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Mussolini e la riforma - ritocchi
Mussolini, come abbiamo già detto, definì la riforma Gentile "la più fascista delle riforme"; in realtà, però, gli esiti della riforma non furono eccessivamente brillanti.
La scuola complementare si dimostrò un vero fiasco, registrando pochissimi nuovi iscritti e vedendo calare notevolmente quelli già in corso.
Nella scuola elementare, non solo l'introduzione solenne dell'insegnamento religioso ma anche la scomparsa del carattere pratico e pre- professionale a vantaggio di attività espressive ed estetiche (il disegno e il canto soprattutto) suscitarono molte reazioni fra i borghesi e, per motivi diversi, fra il popolo che vedeva nel nuovo carattere il segno di una scuola perditempo, dove si scarabocchiava e si cantava come nelle feste, invece di imparare cose concrete e utili nel lavoro futuro.
Ma l'insoddisfazione maggiore fu espressa dai ceti medi; Gentile ed i suoi avevano concepito una riforma rispondente a criteri ideologici senza tener conto che il fascismo, una volta consolidato al potere, non si sarebbe più potuto contentare di soddisfare le richieste degli industriali, degli agrari o del Vaticano, ma avrebbe dovuto cercare consenso anche nella piccola e media borghesia.
Con l'istaurarsi della dittatura, dopo la crisi seguita al delitto Matteotti, e la soppressione tra il 1925-26 di tutte le libertà politiche e civili, dei giornali d'opposizione, dei partiti e delle organizzazioni sindacali, cominciava a compiersi la progressiva fascistizzazione dello Stato, della società e della cultura.
Ben presto ci si accorse degli enormi limiti della riforma Gentile di fronte alla necessità di inserire sempre più la scuola nella vita della Nazione.
I ministri che si succedettero a Gentile negli anni misero in atto una serie di modifiche alla riforma, che loro chiamarono "ritocchi", per strumentalizzare la scuola e gli insegnanti come veicoli di propaganda del regime. La scuola divenne poco per volta il più efficace strumento per l'organizzazione del consenso di massa.
Elemento fondamentale nel percorso di "fascistizzazione dello Stato italiano e della penetrazione fascista nella scuola fu l'imposizione del libro unico per l'insegnamento elementare; approvato dal governo nel 1928, a partire dall'anno scolastico 1930-31 diviene obbligatorio anche nelle scuole private; Fu istituita una commissione, nominata dal ministero della Pubblica Istruzione, con il compito di "dirigere e coordinare il lavoro di compilazione del Testo Unico di Stato" per le singole classi elementari: (di essa faceva parte fra gli altri, Grazia Deledda).
Con il Testo Unico lo Stato poteva così esercitare un controllo diretto sull'insegnamento, limitando ulteriormente l'autonomia didattico- educativa degli insegnanti, anch'essi sottoposti ad una progressiva fascistizzazione, costretti al "giuramento di fedeltà", ad iscriversi al Partito e ad indossare, nell'esercizio delle loro funzioni, l'uniforme (di ufficiale della Milizia o la camicia nera gli uomini e di dirigenti delle Organizzazioni femminili dell'ONB le donne).
Si ritorna a scuola.. Ligia a quel senso di innato rispetto all'ordine e alla disciplina, così come ci fu ordinato, vengo a scuola in divisa (quinta femminile - Cagliari A. Riva. 1934)
La divisa la indosso da qualche mese e mi preoccupa il fatto che'essa si consumi rapidamente, ciò significherebbe nuove spese che graverebbero sullo scarso bilancio... (seconda femminile - Cagliari - 1934)
Si voleva ottenere un consenso ed un controllo maggiori, si voleva costruire l'immagine di un regime che funzionava in tutti i settori, che aveva saputo ricostruire e ridare splendore all'Italia, con una efficienza tipicamente militare. Inoltre, l'innovazione del testo unico e la sua revisione triennale volevano dare l'idea di un processo di modernizzazione della struttura didattica precedente. C'era, poi, il prestigio che lo stato sperava di ottenere nel curare un'operazione editoriale di alto livello, avvalendosi di autori illustri. Infine il fascismo intendeva, demagogicamente, anche andare incontro ai problemi finanziari che l'acquisto dei libri comportava, soprattutto per le classi meno agiate; Mettendo ordine nella selva di letture che ogni anno cambiavano per compiacere agli editori, tenendo i prezzi più bassi, si poteva realizzare un risparmio per quelle famiglie per le quali la scuola rappresentava ancora un lusso.
Gli anni che vanno dal 1925 al 1931 sono quelli che vedono un lento ma progressivo appiattimento della produzione di testi scolastici sulle direttive e sulle esigenze del regime. Da più parti negli ambienti fascisti del ministero della PI si lamentava poca attenzione al fascismo nel libri di lettura, tanto che la Commissione Giuliano, già dal 1926, iniziò a definire i nuovi criteri per valutare i libri scolastici: inizialmente dando attenzione a temi militari e patriottici, in seguito ponendo l'accento sulla propaganda e sull'esaltazione del fascismo: ai compilatori delle letture si chiese di dare un'immagine favorevole del regime, di elencarne le conquiste e di sottolinearne i meriti (i libri iniziarono a popolarsi di Balilla, di martiri della Rivoluzione, della figura e dei discorsi del Duce, dei miti della Roma antica).
Tutti i punti di riferimento del mondo raccontato ai bambini erano presi dall'universo fascista, perdendo perlopiù contatto con la realtà del vivere quotidiano. I testi si preoccupavano sempre più di creare situazioni stereotipate in cui descrivere come doveva essere il buon scolaro fascista. I personaggi erano poco realistici, non avevano problemi con i genitori, non avevano affetti che non fossero quelli per la patria o il duce.
Il processo di progressivo smantellamento della Riforma Gentile e la fascistizzazione dell'educazione, e quindi delle letture scolastiche, furono due fenomeni che procedettero di pari passo, anzi addirittura complementari, nel senso che il primo fu il presupposto del secondo.
Negli anni trenta al Ministero per l'Educazione Nazionale si avvicendarono ministri di sicura fede fascista come Belluzzo, Ercole De Vecchi (che estese il controllo dello stato su tutti i manuali scolastici in uso nelle scuole medie, mentre fino a quel momento il fascismo si era accontentato di imporre il libro di testo solo alle scuole elementari) e Bottai. La politica della scuola continuava i suoi ritocchi alla Riforma del 1923 che ormai era quasi del tutto snaturata. Si può affermare che la scuola ormai era subordinata alla politica e alla propaganda di regime, era una parte di quella struttura che è stata definita "fabbrica del consenso", le cui finalità erano di irreggimentare il popolo italiano, disciplinarlo in funzione delle tendenze sempre più militaristiche ed espansionistiche del fascismo.
Anche la nomina di Bottai rispose alle esigenze del momento: organizzatore di cultura e intellettuale, dal 1936 al 1943 fu ministro per l'Educazione Nazionale con il chiaro obiettivo di realizzare una riforma autenticamente fascista della scuola.
Il 1939 è l'anno decisivo per una seconda importante svolta scolastica, Bottai fa approvare dal Gran Consiglio del fascismo la "Carta della Scuola", con la quale si stabiliscono principi, fini e metodi per la realizzazione integrale dello stato fascista che mira soprattutto alla formazione della "coscienza umana e politica delle nuove generazioni": Il problema che si pone Bottai è quello di creare una scuola organicamente connessa col sistema corporativo e ottenere un duplice risultato politico: garantirsi il consenso di massa necessario e dislocare gli alunni nelle direzioni consone alla loro situazione sociale e alle esigenze economiche e politiche dell'Italia fascista.
La "Carta" attraverso le sue 19 "dichiarazioni" indica ordinamenti, insegnamenti e orari che vanno dalla scuola materna al sistema universitario e stabilisce che nell' "ordine fascista età scolastica ed età politica coincidono". Affiancati alla scuola nascono la G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) e i G.U.F. (Gruppi Universitari Fascisti), con l'obbligo della frequenza dei "cittadini dalla prima età ai ventun'anni". La principale novità rispetto al sistema gentiliano è l'introduzione di nuove scuole. Al biennio superiore della scuola elementare viene cambiato nome in "Scuola del lavoro". La nuova scuola media, triennale, istituita unificando le prime tre classi del ginnasio e degli istituti tecnici e magistrali, invece prevede tre filoni: 1) la scuola professionale per chi era destinato ad essere inserito nel ceto impiegatizio; 2) la scuola artigiana (per le campagne e i piccoli centri) per gli alunni dagli 11 ai 14 anni, destinata ai bambini provenienti dalle classi operaia e contadina, e 3) l'istituzione della scuola media con l'insegnamento del latino, per chi doveva essere avviato agli studi superiori (per le grandi città).
Il progetto di Bottai prevede anche l'equiparazione tra liceo classico e scientifico.
Rimane irrealizzato un progetto reazionario, l'istituzione di un "ordine femminile" (dichiarazione XXI) che avrebbe posto fine alle scuole promiscue e confinato le donne in un apposito ghetto non avente altro sbocco professionale che l'insegnamento nelle scuole materne e forse elementari.
La "Carta Bottai" tiene conto delle nuove realtà sociali; in particolare programma l'introduzione nella scuola degli strumenti di comunicazione di massa come la radio.
A causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, i principi espressi nella Carta rimasero largamente inattuati, ad eccezione della legge del 1940 che creava la scuola media.
Da ricordare che fu lo stesso Bottai che nel 1938 introdusse provvedimenti antisemiti nella scuola (espulsione degli insegnanti ebrei, proibizione d'iscriversi a studenti ebrei, istituzione di scuole elementari separate). Con una circolare del 6 agosto egli raccomandò ai Provveditori la massima diffusione nelle scuole primarie della rivista "Difesa della Razza". Il 15 novembre un testo unico riunì tutte le disposizioni riguardanti la difesa della razza nella scuola italiana.
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