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La resistenza nel lecchese dagli esordi del fascismo fino alla liberazione
Cade il fascismo, poi l'armistizio e comincia la vera e propria resistenza sulle montagne,ma Lecco ha già conosciuto un'altra resistenza. Una resistenza timida, senza fucili e senza partigiani. Un movimento che non arriva mai ad essere cospirazione, che si perderà nell'impotenza di episodi isolati via via che gli antifascisti saranno ridotti al silenzio. Però un'ostilità che dura vent'anni e dura nonostante i tradimenti,le defezioni,il tribunale speciale e le commissioni di confino.
Il fascismo e l'antifascismo a Lecco
Nel '21 si inaugura a Lecco la sezione del fascio. Ma prima del '21 c'era già a Lecco uno sparuto movimento fascista. Non si può dire che al disordine e alle violenze del dopoguerra i primi fascisti di Lecco reagiscano con straordinaria efficacia: in una zona poco politicizzata, un regime di violenza tarda a mettere radici. Nei caffè o sulle piazze di Lecco si parla raramente di politica. Invece molto spesso si discute dei propri interessi,perché i lecchesi hanno una sola tradizione solida:quella di pensare ai loro affari. Dopo la scissione di Livorno(1921)Bruno Brambilla ha organizzato la sezione lecchese del P.C.I. I comunisti sono pochi,ma formano un gruppo molto omogeneo. Provengono tutti dall'ambiente operaio e lavorano nelle grosse fabbriche della città come alla "Badoni" o alla "Metalgraf". Contro i rossi la guerriglia fascista è violenta:assalti,minacce e bastonate! Gli antifascisti lecchesi rispondono alla violenza con i mezzi di chi crede ancora nella lotta tra i partiti,nel gioco delle maggioranze e delle opposizioni in Parlamento. E c'è chi crede ancora in un intervento del re.I fratelli Gandolfi,Ezio Castagna,Emilio Riva,Mario Molteni e pochi altri,quasi tutti operai,hanno fondato quello che si autodefinisce il "Gruppo Libertario di Pescarenico".Prima i libertari si danno da fare con qualche piccolo sabotaggio,ma poi dicono che è inutile,il fascio bisogna combatterlo coi fucili. Allora vanno una volta a San Girolamo,una volta a Pradello,una volta a San Michele e fanno un po' di tiro al bersaglio. Ma la reazione violenta finisce qui e il gruppo libertario si sfascia non appena i fratelli Gandolfi riparano in Francia. Invece la reazione legale tende a farsi compatta. Prima delle ultime elezioni si costituisce a Lecco tra popolari,socialisti,comunisti e repubblicani il "comitato delle opposizioni".Il comitato non è un'organizzazione,non ha un programma o delle direttive precise. In una città come Lecco si può dire che l'antifascismo nasce come un'alleanza tra le persone più che tra i partiti. Più che un fatto, il fronte comune contro il fascismo è una velleità,è l'esigenza di quelli che al fascismo non si vogliono piegare. Il comitato non tiene riunioni fisse,niente circolari e ordini del giorno. I contatti tra socialisti,comunisti,repubblicani avvengono magari per la strada,in un caffè,in casa di qualcuno.
Partigiani senza guerriglia
Lecco partecipa solo indirettamente alle agitazioni che precedono la caduta del regime. Nella primavera del '42,per protestare contro la ritardata assegnazione di alcuni generi,le donne lecchesi hanno fatto una dimostrazione di un certo peso sul corso Vittorio Emanuele,proprio davanti alla casa del fascio. Un anno dopo il fermento si fa più vivace e questo succede anche perché molti degli stessi fascisti,quelli tesserati per obbligo,hanno capito che la guerra non finirà come credono i più fanatici. Però i lecchesi non scendono in piazza a dimostrare il loro scontento:così dopo quella del '42,non ci sono altre manifestazioni popolari. Il fermento è ancora quello limitato alla conventicola o ai salotti,ai discorsi e agli incontri fortuiti con l'amico,con la donna che non sa più niente di suo figlio sparito nella guerra. Ma nelle fabbriche,tra i ferrovieri,in tutta la gente che lavora sodo per riuscire appena a mangiare,lo scontento e il malumore hanno una base più larga. Hanno radici nell'antipatia verso i tedeschi,nell'impopolarità della guerra,in un antifascismo da qualche tempo latente anche in quelli che hanno la tessere e vestono la camicia nera quando vanno al dopolavoro;i ferrovieri sono i più restii a certi fanatismi che il regime non smette di imporre.
Nasce proprio dall'ambiente operaio la necessità di riprendere contatti organici tra gli antifascisti di qualunque colore politico. Gli antifascisti ritornano ad allearsi,per pensare al domani e preparare intanto un'organizzazione. Prima di tutto il comitato si propone lo scopo di diffondere in un raggio piuttosto vasto,che non rimanga limitato alle sole fabbriche,i giornali e i manifestini stampati alla macchia,senza distinzione di partito o di ideologia. Ma per far questo è molto importante allargare i contatti con gli antifascisti di tutti gli ambienti e non è facile colmare adesso il vuoto tra operai e "borghesi" durato quasi vent'anni. Il nuovo gruppo è nato come comitato d'azione e in questo senso si differenzia profondamente dal vecchio comitato delle opposizioni.
25 luglio 1943: la guerra continua!
Per molte famiglie i giorni duri della guerra diventarono giorni neri. La gente è stanca di subire la guerra. E non solo è stanca perché in guerra si muore o perché si vive in miseria. Anche chi ha accettato la guerra imposta dal regime ora si rende conto che questa è più di una guerra sbagliata. Il 25 luglio 1943 è un giorno come gli altri,ma presto si trasforma in un giorno di festa. Il giornale radio delle 13 diffonde la notizia del voto contrario del Gran Consiglio fascista e dell'arresto di Mussolini;per le strade c'è molta confusione,gli stessi fascisti sono stati presi di sorpresa e si affrettano a togliersi il distintivo e ad archiviare la camicia nera. Per via Cavour qualche gruppo canta già "Bandiera rossa",qualcuno va sotto le case dei fascisti più noti e alza la voce,minacciosa,ma non succede nient'altro. Per ora l'epurazione si fa a colpi di piccone. Cadono le insegne del regime alla casa del fascio,all'istituto infortuni,alla maternità e infanzia. Non è una reazione preparata,non sono di nessuna squadra quelli che vanno in giro con le scale e con i picconi:è una reazione spontanea,popolare,la gente è convinta che,caduto il fascismo,la fine della guerra sia vicina.
I 45 giorni
Dopo il 25 luglio il clima è diverso. Si torna a vivere con una certa libertà,da un giorno all'altro si aspetta che Badoglio annunci la fine della guerra. Viene restaurata una certa libertà di stampa,anche se resta la censura e per questo i giornali antifascisti continuano ad uscire clandestinamente. Ma intanto la guerra non smette, i soldati non tornano,in sostanza la vita è ancora quella dei mesi appena passati,la gente non sa più cosa pensare. E arriva invece l'8 settembre. Molti sono sicuri che Badoglio abbia aspettato 45 giorni per preparare la resistenza armata contro le divisioni tedesche in Italia.Invece non passano 24ore e le truppe tedesche occupano Bellagio e Canzo e intanto si verifica quello che gli uomini dei partiti politici d'opposizione hanno da tempo previsto e denunciato:l'esercito si sfascia quasi al completo.
8 settembre. Comandi in città,uomini in montagna
Lecco vive l'8 settembre come tutte le città non ancora occupate dagli alleati; c'è grande confusione, circolano notizie vere e false,quasi tutte esagerate. Ma quel che faranno i tedeschi non è difficile prevederlo. Brescia e Bergamo sono già sotto il loro controllo e Milano sta per essere occupata. La prima pattuglia di tedeschi arriva l'11settembre,dalla strada di Bergamo. Arriva con un solo autocarro mentre un piccolo aereo sorvola benissimo la città come per controllare che l'occupazione avvenga senza resistenze. Lecco in questi giorni è il passaggio obbligato di decine e decine di uomini che giungono da Milano,da Bergamo,dalla Brianza con ogni mezzo,anche a piedi o in bicicletta. Arrivano e prendono la strada della Valsassina,o salgono verso il Resegone,o vanno più su,a colico e di lì in Valtellina.Sono piccoli resti di quello che una volta era l'esercito,gente stanca di guerra e di caserme,che non vuol finire come è finito chi è rimasto ad aspettare gli ordini che non sono mai arrivati. Questi per molti sono giorni di facili illusioni. La guerra,si pensa,finirà presto e intanto i tedeschi non saliranno fino in montagna per cercare gli sbandati. Per adesso bisogna aspettare e per aspettare è meglio nascondersi. Intorno a Lecco,dal Resegone fin su alla Valtellina,le montagne sono abbastanza aspre e boscose da potervisi nascondere senza molti rischi,ma anche abbastanza facili da passare se si vuole cambiare zona.
Inoltre nelle valli segnate da queste montagne,come la Valsassina o la Val Varrone,ci sono molti paesi. In certi momenti serve più un paesino di montagna che una grande città:per nascondersi,per aspettare notizie,per mangiare. Per adesso gli uomini si nascondono e aspettano.
L'inizio del movimento partigiano sulle montagne lecchesi
Anche nel lecchese l'inizio del movimento partigiano passa per tre tappe: 1)Il disfacimento dell'esercito 2) L'intervento dei partiti antifascisti 3)Il sorgere dell'organizzazione militare della resistenza.
Dopo la metà di settembre si sono già chiarite molte cose per chi è in montagna. Più di mezza Italia è schiacciata dall'occupazione tedesca;il 15 è stato pubblicato il primo bando di presentazione rivolto a tutti gli sbandati e si comincia a parlare di un nuovo governo fascista.Per gli uomini che sono in montagna non ha più molto senso adesso nascondersi per aspettare che le acque si calmino. Gli sbandati e con loro i prigionieri slavi,russi,americani devono decidere tra due soluzioni,molto diverse tra loro ma le uniche possibili. O andare in Svizzera,oppure restare sui monti,sapendo però che i tedeschi non si faranno aspettare. Nascono tra gli uomini discussioni molto vivaci. Chi è deciso a restare chiede a tutti l'impegno di non tornare a combattere a fianco dei tedeschi. Molti uomini,dopo queste discussioni,se ne vanno e spesso senza neanche dirlo. A questo punto,cioè negli ultimi giorni di settembre,ecco l'intervento decisivo del CLN lecchese. Gli antifascisti di vecchia data,e più di tutti i comunisti,socialisti,azionisti,in questo momento sono gli unici forse a credere alla possibilità di un resistenza sul tipo della guerriglia partigiana. E quando,nonostante la prima selezione,in montagna sono rimasti ancora molti gruppi,è venuto il momento di prendere con loro dei contatti precisi,di inserirli in una organizzazione. Ai primi di ottobre il Comando militare ha già un primo organico delle forze partigiane lecchesi. L'organizzazione ha i suoi centri di raccolta,una rete di informatori e di accompagnatori,tappe fisse lungo diversi itinerari. Per poter cominciare una guerra partigiana ci vogliono dei gruppi compatti e degli uomini ben addestrati,ci vogliono degli abili condottieri,un armamento sufficiente,un minimo impianto organizzativo per dare le direttive di massima e per assicurare i rifornimenti. E adesso,nell'ottobre del '43,le formazioni del lecchese esistono più sulla carta che nella realtà. In questo periodo non è molto pericoloso fare il partigiano;per ora in montagna si può vivere senza troppi rischi,si può mangiare e dormire senza troppe difficoltà. In Erna e a Campo de' Boi ci si serve delle baite dei montanari e di qualche rifugio,e così nella zona di Premana e del Monte Legnone.
Il primo rastrellamento
La sera del 16 ottobre un'intera divisione di alpini bavaresi,quelli più adatti alla guerra di montagna,arriva da Bergamo e da Milano e si piazza lungo il lago,da Calolzio a Varenna.Intanto un'altra colonna ha già risalito la Val Brembana.Il piano del rastrellamento è chiaro:i tedeschi vogliono chiudere tutti gli sbocchi della Valsassina salendo da Bellano,da Ballabio e dalle valli bergamasche. E qui si capisce quanto la Valsassina sia un posto buono per nascondersi finché i tedeschi se ne stanno al piano. Ma se decidono di salire,possono accerchiarla come vogliono. Il rastrellamento comincia all'alba del 17ottobre. Alle 7.30 una colonna si muove dalla strada di Bellano e un'altra da Lecco sale verso Ballabio. Prima chiudono ogni via d'uscita,poi muovono le colonne che battono la zona in lungo e in largo. Qualcuno,dopo,si meraviglierà del modo con cui i partigiano hanno affrontato il primo rastrellamento. Chi c'è stato dice che il 17 ottobre,ai Resinelli,i partigiani non hanno sparato una sola volta.
La battaglia di Erna
Non è così a Erna, dove il rastrellamento provoca una vera battaglia. Il 18 ottobre le colonne tedesche si attestano in Valle Imagna,in Val Taleggio e sotto il Resegone,a mezza costa dalla parte di Lecco. Qui i partigiani hanno fatto come tutti gli altri:sono andati via. Nella boscaglia un gruppetto tiene un greppo,un altro una baita. Gli uomini sparano fin che possono,poi arretrano o sfilano del tutto per non farsi circondare. Le fucilate durano fino a sera. Un po' alla volta i partigiani vanno,approfittano del buio per scappare nelle parti alte della Valsassina e delle alpi bergamasche. Il mattino del 20,l'ultimo del rastrellamento,le poche fucilate diventano una battaglia. Ma non importa molto ai tedeschi quanti uomini abbiano ucciso, hanno mirato a disperdere gli sbandati,e dove sono arrivati loro c'è stato il vuoto. Dove hanno incontrato resistenza hanno incendiato boschi,rifugi,baite e cascine così da impedire ai partigiani ogni possibilità di rifugio per l'inverno. Hanno voluto terrorizzare e nei paesi hanno sparato,hanno spaventato,hanno portato via più di cento ragazzi. Hanno dato la loro lezione!
L'organizzazione
L'inizio dell'inverno,disposti in piccoli spazi. Il primo freddo spopola i monti. Con l'inverno si chiude anche il primo periodo della resistenza in montagna,quello del gruppi eterogenei e disorganizzati. A credere fin da settembre alla possibilità di una guerra partigiana sono gli uomini dei partiti politici clandestini e i pochi ufficiali che abbozzano un'organizzazione militare. Questa organizzazione gravita nell'autunno intorno a due poli non ben distinti:il comando militare e il comitato di liberazione nazionale.
I primi partigiani
Dopo la battaglia d'Erna il gruppetto di slavi non ha lasciato la montagna. A novembre sale con qualche comunista alla capanna Grassi e vi incontra altri prigionieri e partigiani venuti dalla Valsassina e dalla Val Gerola.Per ora devono badare a star nascosti e per essere sicuri bisogna andare nelle zone alte,dove per fortuna ci sono i rifugi.In pieno inverno un'atro gruppo di prigionieri,quasi tutti russi,è nascosto alla Pio XI,un bel rifugio a più di duemila metri tra la Val Varrone e Biandino.In gennaio i due gruppi si uniscono:a tutti insieme sono poco più di quaranta.Rifornirli è difficile,ma ci pensano le basi di Premana e Introbio.L'inverno finisce,si prepara l'organizzazione partigiana.E si muovono anche i tedeschi;prima con ricognizioni di pattuglie,poi con intenti più precisi:rastrellano i paesi;prendono i giovani e li mandano in Germania.Infine si muovono con le maniere forti.Il 12 febbraio un aereo della Luftwaffe bombarda il rifugio Pio XI.Non siamo più soltanto all'azione intimidatoria,infatti poco dopo il bombardamento salgono da Premana e dalla Val Gerola un'intera compagnia di SS tedesche e più di duecento militari. Comincia adesso,febbraio 1944,la storia delle più agguerrite bande dell'alta e bassa Valsassina.Il nucleo si allarga con l'arrivo dei primi Gap comunisti da Milano e da Torino:hanno alle spalle le insidie e i rischi corsi nella guerriglia di città;arrivano su a piccoli nuclei compatti,spesso con buone armi,inseriti in un'organizzazione già efficiente,quella del partito. I comunisti vogliono impostare la guerriglia
La resistenza degli operai
Il caporal maggiore Bannicke è un uomo puntiglioso e un nazista duro. E' soltanto caporale,ma è ingegnere e per questo l'hanno messo a dirigere la più importante industria bellica di Lecco,la Fiocchi,produttrice di munizioni. I tedeschi dislocati nei grossi stabilimenti del ferro sono inflessibili. Sotto il loro controllo si lavora a pieno ritmo,stipendi da fame,l'incubo continuo di finire in Germania.Dai suoi esordi la resistenza tiene in gran conto la possibilità di una lotta aperta anche nelle fabbriche,la massa operaia è sempre la leva gigantesca su cui si deve puntare per la dimostrazione dei sentimenti popolari verso gli occupanti e verso il nuovo fascismo,Per questo all'inizio del '44 giornali clandestini e comitati sindacali intensificano la propaganda rivolgendosi con insistenza agli operai. I fascisti sono convintissimi che i tedeschi vinceranno la guerra,sono i più forti!Ma gli operai non ci credono e lo dimostrano. Quando i comunisti propongono attraverso il "Comitato segreto di agitazione per il Piemonte,la Lombardia e la Liguria"lo sciopero generale del 1°marzo anche Lecco si muove.;ufficialmente l'agitazione avrà il carattere di una rivendicazione salariale. Il 7 marzo è la data stabilita,con sette giorni di ritardo sull'inizio delle agitazioni di Torino.Già al mattino presto certi operai che vanno in fabbrica facendo le strade più diverse dicono che in giro ci sono diverse pattuglie e subito si sparge la voce che i tedeschi picchiano quelli che non entrano e li portano via. Poco più tardi si sa che gli operai sono entrati tutti regolarmente,ma in alcune fabbriche si attua lo sciopero bianco,cioè si sta dentro ma non si lavora. La reazione allo sciopero bianco è immediata e brutale:verranno presi una trentina di operai, legati e portati alla stazione ferroviaria. Gli operai camminano sempre legati e guardati a vista di militari armati. Torneranno in 8,gli altri saranno deportati in Germania.
Guerra partigiana
Dopo gli scioperi di marzo c'è il primo afflusso in montagna. Non è solo il ritorno del bel tempo che spiega la nascita delle bande partigiane:in primavera cominciano le defezioni in massa dei giovani e degli anziani chiamati dagli appelli della repubblica fascista. Insieme con i renitenti a marzo vanno in montagna anche molti operai ricercati dopo gli scioperi,studenti,Gap milanesi che devono lasciare la città. Arrivano a Premana,a Introbio,sul Legnone quasi sempre in giacca e pantaloni,senza un maglione o un paio di scarponi. Per questi ragazzi bisogna trovare cibo,vestiti adatti e le armi. E preoccupano più le armi che il resto. Per mangiare si può contare un po' sulla gente dei paesi,sui soldi e sulle carte annonarie che vengono portate ogni tanto dalla città. Ma le armi sono poche. Nella guerra partigiana il problema delle armi finisce sempre per essere una questione senza soluzioni. Per procurarsele i partigiani hanno una sola strada,cioè quella di andarle a prendere ai tedeschi e ai fascisti,ma bisogna essere nelle condizioni di poterlo fare. Poi,se ci sono le armi,c'è la faccenda delle munizioni. I partigiani non hanno retrovie,anche le cartucce bisogna guadagnarsele. C'è però un'altra strada per ottenere rifornimenti,armi e munizioni:gli alleati. Inglesi e Americani,da quando appoggiano la resistenza,hanno cominciato a rifornire con aviolanci le formazioni delle Alpi e delle Prealpi e così il comando militare e i CLN della zona chiedono adesso con insistenza i rifornimenti anche per i partigiani del lecchese. Alla fine di aprile, si ha l'impressione che i lanci stiano per arrivare. La sera stabilita i partigiani devono illuminare il campo di lancio con dei falò,secondo la direzione del vento. Ogni lancio viene concordato con un messaggio speciale."Nerina non balla","Il pino solitario","Cartina per sigarette","Il mondo è rotondo","Mario ama Marcella" sono le frasi,insieme a molte altre,che anche i lecchesi ascolteranno senza capire certe sere da radio Londra. Arrivano a primavera avanzata i primi lanci per ricevere i rifornimenti;l'aereo passa in piena notte,sgancia,ma i bidoni cadono molto sparsi invece di scendere nell'area prevista e si recuperano solo i due terzi di tutto.
Il rastrellamento di giugno
Giugno si avvia ad essere un mese buono per i partigiani. Ballabio,Colico,il controllo della Valsassina,tante piccole azioni in tutte le vallate hanno dato efficacia alla guerriglia e quando è andata bene sono servite per procurare armi,munizioni,cibo,coperte. Nell'alta Valsassina e sul Legnone sono nati nuovi distaccamenti. Il rastrellamento di fine giugno '44 è un grosso rastrellamento preparato meticolosamente più dai tedeschi che dai fascisti,arrivato puntuale quando la guerriglia è diventata troppo pericolosa. Dagli inizi di giugno la situazione della Valsassina controllata dalle formazioni partigiane è diventata inaccettabile per tedeschi e fascisti. La mattina del 25 una colonna tedesca sale la Val Varrone in pieno assetto di guerra,mentre un'altra colonna avanza da Piazzo verso Premana munita di autoblinde.Due gruppi si ritirano sulle pendici del Legnone.Ma questo rastrellamento ha una storia strana.Dopo il primo attacco,il rastrellamento ha una lunga pausa di cinque giorni. Questa pausa disorienta i partigiani che per tutti quei giorni se ne stanno concentrati sul Legnone.Soltanto il 29,siccome è chiaro che i tedeschi e i fascisti non saranno sempre fermi,il comando di brigata ordina ai gruppi di dividersi e di lasciare la zona. Quando il giorno dopo i tedeschi attaccano decisi e salgono verso il Legnone,qualche distaccamento è ancora nella zona e si verificano parecchi scontri. I tedeschi salgono e bruciano, distruggono,saccheggiano,terrorizzano la gente;ogni baita,ogni rifugio che può servire ai ribelli viene distrutto fino all'ultima pietra. Il 7 luglio le SS e le brigate nere lasciano la Valsassina e la Val Varrone.Per la prima volta un rastrellamento ha colpito duramente con un piano preordinato tutti i gruppi partigiani,mirando a distruggere le basi e a terrorizzare le popolazioni dei paesi. Dove non è passato il rastrellamento la guerriglia continua con piccole azioni di disturbo,di disarmo,di sabotaggio,azioni che se prese isolatamente non hanno grande importanza,ma ne hanno molta se vengono considerate tutte insieme e più ancora se si osserva la loro continuità. La guerra partigiana cerca questo tipo di lotta. Colpo su colpo il nemico si infiacchisce,sa che non ha di fronte un esercito ma è costretto a guardarsi sempre alle spalle.
L'unificazione delle forze partigiane
Quando la lotta e il dominio partigiano si fanno più intensi,la necessità di semplificare la direzione della guerra si fa più viva. Non si tratta d'un compito facile,però l'unificazione avviene. Il 5 settembre l'ordine del giorno del comando unificato porta il numero 1.Vi si annuncia che "comandanti e delegati plenipotenziari delle formazioni militari patriottiche operanti nei territori delle provincie di Como e Sondrio e del nord-ovest bergamasco,resisi conto della necessità di unificare la direzione della guerra di Liberazione nazionale nelle loro zone operative,hanno deciso di costituire un comando di raggruppamento divisioni d'assalto garibaldine lombarde".
Inizia il rastrellamento
Il 3 ottobre a Lecco transitano reparti di SS italiane con
ufficiali superiori tedeschi. Alle
La fine della "Rosselli"
La prima fase del grande rastrellamento dell'autunno 1944 si è conclusa,con una breve puntata sulle Grigne,partendo da Esino,Primaluna e Introbio,perché il comando fascista vuole accertarsi,prima di passare nella zona tra Colico e Morbegno e in Val Gerola,di non aver lasciato partigiani alle spalle. Ogni baita e ogni ricovero al di sopra dei mille metri sono stati distrutti. La vita dei partigiani che fossero rimasti non sarebbe stata facile nell'inverno che si annuncia con qualche nevicata. Centotrenta morti e oltre cinquecento deportati sono il risultato del rastrellamento d'ottobre nella Valsassina. I nazifascisti giungono in Valtellina su trasporti ferroviari e con colonne autotrasportate,protette da autoblinde.Il piano è quello di tenere sgombra tutta la zona per un eventuale ripiegamento verso la Svizzera. Il comando partigiano decide di spostare gli uomini in Val Codera.
Sopra Bellano si trova Lupo(Ambrogio Inverni)con un gruppeto di partigiani. Ai primi di gennaio 1945,dopo un inverno terribile,braccati da tutte le parti,si consegnano nella speranza che i fascisti rispettino l'impegno di chiuderli in campo di concentramento. Invece,mentre vengono a Como dopo qualche giorno di arresto,l'8 gennaio i fascisti simulano un attacco e,per ordine del federale Porta,li uccidono tutti alla Montagnetta di Fiumelatte.
Arresti a catena
"Quando mi tornano alla memoria gli arresti di quei mesi,le prigionie,le deportazioni,le sevizie,le uccisioni;quando penso quante e quali furono le vittime di quell'infausto,vergognoso periodo,immolate sullo scannatoio di una causa infame già perduta,ancora mi si inacerbisce il cuore e parole spietate e roventi mi vengono alle labbra.". Così ricorderà molti anni più tardi don Giovanni Ticozzi,che in concomitanza con il grande rastrellamento dell'autunno 1944 viene arrestato con quasi tutti i membri del comitato lecchese
La data della Liberazione si avvicina. Le forze della Resistenza già hanno in mano degli uomini che,ufficialmente,amministrano ancora la cosiddetta giustizia fascista.
Lotta sull'ultima strada
Incomincia la stagione dei lanci,in vista della conclusione della guerra. Le esercitazioni militari che un tempo erano previste dagli orini del giorno del comando,si trasformano ora in attacchi rapidi e coraggiosi. Comincia il tempo in cui i fascisti devono sloggiare. Il disarmo di pattuglie tedesche o fasciste,unico modo per impadronirsi di un armamento adeguato,è cosa comune. A lecco hanno inizio i bombardamenti e intanto continuano anche i rastrellamenti. Nel marzo,le azioni sono ancora tutte dello stesso tipo,sabotaggi,disarmo di pattuglie,assalto a mezzi motorizzati nazifascisti. E' ancora verso l'alto lago che su sfoga la rabbia fascista,con rastrellamenti a Colico e Piantedo nonché a Gravedona. Ma i partigiani non si danno per vinti facilmente. Il fine dei nazifascisti è sempre quello di tener libera la strada del lago,la Valtellina,la Val Chiavenna,per sfuggire alla morsa degli alleati,forse per una estrema resistenza da organizzarsi secondo i propositi di Mussolini.Per questo i partigiani attaccano il presidio germanico di Campodolcino,in Val Chiavenna,imponendogli la ritirata completa.
La preparazione delle giornate insurrezionali,che vedrà il lento ma continuo affluire ai centri di raccolta delle forze partigiane,viene condotta con intensificati atti di sabotaggio a linee telefoniche e telegrafiche,agli impianti elettrici e alle centrali .Al 20 aprile il comando militare di Lecco sa di poter contare su circa 3000 uomini,organizzati nelle brigate di montagna e nei gruppi di città e pianura.
La liberazione
Il 26 aprile a Lecco arriva l'ordine d'insurrezione da parte del Comando Generale CVL. Appena un'ora più tardi i comandanti dei reparti territoriali iniziano l'occupazione dei punti strategici della città. Per tutto il pomeriggio tedeschi e repubblichini vengono fermati. Al CLN e al comando militare che stanno conducendo ancora una serie di trattative,arrivano notizie dal comando CVL di Milano:Mussolini e il CLNAI stanno trattando,i gerarchi lasceranno Milano dirigendosi verso Como. E' sera quando sulla provinciale Bergamo-Lecco una colonna autotrasportata nazifascista si avvicina alla città. Per il comando militare e il CLN la notizia è abbastanza sconvolgente:le formazioni di montagna non
sono ancora arrivate,le formazioni territoriali hanno un armamento limitato. La colonna in marcia sulla Lecco-Bergamo può buttare all'aria tutto quello che è stato fatto. In via Mascari,al CLN si distribuiscono armi e bracciali tricolori a tutti quelli che intendono partecipare a una lotta imminente. Alle scuole "Damiano Chiesa",dove c'è la sede del comando partigiano,capita gente mai vista.
La colonna autotrasportata,dopo una breve sosta a Maggianico,è in Lecco alle 19.La colonna passa,i partigiani si impadroniscono di alcuno automezzi e di un carro armato leggero. Succede quello che si pensava. La reazione più forte viene dai fascisti non dai tedeschi,così il mattino del 27 sono solo i fascisti che impegnano i partigiani. La colonna Mussolini è bloccata a Dongo,la notizia arriva da Como.Sono le due del mattino quando le prime camionette anglo-americane sono viste nella zona di Brivio. Le telefonate si intrecciano nella notte fra Lecco,Milano e gli altri centri:occorre occupare Como;la città,come tutte le altre della Lombardia,deve essere liberata dai nazifascisti,occorre rendere possibile l'esecuzione di Mussolini e dei suoi complici,secondo gli ordini del CLNAI in accordo col comando volontari della libertà.
In data 7 giugno 1945 il comandante della zona colonnello Umberto Morandi ("Lario") e il commissario di guerra Wando Aldovrandi("Al") pubblicano il seguente «ordine del giorno»:"Partigiani,combattenti delle SAP e delle GAP! Entro oggi,secondo gli accordi stabiliti con il Comando alleato,la smobilitazione di tutti gli appartenenti alle nostre formazioni deve essere compiuta. Entro oggi tutte le armi devono essere versate,presso i centri si smobilitazione istituiti a Lecco e a Como.Abbiamo vinto la lotta iniziata diciannove mesi or sono ed aspramente combattuta fino alla capitolazione dei fascisti e dei tedeschi. Ora un nuovo compito non meno duro ci aspetta:la ricostruzione. Per la ricostruzione riprendiamo il nostro posto di cittadini,fieri e orgogliosi del nostro passato,delle nostre splendide tradizioni. Il nostro pensiero si rivolge con reverenza commossa ai compagni caduti in combattimento e sotto il martirio. Inviamo il nostro saluto ai combattenti degli eserciti americano,inglese e russo che hanno vinto lo stesso nemico. Guardiamo la nostra bandiera,dove è scritto:democrazia. La bandiera rimane. Partigiani! Siete entrati nella storia che si dischiude alla rinascita dell'Italia;nel congedarci da voi,con affetto di comandanti,sappiamo che l'Italia su voi può fieramente contare"
Nella luce chiara di quel tardo pomeriggio corso Matteotti era affollato di gente. I fascisti caddero quattro alla volta con estrema dignità,vicino a una porta. Quindici anni dopo uno di Lecco che allora era un ragazzo ha scritto il ricordo di quel giorno: "Un fiore per loro,Signore / fallo sbocciare / sul muro dove sono morti / anche se non combattevano per la giustizia / non li vidi morire / ma ho sentito il rumore degli spari / e ricordo la bandiera che sventolava / libera / sul campo sportivo e il prete /che li confessava / Un fiore per loro,/ Signore che dicesti di amare / i nemici, / è troppo facile essere buoni / con coloro che danno il piacere /dell'amicizia / e dell'amore".
Queste parole sono un velo di pietà per una delle tante crudeltà che la guerra ha portato. Accettiamo questa pietà. Ma non possiamo accettare che del fascismo e della resistenza non si debba più parlare perché eroi e assassini ci sarebbero stati nell'una e nell'altra parte.
BIBLIOGRAFIA
Dal testo alla storia dalla storia al testo Baldi,Giusso, Razetti,Zaccaria.
Tutto Varenna
Wikipedia
Quaderni habitat Giuseppe Muscio
Una resistenza Silvio Puccio
Appunti su: partigiani lecchesi, rastrellamento monte legnone, partigiani legnone, colonna fascita lecco, https:wwwappuntimaniacomumanistichestoriala-resistenza-nel-lecchese-dag33php, |
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