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La decolonizzazione e i conflitti d'africa




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LA DECOLONIZZAZIONE E I CONFLITTI D'AFRICA


Caratteri particolari ebbe il processo di decolonizzazione nei paesi dell'Africa settentrionale, contraddistinti dall'appartenenza all'antica civiltà araba e dalla presenza di una solida fede religiosa comune, l'Islam, che costituiva un punto di riferimento centrale in un'area in cui le strutture degli stati nazionali erano deboli e senza tradizioni.


Il Maghreb e i francesi: nel Maghreb, cioè Marocco, Tunisia e Algeria, già fra le due grandi guerre erano nati movimenti e partiti nazionalisti arabo-islamici. Nel dopoguerra questi movimenti scesero in lotta per ottenere l'indipendenza dalla Francia, che era intenzionata, invece, a mantenere il proprio dominio, per ragioni più di prestigio internazionale che di interesse economico. Ma se il Marocco e la Tunisia, che erano protettorati francesi e non colonie, ottennero l'indipendenza con relativa facilità nel 1956, l'Algeria, ch'era considerata da Parigi "parte integrale della Francia", dovette affrontare una sanguinosa guerra di liberazione.


L'Egitto di Nasser: l'Egitto era formalmente indipendente già dal 1922, ma rimase soggetto all'influenza britannica sin al 1952, quando con un colpo di stato organizzato dai militari depose il filobritannico re Faruk e vi istituì la Repubblica. A capo del nuovo stato salì, dall'aprile 1954, un giovane ufficiale, Abdel Nasser, che resse il paese fino alla morte nel 1970. Egli condusse una politica che, pur fortemente autoritaria, mirava a costruire una reale indipendenza economica e politica dell'Egitto. Nel 1956, Nasser, decise la nazionalizzazione del canale di Suez, che all'epoca era gestito da una compagnia anglo-francese, e ciò lo mise in conflitto con Francia e Gran Bretagna. Le due potenze attaccarono l'Egitto nel Sinai: pur sconfitto militarmente, Nasser, ottenne una grande vittoria politica, perché l'Unione Sovietica intervenne decisamente in suo favore, mentre gli Stati Uniti facevano pressioni su Francia e Inghilterra perché desistessero dall'aggressione.

Dopo la guerra, nel 1956, Nasser avvicinò l'Egitto all'Urss, da cui ricevette forniture militari ed aiuti finanziari, ed intensificò la sua politica di sviluppo e di modernizzazione (riforma agraria, costruzione di infrastrutture, diga d'Assuan, ecc.) . La posizione ottenuta in campo internazionale fece dell'Egitto il "paese guida" del socialismo arabo e di Nasser uno dei più prestigiosi leader del mondo arabo.




L'Africa subsahariana: questo ebbe un andamento impetuoso, in quanto nel 1939 un solo stato africano, la Liberia, non era soggetto a dominio coloniale.

Già fra le due guerre  alcuni intellettuali occidentali avevano promosso movimenti per il riscatto e l'indipendenza dell'Africa. Questi movimenti furono importanti per la maturazione del nazionalismo africano, che nel dopoguerra prese sempre maggior forza dopo la fine del dominio europeo e il successo per le lotte d'indipendenza. Qui c'erano tre potenze coloniali: Gran Bretagna, Francia e Portogallo, ed ognuna reagì in maniera diversa: la Gran Bretagna, che aveva quasi ovunque applicato il principio dell'indirect rule ("dominio indiretto"), consistente nel favorire la formazione di classi dirigenti nazionali da lei controllate; guidò le sue colonie verso l'indipendenza, cedendo progressivamente le leve di potere; la Francia, invece, cercò di unificare le sue colonie, concedendo loro ampia autonomia, in una comunità "franco-africana", che però non si realizzò; il Portogallo si oppose con ogni mezzo e solo alla metà degli anni settanta, una volta caduto il regime di Salazar, rinunciò alle sue colonie.


L'Africa australe, il dominio delle minoranze bianche: nell'Africa australe la decolonizzazione ebbe caratteristiche particolari, perché fu in realtà promossa dalle élite dirigenti bianche, che portarono l Rhodesia e la Repubblica Sudafricana a rendersi autonome e poi completamente indipendenti dall'Inghilterra. Il problema in quest'area non era la presenza di un dominio coloniale, bensì l'oppressione razziale esercitata dalla ristretta classe dirigente. Il movimento di emancipazione dei neri, sostenuto sul piano internazionale dalle risoluzioni a più riprese adottate dall'Onu contro i regimi segregazionisti, ebbe successo in Rhodesia, che nel 1980 divenne lo Zimbawe. Assai più travagliata e drammatica fu la storia del Sudafrica, dove per decenni la minoranza bianca, discendenti degli antichi coloni olandesi, impose un regime di segregazione razziale che le assicurava il controlli di tutte le attività economiche, nonché delle leve dei poteri politici. Questo sistema di segregazione razziale, detto anche apartheid, separava nettamente i quattro gruppi etnici presenti: neri, indiani, meticci e bianchi. Eppure parlo di un paese ricco di risorse naturali e in grande crescita economica! In questo programma erano vigorosamente vietati i rapporti fra i vari gruppi, con pene molto severe. Sulla base dell'appartenenza della razza si definivano i diritti di proprietà, le condizioni di lavoro, il salario e il luogo di residenza, mentre la qualità dell'istruzione e  diritti politici venivano diversificati per meglio controllare i più deboli tenendoli ignoranti e svantaggiati. Infatti il diritto di voto per il Parlamento era riservato solo ai bianchi ( che rappresentavano solo il 16% della popolazione). Contro questa forma di "razzismo legalizzato" nacque il movimento per la liberazione dei neri e per la parità dei diritti civili, l'African National Congress, guidato da Nelson Mandela. Dichiarato fuori legge nel 1960, il partito passò dalla non violenza alla lotta armata. La repressione delle autorità fu per decenni durissima:l'episodio più drammatico avvenne nel 1976, quando la polizia uccise oltre mille studenti in una manifestazione di protesta a Johannesburg.  

La fine dell'apartheid negli anni '80 l'opinione pubblica e le risoluzioni dell'Onu contro l'apartheid, cioè delle sanzioni economiche contro il Sudafrica, unitamente al sempre più vasto movimento d'emancipazione, costrinsero il governo sudafricano alle prime concessioni. Ma solo nel 1989, con l'elezione di un nuovo presidente, la situazione nella Repubblica Sudafricana registrò una svolta: liberò Mandela che era stato condannato all'ergastolo nel 1962 e avviò una politica di riappacificazione con l'African National Congress che rinunciò alla lotta armata. Gli accordi fra Mandela e il nuovo presidente prevedevano libere elezioni a suffragio universale e, quindi, il completo superamento del regime dell'apartheid. Le elezioni, dell'aprile del 1994, videro la vittoria dell'ANC, cui seguì l'elezione di Mandela alla presidenza della repubblica, sino al 1999; si avviò così un processo di pacificazione di grandissima importanza storica, anche se ricco di difficoltà.




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