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La guerra Fredda
L'inizio della «guerra fredda». Tra la fine del 1946 e l'inizio del 1948 - nel momento in cui si cominciarono a gettare le basi anche economiche della ricostruzione europea- si svolse dunque una resa dei conti nell'Europa dell'Est (analoga a quella che si svolgeva in Asia), che sancì la fine dell'alleanza antinazista tra le potenze occidentali e l'Urss e la nascita della contrapposizione tra paesi democratico-liberali e paesi comunisti: quella che venne definita «guerra fredda» e che proprio in Germania ebbe il suo epicentro.
L'espressione «guerra fredda», coniata da un giornalista americano, stava a significare che la contrapposizione fra comunismo e capitalismo era radicale e coinvolgeva tutto il mondo (proprio come accade in una guerra), ma non si manifestava attraverso combattimenti diretti.
In pochi mesi gli equilibri europei vennero stravolti e si stabilizzarono lungo una nuova linea di demarcazione che divideva l'Europa in due blocchi contrapposti.
· In Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Romania, dopo un breve periodo di governi di coalizione, tra il 1947 e il 1948 i partiti comunisti - anche se minoritari - presero il potere, avviando una radicale collettivizzazione economica e mettendo fuori legge tutte le opposizioni.
· In Albania e Iugoslavia le forze comuniste della Resistenza, che avevano già il controllo dei rispettivi territori, instaurarono governi sotto il loro controllo.
·
In Grecia, viceversa,
Usa e Urss, nuove superpotenze. Il rapido evolversi della situazione dal 1946 al 1948, con
il capovolgimento delle alleanze e la divisione del mondo in blocchi antagonisti, aprì uno scenario internazionale definitivamente nuovo:
· il mondo occidentale e capitalistico trovava una nuova unità sotto l'egemonia ormai assoluta
e indiscussa degli Usa;
· sull'altro versante si era sviluppata un'altra superpotenza, che era cresciuta sulle divisioni e sulle debolezze degli avversari e che si contrapponeva loro non solo sul piano geopolitico, ma anche su quello ideologico.
Il confronto fra questi due blocchi sarà uno dei temi centrali della seconda metà del secolo.
Alle origini della «guerra fredda»
Le cause della «guerra fredda» furono numerose e possono essere fatte risalire, come si è accennato, ai complessi sviluppi del quadro esteuropeo e internazionale nel periodo tra le due guerre oltre che al contrasto tra «mondo comunista» e «mondo capitalista». Un ruolo non secondario nel suo scatenamento, tuttavia, può essere cercato, come fa lo storico americano D.P Fleming, nell'evoluzione della politica estera americana che volle assumere una posizione primaria su scala mondiale e nel ruolo del nuovo presidente Harry Truman, salito al potere nell'aprile 1945.
Pur
essendo consci dell'imperdonabile errore che avevamo compiuto dopo la prima
guerra mondiale lasciando che il mondo andasse alla deriva, noi non solo
creammo una nuova società delle nazioni prima ancora che la guerra mondiale
fosse finita, ma ci imbarcammo subito in una politica di equilibrio delle
forze su vasta scala. Dopo aver declinato ogni responsabilità per quanto
accadeva nel mondo nel primo dopoguerra, dal
Quando
le forti mani di Roosevelt e di Hull [suo segretario di stato] lasciarono il
timone [a seguito della morte del presidente], fu quasi certo che la nave non
avrebbe più navigato verso l'avvenire con la stessa sicurezza di prima: se
alcuni dei loro successori intendevano continuarne la politica estera, altri
volevano capovolgerla, ripudiando la politica di cooperazione con l'Unione
sovietica. Dopo Yalta [l'ultimo degli incontri trilaterali tra Churchin Stalin
e Roosevelt, nel febbraio 1945] Roosevelt non ebbe tempo o energia sufficienti
per approfondire lo studio delle prospettive del mondo postbellico con il
nuovo vice-presidente Harry S. Trurnan; purtroppo, mano a mano che le forze lo
abbandonavano, diventava sempre più concreto il rischio che la sua politica
estera fosse ripudiata [][Subito dopo la morte di Roosevelt, Trurnan cominciò
a essere sistematicamente aggiornato dall'ammiraglio William D. Leahy,
presidente dei Capi di Stato maggiore, massimo consigliere militare del
presidente e ufficiale più in alto in grado di tutte le forze armate] L'uomo
che aveva il privilegio di influenzare il nuovo presidente nutriva un'antica
avversione per i russi () Fu Leahy, scrisse F. Gervasi in un significativo
articolo dedicato al «Cane da guardia della Casa Bianca» [1955], che «informò
Truman su quanto accadde in tutte le conferenze dei quattro grandi e in molte
altre cui aveva partecipato». In quelle sedute Leahy «istruì l'inesperto
successore di Roosevelt sul significato della trasformazione in grande
potenza mondiale della Russia a guerra finita»ed ebbe modo di diventare «uno
dei padri della politica dura verso
Alcuni pensano che la guerra fredda sia iniziata soltanto verso il 1947 [] invece il presidente Truman pose mano ad essa nemmeno due settimane dopo essersi insediato nella sua alta carica durante il primo incontro con il ministro degli esteri sovietico, Molotov, sulla delicata questione del nuovo governo polacco. Dall'altezza dei suoi undici giorni di presidenza H. Truman prese la decisione di dettare legge sull'alleato che aveva dato più sangue e più sacrificio di tutti alla causa comune; quel che è peggio, decise di dettar legge proprio a proposito della Polonia, di un paese cioè dal quale l'Unione sovietica era stata invasa per tre volte a partire dal 1914.
da D.F. Fleming, Storia della guerra fredda, Feltrinelli, Milano 1964
Gli sviluppi del secondo Novecento
Affermazione e declino del
mondo bipolare. Come già si è detto la più
significativa rottura nel corso del Novecento può essere individuata negli anni
La svolta degli anni
Settanta. Tuttavia, nella nostra esposizione,
introdurremo un'ulteriore cesura negli anni Settanta, sia per spezzare quello
che altrimenti risulterebbe un periodo troppo lungo, sia perché effettivamente
in quel decennio si registrò una serie di avvenimenti che, pur all'interno del
quadro generale detto, segnarono altrettante svolte. Se la situazione di
dominio conflittuale Usa-Urss non cambiò, cambiarono altri elementi
altrettanto rilevanti, di natura economica e sociale, ma anche politica. Ebbe
termine, nei paesi occidentali, una lunga fase di grande espansione economica;
si riaffacciarono problemi come la ripresa dell'inflazione e della disoccupazione;
vennero ridefinite le regole monetarie internazionali; si registrò una grave
crisi nei rifornimenti energetici dell'Occidente; più in generale, entrò in
crisi il modello di sviluppo avviato con la seconda rivoluzione industriale e
con l'affermazione di un decisivo ruolo dello stato nella conduzione delle
attività economiche (rafforzato dopo la crisi del
Un
ulteriore elemento di novità riguardò gli equilibri internazionali. Gli Stati
Uniti attraversarono una difficile transizione per ridefinire il loro ruolo su
scala globale. Si verificò l'inizio della rinascita dell'Asia, con l'emergere
della potenza economica del Giappone e il riconoscimento internazionale del
Guerra Fredda e minaccia atomica
La dottrina Truman. Anche se l'origine della guerra fredda può essere ricercata nei contrasti che contrapponevano il mondo occidentale e l'Urss già subito alla fine della seconda guerra mondiale, il suo inizio ufficiale, diciamo «pubblico», data dal marzo 1947, quando il presidente statunitense Truman enunciò la nuova strategia di politica estera del suo paese, la politica del containment, del contenimento dell'espansionismo sovietico.
La «dottrina Truman», come venne chiamata questa strategia, ebbe immediate ripercussioni in Europa: gli Stati Uniti avevano come obiettivo quello di garantire e rafforzare l'appartenenza al blocco occidentale dei paesi europei che, per diversi motivi, la potevano vedere minacciata. In Francia e in Italia i partiti comunisti, che partecipavano ai governi di unità antifascista, ne furono espulsi in quegli stessi mesi. In Grecia e in Turchia, che stavano subendo forti pressioni militari e diplomatiche da parte del blocco sovietico, l'intervento militare e un forte sostegno politico da parte degli Stati Uniti normalizzarono la situazione e fecero sì che questi paesi potessero con sicurezza schierarsi nel fronte occidentale. In Germania si arrivò l'anno seguente, come si è visto, alla costituzione di due stati chiaramente distinti, uno inserito nell'orbita occidentale (Repubblica federale di Germania), l'altro in quella sovietica (Repubblica democratica di Germania).
Tutte le situazioni indeterminate, conflittuali, legate ancora all'alleanza bellica, vennero chiarite in una logica di netta contrapposizione. La fase dell'alleanza antinazista si era definitivamente chiusa e quella della guerra fredda fra i nuovi blocchi era ufficialmente iniziata.
La logica della contrapposizione in ambito economico. Questa evoluzione politica si svolse in parallelo con un'analoga evoluzione in ambito economico.
L'avanzata delle truppe alleate nei territori da liberare era stata accompagnata da una consistente distribuzione di aiuti economici che avevano come obiettivo quello di garantire le risorse fondamentali alle popolazioni. Tali aiuti erano gestiti dalla Unrra (Amministrazione delle nazioni unite per il soccorso e la ricostruzione) ed erano pagati, per circa i tre quarti, dagli Stati Uniti.
Alla fine delle prime emergenze e con l'inizio della contrapposizione fra i due blocchi i dirigenti americani modificarono questa strategia di aiuti: infatti non volevano più concederne a paesi che fossero nemici politici. Venne dunque organizzato un nuovo sistema che avrebbe dovuto essere gestito tramite accordi bilaterali con i paesi amici. Era questo l'Erp (programma per la ricostruzione europea), meglio conosciuto come Piano Marshall, dal nome del segretario di stato americano che lo propose nel giugno del 1947. Anche sul fronte economico, dunque, l'Europa si divise definitivamente.
La logica della contrapposizione in ambito militare. Nell'aprile del 1949 fu firmato il Trattato del Nord-Atlantico, un patto che mirava a sostenere la difesa dell'Europa, chiaramente in funzione antisovietica: in virtù di tale patto gli Stati Uniti si impegnarono a intervenire militarmente laddove si profilasse una minaccia militare da parte dello schieramento comunista.
Il
trattato prevedeva l'istituzione di una organizzazione,
Sempre
nella logica della contrapposizione, nel corso degli anni Cinquanta furono
istituite - dal blocco occidentale - due organizzazioni «gemelle» della Nato,
rivolte però ad altre aree geografiche:
La situazione asiatica: l'affermazione della Cina comunista. In complesso, in Europa gli equilibri già definiti nell'immediato dopoguerra non subirono nessuna modificazione nei decenni seguenti, anche se in diverse occasioni sembrarono aprirsi prospettive di segno opposto. AI contrario, in altre zone del mondo la situazione era in continuo movimento e forte era il timore del blocco occidentale di una progressiva perdita di potere a favore di quello orientale.
Innanzitutto, il processo di decolonizzazione, che prese avvio negli anni del dopoguerra, in particolare in Asia, portò a una lunga fase di instabilità e di veri e propri conflitti armati, sia per la resistenza delle vecchie potenze coloniali, sia per la vastità e la complessità delle questioni in gioco, sia per le interferenze delle superpotenze, come vedremo più in dettaglio.
In questo quadro molto contrastato, un momento particolarmente critico per gli equilibri fra i due blocchi fu la vittoria dei comunisti nella guerra civile cinese (1949). In Cina, nel 1945, dopo la resa del Giappone, era ripresa la guerra civile tra le forze nazionaliste filoccidentali e quelle comuniste iniziata un ventennio prima per l'impossibilità di trovare un accordo politico unitario sull'assetto istituzionale e sulla collocazione internazionale da dare al paese dopo la caduta dell'impero.
Nonostante l'appoggio statunitense e nonostante controllassero le regioni più modernizzate, le forze nazionaliste di Chiang Kai-shek furono sconfitte e trovarono rifugio nell'isola di Taiwan. Qui si costituirono come stato autonomo (Cina nazionalista) distinto dalla Repubblica popolare.
Usa e Urss di fronte alla
situazione cinese.
In
questa ottica, la ricomposizione nazionale fu seguita dal tentativo di
recuperare altre zone che tradizionalmente rientravano nell'area di influenza
cinese, in particolare il Tibet. Nel 1950
Comunque
l'evoluzione internazionale e le scelte occidentali contribuirono a far sì che,
negli anni Cinquanta,
Infatti i nazionalisti, che si erano rifugiati dopo la sconfitta nell'isola di Taiwan, non solo non scesero a patti con i comunisti, ma si costituirono come unico governo legittimo della Cina e ottennero in questo l'appoggio degli Stati Uniti. Questi riconobbero il piccolo stato insulare come l'erede del governo cinese che aveva contribuito alla guerra contro i giapponesi e quindi gli attribuirono in esclusiva il seggio che spettava alla Cina nel Consiglio di sicurezza dell'Onu. Il governo comunista, invece, nonostante si estendesse sull'immenso territorio continentale e comprendesse il popolo più numeroso della Terra, non fu riconosciuto dalle potenze occidentali.
La pace fra Usa e Giappone e la loro alleanza. A seguito dell'affermazione comunista in Cina, gli Usa cambiarono politica nei confronti del Giappone (esattamente come successe in Europa nei confronti della Germania di fronte alla minaccia sovietica): lo aiutarono a reinserirsi nel «sistema» occidentale, per fame un loro ulteriore alleato nella guerra fredda. In concomitanza con la firma del trattato di pace, finalmente sottoscritto nel 1951, i due paesi firmarono anche un'alleanza militare che prevedeva l'installazione di basi americane in Giappone.
Questa alleanza, del tutto coerente con la politica di containment, può essere considerata il punto terminale del processo di «cambio di alleanze» da parte dell'Occidente a danno dell'Urss, avviato nell'immediato dopoguerra. Le potenze capitalistiche, che si erano dilaniate in due guerre mondiali, ritrovarono una loro unità sotto l'egemonia statunitense. Gli Usa raccolsero in un certo senso l'eredità sia delle vecchie potenze coloniali europee sia delle istanze di nuovi equilibri internazionali prepotentemente sostenute dal vecchio Patto tripartito, ed elaborarono una strategia che li poneva come i protagonisti di un nuovo ordine mondiale.
Una nuova crisi negli equilibri mondiali: la guerra di Corea. La complessità e la fragilità degli equilibri politici in Estremo Oriente negli anni Cinquanta furono rese evidenti, oltre che dalle vicende cinesi, dallo scoppio di un'altra crisi a metà del 1950, quando le truppe comuniste della Corea del Nord invasero il territorio della Corea del Sud sostenuta dagli Usa. Questa invasione fu condannata dall'Onu e un esercito americano (ma sotto l'egida dell'Onu stessa) la fronteggiò. Tra il 1950 e il 1951 gli scontri furono molto aspri, con andamenti alterni. Dopo la prima fase in cui le forze nordcoreane avevano invaso il Sud, la controffensiva, con l'aiuto delle truppe americane, portò all'invasione del Nord e alla minaccia della Cina.
In seguito, con l'intervento diretto di truppe cinesi, il Sud fu di nuovo occupato (insieme alla stessa capitale, Seoul). Infine la situazione si stabilizzò nel luglio 1951 e la pace firmata nel 1953 confermò il confine al 380 parallelo.
A ben vedere, questa vicenda, che fu considerata come il momento culminante della guerra fredda e delle pretese espansionistiche sovietiche, dimostrò invece la capacità delle superpotenze di circoscrivere un gravissimo fronte di guerra. L'Urss non era stata favorevole all'iniziativa nordcoreana (non si oppose infatti alla condanna sancita dall'Onu) e gli Stati Uniti non approfittarono della loro forza per «punire» i nordcoreani. Le due grandi potenze, invece, approfittarono entrambe per rafforzare il potere di controllo sui loro alleati.
Alle origini della guerra di Corea
Alla fine dell'Ottocento, nel pieno della dissoluzione dell'Impero cinese, i giapponesi riuscirono con una guerra (1894-1895) a impossessarsi dell'isola di Taiwan e di altre basi in Cina e a imporre la rinuncia al protettorato sulla Corea che, a partire dal 1910, fu progressivamente annessa al Giappone stesso.
Alla fine della seconda guerra mondiale il territorio coreano fu diviso in due (lungo la linea del 380 parallelo):
· il Nord, sotto il controllo delle forze di liberazione locali egemonizzate dal Partito comunista, ottenne il sostegno dei sovietici;
· il Sud, in cui venne instaurato un governo filoccidentale sostenuto dagli americani che subentrarono ai giapponesi.
Entrambi
questi governi cominciarono a prefiggersi di conseguire l'unificazione
nazionale. L'impossibilità obiettiva e la mancanza di volontà soggettiva di
raggiungere quel risultato attraverso le vie diplomatiche fecero sì che negli
anni seguenti si registrasse un crescendo di scontri armati sia lungo la linea
di confine sia all'interno dei rispettivi territori. In questa situazione di
guerra civile latente e di crescente radicalizzazione delle posizioni fu infine
La guerra di Corea
il conflitto scoppiò quando, nel 1950, le truppe nordcoreane
oltrepassarono il confine invadendo
L'offensiva statunitense provocò a sua volta l'intervento della Cina comunista a fianco della Corea del Nord. Con l'armistizio del 1953 i confini tra i due paesi vennero ritoccati, ma senza sostanziali vantaggi per nessuno dei due contendenti.
I rapporti Cina-Urss. Per quanto riguarda i rapporti tra Cina e Urss, tuttavia, questo è vero fino ai primi anni Sessanta. Allora, come vedremo meglio, tra i due paesi sorsero radicali divergenze sia sulla concezione dello sviluppo economico comunista, sia sulle questioni internazionali. Queste divergenze porteranno alla rottura tra i due paesi e al riconoscimento occidentale della Cina popolare come una delle grandi potenze mondiali.
Il pericolo atomico e la corsa agli armamenti. La valutazione della reale portata del pericolo di guerra aperta che abbiamo sopra formulato riguardo alla situazione coreana appartiene ai giorni nostri. Negli anni in cui fu combattuta, la guerra di Corea fu in realtà vissuta come il periodo più critico della guerra fredda, anzi come il momento in cui essa stava trasformandosi in diretto scontro armato. La paura era resa ancora più acuta a causa del rischio che potessero essere usate le armi nucleari.
Lo sviluppo degli armamenti atomici fu una delle principali «novità»
che caratterizzarono la storia mondiale dopo il 1945. Inizialmente solo gli
Stati Uniti detenevano questa tecnologia, ma già nel
mente i sovietici colmarono la distanza (1953) e a loro volta sopravanzarono gli avversari realizzando il primo aereo bombardiere intercontinentale. In breve si accese una ininterrotta corsa ad armamenti sempre più perfezionati e distruttivi, che non si sarebbe più interrotta: missili a breve e lunga gittata, sommergibili usati come basi di lancio, testate nucleari multiple, missili antimissili.
A fronte di questa crescente radicalizzazione, prese consistenza, su scala internazionale, un movimento di opinione a essa contrario.
L'energia nucleare e i suoi utilizzi
La scoperta e le prime applicazioni. L'energia nucleare è quella che si libera durante le trasformazioni del nucleo dell'atomo e, in particolare, nella fissione, ossia la rottura dei legami del nucleo. Lo studio e le prime applicazioni di questa tecnologia risalgono ai primi anni Trenta, quando !'italiano Enrico Fermi realizzò la prima fissione di nuclei di uranio. Nel 1942 Fermi (emigrato nel frattempo negli Stati Uniti) realizzò il primo reattore nucleare (pila atomica), un impianto cioè che produce energia sfruttando una fissione nucleare controllata.
L'utilizzo civile. L'energia nucleare, che alimentò negli anni Cinquanta e Sessanta la speranza che la scienza fosse ormai arrivata al controllo totale delle forze della natura e fece illudere che fosse stata trovata una soluzione definitiva al problema della disponibilità di energia, ha successivamente visto ridimensionate queste aspettative. Pur essendo tale tecnologia impiegata sempre più per scopi civili (soprattutto nelle centrali termonucleari), non ha determinato quei progressi che erano attesi. Il suo costo e, soprattutto, la sua pericolosità restano tali da non poterne prevedere un suo uso generalizzato.
L'utilizzo militare. L'avvento dell'era nucleare (o era atomica) ha fatto soprattutto compiere un tragico progresso nella produzione di armamenti che hanno un potere distruttivo totale.
La tecnologia nucleare, proprio per i suoi potenziali usi militari, da una parte ha imposto un rigoroso controllo della sua diffusione da parte dei paesi che la detengono. Dall'altra, il «progresso» in ambito nucleare - parallelo a quello compiuto dalla chimica e dalla biologia che sono riuscite a produrre armi chimiche e batteriologiche altrettanto letali - ha aperto un nuovo terreno di scontro tra gli stati che anche attraverso il controllo di tali tecnologie possono ambire a svolgere un ruolo primario nella gerarchia mondiale. E ha nello stesso tempo posto in primo piano la necessità di perseguire e raggiungere accordi internazionali lealmente rispettati.
La «conquista» dello spazio. In questo contesto si era iniziata a sviluppare anche la «conquiSta spaziale», in particolare da parte dei sovietici che sperimentavano sistemi rnissilistici per colpire gli avversari a grande distanza. In effetti, in una prima fase essa consisteva nell'evoluzione dell'aviazione ad altissime quote, a cui si aggiunse il tentativo di mettere in orbita dei satelliti artificiali da utilizzare per captare informazioni o per realizzare reti di telecomunicazione.
Nel 1957 venne realizzato con successo il lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik, da parte dei sovietici. A conferma del vantaggio da loro acquisito in questo campo, i sovietici riuscirono in seguito a effettuare il lancio del primo uomo nello spazio (Jurij Gagarin, 1961).
La risposta americana non si fece attendere: un grande programma tecnologico venne lanciato per recuperare il terreno perduto. Al programma - i cui costi erano notevoli - venne assegnato un obiettivo di natura non immediatamente militare (la «conquista» della Luna, effettivamente realizzata nel 1969), anche per ottenere consenso da parte dell'opinione pubblica. In complesso, non solo il ritardo tecnologico fu recuperato, ma tramite le ricerche avviate venne anche resa possibile una serie di innovazioni tecniche, nel campo della microelettronica, che avrebbero avuto grandi sviluppi futuri. A conferma delle sollecitazioni in ambito scientifico e tecnologico provenienti dalla «esplorazione spaziale» , la stessa ricerca avanzò in una direzione non necessariamente legata alle esigenze militari.
L'appello degli scienziati alla pace
Nello stesso mondo scientifico, che si sentiva direttamente responsabile dei drammatici sviluppi determinati dai suoi studi sull'atomo, si aprì un approfondito dibattito sulle responsabilità e sui compiti della scienza e sulle prospettive dell'umanità, una volta che armamenti così distruttivi erano stati inventati. Frutto di questi dibattiti fu l'Appello per la pace lanciato nel 1955 da scienziati e studiosi di tutto il mondo, fra cui Albert Einstein e il filosofo Bertrand Russell.
Nella tragica situazione cui l'umanità si trova di fronte, noi riteniamo che gli scienziati debbono riunirsi a congresso per accertare i pericoli determinati dallo sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del progetto annesso. Tutti coloro che hanno una coscienza politica hanno preso fermamente posizione su qualcuno di questi problemi, ma noi vi chiediamo, se potete, di mettere in disparte tali sentimenti e di considerarvi solo come membri di una specie biologica che ha avuto una storia importante e della quale nessuno di noi può desiderare la scomparsa.
Parliamo in questa occasione non come membri di questa o quella nazione, continente e fede, ma come esseri umani, membri della specie umana di cui ora è in dubbio la continuazione dell'esistenza. Il mondo è pieno di conflitti e al di sopra di tutti vi è la lotta titanica tra il comunismo e l'anticomunismo. Cercheremo di non dire nemmeno una parola che possa fare appello ad un gruppo piuttosto che a un altro. Tutti ugualmente sono in pericolo e se si comprenderà questo pericolo vi è la speranza che possa essere collettivamente scongiurato. È fuori di dubbio che in una guerra con bombe all'idrogeno le grandi città sarebbero distrutte. Ma questo è solo uno dei minori disastri cui si andrebbe incontro. Anche se tutta la popolazione di Londra, New York e Mosca venisse sterminata, il mondo potrebbe nel giro di alcuni secoli riprendersi.
Ma noi ora sappiamo, specialmente dopo l'esperimento di Bikini, che le bombe nucleari possono gradatamente diffondere la distruzione su un'area molto più ampia di quanto non si supponesse. È stato dichiarato, da fonte molto autorevole, che ora è possibile costruire una bomba volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Una bomba all'idrogeno che esploda vicino al suolo o sotto acqua invia particelle radioattive negli strati superiori dell'aria. Queste particelle cadono lentamente e raggiungono la superficie della terra sotto forma di una polvere o pioggia mortale. Gli scienziati sono unanimi nel ritenere che una guerra con bomba all'idrogeno potrebbe molto probabilmente porre fine alla specie umana. Si teme che qualora venissero impiega te molte bombe all'idrogeno, vi sarebbe una morte universale, immediata solo per una minoranza, mentre la maggioranza morirebbe lentamente torturata dalle malattie e dalla disintegrazione.
Questo è dunque il problema che vi presentiamo: dobbiamo porre fine alla razza umana, oppure l'umanità dovrà rinunciare alla guerra?
citato in C. Bonanno, La critica storica del Novecento, Liviana, Padova 1997
L'«equilibrio del terrore». La superiorità militare garantita dal possesso delle armi nucleari aveva portato gli americani a formulare la teoria della «rappresaglia totale» come risposta a un'eventuale aggressione a loro danno.
Tuttavia, i successi ottenuti dai sovietici nel dotarsi a loro volta di armi nucleari modificarono quel quadro e ne profilarono un altro, che venne definito «equilibrio del terrore»: ciascuna superpotenza disponeva infatti ormai di un potenziale tale che avrebbe potuto distruggere l'avversario. Ogni crisi internazionale, si temeva, avrebbe potuto avere un esito catastrofico.
Ma in effetti questo nuovo equilibrio era molto instabile: proprio la consapevolezza che difficilmente l'avversario avrebbe usato l'atomica per i rischi cui si andava incontro portava ciascuna potenza a spingersi al limite estremo nelle strategie di espansione.
L'esempio più clamoroso di questo «tiro alla fune» sull'orlo di un precipizio fu la crisi di Cuba.
La crisi di Cuba. Qui, nel 1959, dopo sette anni di guerriglia, era stato abbattuto il regime dittatoriale di Fulgencio Batista al potere dal 1933 (salvo una parentesi democratica tra il 1944 e il 1952) . 11 nuovo governo, guidato da Fidel Castro, fu immediatamente contrastato dagli Usa per le riforme adottate nel settore agricolo e minerario che danneggiavano i loro consolidati interessi. Sempre più isolato e sotto la minaccia di possibili invasioni militari, Castro si spostò su posizioni di stampo comunista da quelle nazionalistiche iniziali, chiedendo aiuti economici e protezione militare all'Urss. Questa si apprestò a fornire basi missilistiche ai cubani. Gli Usa videro in questa vicenda un'ulteriore tappa dell'espansionismo sovietico e per di più in un territorio - il continente americano che essi consideravano sotto la loro diretta protezione, per cui, di fronte alla minaccia di un'installazione di missili a poche centinaia di chilometri dai propri confini, lanciarono un ultimatum per la loro eliminazione preparandosi a un'azione militare. Dopo giorni di drammatica tensione, le basi furono smantellate e fu sancito lo status quo.
Verso il «disgelo». La corsa agli armamenti atomici - cui parteciparono anche Gran Bretagna, Francia e Cina, paesi in grado di dotarsi di propri arsenali, seppure ridotti - era continuata per tutti gli anni Cinquanta, ma la loro diffusione cominciò a porre diversi problemi. Innanzitutto il pericolo derivante dagli esperimenti che producevano emissione di radiazioni. Inoltre la necessità di definire le strategie di impiego di un'arma dagli effetti così catastrofici. Ancora, l'utilità di sviluppare questi armamenti, visto che se ne possedevano tanti da distruggere il mondo non una ma molte volte. Infine l'opportunità di impedire la loro diffusione a stati e governi «non affidabili». Tutti questi problemi contribuirono a rafforzare la situazione di stallo che caratterizzava il bipolarismo: nessuno era in grado, e poteva permettersi, di rompere l'«equilibrio del terrore».
La situazione fece sì che la guerra fredda smise di essere - come molti temevano -la premessa della terza guerra mondiale, e la strategia fondata su un accrescimento ininterrotto delle forze delle due superpotenze cedette a quella della ricerca di un compromesso che, garantendo la sicurezza di ciascuno, evitasse il più possibile i pericoli e gli sprechi connessi alla corsa atomica.
Lentamente, si cominciò ad affermare - a partire dai primi anni Sessanta - una nuova fase, che venne chiamata il «disgelo» o la «distensione». In effetti anche nel corso degli anni Cinquanta si erano registrati alcuni momenti di «distensione», sempre tuttavia ridimensionati dall'emergere di nuove contrapposizioni. Con l'inizio degli anni Sessanta, tuttavia, si verificò il contrario, cominciarono cioè a prevalere i momenti di intesa, senza tuttavia che cessassero i momenti di contrapposizione. Questo cambiamento era dovuto anche all'evoluzione che si era nel frattempo verificata all'interno delle due superpotenze e a livello più complessivo in Europa e nel mondo, come esamineremo nell'Unità seguente.
li primo risultato della distensione si realizzò nel 1963: Usa e Urss stipularono un accordo, sottoscritto anche dalla Gran Bretagna, per una moratoria, ossia una sospensione, degli esperimenti nucleari. A questo seguì un formale trattato internazionale (firmato da oltre sessanta paesi) sulla non proliferazione nucleare, mirato cioè a contenere la diffusione di questi armamenti (1968).
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