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La guerra Fredda




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La guerra Fredda



L'inizio della «guerra fredda». Tra la fine del 1946 e l'inizio del 1948 - nel momento in cui si cominciarono a get­tare le basi anche economiche della ricostruzione europea- si svolse dunque una resa dei conti nel­l'Europa dell'Est (analoga a quella che si svolgeva in Asia), che sancì la fine dell'alleanza antinazista tra le potenze occidentali e l'Urss e la nascita della contrapposizione tra paesi democra­tico-liberali e paesi comunisti: quella che venne definita «guer­ra fredda» e che proprio in Germania ebbe il suo epicentro.

L'espressione «guerra fredda», coniata da un giornalista ame­ricano, stava a significare che la contrapposizione fra comunismo e capitalismo era radicale e coinvolgeva tutto il mondo (proprio come accade in una guerra), ma non si manifestava attraverso combattimenti diretti.

In pochi mesi gli equilibri europei vennero stravolti e si stabilizzarono lungo una nuova linea di de­marcazione che divideva l'Europa in due blocchi contrapposti.

· In Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Romania, dopo un breve periodo di governi di co­alizione, tra il 1947 e il 1948 i partiti comunisti - anche se minoritari - presero il potere, avviando una radicale collettivizzazione economica e mettendo fuori legge tutte le opposizioni.

· In Albania e Iugoslavia le forze comuniste della Resistenza, che avevano già il controllo dei ri­spettivi territori, instaurarono governi sotto il loro controllo.

· In Grecia, viceversa, la Resistenza antinazista di ispirazione comunista fu liquidata militarmen­te, dopo una lunga fase di guerra civile, dall'intervento delle truppe britanniche, che ripristinarono la monarchia di ispirazione occidentale.


Usa e Urss, nuove superpotenze. Il rapido evolversi della situazione dal 1946 al 1948, con

il capovolgimento delle alleanze e la divisione del mondo in blocchi antagonisti, aprì uno scenario internazionale definitivamente nuovo:

· il mondo occidentale e capitalistico trovava una nuova unità sotto l'egemonia ormai assoluta

e indiscussa degli Usa;

· sull'altro versante si era sviluppata un'altra superpotenza, che era cresciuta sulle divisioni e sul­le debolezze degli avversari e che si contrapponeva loro non solo sul piano geopolitico, ma anche su quello ideologico.

Il confronto fra questi due blocchi sarà uno dei temi centrali della seconda metà del secolo.


Alle origini della «guerra fredda»


Le cause della «guerra fredda» furono nume­rose e possono essere fatte risalire, come si è ac­cennato, ai complessi sviluppi del quadro est­europeo e internazionale nel periodo tra le due guerre oltre che al contrasto tra «mondo co­munista» e «mondo capitalista». Un ruolo non secondario nel suo scatenamento, tuttavia, può essere cercato, come fa lo storico americano D.P Fleming, nell'evoluzione della politica estera americana che volle assumere una posizione primaria su scala mondiale e nel ruolo del nuo­vo presidente Harry Truman, salito al potere nell'aprile 1945.


Pur essendo consci dell'im­perdonabile errore che ave­vamo compiuto dopo la prima guerra mondiale lasciando che il mondo andasse alla deriva, noi non solo creammo una nuova società delle nazioni prima an­cora che la guerra mondiale fos­se finita, ma ci imbarcammo su­bito in una politica di equilibrio delle forze su vasta scala. Dopo aver declinato ogni responsabi­lità per quanto accadeva nel mondo nel primo dopoguerra, dal 1945 in poi finimmo per as­sumere quasi tutte le responsa­bilità, per ogni cosa e dovunque. Nella sua impostazione la dot­trina del containrnent [dell?ar­ginamento della diffusione del comunismo] abbracciava veramente il mondo intero: nel suo nome montammo la guardia in ogni parte del vecchio mondo e del nuovo []

Quando le forti mani di Roosevelt e di Hull [suo se­gretario di stato] lasciarono il timone [a seguito della morte del presidente], fu quasi certo che la nave non avrebbe più navigato verso l'avvenire con la stessa sicurezza di prima: se alcuni dei loro successori­ intendevano continuarne la politica estera, altri volevano capovolgerla, ripudiando la politica di cooperazione con l'Unione sovietica. Dopo Yalta [l'ultimo degli incontri trilaterali tra Churchin Stalin e Roosevelt, nel febbraio 1945] Roosevelt non ebbe tempo o energia sufficienti per approfon­dire lo studio delle prospettive del mondo postbel­lico con il nuovo vice-presidente Harry S. Trurnan; purtroppo, mano a mano che le forze lo abbando­navano, diventava sempre più concreto il rischio che la sua politica estera fosse ripudiata [][Subito dopo la morte di Roosevelt, Trurnan co­minciò a essere sistematicamente aggiornato dall'ammiraglio William D. Leahy, presidente dei Capi di Stato maggiore, massimo consi­gliere militare del presidente e ufficiale più in alto in grado di tutte le forze armate] L'uomo che aveva il privilegio di influenzare il nuovo pre­sidente nutriva un'antica avversione per i russi () Fu Leahy, scrisse F. Gervasi in un significativo ar­ticolo dedicato al «Cane da guardia della Casa Bianca» [1955], che «informò Truman su quanto accadde in tutte le conferenze dei quattro grandi e in molte altre cui aveva partecipato». In quelle sedute Leahy «istruì l'inesperto successore di Roo­sevelt sul significato della trasformazione in gran­de potenza mondiale della Russia a guerra finita»ed ebbe modo di diventare «uno dei padri della po­litica dura verso la Russia». «Non fu il solo a far fa­re agli Stati Uniti una virata di 180 gradi nella lo­ro politica verso la Russia, ma solo lui fu sempre tanto vicino al timone da far sentire costantemente la sua influenza». []

Alcuni pensano che la guerra fredda sia iniziata sol­tanto verso il 1947 [] invece il presidente Truman pose mano ad essa nemmeno due settimane dopo essersi insediato nella sua alta carica durante il primo incontro con il ministro degli esteri so­vietico, Molotov, sulla delicata questione  del nuovo governo polacco. Dall'altezza dei suoi un­dici giorni di presidenza H. Truman prese la deci­sione di dettare legge sull'alleato che aveva dato più sangue e più sacrificio di tutti alla causa comune; quel che è peggio, decise di dettar legge proprio a proposito della Polonia, di un paese cioè dal qua­le l'Unione sovietica era stata invasa per tre volte a partire dal 1914.


da D.F. Fleming, Storia della guerra fredda, Feltrinelli, Milano 1964


Gli sviluppi del secondo Novecento


Affermazione e declino del mondo bipolare. Come già si è detto la più significativa rottura nel corso del Novecento può essere individuata negli anni 1945-1948, du­rante i quali termina la lunghissima fase di conflitti intereuropei e si affermano come potenze mon­diali, in conflitto tra loro, gli Usa e l'Urss. La successiva cesura sarebbe da individuare negli anni 1989­1991 che segnano il crollo dell'Unione Sovietica, della sua area di influenza e, in senso più generale, il declino probabilmente definitivo del comunismo come realtà alternativa a quella liberaldemocratica e capitalista. Con questa ultima svolta si apre la fase presente, che stiamo vivendo.






















La svolta degli anni Settanta. Tuttavia, nella nostra esposizione, introdurremo un'ulterio­re cesura negli anni Settanta, sia per spezzare quello che altrimenti risulterebbe un periodo troppo lungo, sia perché effettivamente in quel decennio si registrò una serie di avvenimenti che, pur al­l'interno del quadro generale detto, segnarono altrettante svolte. Se la situazione di dominio con­flittuale Usa-Urss non cambiò, cambiarono altri elementi altrettanto rilevanti, di natura eco­nomica e sociale, ma anche politica. Ebbe termine, nei paesi occidentali, una lunga fase di grande espansione economica; si riaffacciarono problemi come la ripresa dell'inflazione e della disoccupa­zione; vennero ridefinite le regole monetarie internazionali; si registrò una grave crisi nei rifornimenti energetici dell'Occidente; più in generale, entrò in crisi il modello di sviluppo avviato con la secon­da rivoluzione industriale e con l'affermazione di un decisivo ruolo dello stato nella conduzione del­le attività economiche (rafforzato dopo la crisi del 1929-1932).

Un ulteriore elemento di novità riguardò gli equilibri internazionali. Gli Stati Uniti attraversarono una difficile transizione per ridefinire il loro ruolo su scala globale. Si verificò l'inizio della rinascita del­l'Asia, con l'emergere della potenza economica del Giappone e il riconoscimento internazionale del­la Cina popolare. Le vicende cinesi si ricollegano anche alla rottura dell'unità all'interno del blocco comunista, a causa appunto dei contrasti tra Urss e Cina. Più in generale, possiamo dire che nel corso degli anni Settanta si concluse la fase della ricostruzione e del primo assestamento conseguente al dopoguerra realizzata nel quadro di un rigido bipolarismo e si presentò una serie di nuovi problemi di natura economica e sociale - che potremmo definire i problemi del «capitalismo maturo» e della «società postindustriale» - e di natura geopolitica - che riguardavano la definizione di nuovi equilibri internazionali. Problemi che saranno oggetto della no­stra esposizione nell'ultima parte.


Guerra Fredda e minaccia atomica


La dottrina Truman. Anche se l'origine della guerra fredda può essere ricercata nei contrasti che contrapponevano il mondo occidentale e l'Urss già subito alla fine della seconda guerra mon­diale, il suo inizio ufficiale, diciamo «pubblico», data dal marzo 1947, quando il presidente statuni­tense Truman enunciò la nuova strategia di politica estera del suo paese, la politica del containment, del contenimento dell'espansionismo sovietico.

La «dottrina Truman», come venne chiamata questa strategia, ebbe immediate ripercussioni in Euro­pa: gli Stati Uniti avevano come obiettivo quello di garantire e rafforzare l'appartenenza al blocco oc­cidentale dei paesi europei che, per diversi motivi, la potevano vedere minacciata. In Francia e in It­alia i partiti comunisti, che partecipavano ai governi di unità antifascista, ne furono espulsi in quegli stessi mesi. In Grecia e in Turchia, che stavano subendo forti pressioni mi­litari e diplomatiche da parte del blocco sovietico, l'intervento militare e un forte sostegno politico da parte degli Stati Uniti normalizzarono la situazione e fecero sì che questi paesi potessero con sicurez­za schierarsi nel fronte occidentale. In Germania si arrivò l'anno seguente, come si è visto, alla costituzione di due stati chiaramente distinti, uno inserito nell'orbita occidentale (Repub­blica federale di Germania), l'altro in quella sovietica (Repubblica democratica di Germania).

Tutte le situazioni indeterminate, conflittuali, legate ancora all'alleanza bellica, vennero chiarite in una logica di netta contrapposizione. La fase dell'alleanza antinazista si era definitivamente chiu­sa e quella della guerra fredda fra i nuovi blocchi era ufficialmente iniziata.


La logica della contrapposizione in ambito economico. Questa evoluzione politica si svolse in parallelo con un'analoga evoluzione in ambito economico.

L'avanzata delle truppe alleate nei territori da liberare era stata accompagnata da una consistente distribuzione di aiuti economici che avevano come obiettivo quello di garantire le risorse fondamentali alle popolazioni. Tali aiuti erano gestiti dalla Unrra (Amministrazione delle nazioni unite per il soc­corso e la ricostruzione) ed erano pagati, per circa i tre quarti, dagli Stati Uniti.

Alla fine delle prime emergenze e con l'inizio della contrapposizione fra i due blocchi i dirigenti ame­ricani modificarono questa strategia di aiuti: infatti non volevano più concederne a paesi che fossero nemici politici. Venne dunque organizzato un nuovo sistema che avrebbe dovuto essere gestito tramite accordi bilaterali con i paesi amici. Era questo l'Erp (programma per la ricostruzione europea), me­glio conosciuto come Piano Marshall, dal nome del segretario di stato americano che lo propose nel giugno del 1947. Anche sul fronte economico, dunque, l'Europa si divise definitivamente.


La logica della contrapposizione in ambito militare. Nell'aprile del 1949 fu firmato il Trattato del Nord-Atlantico, un patto che mirava a sostenere la difesa dell'Europa, chiaramente in funzione antisovietica: in virtù di tale patto gli Stati Uniti si impegnarono a intervenire militarmente laddove si profilasse una minaccia militare da parte dello schieramento comunista.

Il trattato prevedeva l'istituzione di una organizzazione, la Nato (Organizzazione del trattato del Nord­Atlantico), che aveva il suo fulcro in una struttura militare integrata tra i paesi aderenti, gli Stati Uni­ti, il Canada e tutti i paesi europei occidentali. Quando vi aderì anche la Germania federale, nel 1955, i sovietici diedero vita a un'alleanza analoga, il Patto di Varsavia, contrapposta alla Nato, comprendente tutti i paesi dell'Europa dell'Est.

Sempre nella logica della contrapposizione, nel corso degli anni Cinquanta furono istituite - dal bloc­co occidentale - due organizzazioni «gemelle» della Nato, rivolte però ad altre aree geografiche: la Seato (fondata nel 1954, per il Sud-Est asiatico) e la Cento (1955, per l'Asia sud-occidentale). In complesso, l'«impero» sovietico fu letteralmente circondato da una cintura di stati facenti capo agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna: il programma di containment era stato compiuto. L'istituzio­ne della Nato, in particolare, rappresentò dunque il punto d'arrivo della contrapposizione tra i bloc­chi, nel senso che la estese anche al terreno militare, oltre a quelli politico ed economico.


La situazione asiatica: l'affermazione della Cina comunista. In complesso, in Eu­ropa gli equilibri già definiti nell'immediato dopoguerra non subirono nessuna modificazione nei de­cenni seguenti, anche se in diverse occasioni sembrarono aprirsi prospettive di segno opposto. AI contrario, in altre zone del mondo la situazione era in continuo movimento e forte era il timore del blocco occidentale di una progressiva perdita di potere a favore di quello orientale.

Innanzitutto, il processo di decolonizzazione, che prese avvio negli anni del dopoguerra, in partico­lare in Asia, portò a una lunga fase di instabilità e di veri e propri conflitti armati, sia per la resistenza delle vecchie potenze coloniali, sia per la vastità e la complessità delle questioni in gioco, sia per le interferenze delle superpotenze, come vedremo più in dettaglio.

In questo quadro molto contrastato, un momento particolarmente critico per gli equilibri fra i due bloc­chi fu la vittoria dei comunisti nella guerra civile cinese (1949). In Cina, nel 1945, dopo la resa del Giappone, era ripresa la guerra civile tra le forze nazionaliste filoccidentali e quelle comuniste inizia­ta un ventennio prima per l'impossibilità di trovare un accordo politico unitario sul­l'assetto istituzionale e sulla collocazione internazionale da dare al paese dopo la caduta dell'impero.


Nonostante l'appoggio statunitense e nonostante controllassero le regioni più modernizzate, le forze nazionaliste di Chiang Kai-shek furono sconfitte e trovarono rifugio nell'isola di Taiwan. Qui si costi­tuirono come stato autonomo (Cina nazionalista) distinto dalla Repubblica popolare.



Usa e Urss di fronte alla situazione cinese. La Cina popolare naturalmente veniva con­siderata dagli occidentali come una fedele alleata del blocco sovietico. Questo era vero, tanto che nel 1950 la Repubblica popolare cinese e l'Urss firmarono un trattato di amicizia e cooperazio­ne trentennale; ma era vero solo parzialmente in quanto il nuovo governo cinese - al di là dell'a­desione al comunismo - era interessato a svolgere una propria autonoma politica e a porre fine al lungo processo di aggressioni e di disgregazione della Cina avviato fin dall'Ottocento, soprattut­to dalla Gran Bretagna, e in seguito portato avanti, in modo brutale, dal Giappone.

In questa ottica, la ricomposizione nazionale fu seguita dal tentativo di recuperare altre zone che tra­dizionalmente rientravano nell'area di influenza cinese, in particolare il Tibet. Nel 1950 la Cina oc­cupò questo stato, dapprima limitandosi a integrarlo al suo interno, in seguito riducendolo a provincia cinese e privandolo dell'indipendenza (1951).

Comunque l'evoluzione internazionale e le scelte occidentali contribuirono a far sì che, negli anni Cinquanta, la Cina comunista rafforzasse il legame con l'Unione Sovietica.

Infatti i nazionalisti, che si erano rifugiati dopo la sconfitta nell'isola di Taiwan, non solo non scese­ro a patti con i comunisti, ma si costituirono come unico governo legittimo della Cina e ottennero in questo l'appoggio degli Stati Uniti. Questi riconobbero il piccolo stato insulare come l'erede del governo cinese che aveva contribuito alla guerra contro i giapponesi e quindi gli attribuirono in esclu­siva il seggio che spettava alla Cina nel Consiglio di sicurezza dell'Onu. Il governo comunista, inve­ce, nonostante si estendesse sull'immenso territorio continentale e comprendesse il popolo più numeroso della Terra, non fu riconosciuto dalle potenze occidentali.



La pace fra Usa e Giappone e la loro alleanza. A seguito dell'affermazione comunista in Cina, gli Usa cambiarono politica nei confronti del Giappone (esattamente come successe in Eu­ropa nei confronti della Germania di fronte alla minaccia sovietica): lo aiutarono a reinserirsi nel «sistema» occidentale, per fame un loro ulteriore alleato nella guerra fredda. In concomitanza con la firma del trattato di pace, finalmente sottoscritto nel 1951, i due paesi firma­rono anche un'alleanza militare che prevedeva l'installazione di basi americane in Giappone.

Questa alleanza, del tutto coerente con la politica di containment, può essere considerata il pun­to terminale del processo di «cambio di alleanze» da parte dell'Occidente a danno dell'Urss, avvia­to nell'immediato dopoguerra. Le potenze capitalistiche, che si erano dilaniate in due guerre mon­diali, ritrovarono una loro unità sotto l'egemonia statunitense. Gli Usa raccolsero in un certo senso l'eredità sia delle vecchie potenze coloniali europee sia delle istanze di nuovi equilibri internazionali prepotentemente sostenute dal vecchio Patto tripartito, ed elaborarono una strategia che li pone­va come i protagonisti di un nuovo ordine mondiale.


Una nuova crisi negli equilibri mondiali: la guerra di Corea. La complessità e la fragilità degli equilibri politici in Estremo Oriente negli anni Cinquanta furono rese evidenti, oltre che dalle vicende cinesi, dallo scoppio di un'altra crisi a metà del 1950, quando le truppe comu­niste della Corea del Nord invasero il territorio della Corea del Sud sostenuta dagli Usa. Questa invasione fu condannata dall'Onu e un esercito americano (ma sotto l'e­gida dell'Onu stessa) la fronteggiò. Tra il 1950 e il 1951 gli scontri furono molto aspri, con andamenti alterni. Dopo la prima fase in cui le forze nordcoreane avevano invaso il Sud, la controffensiva, con l'aiuto delle truppe americane, portò all'invasione del Nord e alla minaccia della Cina.

In seguito, con l'intervento diretto di truppe cinesi, il Sud fu di nuovo occupato (insieme alla stessa capitale, Seoul). Infi­ne la situazione si stabilizzò nel luglio 1951 e la pace firmata nel 1953 confermò il confine al 380 parallelo.

A ben vedere, questa vicenda, che fu considerata come il mo­mento culminante della guerra fredda e delle pretese espan­sionistiche sovietiche, dimostrò invece la capacità delle su­perpotenze di circoscrivere un gravissimo fronte di guerra. L'Urss non era stata favorevole all'iniziativa nordcoreana (non si oppose infatti alla condanna sancita dall'Onu) e gli Stati Uniti non approfittarono della loro forza per «punire» i nordco­reani. Le due grandi potenze, invece, approfittarono entram­be per rafforzare il potere di controllo sui loro alleati.


Alle origini della guerra di Corea


La Corea era stata per secoli un regno indipendente, anche se sotto un lungo protettorato cinese (a par­tire dal Seicento) e nonostante diversi tentativi dei giapponesi di estendervi la propria influenza.

Alla fine dell'Ottocento, nel pieno della dissoluzione dell'Impero cinese, i giapponesi riuscirono con una guerra (1894-1895) a impossessarsi dell'isola di Tai­wan e di altre basi in Cina e a imporre la rinuncia al protettorato sulla Corea che, a partire dal 1910, fu progressivamente annessa al Giappone stesso.

Alla fine della seconda guerra mondiale il territorio coreano fu diviso in due (lungo la linea del 380 paral­lelo):

· il Nord, sotto il controllo delle forze di libe­razione locali egemonizzate dal Partito comu­nista, ottenne il sostegno dei sovietici;

· il Sud, in cui venne instaurato un governo fi­loccidentale sostenuto dagli americani che su­bentrarono ai giapponesi.

Entrambi questi governi cominciarono a prefigger­si di conseguire l'unificazione nazionale. L'impossi­bilità obiettiva e la mancanza di volontà soggettiva di raggiungere quel risultato attraverso le vie diplo­matiche fecero sì che negli anni seguenti si regi­strasse un crescendo di scontri armati sia lungo la li­nea di confine sia all'interno dei rispettivi territori. In questa situazione di guerra civile latente e di crescente radicalizzazione delle posizioni fu infine la Corea del Nord a compiere il passo estremo e a ini­ziare l'invasione del Sud alla fine del giugno 1950.


La guerra di Corea

il conflitto scoppiò quando, nel 1950, le truppe nordco­reane oltrepassarono il confine invadendo la Corea del Sud. L'Onu appoggiò gli Usa nella decisione di interveni­re in aiuto del governo sudcoreano.

L'offensiva statunitense provocò a sua volta l'intervento della Cina comunista a fianco della Corea del Nord. Con l'armistizio del 1953 i confini tra i due paesi vennero ri­toccati, ma senza sostanziali vantaggi per nessuno dei due contendenti.


I rapporti Cina-Urss. Per quanto riguarda i rappor­ti tra Cina e Urss, tuttavia, questo è vero fino ai primi an­ni Sessanta. Allora, come vedremo meglio, tra i due paesi sorsero radicali divergenze sia sulla con­cezione dello sviluppo economico comunista, sia sulle que­stioni internazionali. Queste divergenze porteranno alla rot­tura tra i due paesi e al riconoscimento occidentale della Cina popolare come una delle grandi potenze mondiali.


Il pericolo atomico e la corsa agli armamen­ti. La valutazione della reale portata del pericolo di guer­ra aperta che abbiamo sopra formulato riguardo alla si­tuazione coreana appartiene ai giorni nostri. Negli anni in cui fu combattuta, la guerra di Corea fu in realtà vissuta come il periodo più critico della guerra fredda, anzi come il momento in cui essa stava trasformandosi in diretto scon­tro armato. La paura era resa ancora più acuta a causa del rischio che potessero essere usate le armi nucleari.

Lo sviluppo degli armamenti atomici fu una delle principali «novità» che caratterizzarono la storia mon­diale dopo il 1945. Inizialmente solo gli Stati Uniti detene­vano questa tecnologia, ma già nel 1949 l'Urss fu in grado di sperimentarla. Intanto gli Usa la perfezionarono realiz­zando la bomba all'idrogeno (bomba H, 1952), enormemente più potente della bomba atomica (o bomba A). Ma rapida­

mente i sovietici colmarono la distanza (1953) e a loro volta sopravanzarono gli avversari realizzando il primo aereo bombardiere intercontinentale. In breve si accese una ininterrotta corsa ad arma­menti sempre più perfezionati e distruttivi, che non si sarebbe più interrotta: missili a breve e lunga gittata, sommergibili usati come basi di lancio, testate nucleari multiple, missili antimissili.

A fronte di questa crescente radicalizzazione, prese consistenza, su scala internazionale, un movi­mento di opinione a essa contrario.


L'energia nucleare e i suoi utilizzi


La scoperta e le prime applicazioni. L'energia nucleare è quella che si libera durante le trasforma­zioni del nucleo dell'atomo e, in particolare, nella fis­sione, ossia la rottura dei legami del nucleo. Lo stu­dio e le prime applicazioni di questa tecnologia risalgono ai primi anni Trenta, quando !'italiano En­rico Fermi realizzò la prima fissione di nuclei di uranio. Nel 1942 Fermi (emigrato nel frattempo negli Stati Uniti) realizzò il primo reattore nucleare (pila atomica), un impian­to cioè che produce energia sfruttando una fissione nucleare controllata.


L'utilizzo civile. L'energia nucleare, che alimen­tò negli anni Cinquanta e Sessanta la speranza che la scienza fosse ormai arrivata al controllo totale del­le forze della natura e fece illudere che fosse stata trovata una soluzione definitiva al problema della di­sponibilità di energia, ha successivamente visto ri­dimensionate queste aspettative. Pur essendo tale tecnologia impiegata sempre più per scopi civili (so­prattutto nelle centrali termonucleari), non ha determinato quei progressi che erano attesi. Il suo costo e, soprattutto, la sua pericolosità restano ta­li da non poterne prevedere un suo uso generaliz­zato.


L'utilizzo militare. L'avvento dell'era nucleare (o era atomica) ha fatto soprattutto compiere un tra­gico progresso nella produzione di armamenti che hanno un potere distruttivo totale.

La tecnologia nucleare, proprio per i suoi potenzia­li usi militari, da una parte ha imposto un rigoroso controllo della sua diffusione da parte dei paesi che la detengono. Dall'altra, il «progresso» in ambito nu­cleare - parallelo a quello compiuto dalla chimica e dalla biologia che sono riuscite a produrre armi chi­miche e batteriologiche altrettanto letali - ha aper­to un nuovo terreno di scontro tra gli stati che an­che attraverso il controllo di tali tecnologie possono ambire a svolgere un ruolo primario nella gerarchia mondiale. E ha nello stesso tempo posto in primo pia­no la necessità di perseguire e raggiungere ac­cordi internazionali lealmente rispettati.


La «conquista» dello spazio. In questo contesto si era iniziata a sviluppare anche la «con­quiSta spaziale», in particolare da parte dei sovietici che sperimentavano sistemi rnissilistici per col­pire gli avversari a grande distanza. In effetti, in una prima fase essa consisteva nell'evoluzione dell'aviazione ad altissime quote, a cui si aggiunse il tentativo di mettere in orbita dei satelliti artificiali da utilizzare per captare informazioni o per realizzare reti di telecomunicazione.

Nel 1957 venne realizzato con successo il lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik, da parte dei sovietici. A conferma del vantaggio da loro acquisito in questo campo, i sovietici riuscirono in se­guito a effettuare il lancio del primo uomo nello spazio (Jurij Gagarin, 1961).

La risposta americana non si fece attendere: un grande programma tecnologico venne lanciato per recuperare il terreno perduto. Al programma - i cui costi erano notevoli - venne assegnato un obiet­tivo di natura non immediatamente militare (la «conquista» della Luna, effettivamente realizzata nel 1969), anche per ottenere consenso da parte dell'opinione pubblica. In complesso, non solo il ritardo tecnologico fu recuperato, ma tramite le ricerche avviate venne anche resa possibile una serie di in­novazioni tecniche, nel campo della microelettronica, che avrebbero avuto grandi sviluppi futuri. A conferma delle sollecitazioni in ambito scientifico e tecnologico provenienti dalla «esplorazione spa­ziale» , la stessa ricerca avanzò in una direzione non necessariamente legata alle esigenze militari.


L'appello degli scienziati alla pace


Nello stesso mondo scientifico, che si sentiva direttamente re­sponsabile dei drammatici sviluppi determinati dai suoi stu­di sull'atomo, si aprì un approfondito dibattito sulle re­sponsabilità e sui compiti della scienza e sulle prospettive dell'umanità, una volta che armamenti così distruttivi era­no stati inventati. Frutto di questi dibattiti fu l'Appello per la pace lanciato nel 1955 da scienziati e studiosi di tutto il mon­do, fra cui Albert Einstein e il filosofo Bertrand Russell.


Nella tragica situazione cui l'umanità si trova di fronte, noi ri­teniamo che gli scienziati debbono riunirsi a congresso per ac­certare i pericoli determinati dallo sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzio­ne nello spirito del progetto annesso. Tutti coloro che hanno una coscienza politica hanno preso fermamente posi­zione su qualcuno di questi problemi, ma noi vi chiediamo, se potete, di mettere in disparte tali sentimenti e di considerar­vi solo come membri di una specie bio­logica che ha avuto una storia impor­tante e della quale nessuno di noi può desiderare la scomparsa.

Parliamo in questa occasione non come membri di questa o quella nazione, con­tinente e fede, ma come esseri umani, membri della specie umana di cui ora è in dubbio la continuazione dell'esistenza. Il mondo è pieno di conflitti e al di sopra di tutti vi è la lotta titanica tra il comu­nismo e l'anticomunismo. Cercheremo di non dire nemmeno una parola che pos­sa fare appello ad un gruppo piuttosto che a un altro. Tutti ugualmente sono in pericolo e se si comprenderà questo pe­ricolo vi è la speranza che possa essere collettivamente scongiurato. È fuori di dubbio che in una guerra con bombe all'idrogeno le grandi città sarebbero distrutte. Ma questo è solo uno dei minori disastri cui si andrebbe incontro. Anche se tutta la popolazione di Londra, New York e Mosca venisse ster­minata, il mondo potrebbe nel giro di alcuni secoli riprendersi.

Ma noi ora sappiamo, specialmente dopo l'esperimento di Bikini, che le bombe nucleari possono gradatamente diffondere la di­struzione su un'area molto più ampia di quanto non si suppones­se. È stato dichiarato, da fonte molto autorevole, che ora è possi­bile costruire una bomba volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Una bomba all'idrogeno che esploda vi­cino al suolo o sotto acqua invia particelle radioattive negli strati superiori dell'aria. Queste particelle cadono lentamente e rag­giungono la superficie della terra sotto forma di una polvere o piog­gia mortale. Gli scienziati sono unanimi nel ritenere che una guerra con bomba all'idrogeno potrebbe molto probabilmente por­re fine alla specie umana. Si teme che qualora venissero impiega­ te molte bombe all'idrogeno, vi sarebbe una morte universale, immediata solo per una minoranza, mentre la maggioranza morirebbe lentamente torturata dalle malattie e dalla disintegrazione.

Questo è dunque il problema che vi pre­sentiamo: dobbiamo porre fine alla raz­za umana, oppure l'umanità dovrà ri­nunciare alla guerra?


citato in C. Bonanno, La critica storica del Novecento, Liviana, Padova 1997


L'«equilibrio del terrore». La superiorità militare garantita dal possesso delle armi nuclea­ri aveva portato gli americani a formulare la teoria della «rappresaglia totale» come risposta a un'e­ventuale aggressione a loro danno.

Tuttavia, i successi ottenuti dai sovietici nel dotarsi a loro volta di armi nucleari modificarono quel quadro e ne profilarono un altro, che venne definito «equilibrio del terrore»: ciascuna superpoten­za disponeva infatti ormai di un potenziale tale che avrebbe potuto distruggere l'avversario. Ogni cri­si internazionale, si temeva, avrebbe potuto avere un esito catastrofico.

Ma in effetti questo nuovo equilibrio era molto instabile: proprio la consapevolezza che difficilmen­te l'avversario avrebbe usato l'atomica per i rischi cui si andava incontro portava ciascuna potenza a spingersi al limite estremo nelle strategie di espansione.

L'esempio più clamoroso di questo «tiro alla fune» sull'orlo di un precipizio fu la crisi di Cuba.


La crisi di Cuba. Qui, nel 1959, dopo sette anni di guerriglia, era stato abbattuto il regime dittatoriale di Fulgencio Batista al potere dal 1933 (salvo una parentesi democratica tra il 1944 e il 1952) . 11 nuovo governo, guidato da Fidel Castro, fu immediatamente contrastato dagli Usa per le ri­forme adottate nel settore agricolo e minerario che danneggiavano i loro consolidati interessi. Sem­pre più isolato e sotto la minaccia di possibili invasioni militari, Castro si spostò su posizioni di stam­po comunista da quelle nazionalistiche iniziali, chiedendo aiuti economici e protezione militare all'Urss. Questa si apprestò a fornire basi missilistiche ai cubani. Gli Usa videro in questa vicenda un'ul­teriore tappa dell'espansionismo sovietico e per di più in un territorio - il continente americano ­che essi consideravano sotto la loro diretta protezione, per cui, di fronte alla minaccia di un'instal­lazione di missili a poche centinaia di chilometri dai propri confini, lanciarono un ultimatum per la loro eliminazione preparandosi a un'azione militare. Dopo giorni di drammatica tensione, le basi fu­rono smantellate e fu sancito lo status quo.


Verso il «disgelo». La corsa agli armamenti atomici - cui parteciparono anche Gran Bretagna, Francia e Cina, paesi in grado di dotarsi di propri arsenali, seppure ridotti - era continuata per tut­ti gli anni Cinquanta, ma la loro diffusione cominciò a porre diversi problemi. Innanzitutto il peri­colo derivante dagli esperimenti che producevano emissione di radiazioni. Inoltre la necessità di de­finire le strategie di impiego di un'arma dagli effetti così catastrofici. Ancora, l'utilità di sviluppare questi armamenti, visto che se ne possedevano tanti da distruggere il mondo non una ma molte vol­te. Infine l'opportunità di impedire la loro diffusione a stati e governi «non affidabili». Tutti questi problemi contribuirono a rafforzare la situazione di stallo che caratterizzava il bipolarismo: nes­suno era in grado, e poteva permettersi, di rompere l'«equilibrio del terrore».

La situazione fece sì che la guerra fredda smise di essere - come molti temevano -la premessa del­la terza guerra mondiale, e la strategia fondata su un accrescimento ininterrotto delle forze delle due superpotenze cedette a quella della ricerca di un compromesso che, garantendo la sicurezza di ciascuno, evitasse il più possibile i pericoli e gli sprechi connessi alla corsa atomica.

Lentamente, si cominciò ad affermare - a partire dai primi anni Sessanta - una nuova fase, che ven­ne chiamata il «disgelo» o la «distensione». In effetti anche nel corso degli anni Cinquanta si erano registrati alcuni momenti di «distensione», sempre tuttavia ridimensionati dall'emergere di nuove contrapposizioni. Con l'inizio degli anni Sessanta, tuttavia, si verificò il contrario, cominciarono cioè a prevalere i momenti di intesa, senza tuttavia che cessassero i momenti di contrapposizione. Que­sto cambiamento era dovuto anche all'evoluzione che si era nel frattempo verificata all'interno del­le due superpotenze e a livello più complessivo in Europa e nel mondo, come esamineremo nell'U­nità seguente.

li primo risultato della distensione si realizzò nel 1963: Usa e Urss stipularono un accordo, sottoscritto anche dalla Gran Bretagna, per una moratoria, ossia una sospensione, degli esperimenti nucleari. A questo seguì un formale trattato internazionale (firmato da oltre sessanta paesi) sulla non prolife­razione nucleare, mirato cioè a contenere la diffusione di questi armamenti (1968).





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