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Lo shah cede il passo agli ayatollah
È come se il sangue dei nostri martiri fosse la continuazione del sangue dei martiri di Kerbala Proprio come il sangue puro portò alla fine del dominio tirannico di Yazid, il sangue dei nostri martiri ha distrutto la monarchia tirannica dei Pahlavi Con marce e dimostrazioni in tutto il paese, il nostro grande popolo deve seppellire una volta per tutte questa carogna fetida di monarchia.1
Prima di analizzare l'evoluzione della Repubblica Islamica dell'Iran, dall'ascesa al ruolo di Guida Suprema dell'ayatollah 'Alì Khamene'i a oggi, è necessaria una breve analisi degli eventi susseguitisi negli anni che vanno dal 1979 al 1989 per vedere come si affermò e consolidò la teocrazia iraniana, al fine di comprendere le ragioni che spingono tuttora la sua dirigenza a seguire linee politiche ormai trentennali.
In Iran, come in altri paesi musulmani, la classe degli ulema esercita da secoli una certa influenza sui governanti, i quali, privi del loro sostegno, non possono considerarsi pienamente legittimati a svolgere il proprio ruolo. Fu grazie all'intervento degli ulema che le proteste del 1891-1892 e la Rivoluzione Costituzionale del 1905-1911 ebbero una forte risonanza. Fu però solo con la rivoluzione del 1978-1979 che gli ulema iraniani
cessarono di offrire consigli al loro shah per divenire essi stessi governanti2, scatenando
un vero e proprio terremoto nel mondo islamico.
Protagonista indiscusso della rivoluzione e del decennio successivo fu l'ayatollah Ruhollah Khomeyni. Già teologo molto stimato e seguito, egli decise di andare contro la linea di pensiero degli altri capi religiosi, che preferivano rimanere al di fuori della politica tramite la dissimulazione (taqiya), per protestare contro l'insieme di riforme volute dallo shah che prese il nome di "rivoluzione bianca". Tra gli effetti di queste riforme vi furono la perdita d'influenza e degli introiti da parte dei mullah, causate da una riforma dell'istruzione, e da una ridistribuzione delle terre coltivabili. Nel 1963 la protesta contro l'estensione del servizio di leva ai seminaristi delle scuole religiose costò
a Khomeyni quasi tre mesi di carcere, ma fu nell'ottobre del 1964 che fu costretto all'esilio dopo il suo celebre discorso contro i privilegi e immunità goduti dagli statunitensi in Iran3.
Egli visse in esilio per quindici anni, prevalentemente a Najaf (in Iraq), dopo un anno speso in Turchia, e trascorrendo gli ultimi mesi in Francia. Fu proprio da Parigi che riuscì a trasmettere i suoi messaggi registrati e prendere le redini della rivoluzione, attirando così l'attenzione dell'Occidente sulla sua figura.
La retorica di Khomeyni era intrisa di riferimenti al massacro di Kerbala4 e parallelismi
tra questo e la situazione degli iraniani sotto il dominio dello shah. Egli fece leva in particolar modo sull'illegittimità del sovrano, paragonandolo proprio a Yazid, il quale per gli sciiti rappresenta il modello dell'usurpatore. Il concetto di martirio fu un altro passaggio esaltato dall'ayatollah. Opporsi con ferrea determinazione alla dinastia Pahlavi venne associato al martirio dell'Imam Hussein. Con questi discorsi la fama e l'autorità di Khomeyni raggiunsero l'apice, tanto da essere considerato il reggente dell'Imam in occultamento.
Le proteste in Iran iniziarono nel 1977. Le cause principali furono l'inflazione e la disoccupazione, originatesi a seguito delle politiche di spesa eccessiva del governo, esplose nel 1976. Fu nel 1978, che i disordini raggiunsero livelli critici, costringendo il governo a dei goffi tentativi di riportare l'ordine caratterizzati da un'alternanza di concessioni e repressioni violente, le seconde esasperate dall'introduzione della legge
marziale seguita alla massiccia manifestazione del 5 novembre5.
La situazione fu ormai troppo compromessa quando il premier Shahpour Bakhtiyar, un moderato nominato nel tentativo disperato di mediare con la popolazione, comunicò l'imminente partenza dello shah per cure mediche. Fu chiaro che si trattava di un viaggio di sola andata.
Mohammad Rheza Pahlavi lasciò per l'ultima volta l'Iran il 16 gennaio 1979, mentre il
1° febbraio, nonostante i tentativi per impedirlo, fece ritorno l'ayatollah Khomeyni accolto e acclamato da una folla di quasi tre milioni di persone.
Khomeyni, pur rifiutando cariche formali, divenne il vero deus ex machina dietro le scelte del CRI (Consiglio Rivoluzionario Islamico) autorizzando, il 5 febbraio, la costituzione di un governo provvisorio guidato da Mehdi Bazargan6, già leader, insieme a Seyed Mahmud Taleqani, del Movimento di liberazione dell'Iran. Tale governo non fu però in grado di svolgere il difficile compito di stabilizzare la situazione del paese, dove, oltre alla presenza di movimenti contrari al nuovo regime, si dovette anche rispondere alle istanze autonomiste di varie etnie. Ragione principale di questa incapacità furono le continue interferenze del CRI e dello stesso Khomeyni, il quale
stava operando secondo la logica del divide et impera per eliminare tutte le fazioni in campo (come ad esempio il Tudeh), favorendo la creazione di numerosi komiteh rivoluzionari direttamente sotto il suo controllo e sparsi su tutto il territorio7. Altra creazione dell'ayatollah, e destinata ad acquisire sempre maggiore rilevanza, fu il corpo dei Sepah-e Pasdaran-e enghelab-e islami (Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica), formata da elementi provenienti dagli strati sociali più bassi8. Il Corpo fu istituito nel 1979 subito dopo l'ascesa di Khomeyni, il quale ne ritenne opportuna la formazione poiché dubitava della fedeltà dell'esercito regolare, già sottoposto al giuramento nei confronti dello shah. Le guardie della rivoluzione si videro dapprima impegnate nel contrastare gli oppositori del nuovo regime e successivamente nel conflitto che scoppiò con l'Iraq, affermandosi così come principale forza armata responsabile della sicurezza sia interna che esterna del paese9. Il reclutamento e l'equipaggiamento di questi nuovi soldati fu permesso grazie ai fondi provenienti dalle neonate fondazioni caritatevoli, create per facilitare la nazionalizzazione dell'economia iraniana. Tra queste la più rilevante fu, e lo è tuttora, la Fondazione degli Oppressi e degli Invalidi (Bonyad-e Mustazafan va Janbazan), la quale aveva confiscato i beni appartenenti allo shah e riceveva ingenti donazioni da parte dei fedeli all'ayatollah.10
Dopo l'attacco all'ambasciata britannica del 1978 ne seguì un altro, più drammatico e con effetti che durano tutt'oggi, all'ambasciata statunitense. Fu così, che il 4 novembre
1979 un gruppo che si faceva chiamare "Studenti Musulmani Seguaci della Linea dell'Imam"11 sequestrò cinquantadue statunitensi del personale diplomatico. Tale aggressione non fu orchestrata da Khomeyni, il quale però non fece niente per risolvere la situazione, anzi la sfruttò a proprio vantaggio esaltando il fervore di quei giovani e screditando ulteriormente il governo Bazargan, causandone le dimissioni il 6 novembre. Il sequestro ebbe a pretesto l'arrivo dello shah negli Stati Uniti e gli studenti chiesero la sua estradizione offrendo in cambio la liberazione degli ostaggi. Inoltre l'assalto all'ambasciata avvenne solo tre giorni dopo l'incontro avvenuto ad Algeri tra il ministro degli Esteri Ibrahim Yazdi e Zbigniev Brzezinski nel tentativo di scongiurare la
definitiva rottura tra i due paesi12. Così facendo, gli studenti oltre all'obiettivo
principale, la consegna dello shah, riuscirono nell'intento di allontanare gli USA dalla neo-repubblica. Fu una crisi che terminò solo il 20 gennaio 1981. Dopo 444 giorni di prigionia, un fallimentare tentativo di liberazione tramite elicotteri da parte delle forze statunitensi13 e infine lo scongelamento di circa otto miliardi di dollari di beni iraniani,
gli ostaggi vennero rilasciati14. Fu un episodio che recò danni considerevoli
all'immagine e all'economia iraniane poiché il paese da quel momento si ritrovò quasi completamente isolato15.
Nel frattempo, con il referendum del 30 e 31 marzo del 197916, l'Iran divenne
ufficialmente la prima Repubblica Islamica e Khomeyni ascese alla figura di Marja-e Taqlid (fonte d'imitazione) in seguito al referendum costituzionale del 24 ottobre 1979. Tutto ciò accadde mentre pasdaran e komiteh, affiancati dai tribunali speciali, ebbero ragione sia degli oppositori al regime sia di quelle fazioni che avevano contribuito alla caduta dello shah, ma che risultavano fuori dal controllo diretto del clero (ad esempio il partito Tudeh)17.
Dopo l'uscita di scena di Bazargan, il 25 gennaio 1980, si svolsero le elezioni secondo le
nuove regole per il Presidente della Repubblica Islamica. Ne risultò vincitore il religioso Abol-Hasan Bani Sadr, già seguace di Khomeyni, con il 75.6% dei voti18, ma la sua esperienza di governo non fu delle più felici. La situazione di disordine, ereditata dal precedente governo e in gran parte favorita dallo stesso Khomeyni, andò precipitando con il proseguimento del sequestro dei funzionari statunitensi e con l'accentuarsi della tenace opposizione di elementi contrari al regime, la quale raggiunse l'apice con il tentativo di golpe a Nuzhih supportato dall'Iraq. Questo fallì perché i vertici del regime ne vennero a conoscenza in tempo ed ebbe il solo effetto di spingerli verso una radicalizzazione della loro linea. Così, dopo aver assistito a un ridimensionamento dell'esercito in favore delle milizie e aver perso il ruolo di comando delle forze armate in seguito all'attacco iracheno, Bani Sadr optò per abbandonare il paese prima che la sua
posizione divenisse troppo rischiosa19.
Dopo la breve parentesi di Rajai alla presidenza, terminata con la sua morte in un sanguinoso attentato il 30 agosto 1981, il 5 ottobre fu eletto 'Alì Khamene'i, destinato, come vedremo, a una duratura permanenza ai vertici della Repubblica Islamica. La sua presidenza durò fino al 1989 e fu caratterizzata per quasi tutta la sua durata dal conflitto Iran-Iraq.
Come già accennato, l'Iraq invase il territorio iraniano il 22 settembre 1980. Dopo le epurazioni, che videro molti ufficiali delle alte sfere iraniane perdere la loro posizione, portando a un'effettiva perdita di potenziale delle forze armate, in particolar modo aviazione e marina, Saddam Hussein ritenne che fosse giunto il momento propizio per aggredire il vicino e strappargli i territori dello Shatt al-Arab20. I calcoli di Saddam non furono corretti, poiché l'Iran nella fase iniziale subì effettivamente l'assalto iracheno, ma tale aggressione non sgretolò la teocrazia come sperato, anzi, raccolse la popolazione attorno ad essa.
La chiamata alle armi di Khomeyni fu nuovamente basata sui richiami al martirio dell'Imam Hussein a Kerbala. Il popolo iraniano fu identificato nell'Imam immolatosi nello scontro impari contro le forze dell'usurpatore Yazid, questo a sua volta rappresentato da Saddam Hussein e da un Iraq superiore in termini militari. I migliaia di volontari, perlopiù al di sotto dei diciotto anni, che si arruolarono furono inquadrati
nelle formazioni Basij-e Enqelab-e Islami (Forza di Mobilitazione della Rivoluzione Islamica), addestrate e gestite dai pasdaran. Dalle ultime volontà di questi giovani si trasmette la loro determinazione, non fu offerto loro denaro ma un innalzamento dello status sociale in caso fossero sopravvissuti. Il vero premio per i nuovi martiri era l'accesso al paradiso.21
Mentre Saddam Hussein sperava di arginare l'influenza degli ayatollah (probabilmente fu questa la ragione principale dell'aggressione poiché l'Iraq è a maggioranza sciita), Khomeyni intendeva ora sfruttare questo conflitto per esportare la rivoluzione. Fu per queste ragioni che il bagno di sangue proseguì per otto anni, ignorando risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU e assumendo dimensioni internazionali. Nonostante gli altri paesi evitassero un intervento diretto nel conflitto (fatta eccezione dell'interferenza
statunitense culminata nel disastroso incidente della USS Vincennes22), si creò attorno ai
due belligeranti una complicata rete di collaboratori, perlopiù affiancatisi all'Iraq. Ve ne furono alcuni che si schierarono esclusivamente per la causa irachena, come le monarchie del Golfo che si vedevano minacciate dall'ideologia khomeynista, mentre altri s'impegnarono in strategie piuttosto controverse come fecero gli USA. Questi ultimi furono infatti impegnati in un doppio gioco che forniva risorse a entrambe le parti (prevalentemente a Saddam). Da notare che le relazioni tra Teheran e Washington furono interrotte dall'attacco all'ambasciata del 1979, ma nonostante ciò si verificò un accordo, poi noto come Irangate o affare Iran-contras. Quest'affare, che vedeva gli Stati Uniti intenti a vendere armamenti all'Iran riutilizzandone i profitti per finanziare i contras in Nicaragua, nacque in occasione della presa di ostaggi statunitensi in Libano, cui l'Iran offrì una mediazione. I due paesi non erano quindi interessati a migliorare i
loro rapporti, ma dall'accordo ne guadagnarono entrambi23.
Malgrado il consistente aiuto ricevuto, l'uso di armi chimiche, lo scarto tecnologico di cui godeva rispetto al nemico e l'isolamento di quest'ultimo, l'Iraq non riuscì a far collassare la teocrazia. La Repubblica Islamica d'altro canto non fu in grado di prevalere sull'aggressore. Questo, a dispetto dei sacrifici imposti alla popolazione, sotto continuo bombardamento, e del reclutamento di masse di giovani arruolati nelle nuove formazioni di basij affiancate ai pasdaran, al cui interno militavano giovanissimi e uomini ormai avanti con l'età attratti dalla pensione che sarebbe andata alle loro famiglie in caso fossero stati feriti o uccisi.
Dopo otto anni di logoramento, un riluttante Khomeyni accettò infine la Risoluzione ONU 598, ponendo fine alle ostilità il 20 agosto 198824. La Repubblica fu sul punto di esaurire le proprie risorse umane e fu ormai evidente l'impossibilità di esportare la rivoluzione al di fuori dei confini iraniani. L'ayatollah riuscì però nell'intento di consolidare il regime, liberatosi di oppositori e istanze autonomiste, e rendere i pasdaran, a lui fedelissimi, una forza in grado di controllare il paese avendo ormai
privato l'esercito di tale prerogativa.
L'era di Khomeyni stava volgendo al termine quando il padre della rivoluzione decise di lasciare ancora il suo segno, sia per quanto riguarda il fronte esterno sia per quello interno. A peggiorare l'immagine dell'Iran all'estero venne la fatwa25 emessa dal Rahbar il 14 febbraio 1989 per l'autore Salman Rushdie, autore dei "Versetti satanici", di cui un estratto:
Vorrei informare tutti gli intrepidi musulmani del mondo che l'autore del libro "Versetti satanici" e quegli editori che erano a conoscenza del suo contenuto, sono condannati a morte. Invito tutti gli zelanti musulmani a giustiziarli rapidamente, dove li trovano, così che nessun altro oserà insultare le sacralità islamiche.26
Tradotta in una taglia sulla testa dell'autore blasfemo, la fatwa pose un'altra ipoteca sull'isolamento internazionale dell'Iran27 che durò diversi anni. Ad esempio, il 19 maggio 1999 Rushdie fu definito "apostata" alla radio iraniana, ribadendo quindi che il suo omicidio sarebbe risultato legittimo agli occhi delle autorità islamiche28. Per quanto riguarda il fronte interno, invece, si ebbe a che fare con la successione al ruolo di Guida
Suprema. Fu infatti negli ultimi mesi di vita che Khomeyni decise di fare venire meno la figura dell'ayatollah Hussein 'Alì Montazeri, un teologo dal largo seguito ma che negli ultimi anni dette voce a critiche nei confronti del regime. Decise piuttosto di favorire il suo seguace 'Alì Khamene'i, molto meno rispettato in ambito religioso a causa di un grado inferiore, ma più fedele alla sua linea politica e con esperienza di governo.
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