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L'Italia dopo l'unità
Dopo l'unità per quindici anni (dal 1861 al 1876) alla guida del paese ci fu un raggruppamento politico denominato Destra storica composta da esponenti dell'aristocrazia e della borghesia liberale moderata del centro-nord. Il primo problema affrontato da questo governo fu il completamento dell'unificazione italiana con l'annessione del Veneto e di Roma.
Completare l'unità non significava solo allargare i confini politici
dello stato, ma soprattutto dare una stabilità politica ad esso la cui
autonomia e unità era ancora in bilico essendo sottoposto a diverse forze sia
dall'interno che dall'esterno. Grazie all'alleanza con
La questione romana
fu molto più difficile da risolvere: l'Italia dipendeva dalla Francia di
Napoleone III ed era da essa limitata, poiché l'unità italiana era stata
condotta almeno all'inizio grazie all'appoggio francese e poiché a Roma era
presente una guarnigione francese a difesa del papa. Con
Nonostante tutta la
classe dirigente fosse contraria ai tentativi di forza temendone le
ripercussioni internazionali, al suo interno si trovavano diversi orientamenti
riguardo ai rapporti con
Questa seconda
linea di pensiero ebbe la meglio, in quanto il governo per necessità di
bilancio fu costretto nel
Nel 1871 il parlamento approvò la legge delle Guarentigie che doveva regolare i rapporti fra Stato e Chiesa e la capitale fu trasferita a Roma. Questa legge rappresentava un compromesso tra i separatisti e i fautori di una netta limitazione dei poteri del papa: la chiesa era libera di svolgere autonomamente la propria funzione religiosa, il papa otteneva la sovranità della Città del Vaticano con una dotazione annua, ma lo Stato manteneva il diritto di controllo sulla destinazione dei beni ecclesiastici. Ma Pio IX respinse queste norme che erano per lui unilaterali e vietò la vita politica ai cattolici.
L'Italia post-unitaria era gravata principalmente da due problemi: un complessivo ritardo nello sviluppo economico rispetto alle altre potenze europee e una grave eterogeneità dal punto di vista economico, politico-amministrativo e culturale. La forza lavoro italiana era occupata al 70% nell'agricoltura, al 18% nell'industria e al12% nel settore terziario. L'agricoltura era arretrata, l'industria era fragile, sempre con qualche rara eccezione nel nord del paese. Il mercato interno era praticamente inesistente, essendoci dogane fra gli stati, differenti sistemi commerciali e comunicazioni inefficienti. La percentuale di alfabetizzazione era molto bassa e ancora più basa quella degli italiani che usavano correttamente la lingua nazionale. Alcune malattie, altrove debellate, come il tifo, il colera e il vaiolo, affliggevano la popolazione italiana senza una alimentazione adeguata e che versava in cattive condizioni igenico-sanitarie.
A questi problemi tentarono di dare una soluzione gli uomini della destra, una classe dirigente che portava in sé i limiti di una cerchia troppo ristretta, anche se omogenea: i suoi rappresentanti condividevano l'oculata amministrazione dello stato,; la fiducia nel liberismo, la diffidenza nei partiti organizzati; la convinzione di essere un élite capace di agire negli interessi della nazione, guardando alle masse popolari con un misto di rispetto e paternalismo; una quasi totale incomprensione dei problemi della società meridionale.
Il regno fu diviso in 59 province, in cui il governo era rappresentato da un prefetto, e anche i sindaci erano nominati dal governo e rispondevano a esso: le realtà locali erano prive di ogni autonomia. Le conseguenze di queste scelte furono: uno stato fin dall'inizio accentrato e burocratico, con un'amministrazione poco efficiente; in particolare nelle regioni meridionali, un senso di estraneità allo stato.
Le scelte economiche della Destra furono orientate verso l'unificazione
economica, la costruzione di infrastrutture e il risanamento del bilancio
statale (questi ultimi due propositi in evidente contraddizione tra loro).
Secondo la dottrina liberista propria della destra, l'economia italiana poteva
venir risanata solo grazie alla creazione di un mercato interno e all'apertura
vero l'esterno: il governo abbatté dazi e dogane interne e realizzò
l'unificazione monetaria; la tariffa piemontese fu estesa a tutto il paese e
nel 1863 furono firmati i trattati commerciali con
Per rendere efficace l'unificazione e l'apertura del mercato nazionale serviva un programma di sviluppo delle infrastrutture che ottenne notevoli risultati, soprattutto nel campo ferroviario. Ma questo aggravò ancora di più la situazione finanziaria dello stato: il debito pubblico si alzò costantemente nei primi vent'anni di storia del nostro paese. Per far fronte a questo problema il governo fece ricorso a prestiti collocando titoli del debito pubblico sul mercato italiano e francese e mise in vendita beni del demanio pubblico ed ecclesiastico.
Il governo si proponeva inoltre un pareggio del bilancio che fu effettivamente raggiunto nel 1876 ma a prezzo di un inasprimento del prelievo fiscale, che per di più era molto squilibrato: le imposte indirette aumentarono a sproposito rispetto a quelle dirette che quindi colpirono i ceti meno abbienti penalizzando i consumi popolari. Nel 1868 venne introdotta la tassa sul macinato che colpiva i contadini, portando a forti proteste popolari: la rivolta contadina fu duramente repressa.
Per
Così nacque tra le
popolazioni meridionali una profonda sfiducia nello Stato che non era riuscito
a mostrarsi come il garante della giustizia: si radicarono organizzazioni
criminose, come la camorra e la mafia che già esistevano in età borbonica e con
lo stato unitario non solo non furono debellate, ma accrebbero la loro
influenza stringendo rapporti con esponenti del potere pubblico. Da ciò nacque
il fenomeno del brigantaggio che insanguinò il Mezzogiorno fino al 1865: le
bande, formate da contadini, da sbandati del disciolto esercito borbonico, da
legittimisti, da renitenti alla leva e da banditi veri e propri, prendevano di
mira i "galantuomini", si ribellavano allo Stato italiano spesso in nome della
Chiesa o dei Borboni, da cui erano aiutati. L'unica risposta che
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