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La Rivoluzione Russa
La guerra fece deflagrare le tensioni accumulate contro il regime zarista. Nel febbraio 1917 gli operai di Pietrogrado insorsero, ma le truppe di guarnigione fecero causa comune con gli insorti e presero d'assalto il Palazzo d'inverno, sede dello Zar, che abdicò e fu arrestato con l'intera famiglia pochi giorni dopo.
La Duma (il Parlamento eletto a suffragio ristretto) creò un governo provvisorio dove predominavano i "cadetti" (rappresentanti della borghesia); il governo, di orientamento liberal-parlamentare, decretò la prosecuzione della guerra; contemporaneamente però si formarono in diverse cittò e anche nei villaggi e nell'esercito i soviet (consigli), che si assunsero compiti organizzativi e di controllo dell'operato del governo.
Nel 1917 Lenin diffuse le cosiddette "tesi di aprile", le cui proposte fondamentali erano:
metter fine alla guerra a qualunque condizione;
nessun appoggio al governo provvisorio, ma immediato passaggio alla rivoluzione armata;
tutto il potere ai soviet, che avrebbero dovuto controllare la produzione agricola e industriale;
creare una nuova Internazionale e mutare il nome del Partito socialdemocratico in Partito Comunista Russo.
Le tesi di aprile trovarono ostili socialrivoluzionari e menscevichi, che ritenevano la situazione non ancora matura per l'affermarsi del socialismo.
In un secondo governo provvisorio formatosi in aprile, Kerenskij (socialrivoluzionario) divenne ministro della guerra: ma un tentativo insurrezionale a Pietrogrado indusse il governo provvisorio ad adottare misure repressive.
Nell'agosto la presidenza passò a Kerenskij, che dovette affrontare in settembre un tentativo controrivoluzionario. Il tentativo fallì sul nascere, ma giovò alla causa dei bolscevichi i quali avevano organizzato la resistenza, mentre il governo Kerenskij dimostratosi debole e incerto perdeva prestigio nell'esercito e nelle masse.
Nell'ottobre il Comitato centrale del Partito bolscevico decise di passare all'azione; i bolscevichi occuparono i punti-chiave di Pietrogrado; Kerenskij fuggì; si aprì il Congresso panrusso dei Soviet, i cui rappresentanti erano in prevalenza bolscevichi; si costituì un governo rivoluzionario, detto Consiglio dei Commissari del Popolo, con Presidente Lenin, commissario agli esteri Trotzkij, commissario per le nazionalità Stalin. Socialrivoluzionari e menscevichi abbandonarono il congresso.
I primi decreti, ispirati alle "tesi di aprile" stabilivano:
l'inizio immediato delle trattative di pace;
la soppressione delle grandi proprietà terriere e il passaggio della terra ad enti agricoli collettivi;
il controllo operaio delle fabbriche;
l'uguaglianza di tutti i popoli compresi nell'ex impero zarista e loro diritto di autodecisione;
elezione a suffragio universale dell'Assemblea Costituente. I risultati delle elezioni furono però deludenti per i bolscevichi, sopraffatti dai socialrivoluzionari delle campagne; allora un decreto emesso dal Congresso dei Soviet decise lo scioglimento dell'Assemblea e furono proclamati unici centri direttivi del nuovo ordine socialista i soviet e il Partito comunista.
Il governo bolscevico instaurò una vera e propria dittatura rivoluzionaria, con la persecuzione di ogni forma di opposizione, la reintroduzione della pena di morte e il potenziamento della Ceka (polizia bolscevica).
Nel Congresso di Mosca del 1919 il partito bolscevico aveva preso l'iniziativa di fondare la Terza Internazionale (Comintern), il cui compito doveva essere quello di guidare la rivoluzione europea e mondiale. Ma ben presto l'idea della rivoluzione mondiale immediata dovette rientrare: nei paesi più industrializzati la maggioranza degli operai rimase infatti legata al programma riformista. Conseguentemente si approfondì la frattura tra la socialdemocrazia e i partiti comunisti.
I disastrosi effetti economici della guerra civile e una tremenda carestia che provocò milioni di morti portarono, tra il 18 e il 20, al cosiddetto "comunismo di guerra": controlli della produzione agraria, requisizione forzata delle derrate agricole, rigoroso razionamento dei generi alimentari, nazionalizzazione delle fabbriche, retribuzioni pagate spesso in natura. Fu una politica che finì con l'alimentare il malcontento di contadini e operai.
Nel 1921, al Congresso del Partito Comunista, Lenin prospettò la nuova politica economica (NEP), un'economia a carattere misto, basata su una parziale liberalizzazione delle attività economiche (che riguardava la piccola proprietà contadina, la piccola industria e modeste attività commerciali), mentre lo Stato continuava a controllare banche e grandi complessi industriali. La Nep avrebbe dovuto essere un fenomeno transitorio e preludere al socialismo, ma favorì in sostanza i contadini ricchi (kulaki) e le piccole imprese.
Costituzione dell'URSS (1922)
Nel 1918 era stata proclamata la Repubblica
socialista federale sovietica russa, con capitale Mosca; successivamente, la vittoria dei bolscevichi nella guerra
civile fu accompagnata dall'unione alla Repubblica russa di altre province
europee ed asiatiche dell'ex impero zarista. L'assetto federale fu sancito nel 1922, quando si costituì l'Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche (URSS). La
Costituzione prevedeva la formazione di assemblee rappresentative (Soviet), le
quali eleggevano il Congresso dei Soviet dell'Unione; ma l'unico partito
legalmente riconosciuto era quello comunista, che proponeva i candidati
all'elezione dei soviet, controllava la Ceka, dirigeva tutta l'attività pratica
e intellettuale.
Obiettivo di fondo della rivoluzione bolscevica era la trasformazione radicale della società, la quale fu perseguita con vari mezzi:
lotta contro la Chiesa ortodossa
riforme sociali e civili
formazione ideologica della gioventù bolscevica (obbligatorietà dell'istruzione fino a 15 anni, insegnamento della dottrina marxista).
Nel 1922 Stalin fu eletto segretario del Partito; Lenin, minato da una grave malattia, morì nel 1924. Seguì all'interno del gruppo dirigente bolscevico una dura lotta tra la linea di Trotzkij, che denunciava la "burocratizzazione" del Partito e sosteneva la necessità della "rivoluzione permanente", cioè l'estensione della rivoluzione a tutto il mondo, e la linea di Stalin, che affermava il "socialismo in un solo paese", cioè l'esigenza di rafforzare innanzitutto il regime sovietico in Russia. Vinse nel 1927 la linea di Stalin.
Il comunismo fuori dell'URSS
La rivoluzione sovietica e la Terza Internazionale ebbero riflessi anche in vari paesi europei e in Asia: in Germania il comunismo ispirò l'insurrezione degli "spartachisti", soffocata nel sangue; in Italia, nacque il Partito Comunista nel gennaio 1921; in Asia il comunismo ebbe un notevole successo, in quanto l'URSS prese posizione contro l'imperialismo occidentale; in Mongolia si costituì nel '20 una repubblica sovietica; in Cina fu fondato nel '21 il Partito Comunista Cinese.
Attraverso i "piani quinquennali", Stalin impresse un nuovo corso alla politica economica del paese, procedendo a tappe forzate verso un potenziamento della produzione. La necessità di una rapida industrializzazione determinò la decisione di abbandonare la NEP; le risorse necessarie allo sviluppo industriale furono reperite con la compressione dei salari e la collettivizzazione delle terre. Migliaia di piccole tenute furono assorbite in fattorie collettive (kolkoz); i kulaki che misero in atto forme di opposizione furono eliminati o deportati in massa.
I risultati dei piani quinquennali nella produzione industriale furono imponenti: alla fine del '38 la Russia era la più grande produttrice mondiale di trattori e di locomotive. Per raggiungere simili risultati la popolazione dovette sopportare sacrifici enormi: le derrate alimentari, anche in tempi di carestia, venivano esportate per pagare le attrezzature industriali; gli operai delle fabbriche erano sottoposti a una disciplina paramilitare.
I dissidenti, anche sulla base di semplici sospetti, furono giustiziati. La cultura doveva assolvere una funzione di propaganda del regime. Stalin si configurò, alla pari di Hitler e di Mussolini, come il capo carismatico, il salavatore della nazione.
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