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La Resistenza italiana - La Seconda Guerra Mondiale




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La Resistenza italiana - La Seconda Guerra Mondiale



Sevizie, campi di annientamento, camere a gas, rappresaglie, fucilazioni di ostaggi - metodi usuali per gli assertori del Nuovo Ordine - erano sì  sufficienti a diffondere il terrore, ma cementavano anche la decisione dei popoli di resistere all'oppressione.

Né era solo il tra­dizionale patriottismo che spingeva i popoli ad insorgere contro gli invasori: la Resistenza europea contro il nazifascismo nasceva in­fatti da un'ispirazione che conferiva all'amor di patria un più am­pio significato morale.

Contro i miti della violenza, del sangue e della razza, i popoli combattevano per la giustizia, per la libertà, per la solidarietà, per la ragione calpestata e violata.


Gli orientamenti dei singoli gruppi di partigiani erano certo assai diversi a se­conda della loro matrice politica, religiosa e di classe, ma erano ac­comunati almeno dall'aspirazione ad un autentico rinnovamento che seppellisse per sempre il Nuovo Ordine nazista.



Anche in Italia, durante tutto il periodo dello sbarco americano,  fino alla completa liberazione del suolo nazionale, nei territori rimasti nelle mani dei Tedeschi e della Re­pubblica di Salò il dispotismo nazifascista fu contrastato dalla quasi unanime resistenza passiva delle popolazioni e dalla resi­stenza attiva delle formazioni partigiane.


Fra di esse un posto di particolare rilievo ebbero le  brigate Garibaldi, comuniste, e le brigate Giustizia e Libertà, ispirate agli ideali liberal-socialisti del Partito d'Azione. In alcune zone una notevole attività fu svolta anche da brigate che chiameremo autonome perché non avevano un orientamento politi­co ben definito e comprendevano uomini di diversa tendenza - cattolici, socialisti, repubblicani, liberali - tutti uniti nella lotta contro il fascismo ma destinati più tardi a seguire le proprie scelte divergenti.

Il Partito socialista ebbe anche formazioni proprie, le brigate Matteotti, che però non raggiunsero l'efficienza e il peso quantitativo degli altri reparti.

Nelle città agirono i Gruppi di azione patriottica (G.A.P.), preva­lentemente comunisti, articolati in squadre di pochi uomini che, sfidando di sorpresa la sorveglianza nazifascista, operavano audaci colpi di mano e, per esempio, giustiziavano gerarchi notoriamente coinvolti nelle più triste imprese del regime di occupazione.

Nei giorni dell'armistizio circa 600 000 soldati italia­ni erano stati catturati dai Tedeschi e deportati nei campi di concentramento. Benché la loro vita fosse quasi insosteni­bile, molti di loro si rifiutarono di ottenere il rimpatrio aderendo al­la Repubblica di Salò o accettando di lavorare per i Tedeschi: an­ch'essi vanno annoverati fra i combattenti della Resistenza.

Nei limiti del possibile la lotta partigiana fu coordi­nata e diretta dai Comitati di Liberazione Nazionale (C.L.N.), che si formarono dopo l'armistizio e svolsero importanti funzioni politico-militari, specialmente nell'Italia rimasta sotto la dominazione nazifascista.

Costituiti dai rappresentanti dei partiti comunista, socialista, d'azione, democristiano, liberale, repubbli­cano, i C.L.N. rappresentavano l'unità di tutte le forze democrati­che contro il fascismo, ma nel loro seno esisteva una fondamentale divergenza fra i partiti di sinistra, per i quali la lotta contro il nazifa­scismo doveva sfociare in un radicale rinnovamento dello stato e della società italiana, e i partiti del centro, per i quali essa doveva concludersi con la piena instaurazione delle libertà politiche, senza coinvolgere peraltro trasformazioni sociali rivoluzionarie.

Gli Alleati, per un verso, favorivano la Resistenza con lanci di armi e di equipaggiamento, per l'altro ne diffidavano, nel timore che, espandendosi a movimento di mas­sa, essa avvantaggiasse i comunisti

In questa prospettiva, il mare­sciallo inglese Harold Alexander nel novembre del 1944 invitò addi­rittura i partigiani a smobilitare, ma l'appello, che pure era quanto di meglio si potesse studiare per abbattere il morale dei resistenti, non ebbe alcun esito.

Ci è naturalmente impossibile seguire, sia pure per sommi capi, le azioni della guerriglia partigiana, che necessariamente si artico­larono in una serie innumerevole di atti di sabotaggio, di battaglie locali, di attentati, e approdarono in alcune regioni alla costituzio­ne di zone libere dal nazifascismo (come, in Piemonte, la Repubbli­ca di Val d'Ossola); ci limitiamo perciò a sottolineare i caratteri spe­cifici e i più importanti risultati della Resistenza italiana.

In primo luogo, come rileva Enzo Enriques Agnolet­ti, «La Resistenza italiana agisce in situazione diver­sa da quella di tutti gli altri Stati d'Europa. Dappertutto il motivo dominante è stato la volontà di resistere contro l'invasore stranie­ro, fisicamente distinto e riconosciuto ufficialmente come nemico fin dall'inizio In Italia non c'è stato un nemico entrato a forza nel nostro Paese; l'unico nemico, l'unico esercito entrato a forza sono gli Alleati occidentali. Perciò è mancato quel fatto elementare, l'odio per lo straniero invasore, che nasce dallo choc profondo causa­to dall'irruzione di truppe straniere nel territorio della patria. I mo­tivi patriottici, che pur ci sono e profondi, devono essere associati a un'idea della patria meno elementare, meno fisica di quel che è accaduto fuori d'Italia, un'idea della patria che vede in essa non so­lo la comune origine, ma un tipo di società contrapposto a un altro tipo di società» (dalla prefazione a Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana, Torino, Einaudi).

In secondo luogo, rileviamo che la Resistenza italia­na, anche se nel senso stretto di milizia armata im­pegnò una minoranza di combattenti, fu però appoggiata attiva­mente da vasti strati della popolazione e mobilitò non solo i centri urbani ma anche le campagne, non solo gli ambienti intellettuali ma anche il proletariato, che alimentò le formazioni partigiane e combatté contro il nazifascismo mediante estesi scioperi di chiaro significato politico: basti pensare agli scioperi del marzo 1943 (precedenti la stessa caduta di Mussolini) o a quelli dell'inverno e del marzo che coinvolsero le maggiori città indu­striali dell'Italia settentrionale. Per questa sua dimensione popolare la Resistenza va ben oltre i limiti del Risorgimento, che era stato prevalentemente un movimento di élite, e approda infatti alla fon­dazione di una repubblica democratica, ben diversa, per la sua ori­gine e per le sue strutture, dalla precedente monarchia costituzio­nale.

Infine la Resistenza, mentre dimostrava che la ven­tennale sudditanza al fascismo non aveva irrimedia­bilmente compromesso la tempra morale degli Italiani, conseguiva anche il risultato militare immediato di impegnare intere divisioni tedesche e la quasi totalità dei reparti fascisti nella guerra antiparti­giana.





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