LIBERISMO/PROTEZIONISMO
Liberismo è quella dottrina che affida al mercato il compito di regolare
l'attività economica, che si oppone all'intervento dello Stato nel mondo della
produzione e del commercio, che sostiene il principio del libero scambio nei
traffici fra paese e paese. In quest'ultimo senso il liberismo si oppone al
"protezionismo":ossia al quella pratica che tende a proteggere la produzione
nazionale imponendo sui prodotti di importazione dazi doganali così elevati da
scoraggiarne l'acquisto. Al contrario del protezionismo - che è solo una prassi
adottabile, e adottata, da regimi diversi per motivazioni diverse - il
liberismo è anche un'ideologia a sfondo ottimistico che ha il suo fondamento
nelle teorie di Adam Smith. Un'ideologia che vede nella libertà economica non
solo il mezzo più sicuro per ottenere il maggior benessere possibile per
l'intera collettività (attraverso il perseguimento del benessere privato da parte
dei singoli soggetti), ma anche il complemento indispensabile della libertà
politica. Il momento di maggior fortuna del liberismo si può collocare attorno
alla meta del secolo XIX: in particolare nel periodo che seguì l'abolizione del
dazio sul grano in Gran Bretagna. In questo periodo il liberismo fu, non solo
in Inghilterra, l'ideologia delle correnti progressiste (che vedevano in esso
anche un mezzo per sconfiggere i privilegi dell'aristocrazia terriera); e finì
quasi con l'identificarsi col liberalismo politico. Successivamente, a partire
dagli anni '70 dell'800, le fortune del liberismo andarono declinando in tutti
i paesi, salvo che in Gran Bretagna. Negli ultimi decenni del secolo si assisté
ovunque all'imposizione di elevati dazi protezionistici e, più in generale, a
un intervento crescente dei poteri pubblici nelle vicende economiche (sotto
forma sia di leggi sociali, sia di provvedimenti a favore di singoli comparti
produttivi). Nel corso del XX secolo, l'intervento statale si è andato continuamente
sviluppando in quantità e in qualità, anche all'interno dei sistemi economici
fondati sulla proprietà privata e sulla libera impresa. Soprattutto negli anni
della grande depressione seguita alla crisi del '29 l'era del laissez-faire
sembro definitivamente conclusa. Tuttavia, anche nel nostro secolo, le teorie
liberiste hanno trovato numerosi e autorevoli sostenitori, soprattutto fra gli
economisti. Nel secondo dopoguerra, il liberismo ha conosciuto una fase di
rilancio, grazie anche alle opere di economisti come Hayek e Friedman. Alle
loro teorie si sono in parte ispirate le politiche "neoliberiste" affermatesi
verso la fine degli anni '70 come reazione alla crisi dello "stato sociale" e
applicate nei decenni successivi soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati
Uniti.
2.
Verso la società di massa
Alla fine dell'800 cominciarono a delinearsi,
nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti, i caratteri della moderna società
di massa. La maggioranza della popolazione viveva ormai nei centri urbani ed
era inserita nel circolo dell'economia di mercato; i rapporti sociali si
facevano più intensi e si basavano non più sulle comunità tradizionali, bensì
sulle grandi istituzioni nazionali (apparati statali e organizzazioni di
massa). Gli anni 1896-1913 furono, per i paesi industrializzati, un periodo di
intensa espansione economica, cui si accompagnò, tra l'altro, un aumento del
reddito pro-capite che determinò un allargamento del mercato. Le dimensioni di
massa assunte dalla domanda stimolarono la produzione in serie, nonché la
diffusione di processi di meccanizzazione e razionalizzazione produttiva
(catena di montaggio, taylorismo). Mutava, parallelamente, la stratificazione
sociale. Se nella classe operaia si accentuò la distinzione fra lavoratori
generici e qualificati, la maggiore novità fu il crescere dei nuovi strati del
ceto medio. Di fondamentale importanza nel determinare i caratteri della nuova
società di massa fu il diretto impegno dello Stato nel campo dell'istruzione,
che ebbe per conseguenza una drastica diminuzione dell'analfabetismo in tutta
l'Europa. Si allargava, anche per l'incremento nella diffusione dei giornali,
l'area dell'opinione pubblica. Anche l'introduzione generalizzata del servizio
militare obbligatorio e la creazione di eserciti di massa (imposta
dell'evoluzione della strategie e delle tecniche militari) contribuirono ad
accelerare i processi di socializzazione. Tra la fine dell'800 e l'inizio del
'900 si ebbe un processo di allargamento della partecipazione alla vita
politica determinato dall'estensione del diritto di voto, dall'affermarsi di un
nuovo modello di partito (il partito di massa) e della crescita di grandi
organismi sindacali nazionali. Parallelamente, la politica delle classi
dirigenti tenne in maggior conto le esigenze delle classi lavoratrici
(legislazione sociale, servizi pubblici urbani, aumento della tassazione
diretta). I primi albori della società di massa segnarono il manifestarsi di
una questione femminile, anche per le conseguenze dell'industrializzazione
sull'assetto della famiglia e il ruolo della donna. I primi movimenti di
emancipazione femminile, all'epoca nettamente minoritari, concentrarono la loro
azione nella lotta per il suffragio alle donne. Alla fine dell'800 sorsero nei
principali paesi europei dei partiti socialisti che si ispiravano per lo più al
modello della socialdemocrazia tedesca e facevano a capo della Seconda
Internazionale, fondata nel 1889. Nella maggioranza di questi partiti il
marxismo fu assunto come dottrina ufficiale; si affacciarono presto, tuttavia,
contrasti fra il revisionismo riformista di Bernstein, gli esponenti
dell'ortodossia marxista e le nuove correnti rivoluzionarie, tra le quali va
ricordata quella "sindacalista rivoluzionaria" che aveva il suo maggior
inspiratore in Georges Sorel. L'ascesa al soglio pontificio di Leone XIII se
non mitigò l'intransigenza dottrinaria della Chiesa favorì però l'impegno dei
cattolici in campo sociale, stimolato soprattutto dall'enciclica "Rerum
novarum". Significativa espressione dei fermenti in atto nel mondo cattolico fu
l'emergere, soprattutto in Francia e Italia, di movimenti democratico-cristiani
e, sul piano più strettamente religioso, del modernismo. Sul piano delle
ideologie politiche, nell'Europa di fine '800 trovò larga diffusione il nazionalismo,
ormai divenuto una corrente nettamente conservatrice. In varia commistione con
esso si diffusero tendenze apertamente razziste e antisemite. In Germania e
nell'Europa orientale il nazionalismo prese anche la forma, rispettivamente, di
pangermanesimo e panslavismo. Espressione particolare del generale risveglio
nazionalistico, ma anche reazione contro l'antisemitismo, fu il sionismo. Sul
piano culturale, la fine del secolo vide la crisi del positivismo, a favore del
diffondersi di nuove correnti che ponevano l'accento sul ruolo del soggetto,
considerando elementi costitutivi dell'attività umana fattori quali l'istinto e
la volontà. Le certezze del positivismo in campo scientifico entrarono in crisi
anche per le riscoperte della fisica contemporanea. [1919 3^ internazionale con
Lenin che bolla i social-democratici come traditori perché collaborano con la
borghesia e verranno chiamati social-fascisti.]
[Nel 1921 nasce il partito comuniste italiano
con Gramsci, Bordiga, Toglietti, Filippo Tirati fu colui che divulgò le idee di
Marx in Italia][Nel partito democratico russo c'è Lenin che diceva che la Russia non poteva passare
ad un regime borghese siccome la borghesia non era molto sviluppata per cui si
deve passare ad una fase rivoluzionaria con i contadini che erano visto come
coloro che volevano la proprietà privata della terra. Lenin fu accusato perché
diede troppa importanza al partito con una burocratizzazione. Trosky lo accusò
di aver creato una dittatura sul proletariato.]