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L'europa di napoleone




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L'EUROPA DI NAPOLEONE

La stessa volontà di potenza dimostrata in patria, si manifestò, in Napoleone nella politica estera: lungi dal cercare di sopire le diffidenze britanniche, Bonaparte chiuse alla Gran Bretagna il mercato francese e ostentò progetti d'espansione coloniale (San Domingo, Louisiana, India). Presidente della Repubblica Italiana (24 gennaio 1802), mediatore della Confederazione Elvetica (19 febbraio 1803), riorganizzatore della Germania (protocollo dell'Impero, 25 febbraio 1803), annetté alla Francia l'isola d'Elba e il Piemonte. Dopo un ultimatum inviato a Parigi (26 aprile 1803), la flotta inglese riaperse le ostilità. L'esercito francese si concentrò a Boulogne; gli Inglesi lasciarono che il realista Cadoudal organizzasse un piano per rapire il primo console. Il complotto fu scoperto, e la repressione coinvolse anche Moreau, che venne esiliato, e il duca d'Enghien, che fu catturato in territorio straniero e fucilato (notte dal 20 al 21 marzo 1804).

Facendo appello alla sfavorevole impressione suscitata sull'opinione pubblica da questo fatto, unita al timore provocato dai recenti complotti filomonarchici, il primo console riuscì a convincere il senato a proclamarlo imperatore dei Francesi col nome di Napoleone I (senatoconsulto del 18 maggio 1804). La consacrazione avvenne nella cattedrale di Notre-Dame il 2 dicembre 1804 per mano del papa Pio VII.
Il regime divenne una vera e propria monarchia, mediante la creazione di una corte e di una nobiltà imperiali. L'Inghilterra costituì la terza coalizione con la Svezia, Napoli e soprattutto con lo zar Alessandro I, geloso del prestigio napoleonico, e con l'imperatore d'Austria Francesco I, preoccupato della politica italiana della Francia: contrariamente agli accordi di Lunéville, Napoleone era divenuto re d'Italia (maggio 1805), aveva unito alla Francia la Repubblica Ligure (6 giugno), e aveva cominciato a distribuire i ducati italiani. L'imperatore dovette togliere il campo a Boulogne e rinunciare, dopo il disastro navale di Trafalgar (21 ottobre 1805), a invadere l'Inghilterra. Ma la 1S armata austriaca (Mack), avventuratasi in Baviera, si arrese a Ulma (20 ottobre); gli eserciti austro-russi furono sbaragliati ad Austerlitz (2 dicembre). Col trattato di Presburgo (26 dicembre) l'Austria cedette il Veneto, il Tirolo, il Trentino, l'Istria, la Dalmazia; Francesco I lasciò all'avversario il compito di riorganizzare la Germania e di costruire il Grande Impero che circondava la Francia di Stati i cui sovrani, parenti o alleati dell'imperatore, adottarono il Codice napoleonico e i metodi del governo imperiale. La Repubblica Batava divenne il regno d'Olanda affidato a Luigi Bonaparte; sedici principati tedeschi furono riuniti nella confederazione del Reno, alleati della Francia (12 luglio 1806); il regno di Napoli, tolto ai Borboni, passò a Giuseppe Bonaparte.

Tuttavia Napoleone non era riuscito a concludere le negoziazioni iniziate con l'Inghilterra e la Russia. La Prussia, umiliata dal trattato di Schönbrunn (15 dicembre 1805), ebbe un fremito di rivolta e formò con le altre due potenze la quarta coalizione. Il suo esercito, battuto a Jena e ad Auerstedt (14 ottobre 1806), fu catturato quasi completamente dalla cavalleria francese; ma Napoleone dovette passare l'inverno nella Prussia Orientale per contenere la pressione dei Russi; dopo un mezzo successo a Eylau (8 febbraio 1807), prese la rivincita a Friedland (14 giugno). Lo zar per sfuggire all'annientamento e Napoleone per meglio dedicarsi alla lotta contro l'Inghilterra decisero un'alleanza sancita nel convegno di Tilsit, il 25 giugno. La pace di Tilsit (7-9 luglio) lasciava sperare allo zar la possibilità di annettersi territori in Finlandia o sul Danubio; due trattati segreti giunsero ad abbozzare anche una nuova politica in Oriente, con l'abbandono alla Francia delle Isole Ionie e di Cattaro da parte della Russia, che l'avrebbe anche sostenuta contro l'Inghilterra, mentre Napoleone avrebbe aiutato lo zar a occupare la parte europea dell'Impero ottomano. Prendeva così corpo la politica mediterranea di Napoleone I, già abbozzata fin dalla spedizione in Egitto, e che tendeva a fare del Mediterraneo 'un lago francese' e a colpire l'Inghilterra nelle Indie, ove Decaen era stato inviato fin dal 1803. La Prussia, che dovette pagare anche materialmente le spese della guerra (trattato del 9 luglio), fu smembrata a favore dei nuovi Stati vassalli: la Vestfalia fu data a Gerolamo Bonaparte; il granducato di Varsavia fu affidato al re di Sassonia. Napoleone approfittò della pace che regnava sul continente per dar vita al Bloccocontinentale, annunciato dal decreto di Berlino (21 novembre 1806), che avrebbe dovuto distruggere la potenza economica dell'Inghilterra precludendole il mercato europeo. Ancor più che le necessità del Blocco, tuttavia, l'esigenza di riorganizzare i nuovi Stati vassalli fu la causa della politica imperialistica degli anni 1807-1809: annessione dell'Etruria (1807); occupazione dello Stato Pontificio (1807-1809), conquista del Portogallo (novembre 1807) e soprattutto occupazione della Spagna. Napoleone fece abdicare in proprio favore Carlo IV e Ferdinando VII, che furono internati (incontri di Bayonne, 5-10 maggio 1808), e ai quali sostituì il fratello Giuseppe, cui subentrò a Napoli Gioacchino Murat. La resistenza popolare in Spagna e in Portogallo, sebbene in sé non molto pericolosa, permise l'intervento di forze inglesi, che beneficiarono altresì del dominio dei mari acquisito a Trafalgar. Le capitolazioni dei generali francesi (Dupont a Bailén, 21 luglio 1808; Junot a Sintra, 30 agosto) scossero il prestigio imperiale. Per permettere alla 'grande armata' di agire in Spagna mentre l'Austria si stava riarmando, Napoleone incontrò lo zar a Erfurt (27 settembre - 14 ottobre 1808); Alessandro I, resosi conto delle difficoltà del rivale, rifiutò di impegnarsi a fondo contro l'Austria; Napoleone, deciso a battere gli avversari sul tempo, partì per la Spagna con la 'grande armata'; disperse il nemico e rioccupò Madrid (4 dicembre), ma senza riuscire ad annientare i suoi nemici; lasciato poi il comando (3 gennaio 1809), il 17 gennaio abbandonò Valladolid per Parigi, poiché era ormai sicuro che l'Austria avrebbe attaccato in primavera. I marescialli lasciati con la 'grande armata' si rivelarono incapaci di portare a buon fine la spedizione di Spagna. L'Austria, desiderosa di approfittare del movimento nazionale sorto in Germania in seguito all'occupazione francese, e sicura della neutralità russa, aprì le ostilità della quinta coalizione nell'aprile 1809. Gli Inglesi di Wellington sbarcarono in Portogallo (aprile 1809) e compirono un'inutile incursione nell'isola di Walcheren (luglio). Con un esercito improvvisato, Napoleone fece sgomberare al nemico la Baviera (Ratisbona, 19-23 aprile) e occupò Vienna (13 maggio); in un primo tentativo di attraversare il Danubio subì uno scacco (Aspern e Essling, 22 e 23 maggio), ma il secondo tentativo fu coronato dal successo (Wagram, 5-6 luglio); con la pace di Schönbrunn, detta 'pace di Vienna' (14 ottobre), l'Austria abbandonò nuovi territori, che formarono le Province Illiriche. Deluso dai membri della sua famiglia, Napoleone decise di risposarsi per avere degli eredi: ripudiata Giuseppina, di fronte al rifiuto dello zar di dargli in moglie la sorella, sposò l'arciduchessa d'Austria Maria Luisa (1s aprile 1810) che gli diede un figlio, il re di Roma (20 marzo 1811); l'imperatore contava sull'Austria per sostituirsi alla deludente alleanza russa. Alleato degli Absburgo, accentuando la forma monarchica del proprio potere, Napoleone si distaccò sempre più dai vecchi rivoluzionari e introdusse nelle cariche dello Stato un gran numero di nobili divenuti a lui fedeli. A eccezione della Spagna, tutta l'Europa sembrava ormai sottomessa, sebbene al prezzo di uno sforzo immenso, che cominciava a pesare sull'imperatore; soggetto a violenti accessi di collera, sordo a ogni consiglio, Napoleone imbavagliò l'opposizione con metodi repressivi: sorveglianza poliziesca, censura, prigioni di Stato. L'eccessiva fiscalità e le frequenti coscrizioni, le privazioni e la crisi economica derivante dal Blocco, l'internamento di papa Pio VII (6 luglio 1809) aggravarono il malcontento in Francia e ancor più negli Stati vassalli. Le ulteriori annessioni di territori per rinforzare il Blocco (Olanda, luglio 1810; territori tedeschi sul Baltico, dicembre) furono ispirate soprattutto dalle preoccupazioni per l'atteggiamento dello zar, che preparava la guerra. Napoleone attenuò il Blocco (sistema delle licenze) per procurarsi danaro. Alleato della Prussia (23 febbraio 1812) e dell'Austria (14 marzo), senza rispondere all'ultimatum dello zar (aprile), invase la Russia (24 giugno), alla testa di un esercito di 600.000 uomini, i due terzi dei quali non erano francesi. I generali russi arretrarono di fronte all'imperatore, che logorava con marce forzate le sue truppe, mal rifornite. Ansioso di concludere rapidamente la campagna, Napoleone penetrò nel cuore della Russia e dopo la sanguinosa battaglia della Moscova (o di Borodino, 7 settembre) entrò a Mosca (14 settembre), ove l'incendio appiccato dai Russi distrusse i depositi di viveri e materiali. Dopo un vano tentativo di negoziare con lo zar, il 19 ottobre dovette ordinare la ritirata; l'esercito francese, decimato dalle diserzioni, dal freddo e dalla fame, dovette aprirsi un varco combattendo (passaggio della Beresina, 25-29 novembre). Il tentato colpo di Stato del generale Malet (23 ottobre) a Parigi costrinse l'imperatore a lasciare le truppe in Lituania (5 dicembre). Murat e poi Eugenio di Beauharnais, incaricati del comando, si ritirarono senza soste, mentre i Prussiani del generale Yorck (convenzione di Tauroggen, 30 dicembre 1812) e gli Austriaci di Schwarzenberg (convenzione di Zeycz, 30 gennaio 1813) non si impegnarono. Per ricostituire l'unione nazionale l'imperatore impose al papa Pio VII il concordato di Fontainebleau (25 gennaio 1813), nella speranza di riunire intorno a sé i cattolici d'Europa; per mantenersi alleata l'Austria, organizzò una reggenza (5 febbraio 1813), affidandola a Maria Luisa (30 marzo); infine ricostituì un esercito di 400.000 uomini, sebbene ormai scarseggiassero il danaro, le armi e soprattutto la cavalleria. L'esercito russo fu rinforzato dall'entrata in guerra della Prussia (16 marzo 1813); Alessandro I e Federico Guglielmo III spingevano la Germania a ribellarsi: l'Austria, ridivenuta neutrale, propose la propria mediazione. Napoleone passò all'attacco sulla Saale alla fine d'aprile; vincitore a Lützen (2 maggio) e a Bautzen (20-21 maggio), accettò il 4 giugno l'armistizio di Pleswitz proposto da Metternich, contando di rafforzarsi durante l'estate. Il cancelliere austriaco, non avendo ottenuto alcuna concessione né nell'incontro di Dresda (26 giugno) né al congresso di Praga (10 agosto), dichiarò guerra alla Francia (12 agosto). Impacciato dall'inesperienza dei propri soldati e venutigli meno i contingenti tedeschi, Napoleone fu sconfitto dagli Alleati a Lipsia (battaglia delle Nazioni, 16-19 ottobre); l'esercito francese riattraversò in una drammatica ritirata la Germania in rivolta (defezione della Baviera, il cui esercito fu battuto ad Hanau, 30 ottobre), mentre il tifo mieteva vittime fra le truppe. Il Grande Impero crollava: gli Stati tedeschi e l'Olanda insorsero, la Spagna era perduta fin dalla disfatta di Vitoria (21 giugno 1813); Murat passava al nemico. Napoleone chiamò i Francesi a difendere la patria, ma i notabili denunciarono il suo despotismo e il popolo restò passivo di fronte al pericolo, mentre anche i nobili ripudiavano l'imperatore; la propaganda degli Alleati, che sostenevano di lottare unicamente contro le ambizioni dell'imperatore, trovò eco favorevole presso la commissione del corpo legislativo, che rinfacciò a Napoleone di non aver accettato le loro proposte di pace. I marescialli si erano ritirati fino alla Champagne, e Napoleone dovette abbandonare Parigi prima del previsto (25 gennaio 1814). Con 60.000 uomini, veterani della Vecchia Guardia e soldati giovanissimi, iniziò la prodigiosa campagna di Francia: il suo genio strategico e le calcolate esitazioni dell'Austria gli permisero di resistere per altri due mesi (febbraio-marzo 1814). Tornato a Fontainebleau, si apprestava ad attaccare Parigi, caduta in mano agli Alleati il 31 marzo, quando i marescialli lo costrinsero ad abdicare in favore del figlio (4 aprile); poi il tradimento di Marmont lo costrinse a una rinuncia totale (6 aprile). Il trattato di Fontainebleau (11 aprile), gli lasciò il titolo di imperatore, il governo dell'isola d'Elba e una pensione da parte del tesoro francese. Dopo aver tentato di avvelenarsi (12 aprile) Napoleone si rassegnò; dopo gli addii a Fontainebleau (20 aprile) dovette attraversare il Sud della Francia, apertamente realista, e finire il suo viaggio indossando un'uniforme austriaca. Si dedicò allora all'organizzazione del suo piccolo Stato, ove non ricevette alcuna notizia della moglie e del figlio. Mentre al congresso di Vienna si parlava di farlo deportare lontano dall'Europa, Napoleone tentò di approfittare del malcontento francese verso i Borboni. Sbarcato il 1s marzo 1815 a Golfe-Juan, egli riconquistò la Francia grazie al suo prestigio, senza che venisse sparato un solo colpo ('il volo dell'aquila'). Giunto alle Tuileries (20 marzo, inizio dei 'Cento giorni'), si trovò di fronte a un compito impossibile; trascurando lo slancio rivoluzionario che il suo ritorno aveva ridestato, tentò invano di raccogliere intorno a sé i notabili. L'Atto addizionale alle costituzioni dell'Impero (22 aprile 1815), promulgato al campo di Maggio (1s giugno 1815), riprendeva i punti essenziali della Carta di Luigi XVIII, ma non poteva far dimenticare il passato dispotico: i gruppi dirigenti non nutrivano più fiducia nell'imperatore, e le grandi potenze avevano deciso di bandire Napoleone dall'Europa, sorde alle sue assicurazioni di pace. Per prevenire la concentrazione degli eserciti di Wellington e di Blücher, Napoleone entrò nel Belgio il 15 giugno 1815; il suo esercito di veterani fedelissimi batté i Prussiani a Ligny (16 giugno); mentre il generale Grouchy doveva fermare Blücher, Napoleone tentò di sbaragliare Wellington. A Waterloo (18 giugno) l'imperatore fu sconfitto dalla disperata resistenza degli Inglesi, e poi dal sopraggiungere di Blücher che Grouchy non era riuscito ad arrestare. Rientrato a Parigi, Napoleone dichiarò di voler continuare la lotta, ma, di fronte all'ostilità dei deputati, abdicò per la seconda volta il 22 giugno, in favore del figlio Napoleone II. Raggiunta Rochefort con il progetto di riparare negli Stati Uniti, Napoleone trovò il porto bloccato da una squadra inglese e decise di affidarsi alla generosità degli Inglesi (15 luglio); imbarcato sul Bellerophon, fu poi trasferito sul Northumberland (4 agosto) e condotto a Sant'Elena dove giunse il 17 ottobre e dove fu tenuto prigioniero fino alla morte. Si dedicò in quegli ultimi anni alla stesura di una versione apologetica della propria carriera, il Memoriale di Sant'Elena, pubblicato da Las Cases nel 1823. A mano a mano che il ricordo della dittatura imperiale impallidiva, la leggenda napoleonica andava crescendo; la straordinaria avventura e la tragica fine dell'imperatore ispirarono gli animi romantici, che videro in lui l'erede della prima Rivoluzione e il difensore dei princìpi nazionali. Sulla complessa figura di Napoleone il giudizio dei contemporanei fu assai controverso: dall'esaltazione più disinteressata (si pensi agli entusiasmi di Beethoven, di Foscolo, di Hegel per Napoleone 'giacobino'), o più cortigiana, a un atteggiamento più critico, attraverso infinite sfumature (Manzoni del Cinque maggio, Tolstoi di Guerra e Pace). Gli storici oscillarono anch'essi, per tutto il XIX sec., tra due estremi: o addossargli tutti gli eventi positivi e negativi del suo regno (facendone l'eroe o il tiranno per antonomasia) o ridurlo a semplice appendice della Rivoluzione (sia che la consolidasse, sia che la tradisse). A questo si aggiunse la difficoltà di una produzione sterminata: a metà del XIX sec. una 'bibliografia napoleonica' contava già trentadue volumi. Nel XX sec. gli studiosi poterono avvalersi delle fondamentali opere di sintesi della storiografia specialistica francese (G. Bourgin, L. Madelin, L. Villat, G. Lefebvre). Più che un giudizio complessivo si tende ora a formulare tante valutazioni quanti sono gli aspetti fondamentali dell'epopea napoleonica. Rispetto all'Italia Bonaparte, anche se i risultati andarono oltre le sue intenzioni, sollecitò senz'altro le forze del Risorgimento nazionale (facendo passare i fermenti patriottici dal piano etico-culturale a quello politico-costituzionale-militare). Quanto agli altri Stati sottomessi, pur con tutti i limiti del suo dispotismo, Napoleone contribuì a diffondere e a europeizzare molti dei princìpi del 1789. In campo ecclesiastico-religioso l'opera del primo console e dell'imperatore fu sostanzialmente un'anticipazione della politica concordataria e filocattolica della Restaurazione: tuttavia vennero mantenute conquiste fondamentali come il divorzio, e vennero nettamente superati nei fatti i princìpi del giurisdizionalismo, avviando un'impostazione laica dello Stato. All'interno Napoleone impose il rispetto delle leggi e l'uguaglianza dei sudditi di fronte ad esse, garantendo le conquiste più durature della Rivoluzione, il totale rinnovamento della legislazione penale, l'avviamento a una radicale riforma della legislazione civile, la sanzione giuridica e il consolidamento politico di molti princìpi illuministici: quei princìpi e quelle conquiste che erano destinate a divenire parte integrante del patrimonio culturale delle classi dirigenti del mondo moderno.

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