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Lo stato moderno di Israele




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Lo stato moderno di Israele è nato nel 1948 sulla base della dottrina sionista, che puntava a ricostruire uno Stato ebraico dopo i 16 secoli della diaspora. Ma Israele si è inserito in un equilibrio già precario e l'ostilità tra Israele e i paesi arabi ha contribuito a fare del Medio Oriente uno dei punti di tensione più aspra degli ultimi cinquant'anni. Un contrastato avvio alla pacificazione è derivato dagli accordi tra Israele e palestinesi del 1993, ma tuttora il conflitto non si è ancora risolto.

Per ripercorrere le tappe della storia di Israele occorre innanzitutto ricostruire quella degli ebrei.

Gli ebrei all'inizio del II millennio a.C. lasciarono le sedi originarie in Mesopotamia ed emigrarono verso la Siria e la Palestina, e da lì in Egitto, dove giunsero nel sec. XVIII a.C., all'epoca dell'invasione degli hyksos. Quando, nel sec. XVI a.C., questi vennero scacciati, gli ebrei vennero sottoposti a dure persecuzioni dagli egiziani poiché affermavano la superiorità del Dio di Abramo su tutte le altre divinità.

Una nuova emigrazione, risalente alla metà del XIII sec. a.C. portò la popolazione ebraica fuori dall'Egitto ( esodo) e a insediarsi in Palestina, di cui acquisirono il controllo. Verso il 1000 a.C. le dodici tribù originarie si federarono tra loro, dando vita a un regime monarchico. Il regno di Israele venne poi conquistato dagli Assiri e dai Babilonesi. Roma nel 63 a.C. impose il suo protettorato e l'imperatore Tito nel 70 d.C. distrusse il tempio di Gerusalemme e la città stessa. Il divieto di risiedere in Palestina imposto dai romani agli ebrei segnò l' avvio della diaspora, la dispersione della popolazione ebraica in tutto il mondo.

Nell'Europa cristiana gli ebrei furono oggetto di pregiudizi come presunto popolo 'deicida' e di discriminazioni sociali e politiche (il divieto di possedere terre spinse molti ebrei all'attività finanziaria e al prestito su interesse, vietato ai cristiani, da cui derivò la tradizionale accusa di usura).

L 'intolleranza contro gli ebrei si accentuò ai tempi delle crociate (secc. XI-XIII) e portò all'isolamento degli ebrei entro le città in appositi ghetti. Segui una lunga catena di persecuzioni ed espulsioni; particolarmente dura risultò l'azione persecutoria dell'Inquisizione spagnola, culminata con il bando dalla Spagna nel 1492. Gli espulsi dalla Spagna si stabilirono soprattutto in Olanda, Turchia, Nordafrica, Italia e Balcani, mentre quelli fuggiti dalla Germania trovarono rifugio soprattutto in Polonia, Russia e Ungheria.

Il diffondersi dell'illuminismo nel sec. XVIII e poi la rivoluzione francese portarono all'eliminazione dei ghetti e gli ebrei poterono integrarsi nelle diverse nazioni ('assimilazione'), anche se si mantenne un consistente antisemitismo razziale e sociale. Un'eccezione fu costituita dalla Russia, dove le comunità ebraiche, soggette a persecuzioni durissime (pogrom), cominciarono ad alimentare forti flussi migratori.

verso gli USA prima, quindi nella Palestina governata dagli inglesi, secondo gli orientamenti del sionismo (il movimento, fondato alla fine dell'Ottocento dall'ebreo ungherese Herzl a seguito dell'affare Dreyfus, l'ufficiale ebreo che fu ingiustamente accusato di tradimento in Francia, che si proponeva di avviare il ritorno alla Palestina di quel popolo ebreo che le vicende storiche di quasi due millenni avevano disperso per il mondo).

Il sistematico sterminio degli ebrei operato dal regime nazista in Germania e in Europa durante la Il guerra mondiale (olocausto) diede una brusca accelerazione all'immigrazione in Palestina.

Se essa all'inizio non presentò particolari problemi, col passare del tempo le cose cambiarono: i nuovi venuti ebrei acquistavano le terre dai grandi latifondisti arabi evi si stabilivano per coltivarle, finendo in molti casi per espellere i precedenti coltivatori arabi. Giova ricordare che gli abitanti arabi erano dediti ancora a forme primordiali di economia agricola e pastorale; gli emigranti ebrei, invece, oltre che possedere pur modesti mezzi finanziari, erano dotati di un ricco patrimonio di esperienze tecniche e scientifiche dei paesi dai quali provenivano. E' facile intuire come in breve tempo il rapporto di forze sia numerico che culturale finì per modificare l'equilibrio della regione.

Parte degli ebrei si limitavano ad auspicare una pacifica convivenza, altri invece miravano alla costruzione di uno stato nazionale esclusivamente ebraico, preoccupandosi assai poco della situazione dei palestinesi.

Sullo sfondo, alle grandi potenze sorrideva l'idea di un paese occidentale incuneato nel mondo arabo, che il petrolio rendeva sempre più ricco di preziose attrattive.

Si passò così dai buoni rapporti iniziali all'ostilità, che sfociò nel combattimento: gli arabi percepivano l'immigrazione come una vera impresa coloniale, sentendosi assolutamente incolpevoli di fronte a colpe che altri avevano commesso nei confronti degli ebrei.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli inglesi cercarono di raggiungere un accordo tra le due comunità; non riuscendovi, rimisero la questione all'ONU che adottò nel 1947 la decisione di ridare alla nazione ebraica una propria sede, favorendo nel 1948 la costituzione dello Stato di Israele. Quando il 14 maggio 1948 gli ebrei proclamarono lo Stato d'Israele, esso fu subito riconosciuto dai paesi europei, dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica. Lo stesso giorno, però, i governi arabi entrarono in guerra contro il nuovo stato. La guerra durò otto mesi e si risolse in favore di Israele, che alla fine controllava un territorio assai più esteso sia di quello posseduto e abitato da ebrei prima del '48, sia di quello previsto dal piano dell'ONU. Alla firma dell'armistizio, 600.000 palestinesi avevano dovuto rifugiarsi nei paesi vicini, abbandonando le loro case e le loro terre. Riuniti nell'OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina}, essi alimentarono una costante azione di guerriglia e di opposizione terroristica all ' esistenza di Israele.

Negli anni successivi Israele si trasformò gradualmente in una fortezza assediata, e sviluppò una grande potenza militare, mentre anche gli stati arabi confinanti (in particolare l'Egitto) rafforzavano i loro eserciti.

Altre guerre arabo-israeliane si ebbero nel 1956 (di Suez), nel 67 (dei sei giorni), nel '73 (del Kippur): nettamente favorevoli a Israele le prime due, agli arabi la terza. Nel corso della guerra del '67 Israele si impossessò di vasti territori: il Sinai, la 'striscia' di Gaza, la Cisgiordania e le alture del Golan verso la Siria. Dopo la guerra del '73 si aprì una fase di trattative e si arrivò ad un accordo tra Israele e l'Egitto, secondo cui l'Egitto riconosceva lo stato di Israele e Israele restituiva il Sinai.

Nel mondo arabo, e in particolare in quello dei fanatici islamici, ciò non era ben visto e a pagare fu il presidente egiziano Sadat, ucciso nel 1981 in Un attentato perché colpevole di aver tradito la causa araba.

Nel 1980 la capitale di Israele da Tel Aviv venne portata a Gerusalemme, città santa per tre grandi religioni (giudaismo, cristianesimo, islamismo ), quando il parlamento israeliano decise che l'intera città, compresa la parte orientale che apparteneva fino al '67 alla Giordania, fosse annessa allo Stato d'Israele.

Per anni, il mondo arabo nel suo insieme ha continuato ostinatamente a non riconoscere che l'esistenza di Israele è un fatto dal quale ormai non è possibile tornare indietro. Dal canto loro, i governi israeliani hanno scelto in genere la via della forza. Risultato di questi due atteggiamenti è stata la reciproca sfiducia che ha sempre bloccato tragicamente ogni soluzione del problema, in quanto ogni qualvolta si stava per giungere ad un accordo qualcosa finiva per far ricominciare tutto da capo.

Nel 1988 ebbe inizio una rivolta (intifada) degli abitanti palestinesi delle zone occupate di Cisgiordania e Gaza, che si sentivano minacciati dal moltiplicarsi degli insediamenti ebraici in quei territori. Migliaia di persone di ogni età scesero a manifestare ogni giorno nelle strade e nelle piazze, per mesi e mesi, contro gli occupanti. I manifestanti si limitavano al lancio di sassi, e solo con questo rispondevano al fuoco della polizia e dell'esercito, che fece un numero elevato di morti.

Finalmente il 13 settembre '93 Arafat per I'OLP e il premier israeliano Rabin firmarono una dichiarazione di principi. L 'OLP riconosceva lo stato di Israele e proclamava la rinuncia al terrorismo come strumento di lotta politica; il governo israeliano riconosceva a sua volta l'OLP come rappresentante del popolo palestinese e dichiarava la propria intenzione di concedere ai palestinesi, entro cinque anni, l'autogoverno nei territori occupati.

Le trattative proseguirono sulla progressiva attuazione degli accordi, in cui si alternarono fasi di duro scontro su numerosi problemi.

Dal 1994 è iniziato l'autogoverno palestinese di due aree a Gaza e a Gerico. Nel 1996 i palestinesi hanno eletto per la prima volta il loro parlamento e il loro governo a Gaza e a Gerusalemme.

Anche se si sono fatti passi in avanti, ciò che complica il difficile cammino verso la pace sono state e rimangono le divisioni interne ai due campi. Basti pensare alla tragica uccisione del primo ministro Rabin, caduto nel 1995 per mano di un giovane ebreo contrario al piano di pace.

(A Rabin è succeduto un governo di destra capeggiato da Netanyahu quindi, nel 1999, un governo con a capo il laburista Barak e infine, nel 2001, un governo di destra capeggiato da Sharon).

Vi sono infatti, tanto tra gli Israeliani quanto tra i Palestinesi, gruppi intransigenti che non ritengono lo strumento della mediazione e del dialogo quello adeguato per la risoluzione del problema. Perdura inoltre l'ostilità nei confronti di Israele manifestata da Iraq, Iran e Libia. Ci sono conflitti confinari in sospeso tra Israele da un lato, Libano e Siria dall'altro (il Libano era stato invaso nel 1982 da Israele che voleva allontanare dai propri confini le basi dell'OLP). C'è il problema delle acque del Giordano ( c'è chi dice che la vera ragione per cui Israele tiene molto ai 'territori occupati' ha a che vedere più con 1 'approvvigionamento idrico che con la politica e la sicurezza militare).

Oggi in Israele i Palestinesi sono circa 700.000 e gli Ebrei 5.000.000. Le condizioni di vita dei palestinesi sono molto diverse da quelle dei cittadini israeliani che godono di maggiori privilegi e migliori opportunità sociali.

Attualmente la situazione vive una condizione di stallo, poiché sono continui gli attentati nei confronti dei civili israeliani da parte soprattutto del movimento integralista palestinese Hamas, i cui appartenenti non esitano a immolarsi in nome della guerra santa contro Israele; si tratta di kamikaze islamici che si fanno esplodere causando numerose vittime. Da parte loro, anche estremisti israeliani hanno provocato stragi di civili palestinesi. Anche di recente 10 stesso Arafat è rimasto asserragliato per giorni nel suo quartier generale circondato dalle truppe israeliane, a dimostrazione di come sia in atto una guerra che non sembra vedere sbocchi.

E, tuttavia, si cerca di tenere viva la speranza e di proseguire sulla via della trattativa.

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