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Dopo le scoperte geografiche e le successive conquiste coloniali, molti Europei si sono spostati verso le nuove terre, all'insegna di una visione eurocentrica che li induceva a considerare le popolazioni locali come esseri di specie inferiore, da sfruttare brutalmente.
Nel corso dell'Ottocento e della prima metà del Novecento, le migrazioni si sono fatte sempre più consistenti, a causa della crescita demografica in Europa, della sovrabbondanza di mano d'opera agricola e delle tensioni sociali causate dall'industrializzazione in atto in molti paesi europei.
Nel secondo dopoguerra, però, i flussi sono andati in direzione opposta, tramutando l'Europa in un'area di ingresso.
In particolare, possiamo individuare tre fasi:
Immediato dopoguerra - prima metà degli anni '70
L'immigrazione risponde a una reale domanda di lavoro da parte dei paesi dell'Europa centrosettentrionale (Francia, Gran Bretagna, Belgio)
Seconda metà degli anni '70 -fine anni '80
La recessione economica conseguente alla crisi petrolifera riduce la domanda di manodopera e determina l'adozione di misure restrittive da parte dei paesi dell'Europa centrosettentrionale.
L'emigrazione di conseguenza si sposta verso i paesi europei meridionali (Italia, Spagna, Grecia) dove si dirigono flussi provenienti soprattutto da Nord Africa e Mediterraneo orientale
L'Europa cerca di incrementare i rapporti di scambio economico e gli aiuti allo sviluppo:
Accordi di Lomè (1975 e rinnovati fino al 2000) che prevedono la cooperazione tra Europa, Africa, Caraibi, Pacifico; accordi coi paesi del Mediterraneo e dell'Europa centro-orientale.
Fine anni '80 - anni '90
L'immigrazione dipende sempre meno dalla domanda di lavoro nei paesi di ingresso e sempre più da forze espulsive presenti nei paesi di esodo.
Diventano sempre più numerosi i richiedenti asilo politico e i rifugiati che fuggono da guerre e carestie
Dal "liberismo migratorio" i governi passano a politiche sempre più restrittive, si preferisce ancorare le popolazioni là dove sono nate e vivono per trasferirvi alcune attività produttive ad alta intensità di lavoro e a bassa intensità di capitale.
Le aree di inserimento si restringono, è rimasta aperta, fino a poco tempo fa, l'Europa mediterranea, per la sua incapacità di far rispettare norme restrittive.
Immigrazione in buona misura irregolare con scarse possibilità di promozione sociale che dà luogo a problemi, come la disoccupazione, l'emarginazione, la xenofobia.
L'immigrazione ha giocato un ruolo di rilievo nello sviluppo economico europeo del dopoguerra.
L'elevata, persistente e diffusa disoccupazione aggrava il disagio sociale e frappone crescenti difficoltà all'assorbimento dei flussi migratori.
A livello europeo ai gruppi di vecchia immigrazione (Turchi, Marocchini, Tunisini) si sono aggiunti, in misura crescente, gruppi di nuova immigrazione, soprattutto dai paesi dell'Europa dell'Est.
L'immigrazione contribuisce in modo determinante a mantenere in attivo il saldo demografico della UE in cui ci sono paesi, come Italia e Germania, che hanno un saldo negativo.
Quattro fasi:
: emigrazione dalle regioni settentrionali verso il Nord America e il Sud America;
: emigrazione dalle regioni meridionali, soprattutto dalla Sicilia, verso gli U.S.A. (rimesse: emigrati che mandano soldi alla famiglia rimasta a casa), che continua fino alla chiusura delle frontiere americane negli anni '20. Emigrazione verso le colonie italiane nel periodo fascista;
Primo dopoguerra: emigrazione interna e verso i paesi dell'Europa centrosettentrionale
Dagli anni '70 in poi: l'Italia diventa meta di immigrazione: gli immigrati arrivano in Italia in un periodo di recessione e di disoccupazione; l'Italia è una seconda scelta dopo le politiche restrittive di Francia e Germania. L'Italia è appetibile per la sua posizione geografica e la sua economia informale (lavoro nero). È un'immigrazione in prevalenza irregolare (pertanto difficilmente quantificabile)
Chi va da nord a sud: anche se lascia a casa la famiglia, ma con la prospettiva di un trasferimento definitivo.
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