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PIERO GOBETTI
La vita
Piero Gobetti, nato a Torino nel 1901, è stato un importante uomo politico e scrittore italiano, che, anche se per pochissimo tempo (ha avuto una morte precoce a 25 anni a causa dei postumi di un'aggressione fascista), è stato un animatore culturale d'eccezione, ha fondato e diretto forse più importanti riviste nel panorama antifascista, è stato anche un editore molto coraggioso.
A diciassette anni fondò e diresse il periodico 'Energie nuove', che durò fino all'inizio del 1920.
Nel dopoguerra entrò in contatto con il movimento operaio torinese e con Gramsci, collaborando per due anni alla rivista 'L'Ordine Nuovo' come critico teatrale e letterario.
Maturò le sue idee politiche e nel 1922 fondò il settimanale 'Rivoluzione liberale', strumento di lotta politica, fatta attraverso una rilettura critica della storia d'Italia, che cercava le premesse per un deciso rinnovamento politico e morale nazionale che portasse ad un nuovo liberalismo fondato sull'adesione radicale ai principi democratici.
Successivamente, nel 1924, quando ormai il dibattito politico era diventato impossibile, 'Il Baretti' divenne uno strumento di resistenza culturale.
Nel fascismo egli vedeva il fallimento della democrazia italiana e, propugnando una opposizione radicale ad esso, fu costretto a riparare in esilio in Francia, morì a Parigi nel 1926.
Le opere
La rivista 'Energie Nuove', fondata nel 1918; la rivista 'Rivoluzione Liberale', del 1922, strumento di lotta politica; il periodico culturale 'il Baretti', del 1924;
Il saggio di storia 'Risorgimento senza eroi', del 1926; il saggio di politica 'Rivoluzione liberale'.
Articoli ed interventi di critica teatrale, di letteratura russa e di storia delle idee.
Posizione e attività politica
Gobetti è stato un liberale molto attivo politicamente, ma nel suo liberalismo, che ha ben poco della tradizione conservatrice del liberalismo italiano, confluiscono la lezione di Salvemini, i contatti con Gramsci e l'esperienza torinese dei consigli di fabbrica.
Questo personaggio vede la necessità di un profondo e improrogabile rinnovamento attuabile con una mediazione tra mondo borghese e mondo operaio.
Come ha scritto Gramsci, Gobetti 'non era un comunista e probabilmente non lo sarebbe mai diventato, ma aveva capito la posizione storica e sociale del proletariato e non riusciva più a pensare astraendo da questo elemento.
Considerava il Risorgimento come una rivoluzione fallita, in quanto vi era mancata la partecipazione del popolo; la storia italiana dopo l'unità, secondo lui aveva aggravato ulteriormente il dissidio tra Governo e masse popolari: la classe operaia settentrionale e la classe contadina meridionale erano, per lui, le sole forze che potessero creare uno stato fondato sull'adesione di tutto il popolo.
Secondo lui la linea da perseguire era un'alleanza con i gruppi più avanzati del proletariato, idea che verrà poi ripresa dal movimento di Giustizia e Libertà (GL), formazione costituita in Francia da Rosselli, Lussu e altri; in seguito, questa stessa ipotesi politica animerà il Partito d'Azione.
In un articolo della rivista 'Rivoluzione liberale' del 1922, intitolato 'Elogio della ghigliottina' Gobetti sprona gli intellettuali all'attività, criticando la neutralità, giudicata ingiusta e impossibile. Sostiene che per lui l'essere antifascista, non significa aderire ad un'ideologia, ma seguire qualcosa di innato, il proprio istinto; afferma che è necessario confidare nell'impegno degli uomini che, giorno dopo giorno con sudore e sangue, lottano senza illudersi che una legge di progresso porti avanti una società; il fascismo italiano è, invece, per Gobetti, una catastrofe: segna il trionfo della facilità, dell'ottimismo e dell'entusiasmo, denota una nazione che crede alla collaborazione delle classi, che rinuncia alla lotta politica per pigrizia, e che, quindi, vale poco.
All'inizio quest'autore aveva pensato che era un bene che ci fosse una lotta tra fascisti e socialcomunisti: per questo, con gioia, avevano fondato la rivista 'Rivoluzione liberale'.
Ma poco dopo non c'erano più persone che si facevano ammazzare e si sacrificavano per le loro idee o interessi: c'erano già 'i segni di stanchezza, i sospiri alla pace'.
L'arrivo di Mussolini è servito per provare l'inesistenza di minoranze eroiche, la presenza, non di proletari e borghesi, ma solo di classi medie.
Secondo Gobetti gli italiani hanno mostrato un animo da schiavi e né Mussolini, né Vittorio Emanuele hanno virtù da padroni.
Le 'persecuzioni personali' sarebbero dovute servire a creare sofferenza che avrebbe fatto rinascere gli spiriti.
L'unica cosa che è rimasta da fare è sperare che 'i tiranni siano tiranni e che la reazione sia reazione, e che ci sia chi avrà il coraggio di levare la ghigliottina, che si mantengano posizioni fino in fondo'.
La nuova concezione del ruolo degli intellettuali
Questa strategia porterà alla formazione di una nuova concezione del ruolo dell'intellettuale: esso deve essere calato nella realtà, impegnato nella lotta sino al sacrificio; Gobetti infatti organizzò delle riviste di opposizione e fu editore deciso e coraggioso, seguendo sempre la sua morale e facendo ciò che credeva giusto.
Questo autore non si è mai dato per vinto, neanche quando il fascismo era ormai al potere, spronava gli altri intellettuali affermando che restare neutrali era impossibile.
'Non ci hanno esiliati. Ma restiamo esuli in Patria. Per noi il problema è tutto qui: di riuscire ad essere nuovi illuministi di un nuovo '89'.
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