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LA POLIS
Già dalla nascita, la polis mostra alcuni caratteri propri della "democrazia", di cui essa stessa è esempio, che si tramanderanno sino al suo crollo. Infatti, tutti i cittadini vantano uguali diritti e sono tenuti a partecipare ad un'assemblea, la quale assume il compito di eleggere i magistrati. Questa situazione è però relativamente definibile come democrazia, in quanto i cittadini di una polis non sono semplicemente coloro che abitano all'interno di questa. Gli esclusi dalla cittadinanza, e dunque senza diritto di esprimersi, s'identificano con diverse categorie sociali: le donne, gli stranieri (chiamati meteci), gli schiavi e i ragazzi non ancora in età, cioè coloro che non hanno ancora raggiunto i 18 anni, età necessaria per prestare servizio nell'esercito. Pertanto i reali cittadini appartengono ad una cerchia effettivamente ristretta che gode di privilegi e che ha poteri decisamente maggiori degli abitanti ordinari. In seguito vedremo come il diritto di cittadinanza si estende via via ad altre categorie, ma agli inizi la democrazia è un concetto ancora piuttosto lontano. In questo momento non tutti i cittadini possono governare: l'assemblea è ancora formata dagli aristocratici. Il cuore della nascente polis è individuabile con l'agorà, piazza del mercato, ma anche luogo dove si riunisce l'assemblea cittadina, centro di discussione oltre che centro di commercio. È nei contrasti che qui si creano che i rappresentanti della polis affermano i propri diritti: ciascuno ha il diritto di parlare, per cui è chiaro come il potere passa di mano dal re a questi cittadini. Il potere di un magistrato nasce dalla sua capacità di convincere, dal confronto tra opinioni diverse che portano al prevalere dell'una sull'altra. Con il successivo ampliamento della polis, si assiste ad un miglioramento delle condizioni di vita e si nota una graduale ma decisa identificazione della figura del cittadino con la figura del soldato. L'essere soldato comporta infatti un'ingente capacità economica, che gli consenta di acquistare l'attrezzatura di cui necessita per partire per la guerra. A partire da questa identificazione, si crea una situazione quasi inaccettabile per i ceti più bassi, quelli che non sono rappresentati nell'assemblea. Abbiamo i contadini, spesso reclutati per le numerose guerre che la polis sostiene, che premono per un'affermazione dei loro diritti, i nullatenenti portati a tale condizione a causa di debiti, che chiedono il condono e la riassegnazione delle terre, i ceti emergenti, artigiani e mercanti, che reclamano di partecipare alla gestione del potere. È questo il contesto che porta alla caduta dell'aristocrazia nel corso del VI-VII secolo. Si instaura in sua sostituzione una forma di governo chiamata tirannide che prevede l'unificazione di tutte le magistrature in un unico personaggio, indicato dal popolo, chiamato appunto tiranno. La nascita di questa carica estrema porta ad un miglioramento delle condizioni dei ceti meno abbienti, poiché il potere di un tiranno si fondava sul sostegno di questi. Favorire piccole proprietà, creare infrastrutture, promuovere spettacoli: ecco alcuni punti forti del governo tirannico, passi necessari per assicurarsi il favore popolare. Ricordiamo che il potere del tiranno è sempre caratterizzato da un'insicurezza di fondo, ed è proprio per questo che nel periodo da noi esaminato poche sono le guerre e molti gli accordi di genere matrimoniale. La fine della tirannide si ha a causa di quest'instabilità, quando il popolo comincia a voler governare e non è più disposto a farsi controllare.
ATENE
Prendiamo in esame la situazione ateniese. Nel VI secolo è in una condizione di tale arretratezza da non poter essere considerata polis. Nonostante ciò, attorno al 700 a.C., la politica compie il primo passo, da noi precedentemente individuato, cioè l'avvicendamento da monarchia ad oligarchia aristocratica. I magistrati dotati di maggiori poteri sono gli arconti, preposti a tutte le funzioni governative. A fianco dei nove arconti abbiamo l'Areopago, un consiglio formato dagli arconti che hanno esaurito il loro mandato. Si distingue fra questi, nel 621 a.C., la figura di Draconte, che dà vita alla prima legislazione.
Nel 594 a.C. sale al potere un tiranno, Solone, tradizionalmente chiamato "mediatore" e "legislatore", al quale viene affidato il compito di riformare Atene. Questo tiranno era sostenuto dall'aristocrazia, e doveva dunque fronteggiare la minaccia di una rivolta popolare. Il primo fondamentale atto della sua riforma fu l'abolizione della servitù causata da debiti e il condono di questi; Solone suddivise dunque la società in quattro classi, con un criterio basato sul censo. Nell'ordine abbiamo: pentacosimedimmi, cavalieri, zeugiti, teti. I membri del primo e del secondo ceto potevano ricoprire le cariche di maggiore importanza anche in caso di guerra, gli zeugiti accedevano alle cariche minori, i teti venivano reclutati nella fanteria o nella flotta solo in caso di reale bisogno, non avevano accesso a cariche di nessun genere, anche se facevano parte dell'ecclesia, l'assemblea popolare. Con questa nuova costituzione timocratica, Solone abbatté le ingiustizie più evidenti e cominciò a delineare un ampliamento del diritto di partecipazione al potere, ma, di fatto, non si registrò un cambiamento evidente, poiché erano gli aristocratici a possedere più "medimni" e che erano perciò abilitati alle cariche massime. Il maggior merito di Solone fu di aver condotto magistralmente a buon fine un compito difficile come quello assegnatogli, attraverso l'arte, da lui inaugurata, della mediazione.
Dopo poco tempo la città di Atene piombò nel caos e cadde in balia dei contrasti fra tre diverse fazioni: gli aristocratici (fazione "della pianura"), i contadini più poveri (fazione "della montagna") ed infine commercianti, artigiani e teti (fazione "della costa").Nel 560 a.C. s'impadronì del potere, quale nuovo tiranno, un esponente della fazione della montagna: Pisistrato, il quale, dichiarandosi difensore dei diritti dei più poveri, esiliò e fece uccidere aristocratici, espropriò loro le terre e le assegnò ai contadini da cui era sostenuto. Alla sua morte divise il potere tra Ippia e Ipparco, suoi due figli. Ipparco morì quasi subito in una congiura promossa dai nobili, mentre Ippia venne rovesciato, sempre dalla fazione aristocratica. Solo ora possiamo affermare che nasce una parvenza di democrazia nell'ormai travagliata Atene.
Nel 508 a.C. venne eletto arconte Clistene. Clistene divise la Ionia in trenta trittie, distribuite in dieci tribù, in ogni tribù si trovava un numero pressoché bilanciato di abitanti della pianura, della montagna, della costa. L'ecclesia ora era formata da tutti i cittadini (con le limitazioni enunciate nel paragrafo precedente) ed aveva poteri più ampi. All'interno dell'ecclesia si poteva trattare di pace, di guerra, di alleanze e di trattati, di condanne a morte, dell'elezione di magistrati, di espropriazione di terre, di gestione delle finanze. Sempre Clistene istituì la pratica dell'ostracismo, che consisteva nella possibilità di esiliare per 10 anni un cittadino considerato pericoloso per motivi politici, come aspiranti tiranni o restauratori dell'oligarchia. Per ostracizzare un cittadino si eseguiva una votazione all'interno dell'assemblea, in cui ciascuno esplicitava il proprio parere sul suo stato di colpevolezza. Un'altra importante istituzione era la boulè, consiglio formato da 500 cittadini scelti a sorteggio all'interno delle tribù che non potevano essere eletti per più di due volte. Le decisioni prese nella boulè venivano poi discusse nel'ecclesia. I magistrati preposti all'esecuzione delle decisioni prese dalle due assemblee si chiamavano archai; gli archai erano tre: uno per l'amministrazione della giustizia, uno per l'amministrazione delle finanze e l'ultimo per la guida dell'esercito. Il consiglio più importante della città era formato da 10 strateghi, cioè coloro che decidevano le azioni militari e che materialmente guidavano l'esercito. Quali erano le caratteristiche delle magistrature in Atene? Innanzitutto, le modalità attraverso le quali si poteva arrivare a ricoprire una carica erano due: per elezione collegiale se erano richieste abilità particolari, o per sorteggio tra tutti i cittadini per le magistrature che non dovevano necessariamente essere supportate da conoscenze tecniche. Come già detto, una delle maggiori limitazioni della democrazia ateniese era rappresentata dal ristretto numero di abitanti considerati cittadini. Le donne erano escluse da ogni attività sociale, sottomesse al padre, in seguito al marito ed infine al figlio. I meteci, uomini liberi ma senza cittadinanza e dunque senza diritti politici, non potevano acquisirli neppure con il matrimonio; essi prestavano servizio militare, dovevano pagare una tassa sulla persona, non potevano presentarsi da soli in tribunale e non potevano possedere terreni nel territorio appartenente alla città. I servi erano considerati al pari di oggetti ed erano dunque sotto il completo controllo del padrone. Potevano essere venduti, comprati, dati in prestito, non potevano partecipare ad assemblee, a feste religiose, non potevano comparire in giudizio se non rappresentati dal padrone e così via. La loro condizione non li rendeva proprietari di nulla, neppure della loro famiglia o della propria vita.
Grazie a questo ordinamento, Atene divenne una delle più grandi potenze dell'epoca, tanto che nel 490 a.C. sconfisse i persiani sotto la guida dello stratega Milziade nella battaglia di Maratona, uscendo vincitrice dalla prima guerra persiana, per di più con le sue sole forze. Nel 482 a.C. Temistocle, uno dei più grandi strateghi della polis, dopo forti contrasti con Aristide che portarono quest'ultimo ad essere ostracizzato, potenziò la flotta e fortificò il Pireo, cosicché la città d'Atene vinse la seconda guerra persiana, giocata principalmente nel 480 a.C. nella storica battaglia di Salamina. In questo modo Atene acquistò decisamente più credito agli occhi delle poleis attiche, tanto che si fece promotrice nel 477 a.C. della Lega delio-attica, un'alleanza di poleis marittime che aveva come scopo la difesa dalle eventuali invasioni barbariche e la protezione dei greci risiedenti nell'Asia minore. La guida della lega era ovviamente nelle mani di Atene che, a dispetto delle condizioni democratiche (ogni polis aveva diritto ad un solo voto, indipendentemente dalla sua forza o grandezza), riusciva sempre a influenzare le decisioni dei confederati. Ogni città si autotassava, per dare vita ad un tesoro ,utile in caso di necessità , che era posto nell'isola di Delo ed era curato da 10 tesorieri, eletti dall'assemblea ateniese.
Possiamo dire che il periodo di maggiore gloria in Atene si ebbe a partire dal 454 a.C., cioè, quando era sotto la guida dello stratega Pericle. Questi rafforzò la democrazia, stabilendo un'indennità per chi ricopriva cariche pubbliche, dando possibilità di intraprendere un cammino politico anche a chi non aveva mezzi sufficienti per dedicarsi esclusivamente ad una magistratura. Grazie al potere datogli dalla presidenza della Lega delio-attica, espanse il dominio in numerosissime direzioni, compreso il mar Nero e la Sicilia, tanto che Atene divenne protagonista di tutti i traffici commerciali, che attraversavano il Mediterraneo. Sempre in questo periodo si assistette ad un progressivo esodo dalla campagna verso la città, fulcro della vita sociale e simbolo di vivacità. Persino i meteci si moltiplicarono, individuando reali condizioni per uno sviluppo economico vantaggioso per chiunque si occupava di traffici marittimi. Ma Pericle compì gravissimi errori nell'ambito della Lega: già dal suo primo mandato come stratega, nel 454 a.C., spostò il tesoro di Delo ad Atene e ne usufruì per costruire quegli edifici che rendono Atene una delle più belle città del mondo. Nello stesso tempo pose pesanti limitazioni alla libertà interna delle poleis in cui era molto influente in qualità di responsabile della Lega delio-attica, arrivando persino ad imporre il regime democratico. Questa politica democratico-imperialista provocò numerosi tensioni in Grecia, che sfociarono nelle guerre del Peloponneso. Nel 404 a.C., grazie alle alleanze strette con la maggior parte delle poleis attiche, Sparta arrivò a spodestare Atene nel suo ruolo fondamentale sulla scacchiera politica del Mediterraneo, inflisse pesanti condizioni di pace ed istituì il collegio dei Trenta tiranni nell'ormai superata polis modello della Grecia intera.
I SOFISTI
Nella Grecia del V secolo si delineò una nuova figura di intellettuale: il sofista. Due sono le arti che si svilupparono in questo periodo, proprio ad uso del sofista: la retorica e la dialettica. La retorica è l'arte del parlare bene, al fine di convincere qualcuno della correttezza della tesi sostenuta, la dialettica è l'arte della discussione. Qual era l'estrazione sociale dei sofisti? I sofisti erano principalmente dei meteci che s'inventarono un mestiere per sopravvivere all'interno della polis; questo lavoro era appunto l'insegnamento delle arti della parola a coloro che si potevano permettere un precettore privato. Il quadro in cui s'inserì questo nuovo lavoro non era certamente dei più favorevoli: l'insegnamento pagato era considerato ingiusto, poiché si trattava della commercializzazione di un sapere che doveva essere alla portata di tutti e non solo di chi aveva denaro a sufficienza. Questa convinzione nuocerà molto ai sofisti, siccome chi gli dava lavoro era disprezzato proprio perché incoraggiava la diffusione degli insegnanti. Per quanto la nascita di queste figure possa sembrarci ovvia, non bisogna dimenticare l'importanza che ebbe sulla concezione di cultura. Infatti, da questo momento in poi, la cultura non è soltanto di stampo religioso, bensì una cultura umanistica basata sulle esigenze della persona e sulla formazione dell'individuo. Il primo dei sofisti fu Protagora, che insegna come l'uomo politico per raggiungere tale condizione debba usare il proprio ingegno e debba essere dotato di virtù. Il secondo fu Gorgia, che poneva al primo posto la capacità di persuadere. Questi sono i fondamenti della tecnica (o virtù) politica, che veniva collegata ad una condizione sociale che implichi una discreta ricchezza. Nel corso del V secolo, nacque inoltre l'idea che la virtù politica potesse essere insegnata, in quanto sempre più persone si arricchivano attraverso artigianato e commercio e dunque potevano permettersi l'insegnamento ad opera dei sofisti, i primi veri educatori professionali.
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