre fine alla guerra e
dichiarò la sua disponibilità alla pace, stipulata il 3 marzo 1918 in Polonia,
anche se la Russia dovette accettare durissime condizioni imposte dai tedeschi.
In aprile gli Stati Uniti entrarono in guerra con l'Intesa, dando al conflitto,
per volontà del presidente Wilson, una nuova connotazione democratica. Anche
grazie alla super carità conseguita con l'intervento americano, nel novembre
1918 la guerra terminava con la vittoria dell'Intesa: un esito cui
contribuirono la dissoluzione interna dell'Austria-Ungheria e la rivoluzione
scoppiata in Germania, che portò alla caduta della monarchia. Alla conferenza
della pace che si tenne a Versailles, il compito dei vincitori si rivelò difficilissimo.
La carta d'Europa fu mutata profondamente, soprattutto in conseguenza del
crollo dell'impero zarista. L'ideale wilsoniano di un organismo internazionale
che potesse evitare guerre future non si realizzò: la società delle nazioni
nacque, minata da profonde contraddizioni.
(Fascismo)
Come in tutti gli altri paesi ex
belligeranti, anche in Italia gli effetti della guerra furono molto gravi a
causa di squilibri economici soprattutto tra nord e sud. Nel sud i reduci
contadini avevano atteso invano dal governo le terre promesse dopo Caporetto,
nel nord si era creato il problema della manodopera esuberante. Aumentò la
disoccupazione e l'inflazione che colpiva operai, contadini, piccola e media
borghesia. Fra coloro che cercarono di incanalare il malessere della crisi
economica vi fu Benito Mussolini, ex dirigente del partito socialista espulso
nel 1914 per la sua propaganda nazionalistica. A Milano, nel marzo del 1919,
dette corpo al movimento fascista, che puntava su spinte nazionalistiche e
conservatrici. I fasci di combattimento incendiarono la sede milanese del
partito socialista. Nel 1919 si manifestò l'azione del nazionalismo sfruttatore
dell'opinione pubblica. Orlando e Sonnino si scontrarono con Wilson per
questioni di annessioni. In questo clima Gabriele D'Annunzio tentò un'azione di
forza, occupando con un drappello di armati la città di Fiume e instaurando un
piccolo stato repubblicano. Nitti succedette a Orlando, mentre Giolitti nel
1920 tornò al governo, riconoscendo Fiume libera e annessa Zara all'Italia. Le
elezioni del 1919 furono vinte da socialisti e cattolici, nacquero i partiti
popolari di massa, ostili a quello stato liberale, ma mai quanto i gruppi
nazionalistici. Luigi Sturzo fondò il PPI, con il quale le masse cattoliche
entrarono in parlamento e nella vita politica del paese. Tra la fine del 1921 e
l'inizio del 1922, la situazione italiana scivolò verso una svolta reazionaria:
ogni compromessa e mediazione, data la gravità della crisi politica e sociale,
non aveva più possibilità di successo. Buona parte della borghesia
imprenditoriale si avvicinò alla destra fascista. I fascisti volevano
sconfiggere il movimento operaio, tanto che furono organizzate squadre d'azione
che si scatenarono in spedizioni
punitive contro sedi di partito e giornali. Nelle campagne, nel dopoguerra, si
era determinato uno spostamento di proprietà della terra dai grandi ai piccoli
agricoltori. Grazie alla crisi del movimento operaio, il partito socialista si
scisse nel '21 in Partito Comunista e nel '22 in riformista, mentre Mussolini
nel 1921 fondò il Partito Nazionale Fascista (borghesia e cattolici). La
debolezza del governo di Luigi Facta offrì l'occasione tanto attesa: al
congresso nazionale fascista, tenuto a Napoli nell'ottobre 1922, si formò un
quadrumvirato composto da De Bono, Balbo, De Vecchi e Bianchi che si accollò il
compito di organizzare un colpo di forza contro il governo, ovvero la marcia su
Roma. Lo Stato d'assedio decretato da Facta fu respinto da Vittorio Emanuele
II, che invece affidò a Mussolini il compito di formare il nuovo governo. I
primi provvedimenti del governo dichiararono decadute le leggi fiscali di
Giolitti. Si privò il parlamento e le altre istituzioni dello Stato delle loro
prerogative, sostituendoli con nuovi organismi come il Gran Consiglio del
fascismo e la Milizia volontaria. Nelle elezioni del 1924 i fascisti ottennero
la maggioranza con imbrogli e truffe; Matteotti volle dimostrare tali
intimidazioni, ma fu ucciso e per protesta parte dei parlamentari si dimisero
(secessione dell'Aventino). Tra il 1925 e '26, vero anno di svolta del fascismo
verso la dittatura, vennero promulgati decreti governativi con i quali veniva
ridotta la libertà di stampa e dichiarati decaduti i deputati dell'opposizione
aventiniana. Gran parte dei poteri furono cumulati nelle mani del "duce", lo
statuto albertino non abrogato subì modificazioni sostanziali, il parlamento
diventò organo di controllo. Furono dichiarati illegali tutti i partiti
politici ad eccezione di quello fascista, e fu creato il tribunale per la
difesa dello Stato per sopprimere le opposizioni al regime. Personalità della
politica socialista furono arrestate (Gramsci) o costrette all'esilio,
soprattutto in Francia. Venne modificato nel '26 l'assetto amministrativo e
sciolti i sindacati. Un primo limite ai propositi totalitari del regime era
rappresentato dalla Chiesa, la cui influenza venne riconosciuta con i Patti
Lateranensi (1929), e dalla presenza del re. Negli anni del fascismo,
nonostante l'aumento dell'urbanizzazione e degli addetti all'industria e ai
servizi, la società italiana restava notevolmente arretrata. La
fascistizzazione perseguita dal regime si realizzò solo in parte: il fascismo
riuscì a ottenere il consenso della piccola e media borghesia. Il regime cercò
di esercitare uno stretto controllo della scuola e della cultura. Si impegnò
soprattutto per i mezzi di comunicazione di massa, consapevole della loro
importanza ai fini del consenso. La radio e il cinema furono strumenti di
propaganda e intrattenimento. Ma il fascismo non costruì un nuovo sistema
economico; sul piano politico-economico, dal '25 si passò da una linea
liberista a una protezionistica. La "battaglia del grano" doveva servire per
raggiungere l'autosufficienza, la rivalutazione della lira doveva dare al Paese
un'immagine di stabilità monetaria. Di fronte alla crisi del '29, il regime
reagì con una politica di lavori pubblici e di intervento diretto dallo Stato
in campo industriale e bancario. Con l'IRI lo Stato diventò il proprietario di
alcune fra le maggiori imprese italiane. Superata la crisi, il fascismo
indirizzò l'economia verso la produzione bellica. Fino ai primi anni del '30 le
aspirazioni imperalistiche restarono vaghe. L'aggressione all'Etiopia nel 1935
mutò bruscamente la posizione internazionale del regime. Se l'impresa costituì
per Mussolini un grosso successo politico, essa significò anche una rottura con
le potenze democratiche, rottura che fu accentuata dall'intervento nella guerra
civile spagnola e dal ravvicinamento alla Germania. Tale ravvicinamento,
concepito da Mussolini come mezzo di pressione sulla Francia e Inghilterra, si
risolse con la firma del "Patto d'acciaio". In Italia la maggioranza degli
antifascisti rimase in una posizione di silenziosa opposizione. I comunisti si
impegnarono nell'agitazione clandestina, e sulla stessa linea si mosse il
Gruppo di Giustizia e Libertà (liberal-socialista). Gli altri gruppi in esilio
all'estero svolsero soprattutto un'opera di elaborazione politica, in vista di
una sconfitta del regime che l'antifascismo non era in grado di provocare.
Nonostante questa debolezza, l'importanza dell'antifascismo risiedette nella
funzione di testimonianza e di preparazione dei quadri politici della futura
Italia democratica. Il consenso ottenuto dal regime cominciò a incrinarsi dopo
l'impresa etiopica. La politica dell'autarchia ottenne solo parziali successi e
suscitò un diffuso malcontento. L'avvicinamento alla Germania e la politica
discriminatoria nei confronti degli ebrei suscitarono timori e dissensi nella
maggioranza della popolazione. Soltanto fra le nuove generazioni il disegno
mussoliniano di trasformare in senso fascista la vita e la mentalità degli
italiani ottenne qualche successo.