La politica di Giovanni
Giolitti
Nei primi anni del Novecento il parlamento
italiano si trovò obbligato ad affrontare alcuni particolari problemi politici
e sociali della nazione. Nel 1903 assunse la carica di presidente del Consiglio
Giovanni Giolitti, piemontese, ex deputato di Dronero per ben mezzo secolo, ex
ministro degli interni durante il governo Crispi. La situazione politica e
sociale dell'Italia in quel periodo non era certo semplice da interpretare né
facile a dominarsi. Infatti, l'Italia aveva subito una forte crisi di fine
secolo, che l'aveva portata a duri scontri. Da questa crisi era uscita
completamente scissa in due parti. Un tempo, gli scontri erano avvenuti
solamente negli strati superiori della società, adesso la frattura contrapponeva
i cittadini appartenenti alla media e alta borghesia ai cittadini della bassa
borghesia e del proletariato. Il clima era infuocato: gli scioperi e le
manifestazioni infuriavano ed erano praticati su vastissima scala, inoltre i
ceti più abbienti chiedevano l'intervento dello Stato in difesa dell'ordine ma
soprattutto dei loro diritti. Giolitti allora cercò di instaurare un rapporto
nuovo con i concittadini di tutti i ceti e per fare ciò decise di rinnovare
"dal basso" la società italiana. Era comunque consapevole del fatto che aveva
di fronte uno Stato trasformato dalla rivoluzione industriale e soprattutto uno
Stato dove via via andavano affermandosi nuove forze: i cattolici, i
socialisti, i proletari, gli imprenditori.
Innanzi tutto Giolitti decise di rendere le
strutture statali più adeguate e conformi alle nuove esigenze della
popolazione. Questo era un momento favorevole a ciò poiché la ricca borghesia
industriale del Nord era propensa ad accettare molte nuove riforme. Quindi,
senza incontrare troppe difficoltà, furono varate molte leggi sociali che
tutelavano i diritti dei lavoratori, soprattutto donne e bambini, che sancivano
il diritto ad una polizza sugli infortuni ed il diritto ad una pensione per i
lavoratori più anziani. Furono inoltre fondati un Consiglio Superiore del
Lavoro ed un Commissariato per l'Emigrazione. Ma molte altre leggi furono
varate insieme con esse, e riguardavano la sanità pubblica, le Opere Pie, la
costruzione di case popolari e le società cooperative. Furono municipalizzati
numerosi servizi, come la gestione dell'acqua, dell'elettricità, del gas, dei
trasporti. Furono disposti numerosi interventi speciali per il Mezzogiorno,
soprattutto per la Basilicata e per Napoli. Fu nazionalizzato il servizio dei
trasporti più rilevante, la ferrovia, con un forte guadagno economico per lo
Stato. Alcune riforme economiche interessavano anche il meridione, ad esempio
furono iniziati i lavori dell'acquedotto pugliese, ma ben presto si rivelarono
deludenti e furono interrotti. La lira era divenuta fortissima, arrivò ad
essere quotata sul mercato più dell'oro e fu preferita alla sterlina inglese.
Si giunse ben presto ad un momento di forte
crisi economica che pervase l'Italia nel 1907. A peggiorare la crisi che aveva
paralizzato già la siderurgia, il settore tessile ed automobilistico giunse un
forte terremoto che distrusse Messina e Reggio Calabria. In questo frangente
trovarono terreno propizio gli anti-giolittiani, sia di sinistra (socialisti
rivoluzionari) che di destra (A.N.I.).
Giolitti rimase lontano dal governo per due
anni circa, in seguito riprese le redini del potere nel 1911 inaugurando la
"seconda fase giolittiana". In questa sua seconda fase, Giolitti seguì
decisamente una direzione riformatrice. Nel giro di pochi anni riuscì a far approvare
numerosissime riforme e promesse molte azioni militari, seguendo una politica
di "pesi e contrappesi". Egli, infatti, aumentò i salari degli insegnanti ed i
finanziamenti per le scuole approvando leggi con le quali rafforzava la scuola
laica, libera e popolare. Inoltre strappò al giogo del privato la gestione
delle polizze assicurative, affidandola al Monopolio statale. Infine la legge
più significativa risalente al 1912: il suffragio universale maschile. Da ora
potevano esercitare il diritto di voto tutti i cittadini maschi con età
superiore ai ventuno anni che avessero prestato il servizio militare di leva e
gli analfabeti al di sopra dei trenta anni. Queste tre leggi soddisfacevano
soprattutto il popolo socialista, ma anche la destra fu ben presto accontentata.
Nel 1911, infatti, partirono dai porti italiani alla volta della Libia numerosi
contingenti militari e già il cinque ottobre 1911 sventolava su Tripoli il
Tricolore.