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La Prima Guerra Mondiale - Dall'attentato di Sarajevo alla guerra europea, L'Italia dalla neutralità all'intervento, La guerra nelle trincee, La nuova tecnologia militare




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La Prima Guerra Mondiale


Dall'attentato di Sarajevo alla guerra europea


A Sarajevo, capitale della Bosnia, il 28 giugno 1914, uno studente bosniaco di nome Gavrilo Princip, appartenente ad un'organizzazione irredentista che aveva la sua base operativa in Serbia, uccise l'erede al trono d'Austria, l'arciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie. Fu questa la causa occasionale dello scoppio della guerra. L'Austria inviò alla Serbia un ultimatum e la Russia assicurò il proprio sostegno a quest'ultima. La Serbia accettò solo in parte l'ultimatum, perciò l'Austria le dichiarò guerra. Contemporaneamente la Germania intimò alla Russia di sospendere i preparativi bellici; l'ultimatum non fu accettato e la Germania le dichiarò guerra. La Francia legata alla Russia da un trattato d'alleanza militare, mobilitò le proprie forze armate ed entrò in guerra il 1 agosto. La Germania rispose con un nuovo ultimatum e con la successiva dichiarazione di guerra alla Francia. La strategia dei generali tedeschi si basava sulla rapidità e sulla sorpresa. Per attaccare la Francia passarono, quindi, dal Belgio, nonostante la sua neutralità fosse garantita da un trattato internazionale. La violazione della neutralità belga fu decisiva nel determinare l'intervento nel conflitto della Gran Bretagna, preoccupata dall'eventualità di un successo tedesco.


L'Italia dalla neutralità all'intervento


L'Italia entrò nel conflitto mondiale nel maggio del 1915 schierandosi a fianco dell'Intesa contro l'Impero austro-ungarico, fino ad allora suo alleato. A guerra appena scoppiata, il governo, presieduto da Antonio Calandra, aveva dichiarato la neutralità dell'Italia. Questa decisione, aveva trovato concordi tutte le principali forze politiche fino a quando cominciò ad essere affacciata l'eventualità di una guerra contro l'Austria, che avrebbe consentito all'Italia di portare a compimento il processo risorgimentale, ma anche di aiutare la causa delle «nazionalità oppresse». Portavoce di questa linea interventista furono innanzi tutto gruppi e partiti della sinistra democratica. Il presidente del Consiglio, Salandra, e il ministro degli esteri, Sonnino, temevano soprattutto che una mancata partecipazione al conflitto avrebbe gravemente compromesso la posizione internazionale dell'Italia. Vi furono molti scontri fra neutralisti ed interventisti, comunque ciò che decise l'esito del paese fu l'atteggiamento del re, del ministro degli Esteri e del capo di governo. Questi decisero di accettare le proposte dell'Intesa firmando, il 26 aprile 1915, il cosiddetto Patto di Londra, con Francia, Inghilterra e Russia. Quando Giolitti si pronunciò per la continuazione delle trattati­ve con l'Austria, trecento deputati gli manifestarono solidarietà, inducendo Salandra a dare le dimissioni, ma la volontà neutralista del Parlamento fu, di fatto, scavalcata: da un lato dalla decisione del re, che respinse le dimissioni di Salandra; dall'altro dalle manifestazioni di piazza, che in quei de­cisivi giorni di maggio, si fecero sempre più imponenti e più minacciose. Il 20 maggio 1915, la Camera approvò la concessione dei pieni poteri al governo, che la sera del 23 maggio dichiarava guerra all'Austria. Il 24 ebbero inizio le operazioni militari.


La grande strage (1915-16)


Al momento dell'entrata in guerra, era diffusa in Italia la convinzione che una rapida cam­pagna militare sarebbe bastata per far volgere le sorti del conflitto a favore dell'Intesa, ma queste previsioni fallirono.

Sul confine orientale le forze austro-ungariche si attestarono lungo il corso dell'Isonzo e sulle alture del Carso. Contro queste linee, le truppe comandate dal generale Luigi Cadorna sferrarono, nel corso del 1915, quattro sanguino­se offensive senza riuscire a cogliere alcun successo. Una situazione analoga, si era creata sul fronte francese. In quell'anno gli unici successi furono ottenuti dagli austro-tedeschi: prima contro i russi, poi contro la Serbia che fu invasa. All'inizio del 1916, i tedeschi sferrarono un attacco in forze contro la piazzaforte francese di Verdun. Sul fronte italiano, nel giugno 1916, l'esercito austriaco tentò di penetrare dal Trentino e di spezzare in due lo schieramento nemico, Gli italiani furono colti di sorpresa dall'offensiva, ma riuscirono faticosamente ad arrestarla. Il governo Salandra, fu sostituito da un ministero d'aggregazione nazionale. I russi, nel giugno del '16, lanciarono una violenta offensiva per recuperare i territori perduti l'anno prima. A seguito dei loro successi, la Romania intervenne a fianco dell'Intesa ma subì la stessa sorte della Serbia lasciando nelle mani dei nemici le sue considerevoli risorse agricole e minerarie.


La guerra nelle trincee


Dal punto di vista tecnico, la vera protagonista della guerra fu la trincea, ossia la più semplice e primitiva tra le fortificazioni difensive: un fossato scavato nel terreno per mettere i soldati al riparo dal fuoco nemico. Col passare del tempo le trincee furono allargate, dotate di ripari, protette da reticolati di filo spinato e da «nidi» di mitragliatrici, diventando sempre più difficilmente espugnabili. La vita nelle trincee, monotona e rischiosa al tempo stesso, logorava i combattenti nel morale e nel fisico. I soldati restavano in prima linea senza ricevere il cambio anche per intere settimane e vivevano in condizioni igieniche ripugnanti. Erano esposti al caldo, al freddo e alle intemperie, oltre che ai periodici bombardamenti dell'artiglieria avversaria. Pochi mesi di guerra nelle trincee furono sufficienti a far svanire l'entusiasmo patriottico con cui molti combattenti avevano affrontato il conflitto. Gran parte dei soldati semplici non aveva idee precise sui motivi per cui si combatteva la guerra. Frequenti erano anche i casi di ribellione collettiva che si verificarono un po' dappertutto e che crebbero in numero e intensità col prolungarsi del conflitto, raggiungendo l'apice nel corso del 1917.


La nuova tecnologia militare


Il primo conflitto mondiale si caratterizzò per l'applicazione intensiva e sistematica dei nuovi ritrovati della tecnologia alle esigenze della guerra. Del tutto nuova e sconvolgente fu l'introduzione di nuovi mezzi d'offesa micidiali, come le armi chimiche, gas che venivano indirizzati verso le trincee nemiche provocando la morte per soffocamento di chi li respirava. La guerra sollecitò lo sviluppo di settori relativamente giovani, come quello automobilistico, o che stavano movendo i primi passi, come l'aeronautica e la radiofonia. L'impiego sempre più massiccio dei mezzi motorizzati consentì di far affluire rapidamente enormi masse di soldati dalle retrovie al fronte. I primi mezzi corazzati, le autoblindo, erano limitati nel loro impiego dal fatto di potersi muovere solo su strada. Il passo successivo consistette nel sostituire le ruote con i cingoli, che permettevano ai veicoli di attraversare qualsiasi terreno e di essere usati per attaccare e sca­valcare le trincee nemiche. Fra le nuove macchine militari, una sola influì in modo significativo sul corso della guerra: il sottomarino. Furono soprat­tutto i tedeschi a servirsene per attaccare le navi da guerra nemiche, e per affondare le navi mercantili. Nonostante il numero limitato dei mezzi disponibili, la guerra sottomarina si rivelò subito un'arma molto efficace. Essa però sollevava gravi pro­blemi politici e morali e urtava in particolare gli interessi commerciali degli Stati Uniti. Infatti, quando nel l915 un sottomarino tedesco affondò il transatlantico inglese Lusitania, che trasportava anche cittadini americani, le proteste degli Stati Uniti furono co­sì energiche da convincere i tedeschi a sospendere la guerra sottomarina.


La svolta del 1917


Nei primi mesi del 1917, uno sciopero generale degli operai di Pietrogrado si trasformò in un'imponente manifestazione politica contro il regime zarista. Quando i soldati chiamati a ristabilire l'ordine rifiutarono di sparare sulla folla e fraternizza­rono coi dimostranti, la sorte della monarchia fu segnata; lo zar abdicò il 15 marzo e pochi giorni dopo fu arrestato con l'intera famiglia reale. Circa un mese dopo, gli Stati Uniti decidevano di entrare in guerra contro la Germania che aveva ripreso la guerra sottomarina.

Il crollo del regime zarista era stato, infatti, il preavviso del disfacimento dell'esercito. Mol­ti soldati-contadini abbandonarono il fronte e tornarono ai loro villaggi per partecipare alla spartizione delle terre dei signori. Da allora la Russia cessò di fornire qualsiasi contributo militare agli alleati. I tedeschi, penetrati in profondità nel territorio de11'ex Impero Zarista, trasferirono forti contingenti di truppe sul fronte occidentale. Per le potenze dell'Intesa, i mesi fra la primavera e l'autunno del '17 furono i più difficili dall'inizio del conflitto.

Alle difficoltà militari si aggiungevano quelle politico-psicologiche. S'intensificarono dappertutto le manifestazioni d'insofferenza popolare contro la guerra, gli scioperi ope­rai. Consapevole del pericolo di disgregazione cui era esposto l'Impero austro-ungarico, il nuovo imperatore Carlo I avviò negoziati segreti in vista di una pa­ce separata. Ma le sue proposte furono respinte dall'Intesa. Il papa Benedetto XV, invitò i governi a por fine all'«inutile strage» e a prendere in considerazione l'ipotesi di una pace senza annessioni, ma non ebbe fortuna. Anche per l'Italia il 1917 fu l'anno più difficile della guerra; fra la popolazione civile si moltiplicavano i segni di malcontento per i disagi causati dall'aumento dei prezzi e dalla mancanza di generi alimentari. Fu in questa situazione che i comandi austro-tedeschi decisero di approfittare della disponibilità di truppe provenienti dal fronte russo per inflig­gere un colpo decisivo all'Italia. Il 24 ottobre 1917, un'armata austriaca, rinforzata da sette divisioni tedesche, attaccò le linee italiane sull'alto Isonzo e le sfondò nei pressi del villaggio di Caporetto. Gli attaccanti avanzarono in profondità nel Friuli, mettendo in crisi lo schieramento avversario: buona parte delle trup­pe italiane, dovettero abbandonare precipitosamente le po­sizioni che tenevano dall'inizio della guerra. Prima di essere rimosso dal comando supremo, il generale Cadorna gettò le colpe della disfatta ai suoi stessi soldati. Intorno al nuovo governo d'aggregazione nazionale, le forze politiche parvero trovare una maggiore concordia.


L'ultimo anno di guerra


Nel novembre 1917, i bolscevichi assunsero il potere in Russia. Il governo rivoluzionario, presieduto da Lenin, decise immediatamente di por fine alla guerra e dichiarò la sua disponibilità ad una pace «senza annessioni e senza indennità». Per concludere la pace, la Russia dovette però accettare tutte le durissime condizioni imposte dai tedeschi, che comportavano la perdita di circa un quarto dei territori europei dell'Impero russo. Con la pace Lenin riuscì in ogni modo a salvare il nuovo Stato socialista. Gli Stati dell'Intesa dovettero a loro volta accentuare il carattere ideologico della guerra, presentandola sempre più come una crociata della democrazia contro l'assolutismo. Questa concezione della guerra trovò il suo interprete più autorevole nel presidente americano Woodrow Wilson. Egli invocò l'abolizione della diplomazia segreta, il ripristino della libertà di navigazione, l'abbassamento delle barriere doganali, la riduzione degli armamenti, il presidente americano formulava alcune proposte concrete circa il nuovo assetto europeo: piena reintegrazione del Belgio, della Serbia e della Romania, evacuazione dei territori russi occupati dai tedeschi, restituzione alla Francia dell'Alsazia-Lorena, possibilità di «sviluppo autonomo» per i popoli soggetti all'Impero austro-ungarico e a quello turco, rettifica dei confini italiani secondo le linee indicate dalla nazionalità. Nell'ultimo punto si proponeva infine l'istituzione di un nuovo organismo internazionale, la Società delle Nazioni, per assicurare il mutuo rispetto delle norme di convivenza fra i popoli.

I governanti dell'Intesa non condividevano del tutto il programma wilsoniano, vincolati com'erano al raggiungimento dei rispettivi, obiettivi di guerra. Sul fronte francese, lo stato maggiore tedesco tentò la sua ultima e disperata scommessa impegnando tutte le forze rese disponibili dalla firma della pace con la Russia. In giugno l'esercito di Hindenburg era di nuovo sulla Marna e Parigi era sotto il tiro dei nuovi cannoni tedeschi a lunga gittata. Gli austriaci tentarono di sferrare il colpo decisivo sul fronte italiano attaccando sul Piave, ma furono respinti. Alla fine di luglio le forze dell'Intesa, ormai superiori in uomini e mezzi, passarono al contrattacco.Nella grande battaglia d'Amiens, i tedeschi subirono la prima grave sconfitta sul fronte occidentale. I generali tedeschi capirono di aver perso la guerra: la loro principale preoccupazione divenne quella di lasciare ai politici la responsabilità di un armistizio. Il compito ingrato di aprire le trattative toccò ad un nuovo governo di coalizione democratica formatosi ai primi d'ottobre. Mentre la Germania cercava invano una soluzione di compromesso, i suoi alleati crollavano militarmente o si disgregavano dall'interno. La prima a cedere fu la Bulgaria. Un mese dopo era l'Impero turco a chiedere l'armistizio. Quando gli italiani lanciarono un'offensiva sul fronte del Piave, l'Impero era ormai in piena crisi. Sconfitti sul campo nella battaglia di Vittorio Veneto, gli austriaci il 3 novembre firmarono a Villa Giusti, l'armistizio con l'Italia. 

Intanto in Germania, ai primi di novembre i marinai di Kiel, dov'era concentrato il grosso della flotta tedesca, si sollevarono e diedero vita, assieme agli operai della città, a consigli rivoluzionari ispirati all'esempio russo. Un socialdemocratico, Friedrich Ebert, fu proclamato capo del governo, mentre il Kaiser era costretto a fuggire in Olanda, subito imitato dall'imperatore d'Austria Carlo I. La Germania perdeva così una guerra che più degli altri aveva contribuito a far scoppiare.

La perdeva per fame e per stanchezza, per esaurimento delle forze morali e ma­teriali. Gli Stati dell'Intesa, vincitori grazie all'apporto, tardivo ma decisivo, di una potenza extra­europea, uscivano dal conflitto scossi e provati per l'immane sforzo sostenuto. La guerra, si chiudeva non solo con un tragico bilancio di perdite umane (8 milioni e mezzo di morti), ma anche con un violento ridimensionamento del peso politico del vecchio continente sulla scena internazionale.


I trattati di pace e la nuova carta d'Europa


Un compito d'eccezionale difficoltà era quello che attendeva gli statisti im­pegnati nella conferenza della pace del 18 gennaio 1919, che ha come protagonisti Stati Uniti, Francia, Inghilterra. La Francia vuole togliere possibilità di ripresa alla Germania, l'Inghilterra non vuole concorrenza della Germania sui mercati. Gli Stati Uniti svolgono la parte d'arbitro tra le potenze. Il 28 giugno fu firmato il tratto di pace con la Germania, che induceva a ridurre le forze armate e la flotta, alla restituzione dell'Alsazia e della Lorena, il Saar per 15 anni in mano alla Francia, alcune regioni alla Polonia e colonie divise tra Francia e Inghilterra. A settembre si firmò il trattato di pace con l'Austria, che ha indotto alla formazione all'estero della Cecoslovacchia, Jugoslavia e Polonia; in Italia al Trentino e all'Istria. L'Ungheria si divise dall'Austria. Infine fu creata la Società delle Nazioni, con l'intento di mantenere la pace. Questa società subì un duro colpo dagli Stati Uniti, cioè dal paese che avrebbe dovuto costituirne il principale pilastro. Il Senato degli Usa respinse, infatti, l'adesione al nuovo organismo. La Società delle Nazio­ni, finì così, con l'essere diretta quasi esclusivamente da Gran Bretagna e Francia, e non fu in grado di prevenire nessuna delle crisi internazionali che costellarono gli anni fra le due guerre mondiali.





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