L'avvento del fascismo e del
nazismo: tentativi di ordine che sfociano in caos
Come gran parte degli avvenimenti storici
(basti pensare alle due guerre mondiali e alla rivoluzione russa, scoppiate dal
caos creatosi precedentemente, o alla rivoluzione francese, e via dicendo)
anche l'avvento del Fascismo in Italia e degli stati totalitari in Europa portò
da una situazione di ordine stabilitasi negli anni 20, dopo la prima guerra
mondiale, a quello che fu il caos totale che sconvolse nuovamente gli equilibri
politco-sociali mondiali e portò alla seconda guerra mondiale. Il Fascismo
tentò di costruire un regime totalitario, ma il suo progetto si realizzò solo
in parte. Furono soprattutto il potere tradizionale della Chiesa Cattolica e il
ruolo istituzionale della monarchia a costituire gli ostacoli principali
dell'espansione e al consolidamento dell'egemonia fascista nella società
italiana. A questi due ostacoli si aggiunsero poi anche le conseguenze degli
insuccessi economici, la resistenza all'impopolare alleanza con la Germania
nazista e il diffuso rifiuto delle leggi razziali. Così, alla vigilia della
seconda guerra mondiale, il regime appariva già profondamente indebolito e
l'apparente ordine stbilitosi durante gli anni precedenti si era tramutato in
caos, che avrà il suo culmine nell'esito disastroso della guerra. La venuta dei
regimi totalitari si colloca cronologicamente dopo la prima guerra mondiale, la
quale aveva segnato profondamente l'Europa. Il movimento dei 'fasci di combattimento' venne fondato nel
marzo del 1919 a Milano da Benito Mussolini, socialista e direttore del
quotidiano l''Avanti'. Le radici del fascismo, come degli altri
'cugini' europei, vanno individuate nella profonda crisi che la
società italiana, e più generalmente quella europea, stava vivendo; la paura
della rivoluzione russa indusse Benito Mussolini ad abbandonare il programma
socialista ponendosi in chiara chiave anti-socialista. Nel 1914 era stato
infatti espulso dal partito per aver preso posizioni interventiste nella
discussione riguardante l'entrata in guerra dell'Italia, nel primo conflitto
mondiale. Si era poi avvicinato al nazionalismo facendo agitazione politica nel
suo quotidiano. Il programma iniziale dei fasci era repubblicano ed
anticlericale apparentemente ultrademocratico. Ma in realtà si trattava di un
programma basato sulla demagogia, che nascondeva un carattere nettamente
antidemocratico e antisocialista. Le milizie fasciste furono appoggiate da
buona parte dell'apparato statale, che vedeva nel Duce il restauratore
dell'ordine. Alla strategia della violenza Mussolini associò infatti astutamente una 'strategia della
legalità', che consisteva nel proporsi alla classe dirigente italiana come
l'unico uomo capace di portare alla normalità il Paese. Mussolini non sarebbe
mai riuscito a trasformare la violenza squadrista in forza politica se il ceto
dirigente liberale non avesse iniziato a guardare il fascismo come uno strumento utile per risolvere la crisi
italiana. In quel periodo il Paese visse una crisi perché non si riuscivano a
formare alleanze di governo stabili per reggere il Paese, tanto che si
susseguirono sei diversi governi. Alle elezioni del 1921 si formarono dei
blocchi nazionali comprendenti liberali, nazionalisti e fascisti. I fascisti
ottennero però solo 35 seggi, e
Mussolini non riuscì nell'impresa di salire al governo. Ma nell'anno successivo
i fascisti organizzarono la famosa Marcia su Roma, che ottenne sorprendentemente
l'appoggio del re, il quale affidò il governo nelle mani di Mussolini. La
marcia su Roma e l'affidamento del governo a Mussolini rappresentarono il
crollo delle istituzioni liberali e democratiche. Ma l'avvento del fascismo fu
reso possibile dall'appoggio che esso ottenne dagli agrari e dagli industriali,
che lo vedevano come uno strumento di repressione del movimento operaio e
contadino. Mussolini per riuscire a far operare il fascismo sul piano della
legalità aveva trasformato il movimento dei fasci di combattimento in Partito
Nazionale Fascista, con un programma che prevedeva uno Stato forte e la
limitazione dei poteri parlamentari; esaltava la nazione, e vietava lo sciopero
nei servizi pubblici, proponeva la restituzione ai privati di servizi
essenziali gestiti dallo Stato (ferrovie, telefoni) e per rendersi credibile
agli occhi del sovrano e dagli ambienti legati alla monarchia abbandonava ogni
ipotesi repubblicana. Dopo le elezioni del 1924, un netto passaggio verso la
dittatura fu rappresentato dal delitto Matteotti. L'esponente socialista
riformista Giacomo Matteotti, dopo aver denunciato i brogli che avevano
accompagnato le elezioni del 1924, venne rapito da una squadra fascista ed il
suo cadavere fu rinvenuto il 16 agosto 1924. Il delitto destò un grande
scalpore, ma Mussolini non sembrò minimamente preoccupato anzi, nel famoso
discorso del 3 gennaio 1925 si assunse la responsabilità politica, morale e
storica del delitto. Con tale discorso il parlamento veniva di fatto esonerato e la legalità costituzionale sospesa. Il
progetto politico di Mussolini a partire dal 1925, superata la crisi del
delitto Matteotti, si concentrò sulla fascistizzazione dello Stato e della
società civile, cioè all'ideologia fascista e a tutte le forme di vita
associate. Punto di partenza di tale trasformazione furono le leggi fasciste.
Con esse il capo del governo fu reso responsabile solo di fronte al re, non più
di fronte al parlamento; fu soppressa la libertà di associazione, tagliando
fuori tutti i partiti politici ad eccezione di quello fascista; furono chiusi i
giornali antifascisti e tutta la stampa vene sottoposta ad un severo controllo,
al fine di controllare l'opinione pubblica; fu istituito il tribunale speciale
per la difesa dello Stato. Questi provvedimenti abolirono di fatto la
libertà democratica e la dialettica politica, il potere legislativo risultò
subordinato all'esecutivo ed il parlamento finì per assumere una funzione
puramente decorativa. Non mancarono in Europa movimenti fascisti e filofascisti
che guardavano con ammirazione l'ideologia autoritaria del regime italiano. Il
più famoso fu il NSDAP (Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori) di
Adolf Hitler il quale riuscì successivamente, nonostante le iniziale divergenze
del Duce, a portare l'Italia nella cerchia degli alleati della Germania
nazista. Simili a quelle italiane le motivazioni che portarono all'affermazione
di Hitler: la crisi economica del dopoguerra, l'inflazione che faceva lievitare
i prezzi e diminuire il potere d'acquisto dei salari, la diffusa
disoccupazione; tutto ciò alimentava il desiderio che qualcosa o qualcuno
rianimasse lo stanco spirito tedesco. Hitler era la persona adatta: credeva in
una razza conquistatrice e superiore progressivamente inquinatasi per la
commistione con le razze 'inferiori' e il popolo in cui l'arianesimo
si era conservato era quello tedesco, che aveva il compito di governare sul
mondo. L'indubbia capacità di controllare i fattori emozionali e irrazionali
delle masse e della politica, alternando follia razzista e promesse di
prosperità e di prestigio nazionale, affermò Hitler come un capo carismatico
appoggiato da un larghissimo consenso. Egli fece del nazismo un'efficiente
macchina burocratica e militare, in grado di utilizzare tutte le risorse della
moderna società industriale e tecnologica per assicurare la supremazia sul
resto del mondo e garantirne la purezza etnica. L'ordine apparentemente instaurato dal regime fascista, ma soprattutto
nazista, si tramuta nel caos che dopo solo tre decenni dalla prima guerra
mondiale, sconvolgerà nuovamente la stabilità globale.