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La Russia era considerata da secoli come il prototipo del governo autocratico, concentrato cioè nelle mani dell'Imperatore, sciolto dal controllo di organi parlamentari e rappresentativi.
Accanto allo Zar, Nicola II dal 1894, era una burocrazia immobile, ed autoritaria che garantiva la sopravvivenza all'autocrazia zarista, nonostante le ricorrenti rivolte agrarie e le critiche dei ceti intellettuali.
Nel 1898 era stato fondato il partito social-democratico di ispirazione marxista, i cui dirigenti pensavano ad una necessaria fase capitalistica anche per la società russa.
Nel 1903 il partito si spaccò in due correnti:
Quella bolscevica (dal vocabolo russo che significa maggioritario) era guidata da Lenin e propugnava una organizzazione molto verticistica guidata dal partito comunista, inteso come partito di militanti formati rigorosamente ai principi del Comunismo e professionisti della rivoluzione;
La seconda corrente, quella menscevica (cioè minoritaria) opponeva all'0idea di un partito di avanguardia quella di un partito di aderenti, cioè di massa, in grado dunque di garantire una maggiore partecipazione.
Nel 1901 nasce il partito dei socialisti rivoluzionari i quali raccolgono l'eredità del populismo russo prendendo come punto di riferimento il mondo contadino.
Ricordiamo infine il partito costituzionale democratico (KD) di più spiccate tendenze liberal-democratiche di tipi parlamentare.
Durante la guerra russo-giapponese del 1905 in cui la Russia subì una clamorosa disfatta, da Pietroburgo si diffuse un vasto movimento rivoluzionario.
In questa occasione fanno la loro comparsa i Soviet, cioè i consigli di operai e di soldati, che avevano cercato di dare unità alla rivoluzione e di guidarla ad uno sbocco positivo.
Il Soviet di Pietroburgo era guidato da Lev Trotzkij (1879-1940) che con uno sciopero generale obbligò l'imperatore a firmare un Manifesto in cui si promettevano le libertà costituzionali e la elezione di un parlamento o duma.
In realtà le tre dume che si succedettero tra il 1906 e il 1912 vennero naturalmente ad esaurire la propria funzione innovatrice e dunque poco prima della scoppio della Grande Guerra rimanevano presenti tutti i grandi problemi dell'immenso Paese russo.
I nodi più drammatici riguardavano quell'82% formato da popolazione rurale, circa 11 milioni di persone all'interno dei quali vi era una piccola minoranza di contadini proprietari terrieri (i cosiddetti kulaki).
Il resto era formato invece da contadini poveri e legati a debiti fatti per pagare il riscatto dei terreni dopo l'emancipazione dei servi della gleba avvenuta nel 1861.
Nel complesso, la massa dei contadini russi disponeva mediamente di meno di un ettaro a testa da coltivare e le leggi di riforma tendenti ad incrementare la proprietà contadina individuale avevano in definitiva rafforzato la classe dei kulaki.
Quanto all'industria, essa era caratterizzata per un verso dalla forte concentrazione in alcuni ettari produttivi ed in alcune zone (Pietroburgo, Mosca), per un altro verso da stretti legami tra l'industria, lo Stato e il capitale straniero.
Era dunque assente la media e piccola industria e prevalevano gli interessi di limitati ceti dominanti e di gruppi finanziari stranieri.
In questo senso, la Russia aveva attraversato l'intero 1800 senza poter contare su quei processi di modernizzazione ed industrializzazione diffusa avvenuti in Europa occidentale.
Già dopo i primi mesi di guerra nel 1915 si fecero evidenti i segni di decomposizione dell'Impero russo: non solo le numerose diserzioni, ma anche le condizioni di povertà nelle città crearono presto un malessere diffuso che trovò nella insensibilità della Zar e della classe dirigente del tempo uno stimolo ulteriore per esplodere rovinosamente.
Ai primi di marzo del 1917 a Pietroburgo (dal 1914 ribattezzata Pietrogrado, poi Leningrado e ora nuovamente S.Pietroburgo) scoppiarono i primi scioperi senza che però ci fissero incidenti seri. Fu invece l'ordine dato dall'imperatore al comando militare di far cessare i cortei a provocare il tracollo. 40 persone rimasero uccise, ma i sodati della guarnigione militare si rifiutarono ad un certo punto di continuare la repressione ed invitarono a fraternizzare con gli operai.
Il 12 marzo un nuovo corteo riusciva a penetrare nel Palazzo d'Inverno, simbolo e centro dell'autocrazia russa, issandovi una bandiera rossa.
Con la caduta dell'Impero, sanzionata dall'abdicazione di Nicola II, si costituì un governo provvisorio che tentava di muoversi in senso liberal-costituzionale.
A premere sul governo furono però subito i numerosi soviet sorti in più città russe, a maggioranza menscevica e sotto la guida del soviet di Pietroburgo.
Si trattava dunque di una linea più moderata rispetto a quella bolscevica contro la quale si mosse immediatamente Lenin che con la convivenza dei tedeschi che speravano nell'aggravarsi della crisi russa, riuscì a lasciare l'esilio svizzero ed a raggiungere Pietrogrado nel 1917.
Il 7 aprile 1917 sul giornale del partito social-democratoco Prava (significa verità) Lenin pubblicò le sue tesi, le famose Tesi di aprile. Le possiamo sintetizzare in cinque punti:
nessun appoggio al governo provvisorio;
il potere politico deve passare ai Soviet;
a rappresentare la società sono il proletariato e gli strati poveri dei contadini;
tutte le terre vanno nazionalizzate e così anche la produzione industriale;
polizia ed esercito vanno soppressi.
Nelle tesi Lenin non accettava le tesi menscevica che la Russia dovesse passare per un periodo di sviluppo industriale capitalistico prima di conquistare il potere, mentre giudicava possibile e necessario l'appoggio delle masse rurali alla rivoluzione proletaria sotto la guida del partito comunista.
Il nuovo governo presieduto a partire da luglio dal social-rivoluzionario Kerenskij non fu in grado di avviare un nuovo corso di riconciliazione nazionale né di assumere iniziative per la conclusione della guerra. Nel frattempo cresceva il potere dei bolscevichi nei soviet. Proprio i bolscevichi si convinsero alla fine che era necessaria l'insurrezione armata per fermare la possibilità di un colpo di stato da parte dell'esercito.
Il 7 novembre (il 25 ottobre secondo il calendario russo) il soviet di Pietrogrado e i bolscevichi si impadronirono del potere quasi senza incontrare resistenza. Venne subito istituito un consiglio dei commissari del popolo con poteri di governo presieduto da Lenin con Trotzkij commissario alla guerra e Stalin commissario alle nazionalità.
Ben presto si apriva una dura guerra civile che sottraeva intere regioni al controllo del governo bolscevico. Per questo Lenin decise di avviare trattative di pace con gli Imperi centrali conclusesi nel marzo del 1918 con la pace di Brest Litovsk, in seguito alla quale l'Estonia, la Lituania, la Lettonia, la Polonia, la Finlandia, la Georgia e la Ucraina venivano scorporate dalla Russia.
Sul piano interno il governo sovietico diede inizio ad un programma radicale di trasformazione sociale (che ben presto dovrà essere abbandonato per una politica economica di maggiore compromesso). I suoi punti fermi erano:
v la nazionalizzazione della terra affidata ai soviet di villaggio;
v il controllo operaio delle fabbriche attuato dai comitati di fabbrica;
v la nazionalizzazione della banche;
v l'affermazione secondo cui il nuovo ordine socialista riconosceva due sole strutture portanti, quella dei soviet e quella del partito bolscevico.
Quando nel marzo del 1918 si firmava la pace dei Brest Litovsk con gli Imperi centrali la guerra civile era del tutto aperta e sarebbe proseguita anche dopo la sconfitta della Germania.
Armate bianche comandate da generali zaristi o comunque contrari alla rivoluzione sovietica e sostenute dagli Stati vincitori della guerra mondiale, continuarono a combattere sino alla vittoria dell'Armata rossa agli inizi del 1920.
In quello stesso anno in governo comunista russo riconosceva l'indipendenza degli stati baltici e della Finlandia, riconquistando invece l'Ucraina e riannettendo sempre con la forza le repubbliche caucasiche.
All'inizio del 1921 il governo sovietico aveva esteso e consolidato il suo potere sulla maggior parte del territorio del vecchio impero, ora delimitato da una catena di Stati tendenzialmente ostili, che vennero a costituire quella che fu chiamata "Cordone sanitario" rispetto alle minacce rivoluzionarie.
Rimanevano comunque grandi problemi da affrontare: il disegno di creare grandi unità produttive sotto direzione e controllo statale non raccolse il consenso dei contadini divenuti per il 60% circa possidenti grazie alla distribuzione e alla occupazione di terre.
Ma anche nel settore industriale la realtà si scontrò presto con il modello dei soviet e i principi socialisti. Dopo un greve tentativo fatto nel 1918, Lenin dovette constatare che l'industria russa non funzionava senza un'utilizzazione parziale dei vecchi quadri dirigenti. Allo stesso modo la direzione collegiale nelle aziende finiva per essere spesso scarsamente efficiente o addirittura in contrasto con le direttive del governo. Lenin si convinse alla fine della necessità di un compromesso tra realtà e principi comunisti per non creare ostacoli alla efficienza ed in questo spirito la prima fase del regime bolscevico viene definita "Comunismo di guerra".
Gli stessi problemi di strategia si posero presto in merito alla interpretazione della funzione dello stato e del partito. Dopo aver deplorato la tendenza degli organismi statali e dei soviet, scaricare sul partito comunista un'enorme quantità di incombenze, a partire dal 1923 Lenin si arrese alla realtà dei fatti con due immediate conseguenze: monolitismo del partito comunista, con il divieto della correnti al suo ontano e la formazione di un apparato burocratico di partito distinto e separato dalle masse.
Allo stesso modo la creazione delle Terza Internazionale sorta a Mosca nel 1919 con il nome di Comintern vide di fatto il peso determinante del partito comunista russo che anche per il rapido allontanarsi delle prospettive rivoluzionarie in Europa incominciò ad influire pesantemente nella vita degli altri partiti comunisti occidentali.
In realtà il partito controllava tutto sino ad assicurare sia il ruolo internazionale del comunismo, sia l'unità dell'intero sistema sovietico che nel 1922 si organizza nell'unione della Repubbliche Socialiste Sovietiche (U.R.S.S.) ponendo fine di fatto alla fase dei soviet. Anche sul piano ideologico il partito rivendicava a sé una delega permanente della classe operaia, come sua avanguardia rivoluzionaria.
Il processo di revisione della politica economica ebbe la sua sanzione nella NUOVA POLITICA ECONOMICA (NEP) varata nel 1921. Questa politica seguiva la rivolta di Kronstadt dove l'intervento dell'armata rossa presentata come una "tragica necessità" aveva soffocato nel sangue la ribellione dei marinai della base navale di Kronstadt che lamentavano la carenza di vita democratica e il tradimento degli stessi soviet ai quali andava ricondotto nuovamente il potere.
Proprio la rivolta convinse Lenin a definire fino in fondo una politica di compromesso, così sintetizzabile:
ai contadini era concesso il diritto di vendere le loro eccedenze sul mercato libero;
veniva ripristinato il commercio libero tra città e campagna;
in campo sindacale si garantiva alle organizzazioni di lavoratori il diritto di eleggere i loro capi;
la mobilitazione obbligatoria della manodopera veniva abolita;
nella piccola industria occorreva creare un sistema misto pubblico e privato che potesse dare subito un certo aiuto all'economia contadina senza dover contare necessariamente su macchine e riserve di materie prime. Di qui, venne l'abolizione di molti impacci burocratici, ma anche la concessione agli ex-proprietari delle loro aziende. Quanto alla grande industria, si cominciò a pianificare il suo sviluppo a tempi lunghi senza pretendere per altro un controllo totale e diretto dello Stato.
Vincendo l'opposizione interna del partito (la minoranza di sinistra capeggiata da Molotov), Lenin ottenne nel corso del 1922 un sensibile miglioramento della produzione, la scomparsa delle insurrezioni contadine e il miglioramento dell'industria leggera.
Già alla fine della stesso anno una grave malattia colpì Lenin costringendolo a ritirarsi progressivamente dal governo.
Nel contempo il mancato scoppio della rivoluzione mondiale rafforzava la tendenza a normalizzare i rapporti diplomatici con l'Occidente, a partire dal trattato di Rapallo del 1922 con cui U.R.S.S. e Germania ristabilivano normali relazioni diplomatiche.
Tutto si spostava secondo Lenin in un futuro più lontano, verso "un futuro conflitto armato tra l'Occidente controrivoluzionario imperialista e l'Oriente rivoluzionario e nazionalista".
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