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La prima invasione anglo-normanna




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La prima invasione anglo-normanna è però datata 1169. In quel tempo, la sovranità sul territorio era esercitata da un 'Ard- Ri' gaelico (alto re), che otteneva tributi da ogni singolo Ri (capo provinciale). Alla morte dell'Ard-Ri Brian si scatenò una furibonda lotta di successione: il Ri della contea di Laighin, Diarmuid Mac Murrogh, fu deposto dai suoi clan e dovette cercare rifugio alla corte di Londra, presieduta da Enrico II. Diarmuid invocò il suo aiuto per riconquistare il trono, giurandogli fedeltà come vassallo: Re Enrico lo appoggiò e, nel 1169, Mac Murrogh sbarcò in Irlanda alla testa di un esercito di mercenari gallesi, normanni, francesi e fiamminghi, ottenendo successi militari che gli valsero il titolo di Ard-Ri. Quando due anni più tardi Diarmuid morì, Enrico II rivendicò a sé, l'eredità del suo vassallo, invadendo l'isola in forze. In questo modo si verificò la prima migrazione (indicata con il nome di 'piantagione') di coloni inglesi in Irlanda, che si insediarono nell'attuale zona di Dublino. Tuttavia, il regno irlandese di Enrico II era ben poca cosa: al di fuori della zona dublinese governavano infatti gli 'inglesi degenerati', cioè baroni anglo-normanni che avevano abbandonato la propria cultura d'origine per abbracciare quella celtica originaria e che perseguivano interessi particolari contando sull'aiuto di proprie milizie. Che il dominio inglese sia parziale lo dimostra la scarsa applicazione degli 'Statuti di Kilkenny' del 1366, che stabilivano tra un lunga serie di obblighi, il divieto di matrimoni misti e l'esproprio terriero per quegli inglesi che si 'gaelizzavano' e che affittavano le terre concesse loro per grazia della corona secondo i tradizionali sistemi gaelici di possesso della terra.
Come abbiamo accennato, molto di quanto prescritto dagli statuti non venne osservato; ciò determinò un altro sovrano inglese, Riccardo II, a sbarcare in Irlanda per sottometterla definitivamente con la forza. Accadde invece il contrario: il clan della contea di Wicklow - a sud di Dublino - sconfisse le truppe reali e costrinse la corona di Londra a lasciare l'Irlanda ai celti. L'interesse di Londra per le terre irlandesi si rimanifesta quasi duecento anni più tardi, e con esito positivo. Nel XVI secolo, sotto il dominio dei Tudor, l'isola viene finalmente assoggettata e, nel 1541, Enrico VIII si fa solennemente proclamare re d'Irlanda. Non è però tanta solennità a incidere nelle sorti future del Paese, bensì un avvenimento di qualche anno prima: lo 'scisma' della Chiesa d'Inghilterra da quella di Roma (1534), e la conseguente 'promozione' dell'anglicanesimo a religione ufficiale del regno di Enrico VIII. I cattolici, sino ad allora principali protagonisti delle vicende politiche inglesi e grandi sostenitori della corona nel conflitto per il dominio sull'Irlanda, cominciarono a essere perseguitati. Questo significò un ribaltamento della situazione sull''isola di smeraldo': da alleato del Re, il Papato divenne suo acerrimo nemico e i preti si trasformarono nei più strenui oppositori al dominio britannico. Ed è proprio in questi anni che si forgia l'identificazione fra religione cattolica e cultura gaelica, che nei secoli farà da elemento costitutivo della coscienza nazionale irlandese e che vestirà dei panni di guerra santa ogni scontro con i protestanti sino al XX secolo. La resistenza agli inglesi è particolarmente ostinata nelle nove contee dell'Ulster, a nord del Paese. Ma anche qui la corona ha la meglio: nel 1607, al termine di una lunga lotta guidata dai conti di Tyrone e Tyrconnel, le terre di questi ultimi vengono confiscate e il governo di Londra procede a una delle più ingenti 'piantagioni' di coloni britannici. Circa 170.000 scozzesi e 20.000 inglesi prendono possesso di quei luoghi (emblematico il cambiamento del nome della città di Derry in Londonderry).
Gli indigeni, tuttavia, non abbandonano il loro territorio e, durante il regno di Carlo I, approfittano della debolezza dell'autorità centrale per insorgere nuovamente. A sedare gli animi provvederà, nel 1652, Oliver Cromwell. Sbarcato a Dublino tre anni prima alla testa del suo implacabile esercito, il condottiero sconfigge i ribelli irlandesi, trentamila dei quali per salvarsi la vita sono costretti all'emigrazione forzata in Europa. Chi è rimasto nell'isola, invece, conosce sofferenze senza precedenti. Il trattato di pace, cosiddetto Cromwellian settlement, è causa di due situazioni differenti. In Ulster, i coloni protestanti si vedono premiati della loro lealtà con una serie di privilegi nelle forme di possesso della terra. Nel resto del paese, i precedenti proprietari terrieri subiscono confische su larga scala e, in molti casi, vengono sostituiti con colleghi più fedeli a Londra. Così, la massa contadina cattolica diventa oggetto di sfruttamento e persecuzioni, ma non viene allontanata. Grazie a questa massa, che gode comunque del diritto di voto, il parlamento di Dublino è a maggioranza cattolica. Un elemento di grande importanza, soprattutto quando in Inghilterra sale al trono il re Giacomo II (1685), fedele al Papa. L'Irlanda si spacca: nell'Ulster i coloni protestanti rifiutano di riconoscere l'autorità del nuovo re; il parlamento, invece, rinnova la sua fedeltà a Giacomo ma respinge la competenza del legislativo di Londra sull'isola e revoca le statuizioni del Cromwellian settlement. Nel frattempo, a Londra, la politica di favore verso i cattolici propugnata da Giacomo II incontra l'ostilità dei parlamentari, che in breve tempo isolano il sovrano costringendolo a lasciare il trono a Guglielmo III d'Orange.
Riparato in Irlanda, Giacomo è costretto a fronteggiare la resistenza dei conti dell'Ulster i quali non esitano a dar appoggio a Guglielmo d'Orange allorché questi decide di muovere guerra allo Stuart. L'epilogo è del luglio 1690: sul fiume Boyne, gli orangisti sconfiggono le armate di Giacomo II. Questa vittoria è ancora oggi una delle maggiori ricorrenze nel calendario protestante dell'Irlanda del Nord: più di tremila sfilate degli orangisti celebrano l'evento, visto come il trionfo della 'protestant ascendancy'. Con la vittoria di Guglielmo d'Orange si apre in Irlanda un lungo periodo di supremazia - religiosa e politica - dei protestanti. Il primo provvedimento a carico dei cattolici consiste nel privarli dei diritti elettorali attivi e passivi: il parlamento di Dublino è adesso controllato dalla corona britannica e i suoi deputati sono tutti fedeli anglicani. Inoltre, ai cattolici è negato l'accesso alle cariche militari, agli uffici pubblici, alle professioni intellettuali; le loro scuole vengono proibite. Insomma, una discriminazione in piena regola, che tende a impedire loro l'accesso alla proprietà, agli status sociali privilegiati e al potere politico. Sfrattata dai palazzi vescovili e costretta ai margini della società, la Chiesa di Roma vive un apartheid che però funge da efficientissimo collante tra i suoi devoti, dando vita a uno spirito di solidarietà che ancora oggi è palpabile nelle chiese cattoliche soprattutto di Belfast. E' infatti nelle contee del nord che la condizione dei fedeli a Roma è più difficile: in aggiunta alle discriminazioni da parte dell'establishment politico, vi sono gli scontri con i contadini protestanti, che si impossessano delle terre migliori. Col tempo, questi ultimi si danno un'organizzazione: nel 1795 nasce l'Ordine d'Orange, una lega federativa dedicata alla difesa della 'protestant ascendancy'.
Ma ciò non basta a sedare i continui tentativi di ribellione provenienti da parte cattolica. La più importante si ebbe nel 1798, ed è passata alla storia come la rivolta degli 'United Irishmen'. La particolarità di questa sommossa sta nel fatto che, per la prima volta, è il popolo d'Irlanda - senza distinzioni religiose - che cerca l'autonomia da Londra; capeggiati dal protestante Theobald Wolfe Tone, dapprincipio i ribelli riportano notevoli successi, coadiuvati in minima parte da contingenti di rivoluzionari francesi che combattono con loro in nome della libertà. L'euforia è grande e fa dichiarare agli insorti la nascita della Repubblica d'Irlanda. Ma si tratta di una breve parentesi: intervenute in forze, le truppe inglesi sconfiggono i ribelli e ripristinano la supremazia britannica. Tuttavia, il 1798 rimane una data storica: l'indipendentismo irlandese, sino ad allora basato su clan gaelici, si fa movimento politico della popolazione cattolica. Il 1798 comporta delle conseguenze anche a Londra: nel 1801 viene promulgato 'l'Atto di Unione' tra Gran Bretagna e Irlanda, con il quale è sancita la soppressione del parlamento di Dublino. In questo modo, l'unico legislativo competente per tutte le isole britanniche diventa quello di Westminster, interamente protestante. Non è l'Atto di Unione, però, la vera tragedia che si abbatte sugli irlandesi, bensì la grande carestia che colpisce l'isola tra il 1845 e il 1848. La sua causa è un morbo che distrugge interi raccolti di patate, cibo che ha - in quell'epoca - un'importanza fondamentale per gli abitanti d'Irlanda. Necessitando di poca terra e di poco lavoro, il tubero diviene l'ingrediente principe di ogni pasto della massa contadina, impegnata tutto il giorno a coltivare frumento per pagare alla corona inglese gli affitti dei poderi.
Si consuma una strage: circa un milione di persone muoiono di fame e un altro milione emigra negli Stati Uniti. In Ulster, invece, accanto al fenomeno migratorio si verifica quello dello spostamento di migliaia di contadini cattolici nella città di Belfast, che con Liverpool e Glasgow forma i vertici del triangolo industriale britannico. E Belfast diventa il teatro di nuovi, violenti scontri tra cattolici e protestanti. Nel 1885 l'Irlanda è ancora sotto gli effetti della carestia. Ma in quell'anno, favorito dalla politica liberale propugnata a Londra dal premier Gladstone, ritorna nell'isola il diritto al voto, anche limitato ai capifamiglia. In questo clima, la proposta che più si fa strada tra tutte quelle dirette all'indipendenza dell'Irlanda è quella dell'Home Rule (o 'autogoverno sotto la corona britannica'). Elaborata da Charles Parnell - capo di un movimento contadino chiamato Land League - e appoggiata dai parlamentari dello stesso movimento eletti a Westminster con le elezioni del 1885, la proposta incontra il favore del premier inglese, il liberale Gladstone, ma anche


l'aperta ostilità dei protestanti, timorosi che l'Home Rule possa portare in breve tempo a un governo cattolico che li metterebbe in minoranza. Dall'Ulster giungono minacce di insurrezione che sortiscono effetti negativi sul partito liberale a Westminster, costretto alla scissione dai dissidi interni tra filo e anti-irlandesi. L'Home Rule Bill non passa all'esame del parlamento e Gladstone deve dimettersi. Le parate di giubilo a Belfast determinano un'escalation di scontri tra i due gruppi religiosi, che si protraggono per oltre un mese lasciandosi alle spalle morti e feriti. Di Home Rule Bill si torna a parlare nel 1912, sempre sotto un premier inglese liberale: David Lloyd George. Questa volta l'esito è positivo, ma nei due anni che trascorrono tra la nuova proposta e l'approvazione finale del testo (che prevede l'istituzione di un parlamento irlandese sotto l'autorità di Londra, cui rimarrebbe la competenza su affari militari e di polizia) la tensione tra protestanti e cattolici aumenta. Questi ultimi, nel 1907, si sono organizzati in un movimento politico nazionalista, il Sinn Fein (cioè 'noi stessi'); i primi, invece, all'Ordine di Orange hanno affiancato l'Ulster Volunteer Force, gruppo che si impegna ad usare le armi per ribadire l'indipendenza dell'Ulster dal parlamento di Dublino. Entrambi i gruppi - per ragioni diametralmente opposte - si oppongono invano all'approvazione dell'Home Rule Bill, che avviene nel 1914. Nello stesso anno, l'Inghilterra prende parte alla Prima Guerra Mondiale. Ciò porta alla sospensione dell'Home Rule e a una tregua tra i gruppi irlandesi avversari: in particolare, il primo braccio armato del Sinn Fein, l'Irish Volunteers, combatte al servizio della corona. Ma al suo interno si verificano tentativi di impossessarsi delle armi per portarle in Irlanda e fomentare la rivolta finale. Quindi, il lunedì di Pasqua del 1916 un migliaio di armati occupa il centro di Dublino e proclama - 118 anni dopo il primo tentativo - la Repubblica d'Irlanda. Ma è un fallimento: gli insorti rimangono isolati e, dopo una settimana di feroci combattimenti, devono arrendersi all'esercito britannico.
La repressione è dura: viene proclamata la legge marziale; le corti riconoscono colpevoli 170 uomini e li imprigionano; centinaia di altri sono imbarcati per l'Inghilterra dove vengono internati senza processo; 15 vengono giustiziati. L'ondata di emozione che percorre l'Irlanda è intensa e nelle elezioni del 1918 per Westminster (non essendo ancora operativo l'Home Rule Bill) il Sinn Fein trionfa. Gli eletti, però non vanno a occupare gli scranni del parlamento di Londra, ma quelli di Dublino. La guerriglia divampa nell'isola, guidata dal nuovo braccio armato del Sinn Fein, l'Ira (Irish Republican Army). L'Inghilterra interviene con il Government of Ireland Act, che stabilisce la creazione di due parlamenti divisi: a Belfast per 6 della 9 contee dell'Ulster e a Dublino per il resto del paese. Nasce in questo modo l'Irlanda del Nord, popolata per due terzi da protestanti in modo da assicurare la continuazione della 'protestant ascendancy'. Il Sinn Fein non approva e continua la guerriglia a Dublino fino a quando, nel 1921, dopo complessi negoziati, il governo inglese riconosce all'Irlanda il carattere di 'dominion', che comporta una larghissima autonomia. Per gli uomini del 'noi stessi' non è però una vittoria, e coloro che hanno firmato il trattato - tra i quali il leggendario Michael Collins - vengono ripudiati: per il Sinn Fein, la lotta continua. Il lunedì di Pasqua del 1949 l'Irlanda diventa repubblica a tutti gli effetti, abbandonando definitivamente lo status di 'dominion' della Gran Bretagna. Se quindi in Irlanda la guerriglia è definitivamente conclusa, non altrettanto può dirsi invece nell'Irlanda del Nord.
Qui, gli anni compresi tra il 1921 e il 1969 sono caratterizzati da una pressante discriminazione politica e sociale nei confronti dei cattolici, inevitabilmente accompagnata da atti di guerriglia, che si ripropongono puntuali a ogni manifestazione dei protestanti in ricordo della vittoria di Guglielmo d'Orange nel lontano 1690. Per le sei contee del nord vige, in quegli anni, il Government Act del '20, in base al quale al parlamento nord-irlandese di Stormont competono tutte le materie di politica interna, mentre Westminster controlla la politica estera e tributi; ma soprattutto, mantiene la sovranità finale sul territorio. Il sistema elettorale, inoltre, è basato sul meccanismo del 'gerrymandering', congegnato per nuocere appositamente alla rappresentanza cattolica. Esemplare il caso della città di Londonderry, nella quale circa 15.000 elettori cattolici eleggono a Stormont 8 deputati, mentre poco meno di 9.000 protestanti portano nella stessa assemblea 12 membri. Un timido tentativo di ammorbidimento verso i fedeli alla Chiesa di Roma si ha nel 1963, quando Terence O'Neill - conservatore moderato - assume la carica di premier dell'Irlanda del Nord. Proponendosi di legittimare l'autorità politica del governo agli occhi dei cattolici, egli conduce nei loro confronti una politica meno aggressiva. Ma lo zoccolo duro degli anglicani non tarda a far tuonare il proprio dissenso per bocca del reverendo Ian Paisley. Costui - famoso anche ai giorni nostri per il suo 'no' al referendum appena indetto - accusa O'Neill di 'tradimento': una dichiarazione che soffia sul fuoco dei rapporti tra le due comunità. I protestanti riorganizzano gruppi armati; l'Ira, mai sciolta, affila le armi. In questo clima decisamente elettrico c'è anche chi tenta di condurre il conflitto adottando forme di lotta care al leader nero americano Martin Luther King: nel 1967 viene fondato il Nicra (Northern Ireland Civil Right Association) e l'anno successivo il People's Democracy (Pd), capeggiato da Bernadette Devlin.
Entrambi hanno come principale attività quella di organizzare marce e manifestazioni per il rispetto dei diritti civili nell'Irlanda del Nord; ma quando nel 1968 il Nicra organizza la sua prima marcia, gli scontri sono inevitabili. Comincia in questo modo un anno di violenza che culminerà nell'agosto del '69. A Londonderry, una marcia protestante transita a Bogside, ghetto cattolico della città. E' la scintilla: la reazione degli abitanti del ghetto è violentissima e i poliziotti, intervenuti per sedare gli animi, sono cacciati da Bogside, che viene in seguito fortificato e sul quale prende a garrire il tricolore irlandese. Il governo di Stormont è in crisi, e invoca l'intervento dell'esercito di Sua Maestà, che giunge nell'isola e il 14 agosto placa la rivolta a Londonderry, senza però riuscire a penetrare nel perimetro cattolico di Bogside, ribattezzata 'free Derry'. Nel mentre, anche a Belfast scoppiano disordini. Centinaia di case cattoliche sono incendiate e si spara da ambo le parti: cinque cattolici e due protestanti rimangono uccisi. Il 15 agosto, le truppe inglesi pongono fine alla questione costruendo un muro di lamiere e filo spinato che divide i quartieri protestanti e cattolici di Belfast ovest. Con questi avvenimenti, cominciano per l'Irlanda del Nord i cosiddetti 'troubles', caratterizzati da un continuo braccio di ferro tra gli attentati dell'Ira e le dure repressioni dell'esercito inglese, da allora sempre presente nelle sei contee dell'Ulster. In questi ultimi trent'anni i morti, in quella che è stata non a torto definita la più lunga guerra civile d'Europa, sono stati più di tremila: molti dilaniati dalle bombe dell'Ira, molti altri uccisi in carcere alle frequenti torture che venivano sistematicamente praticate ai danni dei prigionieri politici.
Torture che nel 1991 hanno portato la Commissione per la tortura delle Nazioni Unite ad aprire un'inchiesta - per la prima volta nella sua storia - sul Regno Unito. Grande eco presso l'opinione pubblica hanno avuto i fatti di Londonderry del 30 gennaio 1972 (la famosa 'bloody sunday'), quando le forze dell'ordine - al termine di una manifestazione di protesta dei cattolici - sparano sulla folla uccidendo 13 civili. La tensione che segue sale alle stelle, e nel marzo dello stesso anno il governo inglese sospende il parlamento di Stormont trasferendo tutti i poteri sull'Irlanda del Nord a Westminster. Un'altra vicenda che ha impressionato migliaia di persone è quella dei 'quattro di Guildford', accusati di essere membri dell'Ira e di aver fatto esplodere- nel 1975 - un ordigno in un pub di Londra: incarcerati sulla base di una confessione estorta con la violenza, i quattro hanno scontato 15 anni di prigione e sono stati rilasciati nel 1990, dopo che la revisione del processo ha definitivamente dimostrato la loro totale estraneità all'attentato. La storia dei rapporti tra nazionalisti irlandesi e governo inglese, in questi ultimi trent'anni, è costellata di continue provocazioni dell'Ira e di immancabili risposte - ben oltre i limiti della legalità - da parte dell'esercito e delle autorità carcerarie. Bobby Sands, un militante dell'Ira, è diventato il simbolo della protesta contro i metodi medioevali adottati nei confronti dei prigionieri politici: arrestato nel 1976 e condannato in assenza di prove a 14 anni di reclusione, è morto nel 1981 dopo uno sciopero della fame condotto in cella - in condizioni disumane - per sessantasei giorni. Il suo nome si aggiunge ad altri 21 che, dal 1917, sono deceduti in seguito a quella forma di protesta.
Nell'introduzione del libro che racconta la sua esperienza carceraria ('Un giorno della mia vita') sono riportate le parole di uno dei più accreditati giornalisti inglesi, Paul Johnson, direttore di 'Spectator' e acceso sostenitore di Margaret Tatcher. All'inizio degli anni '70 disse: 'In Irlanda, nel corso dei secoli, abbiamo provato ogni formula: governo diretto, governo indiretto, genocidio, apartheid, parlamenti farsa, parlamenti veri, legge marziale, legge civile, colonizzazione, riforma della terra, divisione del Paese. Niente di tutto questo ha funzionato. L'unica soluzione che non abbiamo ancora provato è quella di un ritiro totale e incondizionato'. La soluzione scelta dagli irlandesi il 22 maggio scorso non è quella indicata da Johnson, ma l'unanimità dei consensi all'istituzione di un parlamento nel Nord dell'Irlanda e di un sistema proporzionale di elezione in luogo dell'assurdo 'gerrymandering' fanno sperare che la fine delle ostilità non sia più così lontana.




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