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RIVOLUZIONE CUBANA
Rivoluzione cubana (1953-1959), movimento insurrezionale che portò Cuba al rovesciamento della dittatura di Fulgencio Batista e all' ascesa al potere di Fidel Castro Gli antefatti del movimento si ricollegano al clima di violenza e sopraffazione imposto a Cuba da Batista dopo il colpo di stato che lo aveva riportato al potere nel 1952. Ritenuta impraticabile ogni forma di opposizione legale, il 26 luglio 1953 un gruppo d' insorti capeggiato dal giovane avvocato progressista Fidel Castro prese d' assalto la caserma Moncada di Santiago di Cuba con l' intento di dare il via alla ribellione contro il regime di Batista. Fallita l' impresa, Fidel Castro fu costretto a riparare in Messico dove, insieme al fratello Raul e all' argentino Ernesto 'Che' Guevara , creò un nucleo rivoluzionario (Movimiento 26 de Julio) con l' obiettivo di riprendere la lotta armata nell' isola. Il 2 dicembre 1956, con un manipolo di ottanta uomini trasportati dal piccolo yacht Granma , Fidel Castro sbarcò clandestinamente nella provincia cubana di Oriente, dove stabilì una prima base guerrigliera sulla Sierra Maestra. Nonostante alcuni rovesci iniziali, il movimento guadagnò terreno nel corso del 19 57, trovando appoggi tra i contadini della Sierra, colpiti dalle rappresaglie delle truppe di Batista. Tra il febbraio e il marzo 1958 i guerriglieri aprirono due nuovi fronti nelle montagne dell' Escambray e nella Sierra Cristal e si dotarono di una stazione radio, Radio Rebelde, chiamando, senza successo, la popolazione urbana allo sciopero generale insurrezionale (9 aprile).La svolta decisiva, che segnò il successo della rivoluzione, si dovette al fallimento della massiccia offensiva di Batista dell' estate 1958 nella Sierra Maestra, seguito dal diffondersi della guerriglia nelle province centrali e occidentali dell' isola, mentre il movimento si collegava con le forze dell'opposizione clandestina delle città . Il 7 novembre Fidel Castro lasciò la Sierra per lanciare la campagna finale contro le truppe di Batista: in poco più di un mese i partigiani castristi occuparono numerosi centri urbani iniziando l' accerchiamento di Santiago e aprendosi la strada verso L' Avana. Incalzato dagli eventi, il 1à gennaio 1959 Batista rassegnò le dimissioni, lasciando il paese, e il giorno seguente le prime colonne di guerriglieri entrarono nella capitale.
Il 12 Ottobre 1492 Cristoforo
Colombo sbarca a Hispaniola, l'attuale Haiti Il 28 sbarca a Cuba che chiamerà
Juana in onore dell'infanta di Spagna.
La
colonizzazione inizierà nel 1510 ad opera di Diego Velasquez, vecchio compagno
di Colombo; fra i suoi 300 uomini c'è Herman Cortes, futuro sanguinario
conquistatore del Messico.
Gli indios
residenti a Cuba erano diverse decine di migliaia e appartenevano ai gruppi
etnici dei Siboneyes e dei Tainos. I massacri effettuati dai conquistatori li
ridurranno a 5.000 nel 1555 e alla fine del secolo saranno pressoché sterminati
completamente con la violenza delle armi, per le durissime condizioni di lavoro,
dalle malattie introdotte dai bianchi e dalle torture. Il primo leggendario
capo della resistenza sarà il cacicco Hatuey che per la sua ribellione ed il
rifiuto di farsi battezzare venne bruciato vivo. Testimone irato della crudele
carneficina fu Bartolomeo De Las Casas, detto protettore degli indios.
Nel 1520
inizia l'importazione degli schiavi dall'Africa, formando così, per tre secoli,
la base sociale della produzione a Cuba. All'inizio dell'800 gli schiavi sono
il 56%.
Nel 1514 fu fondata la città de
l'Avana che diventa la base di passaggio per tutte le navi che portano in
Spagna tutte le ricchezze rubate nel Nuovo Mondo e come centro per gli attacchi
contro la pirateria inglese, francese, olandese e per soffocare in atrocità e
bagni di sangue le rivolte degli schiavi che vengono tenuti in condizioni
disumane nelle varie colonie spagnole.
1762 guerra
fra Spagna e Inghilterra, occupazione dell'Avana. Ulteriore aumento della
tratta degli schiavi. L'isola diventa il maggiore produttore mondiale di zucchero,
coltura importata come quella del tabacco. Nel 1763, dopo il trattato di
Parigi, gli spagnoli ritornano a controllare l'isola.
Il 10 ottobre 1868 Carlos Manuel
De Cespedes, ricco proprietario terriero, libera tutti i suoi schiavi e lancia
un proclama indipendentista contro la Spagna. Inizia la I° guerra di
indipendenza o 'guerra dei 10 anni'. Altri dirigenti della rivolta
furono il generale dominicano Maximo Gomez, il mulatto Antonio Maceo e Josè
Martì, la figura più prestigiosa della storia cubana, che allora aveva solo 16
anni. I ribelli capitolano il 10 febbraio 1878 rinunciando all'indipendenza ma
ottenendo la liberazione degli schiavi neri e cinesi. Solo Maceo respinge il
trattato di pace e guida 'la piccola guerra' (79-80) dando vita alla
famosa 'protesta di Baraguà' che divenne poi (fino ai giorni nostri)
il simbolo della resistenza
Nel 1886
viene abolita ufficialmente la schiavitù (anche come conseguenza della
meccanizzazione della produzione saccarifera.), senza apportare un reale
miglioramento delle condizioni di vita delle masse. La penetrazione USA è
sempre più marcata.
Nel gennaio del 1892 Josè Martì
fondò il Partito Rivoluzionario Cubano che si poneva gli obbiettivi di
indipendenza dell'America Latina dall'imperialismo spagnolo e USA, organizzazione
della lotta armata nella guerra di liberazione, rifiuto di ogni forma di
segregazione razziale. Martì rientra dall'esilio e si incontra con i vecchi
compagni di lotta dando vita, il 25 marzo 1895 al 'Manifesto dei
Montecristi'. Ebbe così inizio la Seconda Guerra d'Indipendenza che durò
fino al 1898. Martì morì in combattimento nel maggio 1895.
In quei
medesimi anni le potenze europee si dividevano l'Asia e l'Africa, gli Usa si
espandevano nelle Antille, Filippine, Porto Rico, Guan nel Pacifico e, fallito
il tentativo di comprare Cuba dalla Spagna per 6 milioni di dollari,
utilizzarono la 'misteriosa' esplosione del Maine (il 15 febbraio
1898), incrociatore che si trovava nella baia dell'Avana, col compito di
proteggere i cittadini statunitensi dagli eccessi della guerra (solito pretesto
che si ripeterà anche nella storia recente)per sbarcare con i marines il 22
aprile. Gli insorti cubani avevano di fatto vinto la guerra; ma per ironia
della sorte la vittoria dei Mambì, le truppe ribelli, divenne in realtà
vittoria degli Usa.
Il 1°
gennaio 1899 nasce la 'repubblica mediatizada', dipendente dagli Usa,
i quali, tra le altre cose, imposero l'emendamento Platt che prevedeva:
controllo sulle tariffe doganali; divieto per il governo di Cuba di stipulare trattati
internazionali o contrarre prestiti senza l'approvazione Usa; concessioni per
gli Stati Uniti di basi militari a Cuba (tra le quali quella di Guantanamo,
tuttora occupata!); il potere agli Usa di intervenire militarmente nell'isola .
Inoltre viene imposto un Trattato di reciprocità commerciale per
'regolare' il sistema di dazi e tariffe fra i due Paesi, favorendo i
grandi Trust nordamericani. Per obbligare i cubani al rispetto della nuova
situazione, i marines intervennero 3 volte nel giro di 11 anni: nel 1906, 1912,
1917. Oltre agli interventi repressivi, gli Usa imposero governi fantoccio e,
nell'intresse della libera concorrenza fra le varie banche e grandi industrie
nordamericane, imposero a Cuba un sottosviluppo cronico ed una esasperata economia
basata unicamente su un'unica coltivazione.
Le
condizioni di vita arretratissime, l'analfabetismo, le malattie, la
sottoalimentazione, la mortalità infantile furono il terreno che dette origine
al movimento operaio e rivoluzionario. Nel 1925 nacque il 1° Partito Comunista,
fondato da Julio Antonio Mella che morì in esilio in Messico il 10 gennaio 1929
a soli 29 anni, assassinato da un sicario del dittatore cubano Gerardo Machado,
il quale operò una feroce repressione del movimento operaio. A lui si deve la
costruzione nell'Isola dei Pini (oggi Isola della Gioventù) del
penitenziario-lager per gli oppositori. Da una parte si susseguono scioperi e
manifestazioni di massa e, dall'altra parte una processione di dittatori
sanguinari. Nel 1934 si verificò l'ultimo grande sciopero generale, schiacciato
con la forza dal governo. Nel 1940 sale al potere Fulgencio Batista e, a
seguito dell'alleanza USA-URSS nella II° guerra mondiale, il PC entra (fino al
1944) nel governo. Nel Paese regna la corruzione e la miseria. Nel 1952 Batista
sospende le garanzie costituzionali, assolda gruppi di gangster e, con il
riconoscimento ufficiale degli Usa, iniziano vere e proprie esecuzioni di
massa.
Nel
1953, centenario della nascita di Martì, il 26 luglio, uno studente universitario
di nome Fidel Castro Ruz, seguace del partito Ortodosso, guida l'assalto alla
caserma Moncada di Santiago. L'attacco fallì e molti dei combattenti vennero
torturati dopo la cattura ed uccisi sommariamente. Malgrado la sconfitta,
l'assalto al Moncada dimostrò che in Cuba esisteva un gruppo capace di
preparare e compiere un'audace azione di guerriglia, senza che la polizia di
Batista, considerata onnipresente ed inattaccabile, si accorgesse di nulla. I
superstiti furono condannati a pene detentive nel super carcere dell'Isola dei
Pini. In occasione del suo processo Fidel Castro trasformò la sua autodifesa
'La storia mi assolverà' in un atto di accusa del regime. Verrà
liberato in seguito ad una amnistia nel 1955 e riparerà in Messico.
Assieme al
fratello Raul e all'argentino Ernesto Guevara, detto 'Che', organizza
il Movimento 26 Luglio.
Nel dicembre 1956, 82
guerriglieri sbarcano col mitico Granma a Cuba, contemporaneamente la città di
Santiago insorge ma la rivolta viene nuovamente soffocata nel sangue. I
superstiti, stremati e senza armi, si rifugiano sulla Sierra Maestra; qui
cominciano a riorganizzarsi, ampliando le proprie file con nuovi volontari e
con l'aiuto dei contadini. Fra i comandanti sulla sierra, oltre a Fidel, Raul e
al Che, ci sono Camilo Cienfuegos e Celia Sanchez.
Nella notte
di capodanno del '59 Batista e i suoi seguaci fuggono in aerei carichi d'oro
verso gli Usa. Il 1° gennaio 1960 i barbudos entrano all'Avana. La
rivoluzione cubana aveva vinto
Cuba, terra della musica, dello zucchero e del rum.
A Miami e a New York, i manifesti multicolori di propaganda promettevano
delizie al turista statunitense. Palme, spiagge, sole; rumba, carnevali,
alcool. Tamburi suonati da negri, riti di magia nera, donne bianche e negre.
Con un sorriso di complicita', al visitatore veniva garantito un 'sicuro
effetto afrodisiaco' quando, al tramonto, sarebbe giunto a Cuba, la perla
dei Caraibi: e tutto questo ben di Dio era in vendita, tutto compreso nel
prezzo fissato dalle agenzie turistiche.
Venne un giorno
in cui i manifesti multicolori furono violentemente strappati e si pote' vedere
chiaramente che cosa nascondessero in realta'. Effetto afrodisiaco In
effetti, piu' che di un composto magico, si trattava del prodotto finale di una
industria assai redditizia: la prostituzione. All'Avana, erano diecimila le
donne che esercitavano quel mestiere; e ogni giorno, puntualmente il capo della
polizia incassava ia sua percentuale. Ma questo era solo, a ben guardare, un
particolare di un quadro piu ampio, un tempo occultato dai manifesti
variopinti.
All'epoca,
un cubano su tre era analfabeta; un cubano su due a godeva di un reddito annuo
medio di 100-150 dollari. Negli anni '50, stando all'UNESCO, Cuba apparteneva a
un gruppo di paesi il cui reddito medio pro capite oscillava tra i 300 e i 499
dollari l'anno. Tuttavia, tra il senor Julio Lobo, re dello zucchero, o
il senor Emilio Bacardi', re del rum, situati al vertice della piramide
sociale, e la base di questa, costituita dagli strati piu poveri della
popolazione, la distanza era piuttosto notevole: al punto che, come si e detto,
uno su due cubani a 'godeva' di un reddito che non superava i 100-150
dollari all'anno. Ma era non tanto nella capitale dell'isola, L'Avana, quanto
nelle zone rurali, che si poteva toccar davvero con mano l'entita' della
disuguaglianza sociale. Prendiamo a esempio la produzione agricola,
fondamentale, la canna da zucchero. Il 41,9% delle piantagiom era proprieta di
sei grandi aziende; e, secondo un inchiesta condotta nel 1957 dalla, Agrupaci&0graven
Catòlica Universitaria, su dieci cubani appartenenti alla popolazione rurale
meno di due consumavano carne. Latifondo da un lato, miseria dall'altra:
quest'era la Cuba che i turisti nordamericani non avevano mai avuto modo di
conoscere.
E non era
ancora tutto. Uno su quattro cubani appartenenti alla popolazione attiva era
soggetto al tiempo muerto, il tempo morto, com'era chiamata la
disoccupazione ciclica che, ogni anno, bussava all'uscio del lavoratore.
Perche', finito il raccolto della canna da zucchero il problema diventava: che
fare? Per tre mesi, tutti avevano da lavorare, I'economia agricola basata sul
latifondo richiedeva braccia e ancora braccia; ma il periodo finiva, e quindi
cominciava il tiempo muerto. A1cuni riuscivano a trovare un altro lavoro
come addetti alla manutenzione del terreno oppure presso le distillerie. La
maggior parte, tuttavia, era costretta ad andarsene. Nelle citta era possibile
trovare solo occupazioni occasionaIi, e c'era all'epoca chi pFeferiva
rifugiarsi sulle montagne piu vicine, tra cui la Sierra Maestra nella provincia
di Oriente.
Qualcuno,
ancora, trovava itmpiego in altre attivita' di raccolta collettiva, come quella
del caffe; altri tentavano di cavare faticosamente di che vivere da un
minuscolo appezzamento di rerra che poteva permettere al piu' un'economia di
sussistenza. Occupavano terre che non erano di loro fproprieta', a volte
tollerati dal latifondista o dal contadino ricco, altre espulsi seduta stante.
I piu' fortunati tra questi riuscivano a volte a trasformarsi in precaristas,
vale a dire piccoli coltivatori diretti 'precari', senza alcun
diritto legale, che zappavano terre marginali, frazioni di ettaro lungo questo
o quel pendio montano. Ma anche queste, a conti fatti, davano ben scarso
reddito, mentre le bocche da sfamare erano tante. E c'era chi, in mancanza di
altri mezzi di sussistenza, si costruiva un bohìo, la dimora della
popolazione rurale precaria, addirittura ai margini delle strade. Tutti costoro
rientravano nel novero dei tipici campesinos, piccolissimi proprietari o
fittavoli costretti a rinnovare il contratto di anno in anno. E su tutti, in un
modo o nell'altro, si proiettava l'ombra del taglio della canna, e non solo
perche' era facile incontrare tra loro il bracciante agricolo stagionale che il
tiempo muerto aveva costretto a mettere radici su un fazzoletto di terra,
ma anche perche', a rigor di termini, i legami con la calia non erano mai
sciolti del tutto. E, se non il capofamiglia, almeno i suoi figli (che potevano
essere cinque o dieci) spesso erano travolti dal circolo vizioso del tiempo
muerto. Erano troppi per poter essere assunti stabilmente in una piccola
piantagione di caffe'; ma, se le braccia erano in eccesso, non era certo troppo
quello che riuscivano a mettere sotto i denti. Quest'era dunque Cuba: un paese
di cui era per lo meno difficile affermare che godesse di buona salute. Ma si
trattava di una repubblica, e come tale avrebbe dovuto godere per lo neno
dell'indilpendenza. E che faceva il governo suppostamente indipendente
dell'isola per porre rimedio ai mali di questa? Si, era ancora vivo il ricordo
del tentativo, compiuto negli anni '30 da un gruppo di civili sotto la guida di
Antonio Guiteras, di creare un governo popolare che dopo quattro mesi fu pero
abbattuto da un golpe militare, organizzato da Fulgencio Battista. Da allora,
la maggior parte dei c omponenti la popolazione civile aveva fatto tesoro della
lezione, e anche i borghesi giocavano al colpo di stato. Era insomma il tipico
meccanismo politico operante, all'epoca, nella maggior parte dei paesi centro e
sudamericani. Inutile dire che gli unici a disporre di una forza effettiva
erano i militari; ma i governi da essi costituiti avevano un difetto, ed era
che, dopo un certo periodo, finivano per irritare e stancare; sicche' i
militari si prendevano una vacanza, e lasciavano che fossero i civili a
occupare le poltrone governative, fino al prossimo colpo di stato. In attesa di
questo, preferivano lasciare che a sbrogliarsela fossero i civili i quali, a
parole, possedevano un programma-panacea universale. E quando poi il programma
si riduceva a carta straccia, e con esso svanivano le illusioni, i militari
tornavano a ristabilire l'ordine, fino al giorno in cui i loro metodi di
governo avessero esasperato la gente, e cosi di seguito.
Il processo rivoluzionario mise fine a questo gioco di bussolotti. Esso ebbe inizio, quasi due decenni or sono, con l'assalto alla caserma Moncada a Santiago, capoluogo della provincia di Oriente, avvenuto il 26 luglio 1953. A guidare i rivoltosi era Fidel Castro. Il piano prevedeva la conquista delle armi custodite presso quella caserma (e presso un'altra, piu piccola), per poi consegnarle al popolo e dare il via immediatamente all'insurrezione armata. Centosettanta giovani, che all'alba di quello stesso giorno si erano raccolti in un finto'allevamento di polli' , ascoltarono la allocuzione di Fidel: 'Compagni ', disse questi, 'tra qualche ora sarete vittoriosi o sconfitti. Ma in ogni casoÑe fate bene attenzione a quello che vi dico, compagni! Ñ in ogni caso il nostro movimento finira' per trionfare. Se domani sarete vittoriosi, si potra' realizzare piu' in fretta quello cui aspirava Marti''. Un istante prima di dare il via all'azione, Fidel evocava dunque quelli che, per un cubano, erano i ricordi piu cari. Neppure , eroe della guerra di indipendenza, per quanto fosse un civile e non un militare, aveva esitato quando s'era trattato di scendere in campo e di affrontare la morte. Le sue idee, tra le piu avanzate all'epoca in cui era vissuto, verso la fine del XIX secolo, continuavano a ispirare quei giovani nei quali, oltre all'aspirazione alla liberta, fermentava l'anelito alla piena indipendenza nazionale, il compito che Marti' aveva lasciato a mezzo. Piu vicino nel tempo, un altro esempio li incitava all'azione, quello di leader che, nerrwento di impartire dina mismo all'azione sociale, nel 1951 si era suicidato in maniera spettacolare davanti ai microfoni della radio. Alla corruzione dei governanti e ai maneggi elettorali, Chibas, munito di una simbolica scopa, opponeva una parola d'ordine immutabile: a Dignita contro denaro ¥. La sua scomparsa non aveva pero impedito al suo programma di conservare piena attualita, ed ora esso imponeva ai giovani di riunirsi nelle prime ore di quel 26 luglio, di affrontare altrettanto coraggiosamente la morte, se questa era utile al trionfo delle loro idee. L'assalto alla non riusci', ma fu comunque un'esplosione sufficiente a innescare un pro ces so rivoluzionario. Benche allepoca non sussistessero condizioni tali da permettere il passaggio diretto all'insurrezione generale, la giornata del 26 luglio 1953 rivelo chiaramente qual era la via che a essa avrebbe condotto: la lotta armata.
Per i nordamericani, manifesti policromi; per i
cubani, il meccanismo politico dei colpi di stato. Tra questi due estremi, come
abbiamo visto, si collocavano i grandi problemi irrisolti dell'isola. C'era
però anche un terzo piano: di là dalla miseria e dal tiempo muerto,
dall'analfabetismo e dalla corruzione, era possibile scorgere qualcosa d'altro,
le conseguenze di quel che era avvenuto alla fine del secolo, quando gli Stati
Uniti avevano occupato militarmente l'isola obbligando tutta quanta la
popolazione a dedicarsi alla produzione dello zucchero di cui i primi avevano
bisogno. Zucchero, sempre zucchero, null'altro che zucchero: e Cuba si
trasformò in un paese di monocoltura, senza mai avere il tempo e il modo di
industrializzarsi. La conseguenza era che qualsiasi manufatto doveva essere
acquistato all'estero. Con quali divise? Quelle ricavate dall'esportazione
dello zucchero, quasi completamente indirizzata verso gli Stati Uniti. Sicché,
quanto più era lo zucchero cubano acquistato dagli Stati Uniti, tanto maggiore
era la quantità di beni di consumo che a sua volta Cuba poteva acquistare negli
Stati Uniti, dalle Cadillac agli alimenti in scatola.Per una cinquantina
d'anni, il sistema parve funzionare più o meno bene. Ma, negli anni '50 si
verificò un intoppo.
Il governo
cubano decise di limitare la produzione di zucchero, in ragione delle
restrizioni poste alle vendite all'estero: il mercato nordamericano preferiva
lo zucchero prodotto localmente, dai coltivatori statunitensi di barbabietole.
Tuttavia, se la produzione cubana doveva per forza di cose venire ridotta (e
con essa le importazioni, poiché, come si é visto, dipendevano strettamente dal
volume delle esportazioni), la sua popolazione continuava a crescere. La
conseguenza era che, restando uguale la quantità dei beni di consumo, questi
dovevano essere distribuiti a un numero di individui di anno in anno maggiore;
e di pari passo con l'incremento demografico aumentavano i mali tradizionali
dell'isola i quali, lungi dal trovar soluzione, peggioravano
progressivamente.Ma v'era chi 'vegliava' per i cubani. Gli Stati
Uniti, che come si é detto alla fine del secolo scorso avevano costretto
l'isola a produrre quasi null'altro che zucchero, ora proponevano una soluzione
politica ai suoi problemi economici, e la soluzione aveva un nome proprio,
quello di Fulgencio Batista. In realtà, si trattava di null'altro che di una
nuova versione dei colpi di stato in serie, con funzioni preventive,
caratteristici dell'America centrale e meridionale. Se erano inattuali i
governi militari, altrettanto lo erano le coalizioni civili classiche, da un
lato prive ormai di prestigio, dall'altro incapaci di frenare il malcontento in
rapida ascesa, di convincere i cubani che miseria, tiempo muerto,
analfabetismo, prostituzione erano mali inevitabili; che inoltre dovevano
rassegnarsi alla riduzione delle proprie entrate e che, infine, la monocoltura
e il latifondo, lungi dall'essere anomalie economiche, erano un destino. Era
dunque indubbiamente suonata l'ora di sostituire anche le coalizioni civili con
quello che, da quasi due decenni, era l'uomo forte dell'isola, Fulgencio
Batista, a proposito del quale Arthur Gardner, per quattro anni ambasciatore
degli Stati Uniti all'Avana, affermava che 'non abbiamo mai avuto un amico
migliore'. Ma chi era Fulgencio Batista agli occhi dei cubani? Un sergente
che, negli anni '30, si era schierato sotto la bandiera del nazionalismo (cosa
che, all'epoca, comportava un impegno politico e sociale avanzato), per quindi
rinnegarlo; e che, negli anni '40, divenuto nel frattempo generale, aveva
governato sotto etichetta liberale nella congiuntura della seconda guerra
mondiale. Negli anni '50, senatore, col sostegno dei militari aveva imposto al
paese la propria dittatura. Era cresciuto alla scuola di un esercito di
carriera, i cui componenti, dal generale all'ultimo soldato, erano uniti, per
la vita e per la morte, dallo stesso legame: il salario sicuro, la possibilità
di carriera, la pensione, i vantaggi economici della casta. Fulgencio Batista,
il sergente che, nella sua parentesi nazionalista degli anni '30, era riuscito
a farsi nominare colonnello, questo singolare self-made man castrense,
divenne ben presto il capo di un siffatto esercito. E si trattava d un uomo
venuto dal niente: suo padre aveva lavorato alla zafra , il taglio della
canna. Un elemento questo che, in terra cubana, dove vivissima era la
tradizione delle lotte operaie, di eccezionale vigore rispetto al contesto
centroamericano, aveva una certa importanza. E per soprammercato, figlio di un
paese in cui così forte é la minoranza negra, Fulgencio Batista era mulatto. II
personaggio pareva fatto su misura per le necessità storiche, degli anni '50.
Il colpo di stato da lui organizzato non urto contro nessuna resistenza degna
di tal nome; e la sua dittatura si iniziò proponendosi come obiettivo quello di
indurre i cubani a rassegnarsi ai mali di sempre, di far loro pagare le
conseguenza della crisi zuccheriera, di portare Cuba a schierarsi fianco a
fianco agli USA sul terreno della guerra fredda. Non tutti i cubani chinarono
il capo. La protesta andò anzi crescendo in vigore; e un bel giorno si verificò
l'esplosione rivoluzionaria, l'assalto alla caserma Moncada. Quale fu la
reazione di Fulgencio Batista? Servendosi dell'esercito, schiacciò i rivoltosi
e la maggior parte dei giovani che avevano partecipato all'azione caddero
prigionieri; per parecchi giorni furono torturati e quindi sommariamente
giustiziati. La risposta repressiva data dalla dittatura non era soltanto
inumana: essa non era neppure in rapporto proporzionale con l'impresa tentata
da quei centosettanta giovani armati di doppiette più adatte a uccidere
passeri. Il fatto che, non appena iniziata, la impresa fosse andata incontro al
fallimento, i suoi moventi romanticheggianti, e il fatto ancora che neppure per
un istante era stata messa in forse la stabilità del governo, al quale le
truppe erano rimaste fedeli, erano tutti elementi che avrebbero dovuto indurre
alla clemenza. Ma Fulgencio Batista non era certo andato al potere per
mostrarsi clemente. Alterò i fatti, accusò i giovani di aver assassinato dei
soldati, credendo con ciò di avere il pretesto per infliggere un castigo
esemplare. E tutti coloro i quali si levavano a protestare, che scendevano in
sciopero, che partecipavano a manifestazioni di strada o alla lotta armata, che
aspiravano a uscire dall'asfissiante atmosfera economica della monocoltura,
sapessero bene a cosa andavano incontro! E, dal suo punto di vista, il
dittatore aveva ragione. Date le condizioni economiche in cui versava l'isola,
ulteriormente aggravate dalla guerra fredda, c'era un solo modo di continuare a
governare secondo la tradizione: ricorrere al terrore.
Il terrore Abbagliati dai manifesti multicolori, i turisti nordamericani, che affluivano alla terra della musica, dello zucchero e del rum, non si avvedevano della sua esistenza. Ma, come abbiamo detto all'inizio, giunse il giorno in cui i manifesti in questione furono violentemente strappati, e ciò si verifico al momento dell'esplosione rivoluzionaria, l'assalto alla caserma Moncada. All'epoca, Cuba era anche questo: il massacro di prigionieri inermi. Fidel Castro, che aveva guidato il fallito assalto, fu sottoposto a processo. Ma a trovarsi sul banco degli imputati, non fu lui, bensì la dittatura; e, insieme a questa la miseria, il tiempo muerto, l'analfabetismo, la corruzione. Perché Fidel ignorò i capi d'accusa e espose invece un programma rivoluzionario, quello contenuto nel testo della sua autodifesa, divenuta in seguito celebre col titolo La storia mi assolverà . Condannato a sedici anni di detenzione, dopo ventun mesi una memorabile campagna, pacifica e di massa, che segnò una tregua nella lotta armata e una fase di stanca del terrorismo repressivo, lo riportò in libertà. Fidel Castro, il rampollo di una famiglia di agrari, il dirigente universitario di cui era ancora vivo il ricordo, il giovane avvocato più impegnato a far politica che a procurarsi cause, approfittò dei mesi trascorsi dietro le sbarre per completare la sua formazione culturale, leggendo Martì, Marx, Lenin. Nonostante tali letture, Fidel conservava ancora le convinzioni religiose che gli erano state impartite durante l'infanzia. Toccò comunque con mano una realtà: nel contesto della guerra fredda, le idee marxiste che ora tanto lo attraevano urtavano contro tenaci resistenze persino tra le masse popolari urbane. Così, mentre i comunisti ideologicamente si battevano con l'avversario, assaltandolo frontalmente, Fidel decise che conveniva tentare una manovra aggirante, passando per la strada del nazionalismo avanzato, una copertura grazie alla quale avrebbe potuto imporre, sotto un'altra veste, quelle soluzioni marxiste che riteneva necessarie alla realtà cubana. Inoltre il 'nationalismo' faceva appello allo spirito che animava i suoi compagni. Ed é tipico di Fidel, lo stratega politico, l'intellettuale, il leader sempre in prima linea, l'aver scelto una soluzione del genere.Liberato dal carcere, Fidel é costretto all'esilio, ed eccolo in Messico intento a preparare l'invasione d Cuba. Gli sono accanto Camilo Cienfuegos, di cui avremo modo di occuparci più avanti, Raul Castro suo fratello minore, ed Ernesto Guevara, l'argentino soprannominato dai compagni 'il che', dall'interiezione di cui faceva così frequente uso, del resto diffusissima in Argentina, e che significa 'Ehi, senti !'. E giunse anche Frank Paìs, capo della resistenza nella provincia di Oriente: non per partecipare alla spedizione, ma per coordinare le azioni da condurre a Cuba in appoggio allo sbarco. A un certo punto, la polizia messicana trae in arresto Fidel a causa delle sue attività insurrezionali; si interessa a lui Teresa Casuso, una cubana che da parecchio tempo vive all estero. 'Sono andata a trovarlo in carcere -riferisce Teresa- al momento del congedo gli ho offerto la mia casa, aggiungendo la solita frase fatta: 'Ricordati che in me hai un'amica'. Solo che con Fidel Castro non sono cose che si dicono per semplice cortesia: due giorni dopo era in libertà e, un'ora più tardi, se ne stava seduto sul divano del mio soggiorno. Un sofà che, dopo tre notti, era ormai il suo letto E come se non bastasse, il piano superiore di casa mia si andava trasformando in un arsenale pieno di armi e munizioni.' Così era fatto Fidel, quest'uomo dotato di una straordinaria capacità di coagulare attorno a sé le volontà, di suscitare la fede in imprese apparentemente impossibili. 1956. Un panfilo, il Granma, salpa dal Messico con a bordo gli uomini che dovranno invadere Cuba. Sono ottantadue, un numero che supera di parecchio la portata effettiva del panfilo. Un guscio di noce in mezzo al mare: quale impresa potrebbe sembrare più impossibile? Si direbbe che la storia, per raggiungere i propri fini, ricorra all'ironia: il guscio di noce, che nessuno prenderebbe sul serio, trasporta in realtà il detonatore che innescherà la carica destinata a sconvolgere in breve tempo l'isola intera. E l'astuzia sembra il segno sotto cui si svolge anche il gioco tra Fidel, il rivoluzionario, e Fulgencio Batista, il controrivoluzionario. Necessità demagogiche avevano imposto il governo di quest'ultimo, il mulatto figlio di proletari, le necessità di una rivoluzione che avrebbe avuto luogo a centottanta chilometri dagli Stati Uniti imposero che a esserne il protagonista fosse il rampollo di una famiglia di agrari, gente religiosa, che aveva frequentato l'università dei ricchi. Stando al copione storico tradizionale, Fidel risultava del tutto insospettabile, date appunto le sue origini. Egli però stava subendo un processo di maturazione ideologica, le cui conseguenze ultime per il momento nessuno avrebbe potuto prevedere. E fu così che, qualche anno dopo Fidel si sentì autorizzato ad afferrare 'possibile che, all'epoca, io sia apparso meno radicale di quanto fossi in realtà. Ma é anche possibile che fossi meno radicale di quanto io stesso non credessi'. E' certo comunque che a Cuba, a centottanta km dagli USA, la storia stava per giungere a una svolta.
Camilo Cienfuegos conta ventiquattro anni quando
giunge in Messico per partecipare alla spedizione del Granma. E' una età che
corrisponde a quella media dei suoi compagni: Camilo e più giovane di Fidel e
del Che, ma più vecchio di Raul Castro e di Frank Paìs. Due anni più tardi,
trasformato in barbuto e in leggendario capo guerrigliero, entrerà all'Avana
alla testa delle colonne dell'esercito ribelle, al fianco del Che. Per il
momento, Camilo Cienfuegos é un giovane come tanti altri, mosso dal
patriottismo e dallo spirito di avventura. La lotta farà di lui un leader, ma
adesso egli non é che un semplice volontario. Tale, per lo meno, può sembrare.
Certi
particolari sulla sua biografia e gli aneddoti che corrono sul suo conto ci
dicono però qualche cosa di più. Un mattino all'alba, poco dopo il golpe di
Fulgencio Batista, in casa dei genitori, con i quali all'epoca Camilo viveva,
era comparso un cane randagio; e Camilo lo aveva adottato come prima altri
cani, battezzandolo Fulgencio: gli era parso che fosse il nome più adatto per
un bastardo. Gli é che, in quella casa, la politica era pane quotidiano. Il
padre di Camilo, Ramòn, uno spagnolo, era stato attivista sindacale della Uniòn
de Operarios Sastres (Unione dei lavoratori di sartoria) e qualche anno prima
aveva pubblicato un manifesto dal titolo incendiario La rivoluciòn rusa si
extenderà por el mundo (la rivoluzione russa si estenderà a tutto il
mondo). In seguito, durante la guerra civile spagnola, Camilo, ancora bambino,
aveva spesso accompagnato il padre durante le sue collette per la raccolta di
fondi.Buon narratore, amante degli animali, audace e pronto ad affrontare qualsiasi
rischio, animato da un profondo senso dell'amicizia, Camilo mancava però di una
virtù, la disciplina. All'epoca, tuttavia, poteva sostituirla con lo spirito
d'avventura. Operaio come suo padre, un giorno aveva deciso di andare negli
Stati Uniti.
Lì aveva
fatto i lavori più svariati, nessuno dei quali stabile. Ma un bel giorno il
cubano emigrato avverte 'un gelo da spaccare il cuore a chiunque', e
ritorna in patria. La distanza gli ha permesso di rendersi conto ,dei mutamenti
intervenuti. E' partito con Batista al potere; tornato, ritrovava ancora
Batista al suo posto: con la differenza che l'ex sergente ha ormai dato fondo a
tutti i suoi trucchi demagogici, mostrando apertamente il ceffo del dittatore.
'Sono certo, -scrive Camilo a un amico nel 1956- che se tu fossi a Cuba
resteresti sbalordito delle cose che qui avvengono. I soprusi sono tali, che
solo chi ne é testimone può convincersi della loro realtà'. La lotta per
le strade, le manifestazioni che, nelle città, si sono trasformate in aperta
protesta, lo coinvolgono, e Camilo finisce una volta in carcere e un'altra
all'ospedale. In quel torno di tempo, gli capita un'esperienza che non
dimenticherà mai più, e la riferisce in una sua lettera: -Fu quando il mio
vecchio, travolto dalla tensione e dall'emozione, levò la benda macchiata di
sangue con cui mi aveva tamponato la ferita, e disse: 'E' il sangue di mio
figlio, ma é sangue versato per la rivoluzione'-. Il padre e il figlio,
che un tempo avevano raccolto, fianco a fianco, fondi per la guerra civile
spagnola, sarebbero ancora proceduti assieme. La tradizione rivoluzionaria non
era andata perduta: al pari di tanti altri giovani cubani della sua
generazione, Camilo si era assunto la responsabilità di portarla avanti. Non
gli fu però concesso di partecipare a lungo, dopo la vittoria sulla dittatura,
alla costruzione della sua nuova patria: il 28 ottobre 1959, Camilo Cienfuegos
moriva in un incidente aereo. Ma egli continua a vivere nella memoria di un
popolo che si riconosce pienamente in colui che, semplice lavoratore, fu
esaltato dalla rivoluzione a capo leggendario di un popolo che ha fatto proprio
il motto: 'C'é stato un Camilo, ci saranno molti Camilo'.
Il panfilo Granma raggiunge le coste cubane il 2
dicembre ,1956. Tre giorni dopo i membri della spedizione, attaccati di
sorpresa, sono decimati. Sotto una pioggia di pallottole, il Che, che era stato
arruolato come medico della spedizione, si trova, come egli stesso ricorda,
alle prese con un dilemma, quello tra professione e rivoluzione. 'Avevo
davanti a me -egli racconta- uno zaino pieno di medicinali e una cassetta di
pallottole. Pesavano troppo per trasportarli tutte e due; ho preso la cassetta,
lasciando lo zaino'. In seguito il Che, più che medico, sarà guerrigliero.
Alla fine, degli ottantadue componenti la spedizione non più di una decina sarà
ancora in grado di combattere. Inoltre, lo sbarco avrebbe dovuto essere
sostenuto da una sollevazione generale dell'isola, ma una sommossa ci sarà solo
a Santiago, dove i miliziani comandati da Frank Paìs occupano alcuni quartieri
della città; alla fine però, privi di ogni appoggio, sono costretti a
ritirarsi. Comunque Fidel, che si dirige adesso verso la Sierra Maestra, ha
potuto constatare che la popolazione della zona solidarizza con lui, e ciò vale
soprattutto per il leader dei contadini precaristas, Crescencio Pérez.
E' un sostegno che si spiega anche con la situazione contingente. I precaristas
sono stati testé oggetto di espulsioni in massa a opera di gruppi di
latifondisti produttori di caffè: provvedimenti che si aggiungono alla loro
miseria secolare, al penoso circolo vizioso del tiempo muerto. A completare il
quadro delle loro disgrazie, é venuto l'ordine di togliersi dai piedi.
Crescencio Pérez, uomo pronto alla lotta armata e che si e forgiato in quella
per la terra, ha bisogno dell'aiuto militare di Fidel; e il giovane di origine
cittadina, dalle idee radicali, si presta di buon grado alla bisogna. E' da
questa congiunzione che nascono la guerriglia e la sua bandiera, la riforma agraria.
La guerriglia inaugura anche per altra via un dialogo col resto del paese. A
parte i due primi mesi, in seguito essa non sarà più isolata. Il Che ricorda
che proprio quando un reportage giornalistico era più importante di una
vittoria militare, il 'New York Times' ha pubblicato la serie di
articoli di un suo prestigioso collaboratore, Herbert Matthews, che si era
recato al persona nella Sierra Maestra. Attraverso la rivista
'Bohemia', che riproduce gli articoli, Cuba viene così a sapere che
Fidel Castro é vivo e continua la lotta e, come se non bastasse, la guerriglia
ha avuto l'avallo della parte liberale dell'opinione pubblica statunitense,
rappresentata dal grande foglio newyorkese. Viene così creandosi un clima
favorevole alla solidarietà civile, agli aiuti economici, alla propaganda e
all'afflusso, nelle file dei guerriglieri, di volontari giunti dalle città. Il
turbine si sposta subito dopo all'Avana, dove ha luogo un fallito attentato
contro Fulgencio Batista. Il Directorio Revolucionario, organizzazione formata
da universitari e che é estranea al movimento di Fidel, decide di sferrare
l'assalto al palazzo presidenziale; nel corso dell'azione cadono parecchi dei
suoi aderenti, tra i quali il presidente della Federaciòn Estudiantil
Universitaria, Josè Antonio Echeverrìa. E quello stesso giorno, nel quadro di
una nuova ondata repressiva lanciata dalla dittatura, viene assassinato il
presidente del Partito ortodosso (liberale di opposizione) Pelayo Cuervo. Due
mesi dopo, il fulcro degli avvenimenti diviene Santiago, dove é in corso il
processo a carico de i partecipanti al la spedizione del Granma caduti in mano
all'esercito. II giudice Manuel Urrutia (e questo suo atteggiamento gli
assicurerà, due anni dopo, caduta la dittatura, la presidenza della repubblica)
fa propria l'opinione della minoranza dei giurati e pronuncia un verdetto di
assoluzione, proclamando il diritto dei detenuti di ribellarsi alla dittatura.
Si sono appena spenti gli echi dell'inaspettata sentenza, quando a prendere la
parola e la Sierra: al termine di un combattimento durato varie ore, la
guarnigione militare dell'Uvero é messa in rotta. Anche in precedenza si erano
avuti scontri con l'esercito, ma questo é il primo di una certa entità. Sul
piano politico, in un momento in cui la censura sulla stampa e stata sospesa,
la risonanza di questa vittoria dei ribelli é enorme in tutto il paese. Ma gli
effetti sono cospicui anche sul piano militare: di fronte all'impossibilità di
difendere le sue guarnigioni isolate tra le montagne, l'esercito evacua una
vasta zona che passa sotto il controllo dei guerriglieri, cosa questa che
assicurerà loro una fase di relativa tranquillità, di cui approfitteranno per
promuovere un'azione sociale a beneficio delle popolazioni rurali: assistenza
medica e didattica, confisca dei raccolti ai proprietari terrieri conniventi
con la dittatura.
Avviene così
che molti contadini per la prima volta mangino carne, per la prima volta
sappiano che cos'é un medico, che finalmente imparino a leggere e a scrivere.
Si costituisce un battaglione di donne volontarie, il cui valore non é certo da
meno di quello degli uomini; ciononostante, all'inizio ci sono proteste da
parte dei guerriglieri: le donne, dicono questi, possono essere impiegate come
infermiere o cuoche, ma la guerra non é per loro. Fidel tuttavia insiste; e del
resto ha i suoi buoni motivi per farlo: nessun cubano tollererebbe che una
donna gli sia superiore. E dimostra di aver ragione: la presenza femminile
serve da incentivo durante i combattimenti. Nel frattempo, la guerriglia va
sempre più affermandosi. Era una situazione che Fulgencio Batista non poteva
tollerare. E la sua reazione fu proporzionale alle sue possibilità e alla sua
mentalità. Nell'intento di isolare la guerriglia, ordinò la reconcentraciòn
campesina, vale a dire il concentramento dei contadini. Fu un vero e
proprio esodo: migliaia di persone per un'ampia regione attorno alla Sierra
Maestra furono cacciate dalle loro case e dai loro campi col ricorso alle bombe
incendiarie, per essere quindi rinchiuse tra barriere di filo spinato. La
risposta delle città, in particolare Santiago dove giunsero alcuni contingenti
dei contadini costretti ad abbandonare le terre, fu di tale vigore da obbligare
la dittatura a far marcia indietro e da rinunciare alla reconcentracion
campesina; ed é facile immaginare con che animo i contadini tornarono alle
loro case: sembrava che i latifondisti prima e ora la dittatura avessero fatto
e facessero del loro meglio per gettarli in braccio alla rivoluzione, e che
questa non avesse bisogno di andare a cercarli nelle loro case, perché li
trovava già in marcia. Nel pieno del caos prodotto dalla repressione, la
guerriglia appariva come l'unica certezza. Ma la città non era solo l'alleata
della Sierra: essa influiva anche per proprio conto sul corso degli eventi, e
lo dimostra quel che accadde a Santiago a partire dal 30 luglio 1957, giorno in
cui le pallottole della polizia falciarono Frank Paìs, capo della resistenza
della provincia di Oriente. All'epoca, Frank aveva soltanto ventitré anni ed
era uno dei giovani più benvoluti di Santiago; e la città intera se ne sentì
ferita. Due giorni dopo, quando si tennero i funerali che furono seguiti da una
moltitudine enorme, gli operai abbandonarono le fabbriche, i bottegai
abbassarono le saracinesche. La repressione non riesce a impedirlo: é lo
sciopero generale che, per cinque giorni, si estende all'intero paese. Il
governo non cade, ma traballa. E non riuscirà più a riprendersi. Se, tra le
montagne le masse rurali hanno fatto fronte comune con un settore
radicaleggiante della piccola borghesia, ora é il grosso della classe rurale e
dei lavoratori urbani a unirsi al processo rivoluzionario. E con che vigore! A
Santiago, la risposta alla uccisione di Frank Paìs non ha bisogno del pretesto di
rivendicazioni corporativistiche ne delle parole d'ordine di una qualsiasi
organizzazione. E' il 'Basta!' gridato alla dittatura da un popolo
intero. Lo sciopero generale rivoluzionario diviene così una possibilità
concreta. Tuttavia, é impossibile riprodurre a volontà l'impatto emozionale, ne
d'altra parte si può sostituirlo con parole d'ordine che non siano il frutto
della stretta collaborazione di tutte le organizzazioni anti Batistiane e non
solo del Movimento 26 de julio, come é stato chiamato, in ricordo dell'assalto,
guidato da Fidel, alla caserma Moncada. Per tale motivo, lo sciopero fallisce
quando, il 9 aprile 1958, viene prematuramente indetto; ma l'esperienza fatta
in tale occasione favorirà d'ora in poi la formazione di un ampio fronte anti dittatoriale.
A fianco del Movimento 26 de julio si schiererà cosi il grosso dei politici
liberali, i quali non possono restare insensibili alle istanze sociali: non
sono solo le masse ad abbracciare la causa della rivoluzione, ma accade che una
corrente della grossa borghesia zuccheriera cessi di prestare il proprio
appoggio a Fulgencio Batista, irritata dalle sue misure di politica economica.
E scenderanno in campo anche i comunisti, che hanno riaffermato la propria
influenza in seno al movimento operaio (un tempo lo dirigevano: quando
contavano tra le loro fila uomini come Jesùs Menéndez, leader dei lavoratori
dello zucchero, assassinato nel 1948); e con essi il Directorio
Revolucionario che rinuncia alla lotta armata nelle città e organizza la
guerriglia nella provincia di Las Villas, e ancora sacerdoti protestanti e
cattolici, questi ultimi mettendosi in conflitto con le alte gerarchie
ecclesiastiche. Ormai si é avviato un processo unitario. Nel periodo tra lo
sciopero spontaneo seguito all'uccisione di Frank Paìs e il fallito sciopero
del 9 aprile, il ciclone non ha cessato di imperversare. Oggi, rendendo
evidente il malessere che regna in seno alle forze armate, si solleva un
reparto di marina, domani é la guerriglia che dopo aver inflitto una serie di sconfitte
all'esercito sulla Sierra, investe la pianura con efficaci e fulminee
incursioni, la cui audacia, impone all'attenzione generale il nome di Camilo
Cienfuegos. Al comando di Raul Castro si apre un secondo fronte in un altro
settore montagnoso della provincia di Oriente, la Sierra Cristal; qui
l'aviazione nemica concentrerà le proprie incursioni, ma la volontà dei
contadini di una regione in cui i comunisti conservano la propria influenza
dall'epoca delle lotte agrarie degli anni '30 é più forte delle bombe: si
organizza la difesa antiaerea, la intera regione e messa sul piede di guerra
sotto la giuda civile e militare di Raul Castro. Finalmente la dittatura decide
di scatenare un'offensiva generale contro la Sierra Maestra: diecimila regolari
vengono lanciati contro trecento guerriglieri, i quali finiscono per essere
accerchiati in una zona del diametro di sette chilometri. E' una battaglia
decisiva, che si svolge lungo l'arco di due mesi, dal giugno al luglio del
1958. Ma l'offensiva della dittatura fallisce al momento dell'assalto decisivo:
l'inettitudine dei capi militari, la deficienza dei rifornimenti, che aumenta a
mano a mano che le truppe si allontanano dalla pianura, l'aperta ostilità dei
contadini, l'altissimo morale dei ribelli, le caratteristiche del terreno, il
fatto che quello é il periodo delle piogge, le capacità militari di Fidel, sono
altrettanti fattori che hanno certamente una cospicua influenza: ma, a conti
fatti, se trecento uomini riescono a metterne in rotta diecimila, é perché questi
non hanno nessuna intenzione di impegnarsi a fondo. L'impeto delle masse in
rivolta, le quali finora non sono riuscite a rovesciare il regime solo perché
mancavano di armi, e la cui espressione più eloquente si é avuta a Santiago,
durante i funerali di Frank Paìs, mina il morale degli organi repressivi della
dittatura. 'Non si può negare che l'esercito sia stato battuto dalla
fatica, dalle insidie dei guerriglieri e, soprattutto, dalla
demoralizzazione la quale raggiunse vette tali da indurre le truppe a
ritirarsi su posizioni difensive', questa l'ammissione fatta, qualche anno
dopo, da due collaboratori del regime, Jorge Garcìa Montez e Antonio Alonso
Àvila. Il ciclone rivoluzionario ha ormai travolto il paese intero. La pianura
e le città, indignate dai crimini e dal terrore, si schierano con la montagna.
E ancora una volta, come già in occasione della reconcentraciòn campesina, il
regime si rivela impotente: la sua grande offensiva 'finale' contro
la Sierra Maestra si risolve in una sconfitta perché la crescente resistenza
delle masse, per quanto ancora disarmate, lo obbliga a far marcia indietro. A
partire dalla provincia di Oriente, e sviluppandosi lungo l'asse Sierra
Maestra-Santiago, la rivoluzione avanza verso la parte occidentale dell'isola, alla
volta dell'Avana. Su questa convergono le colonne dell'Esercito ribelle al
comando del Che e di Camilo Cienfuegos. Quasi senza incontrare resistenza, a
marce forzate i guerriglieri giungono nella provincia di Las Villas, al centro,
dell'isola. Ormai, é la guerra civile. Ma Fulgencio Batista tenta ancora una
manovra, convocando le elezioni presidenziali: lui non si presenterà candidato,
si riserva solo di indicare il proprio successore. Ma il tentativo risulta
vano: il successore di Fulgencio Batista non riuscirà mai ad assumere
l'incarico. E il prezzo che la dittatura paga si rivela subito esorbitante: il
popolo boicotta le elezioni, Batista e i suoi si trovano attorno il vuoto,
hanno la precisa sensazione che per essi sia finita. Quella che segue, non é
che la resistenza disperata di alcuni dei suoi reparti militari. Si combattono
due battaglie: una a Guisa, nella provincia di Oriente, dove Fidel sconfigge un
nemico dotato di carri armati, e una a Santa Clara, capoluogo della provincia
di Las Villas, che vede il trionfo del Che il quale intercetta un treno
blindato. Entrambe le battaglie, in certi momenti assai accanite, si concludono
allo stesso modo: la resa o la fuga dei reparti regolari tra l'ostilità di una
popolazione che si é convertita in massa alla causa dei ribelli. L'1 gennaio
1959, Fidel lancia, dalla Sierra Maestra, la parola d'ordine dello sciopero
generale rivoluzionario, che per sei giorni paralizza il paese. La parola
d'ordine suona: 'Tutto il potere all'Esercito ribelle!' E l'alba del
mattino dopo, le sue colonne entrano all'Avana, che il crollo del regime e lo
sciopero generale permettono di conquistare senza colpo ferire.
E' difficile che oggi turisti statunitensi mettano piede all'Avana; e se lo fanno, non sono più quelli di un tempo, attratti dagli sgargianti manifesti e dalle allusioni sussurrate. Oggi, i viaggiatori che giungono all'isola sono mossi da un preciso intento, quello di assistere a un esperimento sociale. Non trovano chiasso, le automobili sono poche, le vetrine non traboccano di merci. C'è una sola maniera per affrontare i mali di sempre, la miseria e il tiempo muerto, l'analfabetismo e la corruzione, ed essa é consistita e consiste nell'abolire il privilegio e quindi lavorare, lavorare duramente. L'Avana ha cessato così di essere la Bengodi dei turisti, il luogo dove il piacere e il divertimento non conoscevano soste. Che, giunte al potere, le rivoluzioni debbano fare i conti con una realtà meno rosea di quella sognata dai suoi dirigenti, costituisce forse una regola. Comunque, la rivoluzione cubana presenta una curva di sviluppo senza precedenti. I giovani che, quasi vent'anni fa, parteciparono all'assalto contro la caserma Moncada, credettero di individuare il loro programma nella autodifesa pronunciata da Fidel davanti al tribunale, La storia mi assolverà. Si trattava, come s'è detto, di un programma di nazionalismo avanzato, nel quale facevano spicco la riforma agraria e la nazionalizzazione dei monopoli elettrici e telefonici statunitensi. Il turbine del 1957/58 travolse anche il programma di Fidel. I documenti di quegli anni, e soprattutto le dichiarazioni rese da Fidel alla stampa nordamericana, o non facevano parola o addirittura apertamente revocavano le nazionalizzazioni; la riforma agraria non era dimenticata, ma se ne limitavano gli effetti e l'accento era posto sulle elezioni da convocarsi una volta abbattuta la dittatura. A che cosa si doveva questa mitigazione del programma? Alla necessità di coinvolgere tutte le forze, compresa la grande borghesia zuccheriera, nella battaglia contro Fulgencio Batista. L'ora della ridefinizione dei programmi suonò quando la rivoluzione fu al potere; la grande borghesia zuccheriera l'intendeva a modo suo, e lo stesso facevano gli Stati Uniti; l'esercito ribelle formato da poveri contadini, lavoratori rurali ed urbani, giovani rappresentanti radicalizzati della classe media avevano anch'essi la loro idea della rivoluzione. Le conseguenze sono ben note. Una intera fase venne 'saltata' con stupefacente rapidità, accantonando il programma di nazionalismo avanzato esposto ne La Storia mi assolverà. Fu il 'grande balzo' degli anni 1959-61: la proprietà terriera venne abolita, i capitali USA espropriati insieme ai possessi della grande borghesia zuccheriera e della borghesia industriale. E lo scontro fu inevitabile, fino al tentativo di invasione organizzato all'estero e del quale il presidente Kennedy si dirtà pubblicamente responsabile: il vano tentativo controrivoluzionario, lo sbarco a Playa Giròn. E venne la crisi cubana, quando l'URSS installò sull'isola rampe di missili nucleari che in un secondo tempo ritirò. E ancora il blocco economico, i sabotaggi, gli incidenti organizzati a partire dalla base navale che gli USA continuano a tenere a Guantanamo, in territorio cubano. In tale contesto, che e virtualmente uno stato dì guerra, risultava difficile pensare alle elezioni; inoltre, da un lato il governo rivoluzionario ereditava dalla struttura politica preesistente uno strumento elettorale viziato in partenza, dall'altro la maggior parte dei politici, benché si fossero lasciati indurre ad affrontare la dittatura, non parevano più disposti a rinnovare l'alleanza con la rivoluzione ora che questa, conquistato il potere, si stava dando un programma degno di lei. E, come un secolo prima avevano fatto i loro colleghi francesi, quando c'era stata la Comune di Parigi, gli uomini politici imitarono i rappresentanti della classe di cui erano dopo tutto i portavoce, la grande borghesia zuccheriera, e se la svignarono alla volta di Miami. E li rimasero. Il biennio 1959-1961 vide compiersi il grande balzo: riforma agraria, nazionalizzazioni, campagna contro l'analfabetismo, il tentativo di invasione a Playa Giròn fatto fallire nel giro di settantadue ore, la proclamazione del carattere socialista della rivoluzione. Fu il 'grande balzo', furono le grandi illusioni. Cuba, vetrina del mondo nuovo; Cuba, avanguardia della rivoluzione continentale. Ma alle grandi illusioni non ha fatto seguito la delusione, salvo in coloro che, in buona fede, sognavano la rivoluzione pura e in coloro che sognavano una Cuba contrapposta all'Unione Sovietica. Sull'isola, una presa di coscienza nuova rimpiazzò le illusioni, imponendo l'aperto riconoscimento delle difficolttà e degli errori commessi. Ed é a questo livello che la rivoluzione cubana si integra nel contesto del fenomeno rivoluzionario generale: la realttà impone assai spesso mete più modeste di quelle desiderate o previste dai leader. E ciò spiega i discorsi autocritici di Fidel o quelli da lui pronunciati, verso la fine del 1971, in Cile: discorsi non meno rivoluzionari di quelli a suo tempo fatti dal giovane tutto proteso verso la lotta armata. E' questa, semplicemente, la risposta dell'esistenza stessa, la inappellabile risposta dei fatti. Anche nell'America centrale e meridionale, durante gli anni '60, le illusioni seguirono una strada e i fatti invece ne seguirono un'altra. Un'intera generazione, uscita per lo più dalle fila della classe media, fece proprie quelle aspettative. Si, la rivoluzione cubana costituisce certo un esempio di lotta, non però un modello da esportare. La lezione costò vite di valorosi, tra esse quella dell'argentino che un giorno partì a bordo del Granma deciso a battersi per la liberttà dei cubani, Ernesto Che Guevara. Questo certo non basta a togliere alla rivoluzione cubana l'importanza che le spetta nel processo storico. Da tempo era noto che nell'America centrale e meridionale qualcosa poteva esser fatto. Ma, ahime, i risultati erano stati assai scarsi: la rivoluzione messicana era stata messa in frigorifero, la boliviana s'era risolta con un processo involutivo, la guatemalteca era stata schiacciata. E più di recente, ecco la rivoluzione cubana, che ha inaugurato un nuovo ciclo, nel quale rientrano le esperienze tuttora in corso: il Fronte popolare cileno, i militari nazionalisti di sinistra del Perù, i nuovi atteggiamenti positivi di una serie di paesi del continente nei confronti degli Stati Uniti. E a sua volta la rivoluzione cubana rivela tratti singolari, inediti, per la maniera con cui si inserisce nel processo rivoluzionario contemporaneo dal punto di vista geografico, dal momento che non ha frontiere in comune con nessun altro paese socialista, e insieme, storico, perché non trae origine, né direttamente né indirettamente dalla congiuntura di una guerra mondiale, e infine ideologico perché affonda radici nel nazionalismo. Ecco, questa é Cuba, la prima repubblica socialista dell'America.
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