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La riforma protestante, per gli effetti di lunga durata che
ha provocato, è stato l'avvenimento più importante, a livello europeo, della
prima metà del '500. Essa rappresenta lo sbocco della crisi religiosa dei
secoli precedenti (vedi i movimenti ereticali), che aveva espresso l'esigenza
della riforma della chiesa; e lo sbocco del processo di formazione delle
nazionalità, iniziato con la crisi dell'universalismo medievale e del sistema
feudale.
La riforma provoca la spaccatura del mondo cattolico: gran parte dei popoli di
lingua anglo-sassone si separano dalla chiesa romana. Solo a separazione
avvenuta, la chiesa intraprende, con il Concilio di Trento (1545-63) la sua
riforma interna, basata sul rafforzamento dell'autorità del papa,
sull'Inquisizione, sull'Indice dei libri proibiti, sulla creazione di nuovi
ordini religiosi (gesuiti, cappuccini, barnabiti, somaschi, scolopi), su una
notevole solidità dogmatica e disciplinare.
La crisi della chiesa era iniziata con la 'cattività avignonese'
(1305- 77), in cui si verifica il trasferimento della sede pontificia ad
Avignone (Francia meridionale), dopo il crollo della teocrazia papale: il che
determinerà la soggezione del papato alla politica francese.
La crisi si accentua con i due 'scismi d'occidente', dopo il ritorno
del papato a Roma. Durante il primo scisma (1378-1417), il Collegio dei
cardinali, in maggioranza francesi, non era intenzionato ad accettare la
politica di autonomia del papato nei confronti della Francia. Per questa
ragione i cardinali elessero un antipapa, il quale però, dopo essere stato
sconfitto col suo esercito, mentre marciava su Roma per sbarazzarsi del rivale,
decise di fissare la sua sede ad Avignone.
Molti cardinali, in un Concilio di Pisa, decisero di deporre i due papi e di
eleggerne un terzo, ma gli altri due non vollero riconoscerlo. Allora
l'imperatore Sigismondo convocò un Concilio ecumenico a Costanza, riuscendo a
far deporre i tre papi e a farne eleggere uno nuovo, riconosciuto da tutti. Il
concilio decise anche di condannare le eresie di Wiclef (Inghilterra) e Huss
(Cecoslovacchia), riservandosi di trattare in un prossimo concilio il problema
della riforma della chiesa. Infine adottò il principio della superiorità del
Concilio sul papato.
Questo principio però non piaceva ai prelati della curia romana, i quali
proclamarono al Concilio di Firenze la superiorità del papato sul concilio. Per
dieci anni (1439-49) il Concilio di Basilea rifiutò di riconoscere il papa di
Roma ed elesse un antipapa: cedette solo dopo aver visto che il prestigio del
papato romano era aumentato, in seguito alla riunificazione con la chiesa
greco-ortodossa (durata meno di 20 anni), la quale aveva chiesto aiuto militare
all'Occidente contro i turchi.
Fu offerto dalla questione delle indulgenze. Nel 1517 papa
Leone X, volendo ricostruire la basilica di S.Pietro a Roma, e non disponendo
dei mezzi necessari, aveva bandìto in tutto il mondo una speciale indulgenza
per coloro che avessero fatto un'offerta in denaro. L'indulgenza (già usata nel
corso delle crociate) era una sorta di condono delle pene che il credente
avrebbe dovuto scontare nel Purgatorio, che il papa concedeva a quei fedeli,
sinceramente pentiti, disposti a compiere particolari penitenze (pellegrinaggi,
elemosine, opere meritorie). Lo 'sconto' offerto da questi
certificati d'indulgenza era proporzionato all'importo del denaro.
I primi a reagire sono i cattolici tedeschi, capeggiati da Lutero, frate
agostiniano. I punti fondamentali della rottura sono i seguenti:
La riforma in Germania assunse tra il popolo l'aspetto di
una ribellione delle classi oppresse contro quelle privilegiate. La rivolta dei
contadini (1524-25), capeggiata da Tommaso Münzer, fu enorme, ma venne repressa
dai grandi principi feudatari con l'appoggio dello stesso Lutero. Stessa
sconfitta la subirono i piccoli nobili ribellatisi ai grandi feudatari.
L'impero di Carlo V, d'accordo col papato, si oppone alla riforma, ma senza
successo. Le ostilità fra impero e principi tedeschi si concludono con la Pace
di Augusta (1555) che afferma il principio di 'tolleranza religiosa',
seppur entro i limiti del 'cuius regio eius religio' (cioè la
religione dei sudditi di una nazione deve essere quella del loro re). I beni
ecclesiastici secolarizzati (confiscati) dai principi o dai re non furono più
restituiti alla chiesa romana. La Riforma indebolì senza dubbio l'impero e
l'universalismo medievale, ma non favorì in Germania la monarchia nazionale
(come invece in Inghilterra, Olanda). Furono piuttosto i principi feudali a
trarne i maggiori vantaggi.
Il luteranesimo è la corrente principale del protestantesimo. Oggi i luterani si chiamano evangelici, mentre i riformati si ispirano a Calvino. Nel mondo sono poco più di 100 mil. (i protestanti si aggirano sui 300 mil.). La Riforma protestante è nata con la questione delle indulgenze.
Secondo la chiesa cattolica il peccato è costituito dalla 'colpa' e dalla 'pena'. La colpa si cancella con il sacramento della penitenza, la pena è necessaria per soddisfare la giustizia divina offesa dal peccato. Quindi, oltre al pentimento, occorrono anche delle 'prove' che attestino l'effettivo pentimento (ad es. al ladro si chiedeva di restituire la refurtiva o di donare una somma equivalente in beneficenza, oppure, se non disponeva più nulla, gli si imponeva un pellegrinaggio in luoghi santi o una scomunica temporanea).
L'eventualità che il penitente potesse credersi pienamente giustificato davanti a Dio solo per aver fatto degli atti di penitenza (il cristianesimo infatti afferma che la salvezza è 'dono di Dio' e che l'unico 'merito' del credente sta nell'accettare questo dono).
Le indulgenze erano una specie di 'decreti di
amnistia' scritti dal Papa, sulla base del cd. 'tesoro dei
meriti' di Cristo e Maria, che avrebbero dato agli uomini più di quanto
non occorresse per la loro salvezza (ma in questo 'tesoro' sono
inclusi anche i santi e i fedeli più devoti del paradiso, la cui grandezza
superava, secondo la chiesa, le pene che meritavano per i loro peccati).
In virtù di questo 'surplus' di meriti, la chiesa si sentiva in
diritto di diminuire o addirittura di cancellare la pena del peccatore (in vita
o nel Purgatorio). Chi, pagando una certa somma, riusciva ad entrare in
possesso del documento scritto (i vivi direttamente, i morti tramite i parenti
ancora in vita), poteva ottenere uno 'sconto' sulla pena (per i vivi
anche sulle pene future), a prescindere naturalmente dalla fede personale di
chi lo acquistava o di chi ne beneficiava. In tal modo i benestanti potevano
facilmente mettersi la coscienza a posto.
Abusi e speculazioni a non finire. La chiesa di Roma
incamerava ingenti quantitativi di denaro, i mediatori che distribuivano le indulgenze
esigevano una parte degli 'utili'. Le tariffe erano proporzionali
alla richiesta del beneficio. Chi rifiutava questa consuetudine veniva
considerato un 'cattivo' credente (perché presuntuoso, avaro, o quasi
un eretico). Storicamente, il commercio delle indulgenze fu assai diffuso in
tutta l'Europa occidentale. agli inizi del XVI sec. Nel 1517 papa Leone X
promulgò un'indulgenza plenaria, cioè un riscatto della totalità delle pene per
tutti coloro che invece di recarsi in pellegrinaggio a Roma, avessero versato
un obolo per la costruzione della basilica di s. Pietro. Interpretando questa
iniziativa come un ennesimo abuso della chiesa romana, Lutero protestò, dando
così inizio alla Riforma protestante.
Come prima conseguenza di questa protesta contro le indulgenze, Lutero arrivò
ad affermare che le opere, le azioni, i meriti personali non sono sufficienti
per salvarsi: la mancanza di fede in Dio, o di coscienza personale del proprio
limite, non può essere sostituita dall'attivismo con cui si vuole dimostrare a
tutti i costi d'essere santi, buoni e perfetti. Ecco perché -dice Lutero- le
indulgenze, così come i pellegrinaggi, i digiuni, i voti di santità povertà
obbedienza, non servono a giustificare. Per salvarsi occorrono due cose: la
volontà di Dio e la fede dell'uomo. L'uomo si giustifica per fede e per grazia.
Può fare delle 'buone azioni', ma a titolo personale e non perché
obbligato da qualche legge o consuetudine.
La seconda conseguenza del ragionamento di Lutero è che se le opere non servono
a niente in quanto basta la fede nella grazia di Dio, allora per conoscere
questa grazia è sufficiente leggersi la Bibbia (da lui tutta tradotta in
tedesco). I sacramenti, la tradizione della chiesa, il magistero non hanno un
valore salvifico, ma solo simbolico (i sacramenti), orientativo (la
tradizione), pratico (il magistero). Non c'è nulla che possa avere un potere
vincolante per la coscienza del credente. Il credente è solo davanti a Dio,
incerto sul suo destino. Se si salverà è perché era predestinato.
Ancora oggi la maggioranza degli evangelici:
Perché la Germania di Lutero non abbracciò subito il
capitalismo? Perché Lutero invitava alla sola emancipazione di coscienza,
intellettuale. Calvino invece pretese anche quella pratica, che fece appunto
coincidere con l'attività economica borghese. Lutero era moderno nelle idee
religiose, ma medievale nella considerazione della vita sociale. La sua
liberazione dell'individuo doveva coincidere con quella della coscienza interiore
(con il pensiero -dirà più tardi Hegel). Una volta costatata, contemplata
l'oggettività delle cose, cioè la loro necessità, la loro inevitabilità storica
(che Lutero faceva risalire direttamente a dio, e non ancora a un'astratta
ragione, all'idea o allo spirito assoluto), l'uomo doveva sentirsi pago di sé.
Il luteranesimo porta inevitabilmente al fatalismo (e al culto dello Stato),
poiché non ripone una particolare fiducia nell'individuo collettivo, cioè nelle
masse popolari. Il contributo del luteranesimo è stato quello di aver liberato
l'uomo dal peso di una tradizione culturale superata. Il limite nell'averlo
liberato solo sul piano intellettuale e soggettivo. Lutero ha avuto paura delle
conseguenze delle sue stesse scoperte. Di qui il rifiuto di appoggiare Müntzer.
Zwingli, Serveto, Melantone e Calvino diedero maggior peso alla cultura
umanistica, e meno a quella religiosa, perché erano più agnostici di Lutero.
Essi sono decisamente rivolti al futuro (borghese) e restano legati alla
religione o per un interesse di tipo politico (questo in Calvino è molto
evidente), o per timore di forzare troppo i tempi. Nessuno di loro ha mai avuto
l'idealismo di Lutero. Non si può infatti avere un grande idealismo in campo
religioso e un altrettanto grande idealismo in campo laico. Non si può essere
'amanti' di dio e dell'uomo con la stessa intensità. Zwingli,
Serveto, Melantone e Calvino hanno cercato di attenuare l'idealismo religioso
di Lutero, servendosi della cultura umanistica, cioè sostituendo il misticismo
col razionalismo, ma nessuno di loro, sul piano laico, ha mai raggiunto le
vette che Lutero raggiunse sul piano religioso. Anche questo era un segno di
quei tempi. Solo nell'Italia umanistica e rinascimentale si poteva fare di
meglio, ma gli intellettuali non avevano rapporti con le masse. Nessuno dei
seguaci di Lutero è mai stato così radicale da abbandonare ogni riferimento di
metodo alla religione, neppure dopo che la loro riforma conseguì i successi
sperati.
Resta comunque significativo che la riforma del luteranesimo (pur condotta in
modi diversi) abbia portato ad un'accentuazione del lato ateistico della
cultura umanistica (a prescindere dalla volontà degli stessi riformatori).
Lutero dunque, sul piano religioso, può essere considerato come l'iniziatore
più importante di quel moderno processo di secolarizzazione che porta
all'ateismo.
Una delle più grossolane ingenuità del luteranesimo è stata
quella di aver accentuato la 'coscienza del peccato' nella convinzione
che in tal modo il credente protestante si comportasse meglio, sul piano morale
e della condotta personale, rispetto al credente cattolico (la cui moralità
dipende anzitutto - oggi come allora - dall'obbedienza alla gerarchia).
Il risultato della teoria sulla 'coscienza del peccato' è stato
opposto a quello voluto: il protestante cioè, convinto di non avere in sé la
forza sufficiente per compiere il bene (in quanto irrimediabilmente impedito
dal 'peccato d'origine' che grava, come una condanna, sulla coscienza
di ogni uomo, e quindi sulla stessa capacità di compiere il bene, e che si
esprime, a livello fenomenico, nell'egoismo sociale della società divisa in
classi), affida interamente alla 'grazia di dio' il compito di
salvarlo, riservando a se stesso quello di costruire una morale positiva sulla
base della volontà soggettiva. Di qui l'inevitabile individualismo del
protestante, unito a una sorta di fatalismo 'etico' (che poi lo
porterà a credere ciecamente nelle istituzioni). Il protestantesimo, rispetto
al cattolicesimo, è una forma d'ingenuità (la fede della libertà
nell'interiorità, a prescindere dalle condizioni esterne), mentre il
cattolicesimo, rispetto all'ortodossia, è una forma di malizia (la fede della
libertà nell'esteriorità: potere politico, economico ecc., a prescindere dalle
condizioni interne). In tal modo Lutero, proprio mentre cercava di rendere
migliore l'uomo, gli toglieva i mezzi per poterlo diventare, cioè quei mezzi
sociali e politici (comunione dei beni, uguaglianza sociale ecc.) che aiutano a
trasformare la realtà, e che la chiesa cattolica, da sempre, si ostina a
indicare nella mera obbedienza alla gerarchia, la quale anzitutto, e non il
popolo credente, lotta per una trasformazione della realtà che le sia
vantaggiosa.
Il protestantesimo non ha fatto altro che legittimare sul piano etico-
religioso (l'idealismo lo farà su quello filosofico-politico) una prassi,
quella dello sfruttamento individuale (nobiliare o borghese che fosse),
sottraendolo dal peso di un giudizio (ecclesiale, pubblico) di condanna morale.
Il calvinismo, in particolare, ha sottratto la prassi borghese a qualunque
giudizio etico. Al borghese il calvinismo concede qualunque cosa, riservandosi
di riprenderlo moralmente quando l'abuso è già stato commesso e ha avuto una
rilevanza sociale. Il calvinismo è la religione dell'ultima ora, quella che si
può utilizzare nei momenti più drammatici (come la morte, una grave malattia,
una condanna penale o una catastrofe naturale, sociale, militare).
Il protestantesimo, soprattutto nella sua forma
calvinistica, perse molta della propria rigorosità e specificità
etico-religiosa man mano che le sue fila s'infoltirono di elementi borghesi. La
borghesia infatti era in grado di assicurare sul piano giuridico
quell'uguaglianza formale che i teorici della Riforma pretendevano di
garantire, in modo non meno formale, sul piano religioso, con il concetto
appunto di 'coscienza del peccato'. (Il cattolicesimo invece
garantiva l'uguaglianza nell'obbedienza alla gerarchia, per questo va
considerato come una religione medievale). Lo sviluppo borghese del
protestantesimo non è solo una diretta conseguenza delle teorie del
'libero esame' e del 'sacerdozio universale', ma è anche
una indiretta conseguenza della teoria sulla 'predestinazione', che
apparentemente sembrava la più lontana dall'ottimismo borghese.
Il concetto luterano di predestinazione non ha nulla a che vedere con gli
analoghi concetti che avevano le religioni precristiane. Ad es. presso gli
aztechi esso era un concetto religioso che doveva infondere sentimenti di
rassegnata fiducia nella bontà divina, e comportava una prassi abitudinaria,
rigorosamente determinata dalla legge. Viceversa, nel protestantesimo
(soprattutto nel calvinismo) lo stesso concetto è caratterizzato da un certo
ateismo, poiché la prassi ch'esso suscita è materialistica (capitalistica, se
si considera il contesto storico). Il borghese protestante cioè si sente
destinato o alla salvezza o alla condanna e, in virtù di tale consapevolezza,
egli acquisisce il senso della relatività delle cose, dei valori. Il concetto
di 'valore di scambio' (come antitesi al 'valore d'uso')
poteva emergere solo in una cultura di tipo protestante. Di qui la decisione
del borghese calvinista di vivere la vita con assoluta libertà d'iniziativa. Il
suo dio è del tutto soggetto a un ragionamento di tipo logico e
individualistico. Il fatto è che se l'uomo è predestinato alla salvezza o alla
condanna, diventa ad un certo punto irrilevante il suo comportamento sulla
terra, anche se l'idea originaria di Lutero era proprio quella d'indurre nel
soggetto, incerto sulla propria fine ultraterrena, un sentimento di angoscia
esistenziale e di scrupolo religioso. Lutero non poteva immaginare una
conseguenza del genere, ma essa è implicita nella sua teoria.
Inevitabilmente, il borghese, essendo legato a un'attività economica la cui
riuscita è inversamente proporzionale al livello etico di responsabilità con
cui la gestisce, diventa il tipo ideale di quella fede religiosa non più sicura
di sé e che però vuole togliere a chiunque ogni sicurezza etica e religiosa. Se
manca l'oggettività del giudizio, in quanto tutto è rimesso alla 'volontà
di dio', il borghese si sente autorizzato ad agire come meglio crede. L'indifferenza
ideologica della borghesia in materia di religione (nel senso che il borghese
non crede nell'oggettività del giudizio), la si può riscontrare anche in questo
singolare fatto, che i Paesi europei più calvinisti nella pratica (Francia,
Inghilterra), erano anche quelli che, ufficialmente, continuavano a
professare il cattolicesimo.
Perché il protestantesimo ha dato così tanta importanza al lavoro? Perché quando si afferma l'individualismo e quindi la fine della comunità cristiana, l'unico modo che l'individuo ha di sopravvivere senza cadere nella miseria è quello di lavorare duramente, anche a costo di rinunciare alla propria dignità umana. Il protestantesimo, sotto questo aspetto, ha saputo magnificamente legittimare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Col primato assegnato al lavoro, il credente veniva a trovare la propria identità nel guadagno accumulato, cioè nella possibilità di acquistare dei beni di consumo, o comunque nella sicurezza di non aver bisogno dell'altrui solidarietà. Quando nel Genesi si dice, all'Adamo peccatore: 'Lavorerai col sudore della tua fronte', non s'intende ovviamente sostenere che nel regime del comunismo primitivo gli uomini non lavorassero, ma semplicemente che non erano costretti a farlo in maniera angosciante.
Uno storico dovrebbe considerare come altamente probabile
l'ipotesi che se la Spagna non fosse diventata feudale in un momento in cui le
altre nazioni stavano diventando capitalistiche, e se non avesse avuto la fortuna
di scoprire e di poter saccheggiare impunemente un nuovo continente, fornendo
così la base materiale e finanziaria per appoggiare le idee retrive e
neo-feudali di Carlo V e Filippo II, la Controriforma non ci sarebbe neppure
stata, o non avrebbe avuto una chiusura integralistica così fanatica, una forza
politica così aggressiva nella penisola iberica, in Italia, nell'impero
austro-ungarico e in altri Stati ancora.
In luogo di un'Europa divisa in due religioni avremmo avuto un'unica Europa
protestante, nel senso che il cattolicesimo avrebbe fatto la fine
dell'ortodossia. Naturalmente le nazioni cattoliche sarebbe state colonizzate
da quelle protestanti. Non bisogna infatti dimenticare che tutte le guerre di
religione condotte sulle terre protestanti, sarebbero state facilmente vinte
dai protestanti se i cattolici non avessero potuto beneficiare dell'oro
americano. Una volta vinta la guerra di religione, le forze protestanti e
capitalistiche avrebbero inevitabilmente occupato le terre cattoliche e feudali
(come poi in effetti cercheranno di fare, prima degli Stati Uniti, la Francia e
l'Inghilterra).
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