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La costruzione del regime




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LA COSTRUZIONE DEL REGIME


I fascisti al governo

All'interno del primo gabinetto fascista trovano posto anche liberali, popolari ed indipendenti; tale governo era dunque sostenuto da un'ampia maggioranza parlamentare.

Tale fiducia fu determinata dai risultati immediati ottenuti dal governo Mussolini.

In primo luogo si verificò una ripresa economica nel triennio 1923-25. Per favorire tale avvenimento si fece ricorso al fisco, ovvero vennero dichiarate decadute le leggi fiscali di Giolitti (che tassavano i sovrapprofitti bellici); si sottoposero salari operai e redditi contadini alle imposte sul reddito; si incrementarono i prelievi sui consumi, attraverso imposte indirette.

Accanto a questa ripresa economica si sviluppò anche una drastica riduzione della spesa pubblica, allo scopo di controllare e limitare il debito pubblico che nel 1922 aveva costituito il 12%dell'intera ricchezza nazionale.

A livello politico i fascisti decisero di restringere progressivamente le libertà di azione ed espressione, accordando libertà a livello economico agli imprenditori, che venivano agevolati da massicci prestiti per favorire produzione ed investimenti. Questa fu una politica economica del tutto innovativa per la nazione rispetto al passato.

Dopo il 1924, grazie alla ripresa dell'economia nazionale, crebbero notevolmente le esportazioni di manufatti, permettendo un vero e proprio boom economico, che durerà fino al 1926, ovvero quando si giungerà ad una nuova fase di ristagno. Per porre rimedio a tale problema diminuendo le importazioni, i fascisti decisero di stimolare al massimo la produzione interna, lanciando due iniziative, che vennero propagandate attraverso i mass media come radio , cinema e giornali :

la battaglia del grano: allo scopo di accrescere la produzione agricola

la bonifica integrale: allo scopo di aumentare la superficie coltivabile

Tali iniziative richiedevano un ingente utilizzo di manodopera che risolve sicuramente positivamente (almeno in parte) il problema della disoccupazione nelle campagne.

Il delitto Matteotti: il carattere illiberale del fascismo:

Nei primi anni di governo, Mussolini, dette avvio ad un programma di radicali trasformazioni istituzionali. Tradizionalmente ostile al Parlamento, il fascismo ne sostenne le caratteristiche essenziali, costituendo dei nuovi organismi in sostituzione di esso, che erano conformi alle esigenze della futura dittatura. Così, nacquero il gran consiglio del fascismo, a cui furono attribuite alcune funzioni che in principio spettavano al parlamento, e la milizia volontaria per la sicurezza nazionale, incaricata della difesa del regime e della quale entrò a far parte anche la squadra d'assalto; aumentano naturalmente le restrizioni in materia di libertà di stampa e di riunione.

Nel 1924 le elezioni vennero vinte dal "listone" (fascisti e conservatori) per mezzo di voti truccati ed intimidazioni. Solo Giacomo Matteotti (deputato socialista) ebbe il coraggio di denunciare tale fatto al Parlamento, venendo così rapito ed ucciso a Roma il 10 giugno 1924.

Tale delitto suscitò una grande indignazione nell'opinione pubblica ed in parlamento alcuni deputati abbandonano la Camera attuando una protesta morale che restò tuttavia solo simbolica (la secessione dell'Aventino) in quanto Mussolini, sebbene apparisse preoccupato e dubbioso, utilizzò l'aiuto e la protezione del re Vittorio Emanuele III.

Sicuramente, uno dei punti di forza del fascismo fu il sostegno di papa Pio IX, che era il rappresentante della componente cattolica più conservativa, che si opponeva al socialismo.

Il 1926, l'anno di svolta :la costruzione del regime fascista:

Passata la bufera in seguito all'assassinio di Matteotti, Mussolini diede una svolta radicale alla sua politica, in quanto fino a quel momento aveva sempre rispettato formalmente le regole costituzionali. Così, prese corpo un assetto istituzionale e politico conosciuto con il nome di regime fascista anche per mezzo di iniziative parallele quali:

riduzione al minimo dell'attività di opposizione politica

svuotare il parlamento della funzione di massimo organismo politico

allargare il consenso al fascismo per mezzo della mediazione sociale cioè attraverso sindacati di stato, istituti di assistenza e previdenza

Il vero anno di svolta fu comunque quello compreso tra il 1925 e il 1926: si passò da un regime ad una vera e propria dittatura attraverso la promulgazione di una serie di decreti governativi con la collaborazione di Alfredo Rocco (ministro della Giustizia) uno dei capi del nazionalismo. Tali decreti limitavano ancora di più la libertà di stampa e di attività politica.

Allo stesso tempo si ebbe una svolta accentratrice dei poteri nelle mani dello stato: il duce congloba in se i poteri di capo del governo, del partito e titolare di alcuni ministeri come quello della Guerra, degli Interni e degli Esteri. Non viene abrogato lo statuto albertino ma subisce nette e sostanziali modificazioni delle sue norme costituzionali. Il parlamento si vide togliere la funzione legislativa che passò al governo e nello stesso tempo diventò un semplice organo di controllo.

Venne modificato anche l'assetto amministrativo della compagine statale: vengono sostituiti sindaci e presidenti di provincia con podestà e presidi; il potere locale passa nelle mani del prefetto che risponde direttamente al duce del suo operato.

Vennero dichiarati illegali tutti i partiti politici escluso quello fascista; nacque il tribunale speciale per la difesa dello stato allo scopo di sopprimere le opposizioni al regime. Così, venne attuata una legislazione repressiva che portò all'arresto di Gramsci (comunista) e alla nascita del fenomeno del fuoriuscitismo dei dirigenti dei partiti socialista, popolare, repubblicano e liberale tra i quali spiccavano i nomi di Turati, Sturzo e di Nello e Carlo Roselli.

Le leggi sindacali:

Nel 1925 l'accordo di palazzo Vidoni obbligò la Confindustria a stipulare accordi solo con il partito fascista. Infatti, nell'aprile 1926 vennero promulgate delle leggi sindacali che resero illegali scioperi e chiusure delle fabbriche. Gli organismi di rappresentanza sindacale vennero riconosciuti come organismi di stato ed inquadrati in corporazioni professionali che avrebbero dovuto risolvere i conflitti sociali a favore degli interessi superiori della nazione. La tutela di questi interessi della nazione venne affidata alla Magistratura del lavoro. Con tale azione repressiva venivano disconosciuti i lavoratori come forza sociale e, nello stesso tempo, diventavano semplice forza lavoro.

Da queste leggi si nota la volontà di creare uno stato totalitario che impedisce ai lavoratori di difendersi e contrattare liberamente i propri interessi. Nell'anno successivo venne stilata la cosiddetta Carta del lavoro, che presentava gli obiettivi generali della nuova politica sociale, che avrebbero dovuto favorire una collaborazione tra le classi.


La svolta in politica economica: la rivalutazione della lira

Nel 1926 con il discorso di Pesaro, Mussolini lanciò l'operazione "Quota 90" che consisteva in una rivalutazione della lira nei confronti della sterlina, che era la principale moneta di scambio. La nuova fase prevedeva una diminuzione dell'inflazione per mezzo del controllo dei prezzi, la protezione di risparmiatori e la tutela dei settori industriali più forti facendo ricorso ad un rigido protezionismo. Tale azione rafforzò il consenso interno ed estero e stimolò la grande industria pur danneggiando la piccola impresa esportatrice. La rivalutazione politica fece capire inoltre che in Italia l'unica volontà politica era quella del duce; si trattava di una prova di forza che fece capire agli industriali che il nuovo governo non assomigliava minimamente a quello vecchio e che la mediazione non era comunque tanto semplice e scontata.

Mussolini aveva dimostrato di saper fornire garanzie e di saper mediare i suoi interessi verso i lavoratori; tutto doveva essere subordinato alla completa adesione al regime e al riconoscimento del suo potere indiscusso. La svolta politica andava quindi resa in questa ottica: lo stato corporativo e l'irriggimentazione degli organi statali erano condizioni indispensabili affinché le conseguenze sociali della rivalutazione della lira non portassero ad una nuova conflittualità sociale


Gli effetti sociali della rivalutazione: il consenso della piccola borghesia

Quota 90 portò ad una nuova crisi nei settori economici dediti all'esportazione e aumentò la disoccupazione a dismisura e si verificò una forte erosione dei salari.

Così, si giunge ad un biennio di squilibri e tensioni sociali in particolare nel triangolo industriale. La carta del lavoro del 1927 di fronte alle nuove lotte dimostrò la sua inconsistenza. In queste gravi condizioni il regime scelse di appoggiare i grandi gruppi industriali, scaricando i costi della rivalutazione sui salari.

Il regime continuò così a rafforzarsi in quanto la rivalutazione si dimostrò strumento di difesa del piccolo risparmiatore.

La borghesia assunse la funzione di base di massa del regime, l'ambito sociale in cui il partito raccoglieva i maggiori iscritti e consensi. 

Anche la chiesa contribuì ad aumentare lo sviluppo del fascismo in quanto prima tollerò la distruzione del partito popolare e lo scioglimento delle organizzazioni giovanili ed in seguito appoggiò la svolta totalitaria del regime.






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