L'Italia negli anni '50
Come
per molta parte del mondo occidentale, anche per l'Italia gli anni '50 furono
caratterizzati da profonde trasformazioni sia di ordine sociale, economico e
culturale, che tuttavia non cancellarono i gravi e radicati squilibri accusati
fin dal secondo dopoguerra.
L'appartenenza
all'alleanza atlantica e l'egemonia della Democrazia Cristiana costituirono la
base da cui prese piede il decollo economico italiano. Il settore più interessato
fu quello industriale, mentre l'agricoltura perdeva progressivamente il peso
che ebbe fino agli anni '30. Gli imprenditori poterono avvalersi di una grande
disponibilità di manodopera a basso costo, e, conseguentemente, la produzione
potè essere indirizzata verso i mercati esteri; infatti, il basso costo della
manodopera consentiva di immettere sul mercato dei prodotti il cui costo
risultava particolarmente competitivo sui mercati internazionali. La gran parte
di questa forza-lavoro proveniva dal Sud del Paese: il Nord-Italia diveniva
così meta ambita dell'emigrazione meridionale, andando così a sostituirsi al
ruolo che fino a quel momento era stato appannaggio degli Stati Uniti e di
alcuni altri Paesi europei. Simbolo del benessere che cominciava a diffondersi
fra i ceti medi della popolazione diventarono, dalla seconda metà degli anni
cinquanta, le automobili, gli elettrodomestici, il turismo di massa. Questi
risultati raggiunti dall'economia italiana fecero subito parlare di «miracolo
economico», anche se non mancarono i costi sociali: l'agricoltura, ormai
estraniata dalla vita economica, non fu in grado di sostenere i bisogni di
generi alimentari necessari (quali grano, carne e burro), col risultato che
l'Italia si trovò a dover dipendere dalle importazioni straniere; il fenomeno
dell'emigrazione dal Sud verso il nord del paese portò al progressivo
spopolamento delle regioni del Mezzogiorno, acuendo ancor di più la cosiddetta
«Questione Meridionale», tanto da
far parlare di due Italie: quella industriale e benestante del Nord e quella
povera ed agricola del Sud. Il modello di sviluppo che produsse il «miracolo
economico», verso la fine degli anni '50 volgeva al termine; con l'aumento del
numero delle industrie, tale da consentire la produzione delle quantità
richieste dal mercato di beni, erano, conseguentemente, aumentati anche i
lavoratori occupati, ma non era più così facile assumere manodopera a basso
prezzo per la lavorazioni specializzate. Fu così che assumere un nuovo
lavoratore cominciò a voler dire pagargli un salario più alto, e questo, a sua
volta, significò, inesorabilmente, essere costretti ad aumentare il costo del
prodotto finito. I prodotti italiani diventarono, via via, sempre meno
competitivi, fino a che il vantaggio dell'industria italiana rispetto a quella
dei Paesi industrializzati andò progressivamente scomparendo.
Le
contraddizioni indotte nella società italiana dal modello di sviluppo del
dopoguerra, si scaricarono sul sistema politico ed anche all'interno dei
partiti. Il centrismo, affermatosi dopo le elezioni del 1948, non fu in grado
di consolidarsi, e dentro il partito di maggioranza stesso si aprì lo scontro
tra la corrente riformista, che faceva capo ad Amintore
Fanfani ed a Giovanni Gronchi, e la corrente moderata
capeggiata da Giuseppe Pella.
Già
nel 1953 lo schieramento conservatore, guidato dalla Democrazia Cristiana,
perse alle elezioni la maggioranza assoluta, segno questo che il centrismo non
era più in grado di esprimere e di rappresentare sul piano politico i processi
di trasformazione che attraversavano la società italiana. Fu così che
all'interno della Democrazia Cristiana si imposero le forze riformiste, ora
guidate da Aldo Moro, che si aprirono politicamente
alla sinistra, in particolar modo al PSI, abbandonarono i
tradizionali alleati moderati, cioè il PLI e le componenti più
conservatrici dello schieramento parlamentare. Tutto questo fu possibile grazie
anche all'apporto della Chiesa Cattolica, guidata da Giovanni
XXIII che favorì la formazione nel 1963 del primo governo di centro-sinistra,
presieduto dallo stesso Aldo Moro e supportato anche dai ministri socialisti.